3.9.19

Festival del Cinema di Venezia 2019 - giorno 5 - 3 settembre


THE LAUNDROMAT

Di Steven Soderbergh


CONCORSO

Filippo Tassinari

Lo scandalo dei Panama Papers, ovvero l'emersione dei nominativi delle numerose società offshore create per eludere le tasse e i loro azionisti: uno scandalo scoppiato nel 2016 e che ha visto coinvolti funzionari pubblici e capi di stato di mezzo mondo.
Una vicenda così complicata e piena di tecincalità viene raccontata in un modo inedito e decisamente fruibile: la vicenda di una anziana signora, Meryl Streep, coinvolta in un incidente, che non arrendendosi arriva a fare il percorso completo della rete elusiva. Il tutto accompagnato dai narratori, Gary Oldman e Antonio Banderas, nei panni dei due avvocati titolari dello studio da cui sono stati trafugati i Panama Papers.
Un film che coniuga la necessità di affrontare un tema scomodo e complesso con una cifra stilistica pienamente azzeccata.


Voto: 7 e ½


BURNING CANE

Di Philip Youmans


GIORNATE DEGLI AUTORI

Filippo Tassinari

Louisiana: una madre, il figlio adulto con problemi di alcoolismo, la religione.
Opera prima di un 19enne, osannata e pluripremiata al Tribeca.
Si salva la fotografia e l'incipit, del resto ridondante, pleonastico, soporifero, inconcludente. 


Voto: 4

J'ACCUSE 

Di Roman Polanski


CONCORSO

Riccardo Simoncini

Siamo in Francia nel 1895. Il giovane capitano Dreyfus, ebreo, viene accusato di essere un informatore dei tedeschi, privato dei suoi alti gradi militari e deportato dunque a vita su un’isola nell’Atlantico. Solo che quell’accusa, così deplorevole e condannabile, sembra essere infondata ed al contrario inscenata dallo stesso governo. Quell’evento, che sarà successivamente conosciuto come “affaire Dreyfus”, rappresenta lo scoppio di un’ondata di odio ed antisemitismo che ricorrerà al potere per legittimare ogni tipo di ingiustizia. Così l’intero Paese inizierà a gravitare ed essere profondamente sconvolto da quell’errore giudiziario che, poco alla volta, rivelerà l’ideologia che l’ha prodotto. “J’accuse”, però, non sceglie la classica via storiografica e cronachistica, quella del puro racconto obbiettivo dei fatti, ma preferisce piuttosto soffermarsi sul punto di vista di una persona direttamente coinvolta in quel caso giudiziario. Quello di Polanski è un approccio che, pur ricercando la meticolosità nella ricostruzione storica, esalta la soggettività di chi ha vissuto quell’evento sulla propria pelle. In particolare seguiamo le vicende attraverso gli occhi del colonnello Picquart (un indimenticabile Jean Dujardin), l’uomo che, prima in solitario poi pubblicamente, cercò concretamente di mettere in luce, attraverso un abile sistema di spionaggio prima e di controprocessi giudiziari in seguito, la trama di quel fitto sistema di corruzione ed inganni che sconvolse l’intero Occidente. Picquart sceglie di andare contro a tutto ciò che viene diffuso per le vie di informazione ufficiali e diplomatiche (dalla condanna, alle prove inconsistenti) in una battaglia prima contro ignoti poi contro i membri dello Stato stesso. 
Così l’affare Dreyfus diventa esemplificativo di un fenomeno di crisi di valori che si può estendere spazialmente dalla Francia a tutto l’Occidente e temporalmente dal 1895 ai giorni nostri. Perché l’intolleranza, insieme ai metodi ingegnosi per camuffarla e legittimarla, non sono un lontano ricordo e anzi sembra siano più vivi che mai. Quando la politica pare indifferente (o talvolta persino coinvolta), spetta al giornalismo e all’arte fare chiarezza. E noi, a differenza della presidente di giuria Lucrecia Martel, ci alzeremo in piedi e applaudiremo, perché il film di Polanski parla di noi, e di quei corsi e ricorsi storici che dovrebbero farci almeno un po’ di paura. 

REVENIR (back home)

di Jessica Palud


ORIZZONTI

Filippo Tassinari

Thomas torna a casa per visitare la madre malata: si è allontanato da molti anni a causa di dissidi col padre. Qui trova il nipote e la cognata, vedova del fratello morto in un incidente.
Dopo l'inizio necessario a declinare lo schema dei rapporti familiari, il film non è che il solito dramma dove lo spazio all'immaginazione è precluso.


Voto: 5


THE NEW POPE (episodi 2 e 7)


FUORI CONCORSO

Riccardo Simoncini

Forse qualche anno fa poteva sembrare una novità (e forse anche una pazzia) presentare una serie tv in un festival di cinema. Un linguaggio come quello della serialità, che per definizione (data la sua lunghezza) non può essere presentato in sala, sembrava inconciliabile con la mentalità festivaliera. Venezia, però, ha sempre saputo innovarsi e pensare in questo senso all'arte cinematografica in prospettiva del futuro. Così, nell'edizione di Venezia73 (la prima, tra l'altro, a cui io abbia mai partecipato) sono state presentate le prime due puntate di The Young Pope, dirette da Paolo Sorrentino, a riconferma del fatto che il film e la serie tv non sono realtà così inconciliabili come si poteva pensare in passato; al contrario la serialità può, allo stesso modo, essere vista in un'ottica autoriale come mezzo potentissimo di comunicazione per i cineasti del presente. Compiendo un salto temporale, arriviamo all'edizione di quest'anno, Venezia76, dove son ben due le serie tv presentate: ZeroZeroZero e The New Pope, questa costituisce la seconda stagione di quella stessa serie presentata tre anni fa sempre a Venezia. Presentare una seconda stagione può essere rischioso, perché significa parlare ad un pubblico che già conosce quel mondo e quel contesto. Ma significa anche rischiare e sostenere con convinzione il valore della serialità, come linguaggio autonomo ed indipendente rispetto a quello filmico. Paolo Sorrentino non si accontenta di tutto ciò, ma osa a tal punto da presentare la puntata 2 e la puntata 7, insomma episodi non legati ma anzi agli estremi dell'intera serie. Tutto questo ci dimostra davvero come la serialità non sia semplicemente l'ombra di un'opera filmica, ma sia al contrario il luogo dove poter provare, sperimentare, scoprire la propria arte. E Sorrentino ci riesce, riprendendo la storia di quel Papa giovane, che, come lui artista, amava osare. Nella prima stagione quel giovane Papa Pio XIII (Jude Law) osava anche troppo. Una rivoluzione, la si potrebbe chiamare. Ma non per questo progressista. Un giovane sì, ma tremendamente ancorato al passato. Al suo passato come orfano, prima di tutto, come punto di partenza delle sue scelte e al passato della Chiesa e dei suoi antichi valori cristiani, come punto di arrivo del suo Papato. Un uomo giovane che crede nel passato che si confronta con uomini vecchi che credono nel futuro. Un uomo che si sente più di un uomo, forse un santo, forse Cristo stesso, che si oppone alla più alta forma di umanizzazione della Chiesa: la politica. Così Pio XIII aveva trovato, nella sua opera di de-umanizzazione e de-istituzionalizzazione della Chiesa, l'ostilità di tutti. Ma, come si diceva prima, quell'uomo (oltre-uomo) viveva all'ombra di un passato, o meglio di quel passato che avrebbe sperato, ma che non è stato mai scritto, e che nel finale l'aveva condotto al coma. Senza grandi spiegazioni (stiamo guardando pur sempre la puntata 2 e la 7) arriviamo ad un nuovo Papa che apparentemente potrebbe apparire come opposto a Lenny. Quel passato di Lenny come orfano, a cui si accennava prima, si oppone infatti al rango aristocratico del nuovo papa inglese, Sir John Brannox, interpretato da John Malkovich. Quest’ultimo si pone nel mezzo dei poli opposti, evitando un’ideologia estrema e perseguendo invece la via della moderazione. Ma Sir John è soprattutto tremendamente fragile (e guarda infatti ad una Chiesa che valorizzi questa fragilità), come una porcellana che può frantumarsi in mille pezzi da un momento all’altro, appena qualcosa mette a dura prova la sua integrità. Egli crede in un’istituzione religiosa che pensa, invece di parlare, che è mente prima di corpo, che preghi prima di agire. In questo senso il nuovo papa riprende quello giovane, perché entrambi sono guidati dalla stessa idea di de-umanizzazione della Chiesa, che prevede di spostare l'attenzione dalla figura umana del Papa (associata ad una dimensione più politica) a quella del simbolo che egli rappresenta: la fede e Dio stesso (e quindi una dimensione più spirituale). Non è un caso, poi, che non ci sia un concreto passaggio da un papa all’altro, ma permangano  entrambi. Come le loro ideologie. Vive ed originali per cercare di cambiare un’istituzione piena di contraddizioni. 

LA LLORONA

di Jayro Bustamante


GIORNATE DEGLI AUTORI

Filippo Tassinari

Guatemala. Il generale Enrique Monteverde, ormai anziano, è a processo per genocidio: è accusato di aver organizzato e preso parte attivamente al massacro di nativi. Viene condannato ma subito dopo il processo viene annullato. All'esterno della propria casa si radunano molti manifestanti per cui la famiglia è bloccata. Gli inservienti, tutti nativi, se ne sono andati e a dare una mano in casa viene chiamata Alma.
Un dramma con risvolti politici che si annoda ad un horror, supportato da un ritmo avvincente e fotografia e sonoro pressoché perfetti. 

Voto: 8

SAYIDAT AL BAHR (scales)

di Shahad Ameen


SETTIMANA DELLA CRITICA

Riccardo Simoncini

Scales è, a tutti gli effetti, un’esperienza cinematografica a 360 gradi. Un viaggio metafisico, onirico e visionario in un mondo sospeso, imprecisato nello spazio e nel tempo (e fotografato per questo attraverso un emozionante bianco e nero), dove regnano la tradizione e l’arcaismo. In questo misterioso mondo, un’oscura usanza  prevede che ogni famiglia sacrifichi la propria figlia femmina alle creature del mare, le quali a loro volta sono cacciate dagli abitanti del villaggio, per mantenere un equilibrio tra tutte le forze della natura. Ma a questa tradizione così crudele ed eccessiva, un giorno un padre vorrà ribellarsi e quella figlia non sacrificata, Hayat (che tradotto significa “vita”), dovrà trovare un modo per sopravvivere. 
Il villaggio, infatti, chiuso ed isolato nella sua mentalità arcaica e superstiziosa, considera Hayat come una disgrazia e, non potendo tollerare infrazioni alla propria tradizione, arriva ad escluderla dalla società, emarginandola. Ma Hayat non si dà per vinta ed intraprende così un cammino di indipendenza, un viaggio che la porterà a mettere in discussione tutti quei dogmi che l’avevano accompagnata fin dalla nascita. Alla radice di quel luogo sospeso ed indeterminato, fatto di mare, rocce, capanne, navi di legno e pescatori, vi è l’isolamento, condizione che ha condotto inesorabilmente alla formazione di una società patriarcale basata appunto totalmente sulle usanze e le tradizioni, motore vivo e propulsivo del villaggio. A questi paradigmi dominanti, Hayat, come bambina e come futura donna, cerca di ribellarsi, riuscendo ad opporsi ad un destino scritto dalle antiche leggende e potere così autodeterminarsi come donna. 
Scales propone dunque un’acuta e magica riflessione su cosa voglia dire vivere ancorati a superstizioni e tradizioni arcaiche. È come se The Witch si tingesse dei toni del fantasy ed incontrasse allo stesso tempo gli antichi racconti di mare, dove le creature magiche che lo popolano non sono più solo leggende. 
E allora più che adeguarsi passivamente a quel mondo, bisogna opporvisi con coraggio e convinzione. E gridare forte in nome della vita e dell’amore. E gridare il nome di Hayat, simbolo di una vita che ha vinto una morte già scritta.

JI YUAN TAI QI HAO (No 7 Cherry Lane)

di Yonfan


CONCORSO

Filippo Tassinari

Film d'animazione ambientato nella Hong Kong degli anni '60: lo studente universitario Ziming insegna inglese alla figlia della signora Yu, con cui troverà maggiori affinità.
Volutamente lento, grottescamente comico, enigmatico ai limiti dell'incomprensibile. 

Voto: 5

RIALTO

di Peter Mackie Burns


ORIZZONTI

Filippo Tassinari

Colm ha una quarantina d'anni, una moglie, 2 figli e ha perso l'odiato padre da un mese. Caduto in una spirale di tristezza, cerca di "controllarla" con l'alcool e il sesso con il giovanissimo Jay, incontrato casualmente in un bagno di un centro commerciale.
Il dramma di un uomo che vive nella sofferenza da cui non sembra trovare una via di fuga, affossato dal senso di colpa e di essere, per la propria famiglia, come il proprio padre. 

Voto: 6

5 commenti:

  1. Faccio i miei complimenti agli "inviati", anche io sono una specie di collega qui a Venezia e ho letto molto volentieri i vostri pareri in questi giorni :) ho visto quasi tutti i film qui recensiti, e ho delle opinioni quasi diametralmente diverse. Velocemente:
    The laundromat: sinceramente l'ho trovato di un ruffiano insopportabile, intento ad ammiccare più che a raccontare quel poco di storia che c'era, tenuta assieme da vignette e Antonio Banderas, la peggiore performance di recente memoria di Gary Oldman, e la solita, autoriverita, insopportabile Maryl Streep. Giuro che se vince un altro Oscar o peggio la Coppa Volpi do fuoco a qualcuno. Colpo di scena peggiore dei tentativi comici, ed è tutto dire. Voto 5
    J'accuse : il solito, meraviglioso Polanski. Tutto perfetto, forse senza picchi memorabili, ma il cast, dialoghi e recitazione valgono tutto il tempo speso in questa storia parecchio attuale. Voto 8
    Revenir: semplice, si, poco rivedibile , ma ha alcuni bei momenti, ed ogni performance della Exarchopoulos è un dono. Voto 6
    The new pope: fulminante come ogni lavoro di Sorrentino, ma ci si ripiega troppo sul misticismo. Il primo (visto a Venezia alla presentazione) aveva un tono sognante, ma più coerente nel suo tono e (poca) storia. I titoli di testa valgono da soli la visione. Voto episodio 2: 8
    Voto episodio 7: 6
    La llorona: meno sgangherato dell'horror omonimo, altrettanto soporifero. Tenta di essere drammatico e inquietare, senza saper fare nessuno dei due. Un look immacolato da serie tv americana non può scusare una storia così prevedibile e risibile e una regia che ha solo due inquadrature: fissa e lento zoom avanti/indietro. Voto 4
    Ancora complimenti e buone visioni:)
    Enrico

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    1. non so se avranno il tempo di venire a rispondere ma molto interessante :)

      incredibile quell'8 de La Llorona diventato 4, ahah

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    2. Non lo pretendo, ti assicuro solo che un'ora e più di coda a Venezia ti dà tutto il tempo che vuoi :,D è aspettando che ho buttato giù un paio di opinioni (tra oggi e domani farò anche ciò che mi compete, giuro)...
      Guarda, la Llorona è un film di genere a Venezia, guatemalteco, c'era il regista e il cast in sala: volevo salvarlo a tutti i costi, ma corpo e anima si ribellavano urlando la loro noia :,) è un film sul nulla, girato con nulla (parlo di idee, non soldi), che segue tutti i cliché degli horror ignoranti da cui cerca disperatamente di elevarsi. Meno male che ci sono Roy Andersson e Michod a farmi dimenticare queste delusioni ;)

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  2. Ciao Enrico! Innanzitutto complimenti a te e grazie per aver commentato.

    In realtà (almeno dalla mia parte) siamo abbastanza in linea sui film!
    Per Polanski condivido appieno quello che dici. La mia recensione lo testimonia. Sarebbe da leone, ma dopo quello che è successo con la presidente di giuria ho qualche dubbio. Però davvero un gran film

    Anche per The New Pope condivido appieno ciò che dici, sopratutto sul confronto tematico tra prima e seconda stagione. Anche se, secondo me, sarà interessante vedere gli altri episodi. Anche nella prima stagione alla fine ogni puntata conservava un tono caratteristico.

    Per Revenir concordo con quanto scritto invece da Filippo

    E per The Laundromat mi pongo a metà strada tra voi due. Non l’ho odiato e neanche amato. Una sana via di mezzo haha

    La llorona purtroppo l’ho perso, ma il fatto che ci siano pareri così contrastanti me lo fa attendere ancora di più


    Grazie mille ancora!
    E buona continuazione di festival

    -Riccardo

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    Risposte
    1. Grazie a te, è interessante sentire altri pareri, e siccome stasera parto sarò ancora più curioso se farete anche qualcosa sul Leone d'Oro e altri premi.
      Ah se lo vedi in tempo e sei interessato, ho tra le mani un coupon per Aru sendo no hanashi (Sala Perla, 16.45) che vorrei tanto vedere ma mi si sovrappone un'altra proiezione purtroppo. Se lo vuoi posso dartelo al palazzo del Casinò
      Enrico

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