27.2.20

I Film della Quarantena - Giorno 3 di 30 - Tre film sul terrore dell'Ignoto


Ripropongo un post che avevo scritto sulla pagina fb de Il Buio in Sala e propongo 3 film molto interessanti che, a modo loro, raccontano tutti la paura che abbiamo verso il non conosciuto, verso l'ignoto, verso l'insolito.
E il terrore irrazionale che poi rischia di condizionarci la vita.
Sono 3 film molto diversi (uno sul terrore del non conosciuto, uno su quello di una calamità immanente e uno su un virus invisibile) che credo, fusi insieme, raccontino bene questi nostri giorni


"Il coronavirus è l'esempio perfetto del meccanismo che più funziona per avere terrore, ovvero l'avere davanti qualcosa che non conosciamo, ignoto, non codificato.
Questo virus fa meno morti della normale influenza ma il fatto che sia qualcosa di nuovo, di ancora non affrontabile (almeno nei casi più gravi), che abbia un nome inventato per l'occasione, lo rende un mostro.
Attenzione, non sto minimizzando il fatto (che rimane di una delicatezza impressionante e che necessita di mille precauzioni, sia individuali che istituzionali) ma solo ponendo l'attenzione su come sempre, nella vita, nei libri, nei film horror, quando affrontiamo l'insolito o il non già conosciuto proviamo terrore.
Avreste più paura se davanti a voi vedeste due uomini con una pistola o uno disarmato ma senza bocca?
Ecco, la seconda.
Da sempre il grande cinema horror o del perturbante hanno giocato con questi elementi dissonanti, con queste manifestazioni estranee.
E, attenzione, molto spesso l'horror psicologico gioca sul piccolissimo scarto, ovvero su quel piccolissimo cambiamento che ci turba.
Immaginate di avere la vostra compagna davanti a voi, state con lei da 20 anni, e questa da un giorno all'altro si mette a passare sotto il tavolo la mattina mentre beve il latte.
Una cosa da niente, ma che è fuori da quello che conoscevate di lei, quindi vi terrorizza (magari i primi due giorni ridete, il terzo impazzite).
Sono tutti piccoli esempi stupidi ma la legge è quella, tutto quello che non possiamo governare o tenere sotto controllo, tutto quello che vediamo per la prima volta e non rispetta il nostro sapere o il nostro aver già visto, tutto quello che esula dalla routine a cui siamo abituati, tutto quello che abbiamo paura di andare a conoscere ed affrontare (e questo molte volte è anche metaforico) è sempre terrorizzante.
La ragione in questi casi conta poco, i dati anche, rimane un pericolo informe che anche se mille volte meno pericoloso di pericoli che invece conosciamo benissimo ci fa mille volte più paura.
Per questo anche lo Spazio a volte ci inquieta, perchè è il luogo per eccellenza del non conosciuto."



E' il 2000.
Il sottomarino russo Kursk affonda nel mare.
Dentro ci sono più di 100 persone.
Impossibile comunicare con loro.
Il mondo sta con il fiato sospeso per giorni e giorni, non si capisce come sia possibile che quel sottomarino non venga soccorso. 
Arriveranno tardi, tutti morti.
Io ho 23 anni e ricordo che scrivo un racconto, chiamato proprio Kursk, in cui mi immaginavo gli ultimi giorni passati dall'equipaggio chiuso in quella trappola mortale. Dall'iniziale calma alla pazzia finale.
Ecco, ieri la vicenda raccontata in questo davvero bello Europa Report, ovvero la storia di sei astronauti persi nello spazio e con cui si sono persi tutti i contatti, mi ha ricordato tantissimo la vicenda del Kursk.
Cambiano solo le altezze, lo spazio profondo e il mare profondo.

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Eh, proprio di "profondità di altezza" bisogna parlare perchè la missione Europa è quella che si spingerà più lontana di tutte nella nostra storia.
Verso, appunto, Europa, nientepopodimeno che un satellite di Giove.
Si è scoperto che sotto il ghiaccio di cui è ricoperto potrebbe esserci dell'acqua.
E acqua, lo si sa, è sinonimo di possibilità di vita.
Europa Report è un mockumentary un pò sui generis.
Già una volta avevo affrontato la questione sulla differenza tra mockumentary e found footage.

Se possibile questo film è la perfetta unione dei due e, paradossalmente, è anche nessuno dei due.
Perchè in realtà vedere un luogo attraverso circuiti chiusi e telecamerine non è un falso documentario, semplicemente una tecnica, estetica o narrativa.
E' anche vero che ci sono elementi da falso documentario (la cornice alla fine lo è) e altri da found footage, ma me ne sto zitto ;)
I sei astronauti, di almeno 4 nazionalità diverse, partono.
Sanno già che passeranno anni nello spazio.
Ma la loro missione è troppo importante, costituirebbe una delle più grandi scoperte scientifiche di sempre.
Per colpa, mi pare, di una tempesta solare, il sistema di comunicazione con la Terra viene distrutto. Gli astronauti sono soli, nessuno potrà più dirgli nulla o dare indicazioni.
Comincia così un film su questa deriva spaziale.
Un film molto tecnico, molto scientifico, molto accurato.
E a me frega nulla se adesso qualche nazi scientist dirà che quello non è possibile, quell'altro è mal spiegato e bla bla bla.
Tutto quello che vediamo è dannatamente verosimile e al 95% degli spettatori basta.
Ecco, semmai è proprio questo insistere su dettagli tecnici (terminologia, azioni, dinamiche) che può appesantire il film.
Film che, lo ammetto, fa un pò fatica a...decollare.

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Già, forse proprio il flash back del decollo è uno dei primi momenti veramente notevoli.
Si va avanti e indietro nel tempo infatti, e si alterna tutto con le interviste agli scienziati a capo del progetto e a Rosa, una degli astronauti che hanno partecipato alla missione (tra l'altro, curiosità, è una delle due ragazze di 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni).
In ogni caso da quando la navicella atterra su Europa il film non avrà più un solo momento di stanca.
E diventerà un thriller, un'opera angosciante e claustrofobica.
Nel momento dell'atterraggio su Europa, con quella splendida inquadratura dalla prospettiva impossibile, notiamo che c'è una sedia vuota sotto.
In realtà ci era già stato accennato della "perdita" di un membro dell'equipaggio.
E il racconto visivo poi di quella perdita (ah, Sharlto Copley eh, mica pizza e fichi) sarà solo il primo di una serie di momenti veramente notevoli e ansiogeni.
Per molte di queste scene vengono usate le telecamerine dentro il casco, quelle che mostrano solo il volto (e che buffo, con Copley le vedemmo già in District 9).
E il film gioca moltissimo su questo, ovvero sul privilegiare il viso degli astronauti rispetto a quello che gli sta intorno e quello che loro vedono. Una scelta straordinaria a mio parere che ha il suo momento più alto negli occhi della bella Katya, sprofondata nel "suo" mare sotto il ghiaccio.
Cosa ha visto mentre stava morendo?
Bellissimo.
Ed ecco che Europa Report diventa un pò quello che ci si aspettava, un possibile film sugli alieni. Ma anche qui abbiamo una scelta a mio modo di vedere perfetta, ovvero quella di non farlo mai diventare un film con gli alieni. No, rimane coerente fino in fondo con il suo non mostrare, con il suo esser spoglio e sobrio.
Abbiamo solo queste luci blu, chissà frutto di che cosa, magari solo fenomeni naturali.
E tutte le morti (una realizzata meglio dell'altra) alla fine sembrano dovute a delle vere e proprie disgrazie, null'altro.
Ecco, siamo alla fantascienza più pura, quella della meraviglia e della paura dell'ignoto, quella degli occhi sgranati vedendo una superficie di ghiaccio dallo spioncino di una navicella, quella della passione scientifica, quella della paura ancestrale.

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Questo è anche un film profondamente umano. Racconta di sei uomini, di scelte coraggiose, di gesti eroici, di decisioni terribili da prendere per il bene di tutti (quella sulla morte di James per esempio, veramente commovente come scena).
Qualche mano grossolana alle prese con questo soggetto avrebbe messo dentro i classici personaggi borderline, i "cattivi", quelli che impazziscono. E avrebbe messo dentro anche gli alieni e chissà quali effetti speciali.
Invece Europa Report racconta di uomini veri e verosimili, di azioni vere e verosimili, senza nessuna pacchianata.
E si arriva così alla fine e ai due colpi di scena.
Il primo, davvero raffinatissimo, ci fa vedere come l'intervista a Rosa non era sulla Terra, ma solo un videotestamento che aveva realizzato lei nella nave spaziale poco prima di morire.
E poi quell'ultima immagine.
E sì, gli alieni esistevano.
E in quella navicella che si riempie d'acqua lo vediamo.
Difficile scrivere un finale migliore di questo


 leggeri spoiler

Ognuno ha la propria Melancholia.
Ognuno di noi aspetta la propria fine, cerca di immaginarsela, ne è allo stesso tempo attratto ed impaurito.
E ognuno di noi ha due modi per affrontarla, restarne in balia o cercare di eluderla, rifugiarsi.
La Melancholia di Curtis è una tempesta perfetta, un tornado devastante, una santabarbara del cielo pronta a distruggere ed eliminare ogni cosa trovi nel suo cammino.
E Curtis ha deciso di combatterla, di costruirsi un proprio rifugio per salvare sè e la propria famiglia.
Ma quella Melancholia, la sua personale Melancholia è soltanto frutto della sua immaginazione? O no?
Apparentemente Take Shelter potrebbe apparire come un film sulla follia, tematica abusata ma sempre tremendamente affascinante, ma in realtà credo che l'istanza principale sia ancora più delicata e complessa, la paura di morire. Quello di Curtis è il tipico comportamento dell'ipocondriaco grave, Curtis è convinto che arriverà quel tornado come l'ipocondriaco è convinto che in qualsiasi momento lo possa colpire una malattia grave. Non è un caso, portando avanti questo paragone, che l'ipocondriaco sia definito malato immaginario (ne approfitto, vista la tematica, per ricordare ancora una volta l'immenso Synecdoche New York) perchè è proprio questo l'asse portante narrativo del film, Curtis è un malato immaginario? Le sue visioni, i suoi sogni sono solo visioni o pre-visioni della "malattia" che teme, una malattia tremendamente reale?
Strepitoso il cast. Shannon è uno dei 5 migliori giovani attori di Hollywood, anche se qua deve riuscire a far dimenticare un doppiaggio italiano a mio modo di vedere imbarazzante (solo il suo, per il resto buono). La Chastain si conferma dopo The Help e l'attrice bambina fa più volte breccia nel cuore dello spettatore per una dolcezza infinita acuita dalla condizione di sordomutismo che la affligge.

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Importantissima la coesione dei tre perchè il senso di amore famigliare che il film trasmette è grandioso. L'abbraccio tra lui, lei e la bambina dopo la sfuriata alla cena (magnifica scena, argh, mannaggia sto doppiaggio...) o l'accenno di intesa che si danno i due genitori nel magnifico ancorchè misterioso finale sono due momenti di altissima fattura in tal senso.
Spelndida la figura di Samantha, una donna fortissima che più vede scivolar via il marito, più comincia a dubitare sulla sua salute mentale più però continua ad amarlo e, paradossalmente, a credergli.
La superba scena del primo tornado, quello che costringe la famiglia a rifugiarsi (take shelter) è come se rappresentasse un atto d'amore di lei verso di lui, un accompagnarlo per mano nella sua malattia e poi (con la sequenza della chiave) aiutarlo ad uscirne. E poco importa in quel momento se quella che pareva una malattia terminale era poco più di un raffreddore, Curtis doveva sublimare tutta l'attesa, tutti i preparativi, tutto il lavoro fisico e mentale fatto fino ad allora. Quel cielo terso era un'anima tersa, un'anima senza più nuvole (ah, tra l'altro magnifica la fotografia, il film ha picchi visivamente altissimi come la scena dei fulmini).

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Ed ecco che arriva la beffa, il colpo di coda che allo stesso tempo è valore aggiunto del film ma anche sua possibile crepa.
Il cerchio si era chiuso, la pellicola narrativamente aveva finito il suo percorso. E lo aveva fatto in maniera perfetta.Perchè quel finale?
Torniamo al principio.
Cos'era la Melancholia di Curtis?
Una fine personale o collettiva?
La metafora di un malessere o un evento tremendamente reale?
Curtis guarda sua moglie, sua moglie guarda Curtis.
Il cenno è d'intesa.
Che sia vero o immaginario non importa.
Che sia lieve o devastante, che sia un raffreddore o una malattia terminale non importa.
Quel che conta è che lo si affronti insieme.
Tanto il rifugio già lo conosciamo.
Bisogna solo entrarci.

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Lo dico, sarò ancora meno obbiettivo del solito.
Ma lo sapete, me ne frego di quello che si dice in giro.
Io credo fermamente che Trey Edward Shults sia, con solo due film, uno dei miei 5 giovani registi preferiti.
Le ragioni sono tante, e magari cercherò di approfondirle.
Il fatto è che sto ragazzo di 30 anni ha tutto quello che io cerco in un autore.
Ha mano, ha occhio, ha stile, ha la penna che gli permette di scrivere grandiosi dialoghi, ha "cultura", ha una capacità di creare e gestire atmosfere unica.
Ma, soprattutto, ha tanto cuore, ha un'anima bellissima, ha un attaccamento verso i personaggi che scrive e il loro destino che fa spavento.
E se con Krisha -film personalissimo, praticamente la storia della sua famiglia- era magari anche facile trasmettere queste sensazioni (esplose poi in quella magnifica dedica finale) questo splendido It comes at night (che pare non arrivare alla sufficienza come media quasi ovunque) è la conferma assoluta di un autore che sento mio "fratello", uno che ogni inquadratura che fa, ogni personaggio che scrive, ogni dialogo che costruisce mi crea empatia.

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Credo di avere un'affinità elettiva con Shults, quindi, semmai, interrompete la lettura qua e non convincetevi a buttare un'ora e mezza della vostra vita.
It comes at night comincia da dove Krisha finiva, ovvero da un fantastico primo piano.
La macchina da presa piano piano se ne discosta fino a mostrarci infine l'ambiente.
E' il primo piano di un vecchio molto malato, infettato da qualcosa.
Chi gli parla gli vuole molto bene. 

"Non lo combattere, abbandonati"

I primi 20 minuti del film sono un trattato di regia, una perfezione di movimenti di macchina, fotografia, atmosfera, volti e luoghi.
Il suddetto prologo, il fuoco, il riflesso dello stesso nella maschera antigas, la lentissima carrellata avanti per arrivare alla porta rossa, il primo incubo/flash back di Travis, tutto magnifico.
Ma del resto a livello di atmosfera, densità e fotografia il film resterà sempre su livelli eccellenti, specie nelle scene notturne, che siano in casa o nel bosco.
(basta vedere la locandina, una delle più belle di questi anni).

Ma cos'è It comes at night?
Ecco, se venisse preso come un semplice post-apocalittico o un virus movie potrebbe deludere molto.
In realtà questo film è molto di più (o molto di meno, dipende cosa cercate).
Innanzitutto c'è una continuità tematica con Krisha davvero sorprendente. Specie nell'aspetto che, ormai l'abbiamo capito, interessa di più affrontare a Shults in questo suo inizio di carriera, ovvero quello della famiglia.
Entrambi i film sono accalorati, difficili, complessi, profondi, delicati e sofferti racconti di famiglie.
E se nel primo si raccontavano ipocrisie, scheletri nell'armadio e sconvolgimenti dovuti all'arrivo della "pecora nera" Krisha, anche qui c'è un "agente" esterno che sconvolge il nucleo famigliare, ma è un agente non umano, mortale e invisibile, un virus (di cui non sappiamo nulla).

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E ancora una volta Shults sembra avere grandissima empatia con il figlio (che nel primo film era interpretato da sè stesso, anche se lo seppi solo dopo).
Si vede lontano un km come i suoi film siano visti da quella prospettiva, quella del figlio (anche se Krisha, e scusate il paradosso, raccontava la prospettiva del figlio dalla prospettiva della madre, il film è tutto "dentro lei", è vero, ma è innegabile come il fulcro di tutto fosse il ragazzo interpretato da Shults).
E, in questo senso, l'attore che interpreta Travis è veramente il vero e proprio gioiello del film.
Mi ricorderò gli occhi di Kelvin Harrison Jr per molto molto tempo. Occhi di un ragazzo 17enne che sta (non) vivendo un'esistenza senza futuro, solo un passare le giornate cercando di sopravvivere. E' incredibile come sto ragazzo sappia trasmettere cose. La sua risata quando sente l'altra coppia scherzare in camera è meravigliosa (scena vista 4 volte). I suoi occhi quando si ritrova di notte a parlare con la ragazza (in uno dei tanti grandissimi dialoghi scritti da Shults) sono un qualcosa di incredibile, timidi, impauriti, buoni, gli occhi di un ragazzo che si trova a disagio a parlare con una ragazza così bella.
Ma tutto il film è basato su di lui, sulla sua insonnia che lo porta (e ci porta) a vivere tante cose di notte, che lo porta a quegli incubi continui (a volte desideri, come quello sessuale, inappagabile, altre timori), incubi derivanti dalla paura di morire e dal dolore di aver già visto farlo, morire dico, a suo nonno e al suo splendido cane.
Questo ragazzo sta vivendo un dramma dietro l'altro, il suo nudo e purissimo carattere lo porta a sorridere ma, dentro, e scusate se so fissato, i suoi occhi dimostrano altro.
Shults porta agli estremi le sue riflessioni famigliari unendo due diversi nuclei che gli permettono non solo di creare il clima di sfiducia necessario a portare avanti il film, ma anche di potersi muovere, come in Krisha, tra tutte le generazioni, dai bambini agli anziani, dalla giovane coppia innamorata (che serve anche a Travis per "scoprire" nuove cose, come la leggerezza e il sesso) a quella ormai dedita soltanto alla protezione.
Ma It comes at night è molto altro.


E' la paura dell'ignoto, è la paura dell'altro, è un trionfo del non detto e del non mostrato, è un horror colto, misurato, giocato sugli sguardi, fotografato divinamente, scritto meglio.
Per quanto mi riguarda è come se fosse il terzo pezzo di una mia personale trilogia sul bosco, sull'ignoto, sul metaforico, insieme a The Witch e Sauna.
Tra l'altro c'è una scena molto simile a Sauna, quella del vomito di sangue.
Amerete questo film se amate l'introspezione psicologica, se amate la cura dei dettagli, se amate le opere profondamente sentite e personali.
Dimenticate risposte alle domande (ma che bellezza quella notte di bimbi e cani, quella notte che porterà alla divisione, che sarà mai successo?), dimenticate grandi svolte narrative, dimenticate lo spettacolo o il ritmo.
Soffermatevi invece su Travis, su quello che sta vivendo, immaginate questo film per quello che è, un film di morte, paura, abbandono e dolore.
Se riuscirete a focalizzarvi su questo, magari, lo amerete come me



8 commenti:

  1. Grazie della bella iniziativa, Giuseppe. Un paio li conosco e come sempre approvo in pieno le scelte. Mi fanno compagnia in questi giorni di " riposo forzato" da scuola. Credo rivedrò anche una delle sole due serie che abbia mai seguito e che, essendo distopica, mi ha preso assai: the handmaid's tale . Se ti capita... potresti trovarla pure interessante ; )

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    1. credo che sia la serie che mi hanno consigliato più volte ;)

      penso mi piacerebbe un casino ma ho il solito problema con le serie, non riesco a seguirle

      diciamo che è in cima alla lista da due anni ;)

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    2. Ti capisco, sai! Anch'io ho sempre avuto lo stesso problema finché sono incappata in internet dove trovo la trama di th'st e l'ho cercata a lungo. Poi quando ho avuto sottomano tuttele puntate delle 3 stagioni, le ho viste in 10 giorni. Un'abbuffata che mi ha completamente sfamato e della quale ora soffro digiuno. Seriamente, una a settimana non l'avrei nemmeno presa in considerazione, così invece è stata un'esperienza particolarissima.

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    3. magari un giorno farò lo stesso...

      anche perchè me ne parlano giornalmente, ahah

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  2. Il primo ho scaricato grazie al Guardaroba, devo ancora vederlo però, il secondo già visto ed è un bel film, il terzo è in lista ;)

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    1. mi ricordo, mi pare l'avevi richiesto proprio te ;)

      it comes at night difficilmente ti piacerà, previsione ;)

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  3. Take shelter a mio parere è un piccolo capolavoro, con due attori per me fenomenali e da anni la Chastain è la più brava attrice dopo la Streep

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due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

2 metti la spunta qui sotto su "inviami notifiche", almeno non stai a controllare ogni volta se ci sono state risposte

3 ciao