7.1.17

Recensione: "Vive l'Amour" - Scritti da voi - 95 - di Claudio Rugiero




Claudio è un amico di facebook.
Appassionato e studioso di cinema tenta di praticare in questo mondo sia nel versante della scrittura che in quello pratico (ha realizzato un cortometraggio).
Questa è la sua analisi al Leone d'oro del 1994

VIVE L’AMOUR

Recentemente ho rivisto Vive l’amour [Ai qing wan sui] del regista taiwanese Tsai Ming-liang, Leone d’oro a Venezia nel lontano 1994. L’avrò visto per la seconda o terza, forse quarta volta, ma credo di averlo visto veramente per la prima volta, comprendendone il potenziale.
In questo film, tre completi estranei si ritrovano più volte sotto lo stesso tetto senza arrivare mai a vedersi, a sentirsi emotivamente.



Hsiao-kang è un giovane venditore di colombari senza fissa dimora. Un giorno, entrando in un condominio per affari, trova le chiavi dell’appartamento 58, che il precedente proprietario aveva dimenticato nella serratura, e vi entra abusivamente prendendo a frequentarla abitualmente.
May Lin è un’agente immobiliare bella e sofisticata, tanto abile negli affari e fortunata con gli uomini quanto completamente sola. Un giorno, incontra il commerciante Ah-jung, che la pedina da diversi giorni, anch’egli con le sue stesse difficoltà comunicative (è attratto da lei ma non riesce ad avvicinarla, pur essendo un incallito playboy), e i due consumano un rapporto nell’appartamento che May Lin dovrebbe vendere, l’appartamento 58. Nello stesso appartamento, ha cercato di suicidarsi Hsiao-kang, che ha poi rinunciato ai suoi propositi perché accortosi della presenza dei due. I due però non si accorgono della presenza di Hsiao-kang, così come May-Lin non si accorge della presenza del suo amante, abbandonando Ah-jung addormentato dopo l’amplesso, che a sua volta non si accorge dell’abbandono. Le vite separate dei tre personaggi riprendono tranquillamente nelle rispettive totali apatie. Nessuno dei tre riesce, ogni giorno, ad intrattenere una vera conversazione.
Neppure May Lin, pur interloquendo molto con i suoi clienti, riesce a comunicare, a stabilire un vero contatto. Né riescono a comunicare con i loro rispettivi colleghi di lavoro: Hsiao-kang non partecipa ad una scatenata festa nella sua sede di lavoro, tenendosi in disparte; Ah-jung intrattiene false e forzate conversazioni telefoniche con le sue partner sessuali, e le giornate silenziose di May Lin sono interrotte solo dalle chiamate di potenziali acquirenti. Ciascuno dei tre continua a frequentare abusivamente l’appartamento 58 ma non si incontrano mai: May Lin non riesce ad entrare in un momento in cui si trova Hsiao-kang perché ha perso le chiavi, Ah-jung arriva solo in un secondo momento perché fuori città per ragioni di lavoro. Fino al giorno in cui Ah-jung, finalmente, si accorge della presenza di Hsiao-kang, lo affronta e stabilisce una comunicazione con lui. 



Quando nello stesso appartamento arriva anche May Lin, i due si nascondono dalla donna abbandonando insieme l’appartamento e finendo per radersi e rinfrescarsi in un bagno pubblico. Un legame è ora stabilito e tra i due la confidenza sembra essersi instaurata: Hsiao-kang presta dei soldi ad Ah-jung, Ah-jung offre un passaggio in auto a Hsiao-kang. Iniziano a conoscersi e Ah-jung chiede a Hsiao-kang di portarlo a visitare un colombario. Qui, i due ascoltano un venditore di colombari raccontare ai suoi clienti storie di gente così profondamente legata da scegliere di non separare i propri corpi nemmeno oltre la morte.
Restano colpiti da questi racconti e decidono di trascorrere altro tempo insieme (una cena combinata ed un secondo incontro casuale), ma ogni volta uno dei due (prima Ah-jung, poi Hsiao-kang) finisce per dimenticarsi dell’altro, per abbandonarlo. Una notte, May Lin rivede Ah-jung, ma i due pur stando vicinissimi non riescono a riconoscersi. Finiscono di nuovo nell’appartamento 58, esplorano di nuovo i propri corpi, consumano un secondo amplesso ma a livello emotivo non succede nulla. Hsiao-kang, nascostosi sotto al letto perché già nell’appartamento, assiste inerte all’amplesso, sfogando il proprio piacere nell’atto auto-erotico. La mattina dopo nulla è cambiato: May Lin di nuovo abbandona Ah-jung, che di nuovo non si accorge dell’abbandono. Ma due personaggi si scoprono per la prima volta infelici: Hsiao-kang capisce di essere attratto da Ah-jung ma sa che non può averlo perché non è in grado di esprimere i suoi sentimenti. May Lin piange la propria solitudine per poi decidere che imparerà ad amare.
L’assenza di comunicazione produce l’inesplicabilità dei sentimenti, questo il senso dell’opera seconda di Tsai Ming-liang. L’incomunicabilità è il tema ribadito anche attraverso il montaggio frammentario, i silenzi e la riduzione dei dialoghi. A ciò si aggiungono le frequenti conversazioni telefoniche in cui non sentiamo mai cosa dice l’interlocutore.
Non Vive l’amour!, bensì Vive l’amour, detto con tono drammatico e malinconico, privato dell’euforia del punto esclamativo, un “lunga vita” poco convinto perché è difficile credere in qualcosa che non si conosce affatto. Il titolo riassume questo particolare stato d’animo dei tre personaggi, di cui due cercano l’amore negli incontri di una notte, un terzo vive una sessualità confusa (Hsiao-kang emblematicamente fa delle flessioni vestito da donna, mettendo in risalto la mascolinità del suo corpo con la femminilità degli abiti). L’amore a cui fa riferimento il titolo non viene mai effettivamente mostrato, eppure Vive l’amour è un film sull’amore: i due amanti occasionali, l’omosessualità repressa di Hsiao-kang, l’amicizia tra Hsiao-kang e Ah-jung...



Tre personaggi cercano in un anonimo appartamento rifugio dall’incomunicabilità del mondo, ma pur frequentandolo tutti e tre non riescono mai a sentirsi, a vedersi, a comunicare. Non si accorgono l’uno della presenza dell’altro (e nel senso del film va intesa come “presenza emotiva” piuttosto che fisica) pur stando nello stesso letto perché non sono in grado di provare empatia. Ogni contatto stabilito è di breve durata perché gli esseri umani sono creature incapaci di comunicare. Gli spazi frequentati (anonimi appartamenti con pochi arredi e maltenuti, strade caotiche e vuote, parchi con alberi spogli) dai personaggi riflettono lo stesso paesaggio umano ritratto nel film dall’autore taiwanese.
Per raccontarci la storia di un ordinario incontro tra tre solitudini, ancor più struggente se si pensa alla giovane età dei protagonisti, il regista usa una sola camera e sempre fissa. Come un moderno Serafino Gubbio, si mette dietro la mdp e semplicemente aspetta che qualcosa accada. Ma non accade mai niente perché nel vuoto esistenziale non può accadere nulla. Coraggiosamente, Tsai Ming-liang riprende ciò che nessun cineasta si sarebbe mai immaginato di riprendere: spazi vuoti, silenzi, azioni piccole e insignificanti... Nel film gli eventi sostanziali non accadono mai. Vengono soltanto sfiorati: l’innamoramento di Hsiao-kang, la decisione finale di May-Lin...
La presenza umana nel film appare snaturata, messa in una situazione di soggezione al cospetto con l’ampiezza dei luoghi (la stessa May Lin ribadisce continuamente ai suoi clienti l’ampiezza delle case che vende). L’appartamento 58 è la via di fuga scelta dai personaggi, ma ce n’è un’altra: l’acqua. Scorrono scene di vasche, di rubinetti, di personaggi che bevono continuamente come per purificarsi. Tutti e tre i personaggi fanno un bagno nella vasca, lasciandosi affogare in apnea per poi riemergere, come cercando continuamente la rinascita dal mondo apatico entro cui sono costretti a vivere.


E con l’acqua, con le lacrime si chiude il film. Tuttavia, il finale, per quanto amaro, lascia posto alla speranza (non si sa come andrà a finire tra Ah-jung e Hsiao-kang e May Lin improvvisamente smette di piangere), ma è una speranza sospesa, quasi fosse un invito agli spettatori del film a scrivere loro stessi il finale di questa storia.


Una lucida e fredda rappresentazione dell’animo umano finisce per essere così un inno all’amore.

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