5.7.17

Recensione: "L'infanzia di un capo" (The Childhood of a Leader)


Se ami il cinema scoprire e vedere che un regista 27enne è stato capace si scrivere e girare un film così è come conoscere una ragazza bellissima e passarci una notte meravigliosa insieme.
Pazzesco.
Il film complementare al Nastro Bianco di Haneke è sì un'opera profondamente politica ma, al tempo stesso, e forse sopra ogni altra cosa, uno di quei film che raccontano il Male come pochi altri.
Imprescindibile.

Un'ouverture con filmati d'archivio della prima guerra mondiale.
Una colonna sonora, io che di colonne sonore parlo mai, grandiosa.
Una colonna mastodontica che accompagna il prologo mastodontico di un film mastodontico dal soggetto mastodontico.
Del resto cosa c'è più mastodontico, di più enorme, di più svettante che della figura di un leader, di un capo di stato?
Il prologo termina in un'inquadratura che se uno ama il cinema potrebbe sentirsi male da quanto è bella.
Quella piccola finestra, lenta carrellata avanti, bambini che scendono le scale.
L'ultimo ha folti capelli biondi, si ferma, la carrellata finisce.
Mi aspetto un culmine con un'interpellazione alla macchina da presa ma no, il bambino va avanti e segue gli altri.


Osmosi.
A me han bocciato due volte al liceo, e son stati buoni chè dovevano essere pure di più.
Vorrei dire che son stato bocciato per le materie scientifiche ma in realtà son stato bocciato per tante cose.
Però, ecco, a quelle scientifiche i mie 3 me li prendevo a grappoli.
Quindi io che parlo di osmosi è come Adinolfi che parla di punto vita.
Ma tranquilli, la mia accezione non è scientifica.
L'osmosi umana è quella di saper influenzare e farsi influenzare a vicenda.
Scambiarsi cose, idee, informazioni, saperi, esperienze, sentimenti, virtù e vizi.
Ieri L'infanzia di un capo non era iniziato nemmeno da 20 minuti che io nel mio taccuino mi ero scritto:

"Haneke" (per il soggetto, ma non solo)
"Trier" (per le atmosfere e una cosa di cui parleremo)

Poi stamani vado a prendere informazioni sul regista de sto film, Brady Corbet (e io, lo sapete, anche le informazioni le rifuggo sempre) e scopro tante cose.
Intanto scopro che questo ha scritto e girato L'infanzia di un capo tra i 26 e i 27 anni.
E questo NON va bene.
O.k, uno può avere il talento, lo stile e la sensibilità di Dolan ed esser fenomeno ventenne.
Ma a 26 anni fare sto film non è questione di avere stile o il cinema dentro, è questione di avere tutto.
Scopro che è l'opera prima. E questo va ancora meno bene.
Poi vedo che è attore.
Scorro.

Melancholia di Trier (è il ragazzo che si fa la Dunst)
Funny Games di Haneke (il compare di Pitt)
Osmosi.
Questo ha girato con Haneke e Trier. E ventenne ha preso qua e là mille cose, meraviglioso.
Ma poi vedi che ha anche recitato in Sils Maria (dove c'era l'eterno ritorno nicciano...) e in Forza Maggiore, film nordico di cui ha preso il rigore.
Una piccola parte lì, una piccola parte di là, osservare, osservare, parlare, incuriosirsi e sto ragazzo è diventato uno capace di tirare fuori l'Infanzia del capo.
Tutta la sua carriera da attore è qua dentro.

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Impossibile non citare Il Nastro Bianco.
Ma se il grandioso film di Haneke raccontava, partendo dal microcosmo di un paesotto di campagna, di un'intera generazione che stava per diventare il popolo dei totalitarismi, ecco, L'infanzia di un capo è la sua parte complementare, visto che racconta dell'infanzia di quello che, volendo, sarebbe diventato un loro possibile capo.
Ma, sin dall'inizio, la mia percezione è stata un'altra.
Quella che questo fosse un film sul Male.
Quel Male talmente denso, potente ed insidioso, da trascendere l'esperienza umana.
E che questa trascendenza, questa specie di connotazione horror, sia stata affiancata ad un film per certi versi profondamente rigoroso e storico, l'ho trovata una cosa magnifica.
Questo, con Shining, con The Witch, con Hanging Rock, con Antichrist è uno di quei film che, nella mia memoria, raccontano meglio di tutti di queste forse oscure e terribili che aleggiano talvolta sopra di noi.
Come il mostro de La Casa, come quella soggettiva che gira nei boschi.
La prima parte mi ha richiamato tantissimo The Witch. Un pò l'ambientazione rurale, un pò l'atmosfera, ma soprattutto una fotografia sensazionale di candele e bui che dava al tutto una tale densità "oscura" da star male.
La scena del sogno-incubo di Prescott è puri brividi. E come si unirà al finale è una delle più grandi cose che questo 2017 cinematografico ci regalerà.
Di Hanging Rock mi ha ricordato questa contrapposizione tra l'immagine angelica del bimbo e un'atmosfera, invece, di pura malvagità. E di segni. E di presagi.
Di Shining ragazzi ci sono 10 minuti che, se l'omaggio non è stato voluto, c'è da avere la pelle d'oca per le somiglianze.
Prescott si aggira per la casa di spalle, sembra Danny col triciclo.
Gli stessi capelli, gli stessi movimenti.
In casa una festa (e Shining quello racconta, di una festa di morte) e una musica primi anni 20 (credo) quasi identica a quelle sentite nel capolavoro di Kubrick.
Come se non bastasse poi parte una colonna sonora straniante, disturbante, anch'essa praticamente già sentita in Shining.

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Su Antichrist che dire.
Volendo potremmo tranquillamente considerare Prescott proprio un Anticristo.
Pensateci bene, con me.
I famosi tre scatti d'ira che scandiscono, in atti, il film, altro non sono che tre atti d'ira verso la madre e, di conseguenza, verso la religione.
Prima i sassi scagliati a quella gente davanti alla chiesa (come se l'avesse scagliati verso sua madre, fervente cattolica).
Poi nel secondo atto quell'urlo contro di lei e la porta sbattuta in faccia.
Poi nel terzo la terribile sequenza dell'odio verso le preghiere, culminate con quell'atto violentissimo.
Un climax ascendente verso la propria madre e verso quell'educazione religiosa odiata dal bimbo.
E, alla luce del finale, quasi un rifiuto della religiosità a beneficio di un potere puramente umano, uomo più grande tra gli uomini.
Ma che sto bimbo possa rappresentare qualcosa di più di un bimbo cattivo ce lo dice anche la fotografia, alcuni simboli (penso ai serpenti), alcuni presagi (il sopracitato incubo), alcune inquadrature come quel pazzesco grandangolo in campagna.
Ma anche altre piccole cose come la madre che ricorda quel parto che l'ha fatta quasi morire.
L'idea di Corbet di giocare tra lo storico, l'umano e il trascendente è pazzesca.
Soprattutto nella sua resa.
L'umano, già.
Perchè alla fine questa genesi di un tiranno potrebbe avere radici molto più umane, quasi imbarazzanti.
Prescott viene preso più volte per una bambina.
Sta cosa gli fa un male cane. Ad un certo punto si presenta anche nudo col pisellino di fuori per far vedere che è un maschio.
E questa umiliazione lo ferisce a tal punto che...
Già, a tal punto che?
Ma sull'argomento il mio amico e compagno di visone Rocco ha scritto righe perfette, eccole:


Nel dramma estetico ed etico di interni di casali degradati, nella celata intimità piccolo borghese, nella piega più profonda dei loro inconfessati segreti, dimora il presagio oscuro dell'esteriorità, della cornice più esterna, del campo sociale. E già perché in fondo ciò a cui assistiamo è solo e, suo malgrado, l'educazione del futuro leader di un popolo. E solo quando la struttura della personalità di un capo coincide con le strutture individuali a livello di massa di vasti strati della popolazione, il capo si trasforma in guida e duce. 
E infatti, come un'onda che ingrossa il mare e prepara le successive, rabbia porta rabbia, e leader e popolo ne vengono inesorabilmente trascinati insieme nella loro costituzione reazionaria. C'è una profonda assonanza tra le inibizioni punitive che sbarrano all'adolescente la via sessuale e il processo di attribuzione della colpa e della conseguente comminazione risarcitoria ad un intero popolo. Il debito irredimibile proprio come l'umiliazione gratuita aprono la via della rabbia irrazionale. Le umiliazioni inflitte al bambino si specchiano nella sconfitta tedesca dopo la prima guerra mondiale, trattata dai diplomatici dei paesi vincitori come un problema teologico, trasformando così la sconfitta in colpa morale. La repressione del bambino opera fino all'aberrante cancellazione della sua identità sessuale. Essa innesca la sua rivolta contro la stessa struttura familiare e sfocia nell'appropriazione e riconfigurazione delle strutture statuali. Il bambino punito, infatti, ricostruisce e manovra la macchina dalla quale è stato punito, per farlo deve lasciarne intatti i caratteri e i presupposti, le strutture statuali divengono perciò quelle di una grande famiglia. Il reazionario non vuole la rivoluzione, esso è misticamente affascinato e affettato da ciò a cui si ribella. Allo stesso modo, il popolo umiliato dai trattati di Parigi e Versailles del 1919 "reagisce" rifugiandosi nel narcisismo nazionale finendo per identificarsi misticamente nel proprio capo. Nessuna istituzione è neutra, ogni famiglia nera incuba un potenziale carnefice del suo prossimo.



Credo sia inutile aggiungere altro.

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In ogni caso Prescott acquista sempre più potere.
E diventa sempre più esigente, sempre più "grande".
Il licenziamento di Ada è l'emblema di un potere decisionale fortissimo.
E la madre, che pur fa finta a volte di contrastarlo, alla fine diventa anche lei sempre più succuba del figlio.
Tanto da accettare ogni sua decisione (vedi questo licenziamento) o, vedi scena delle preghiere, delegare a lui le cose.
Ma Prescott la sovrasta.
Il padre invece è quasi un inetto che, da diplomatico, prova ad agire di diplomazia anche col figlio.
Ma si vede che non può superare un certo limite, si vede che la sua autorità non ha autorevolezza.
E, alla luce del finale (grazia amico Nicola) tutti i nodi vengono al pettine, anche in questa faccenda, in modo impressionante.
Io starei quai anche a parlare degli attori, ma mica ne ho voglia.
Uno meglio dell'altro, finiamola qui.
Perchè questo film ha anima propria, più che la somma di tante componenti staccate sembra quasi un'entità a sè stante.
Ed arriviamo all'ultimo atto, 10 minuti che qualsiasi regista del mondo al momento, ripeto, qualsiasi regista del mondo, faticherebbe per raggiungerne il livello.
Prima l'emozione, il malessere e la meraviglia di rivedere i luoghi del sogno-incubo di bambino.
Come se il potere, più della cattiveria, fosse quel presagio che dava il titolo al primo capitolo allora.
Poi la scena fuori, tra la folla.
Lui che arriva.
E il capire quanto quel termine "bastardo" potesse avere più significati.
E quel movimento di macchina pazzesco, pazzesco.
Roba da far girare la testa dalla bellezza

10 commenti:

  1. spettacolo, l'ho visto ad inizio 2017 e per me è finito subito dritto nella mia top di quest'anno, che soundtrack poi ispiratissima da Wagner

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    1. Vero, lo stesso tipo di potenza e magniloquenza

      sì sì, finirà molto in alto anche con me

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  2. Piccoli Haneke crescono, come ho scritto nel mio blog... certo "Il nastro bianco" è un'altra cosa, ma questo è comunque un esordio di lusso. Miglior opera prima e miglior regia a Venezia 2015 (sezione orizzonti). Ricordo ancora il gelo totale che avvolse la sala a fine proiezione... non perchè il film non fosse piaciuto, ma perchè aveva annichilito tutti!
    Notevole, niente da dire...

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    1. Speriamo che un giorno questo esordio a Venezia venga ricordato

      ma dopo un'opera prima così la carriera diventa già difficile ;)

      forse gli conviene cambiare del tutto, andare in un film "piccolo"

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  3. Risposte
    1. uno dei rari casi in cui sono arrivato prima

      e dire che il film è del 2015

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  4. Regia strepitosa grazie anche alle nuove tecnologie; si può sfruttare la flebile luce come non si riusciva prima. I primi dieci minuti bastano per dare valore non solo al film ma alla carriera di questo regista. Ma forse sono influenzato dallla recensione de il buio in sala ed invece senza dubbi stregato dalla colonna sonora. È un film che ha tanto classico dentro che diventerà esso stesso un classico

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    1. quoto tutto, riga per riga

      colonna da brividi su tutto

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due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

2 metti la spunta qui sotto su "inviami notifiche", almeno non stai a controllare ogni volta se ci sono state risposte

3 ciao