22.2.17

Recensione: "La Paura del Numero 13" - BuioDoc - 33 -




Vado su Netflix con l'intenzione, dopo mesi, di riprendere in mano (o ricominciare) la da me interrotta Making a Murderer.
E invece mi salta l'occhio su questo documentario che, per certi versi, ricorda la pazzesca vicenda di Avery.
Un uomo da oltre 20 anni nel Braccio della Morte che chiede di essere giustiziato, non ce la fa più.
La vera storia di Nick Yarris

Facciamo finta di non pensarci ma a volte immaginare quanti carcerati innocenti siano presenti nel mondo fa paura.
E mi voglio limitare solo a quegli Stati cosiddetti "civili", quelli dove ci sono "regolari" processi e dove, insomma, non prendono per strada uno e lo fucilano il giorno dopo.
Gli Stati Uniti, si sa, sono stati colpevoli negli anni di numerosissime e fragorose "sviste" (e chiamare sviste l'errore che ti priva di una vita fa ridere), alcune delle quali finite sotto i riflettori di tutto il mondo.
Ed è proprio andando su Netflix per riprendere in mano quella serie (che avevo interrotto ormai mesi fa dopo 7 puntate) che racconta di uno dei casi più famosi in tal senso, ovvero il bellissimo Making a Murderer ("Costruendo un assassino", dice già tutto) che, per sbaglio, mi trovo invece davanti, sempre su Netflix, quest'altro documentario per certi versi simile all'incredibile vicenda di Steven Avery.
Il protagonista di questa, forse meno assurda ma altrettanto pazzesca storia, è Nick Yarris.

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Due bianchi su due alla fine, uno a voler dimostrare che la giustizia americana i disastri li fa un pò con tutti, due che, forse, la grande rete americana ci tiene però a raccontare solo quelli dei white man.
Ma forse è solo un caso.
Siccome il documentario è costruito benissimo e fino alla fine non sappiamo come è andata a finire la vicenda di Yarris cercherò anche io nelle prime righe di non anticipare nulla. Semmai vi fermate quando potete.
Nick è nel Braccio della Morte, quello dei condannati alla pena capitale.
Il perchè sia lì non ci viene detto per almeno metà del documentario.
E se ci stia ancora dentro nemmeno.
Fatto sta che viene intervistato.
Alla sua intervista si intervallano delle immagini apparentemente scollegate, una doccia, un paio di guanti, un bambino che corre, e solo alla fine, grazie ad un montaggio davvero ottimo, capiremo l'importanza di ognuna di esse.
In più tutto quello che racconta Nick viene, ma sempre in modo molto trattenuto e non fictionizzato, mostrato sullo schermo.
Solo poche immagini che accompagnano le parole di Nick e il suo volto, praticamente onnipresente.
Parte così questo documentario tutto basato sullo scoprire piano piano le carte, pieno di immagini cinematograficamente notevoli (su tutte per me la lenta carrellata sull'asfalto che porta alle scarpe da donna) e che ha il merito di tenere lo spettatore attaccato fino alla fine.
E meno male che a metà del suo tragitto iniziano ad accadere (essere raccontate) parecchie cose perchè ad un certo punto, lo ammetto, la vicenda iniziava a perdere d'interesse e a farmi dubitare che "meritasse" un doc.
Nick inizia a raccontare, si sente che padroneggia molto bene la lingua e l'arte del racconto, scopriremo poi bene perchè.

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E niente, piombiamo direttamente nel carcere della Pennsylvania, una prigione dove i carcerati vengono quasi fatti combattere in delle gabbie ed è persino proibito anche parlare.
Fino alla notte in cui un uomo innamorato di un altro uomo canta la sua canzone d'addio.
E poi abbiamo la prima svolta, Nick che, nel trasporto verso il Tribunale che avrebbe trattato il suo caso (che noi ancora non conosciamo) riesce fortunosamente a scappare.
E poi la latitanza e poi il nuovo arresto.
E poi, d'improvviso, i libri.
E così questo giovane ragazzo poco più che analfabeta inizia a divorare storie e parole, inizia ad "evolvere". Specie l'amore per le parole è pazzesco. Non a caso il titolo del doc, "La Paura del 13", è riferita ad una parola difficile che Nick impara, Triscaidecafobia.
Conosce poi una donna che visita il carcere per difendere i diritti dei detenuti. Si innamorano a vicenda. E sono bellissime le sue parole al riguardo, quella necessità di avere una donna per completare quell'evoluzione che, altrimenti, non ha più possibilità di crescere.
Ed è da qui che, piano piano, iniziamo finalmente a scoprire la storia di Nick.
Ladruncolo e tossico finisce in prigione per aver reagito in malo modo al fermo per strada di un agente. Ancora scosso ed impaurito il ventenne Nick decide di attuare un piano per uscire che non ha alcun senso, ovvero quello di fornire indicazioni su un omicidio avvenuto in quei giorni (di cui lui non sa nulla).
Fatto sta che per una cosa quasi da niente sarà lui stesso ad essere accusato di quell'omicidio.
E quindi sarà Braccio della Morte, e quindi sarà vita fuori privata per sempre.
E intanto le immagini dell'inizio tornano più volte, bellissime. Se ne vedono altre come quella, formidabile, dentro al tappeto rotolante.

Poi nel mondo arriva la prova del Dna.
Per Nick è un miracolo, sa di non aver fatto nulla, sarà la sua salvezza.
E invece, e qui davvero la sua vicenda ricorda quella di Avery, più volte accadranno inspiegabili disavventure riguardo il suo dna, prima non trovato, poi trovato ma non buono, poi trovato buono ma manomesso durante un trasporto.
Nick si scoraggia, lascia la donna che l'ha aiutato per anni, la lascia libera, come è giusto che sia.
Si ammala persino.
E decide allora di farla finita, farsi uccidere prima possibile.
Ma proprio quando ormai la sua vicenda, ovvero la richiesta di essere giustiziato entro 60 giorni, sta per essere esaminata ecco che finalmente accade qualcosa.
Documentario molto simile per costruzione a quel capolavoro che fu l'Impostore.
Non arriva a quei livelli ma ha il merito di crescere sempre di più e tenerti fino alla fine con la voglia di scoprire cosa è successo poi.
Quello che semmai si fa fatica a capire è come un uomo così del tutto innocente abbia accettato la condanna a vita così, apparentemente, a cuor leggero.
Prima della faccenda Dna, infatti, Nick non fa mai alcuna menzione alla sua innocenza e a qualche tentativo fatto per scagionarsi. Anzi, rivela che alla sua amata ha detto di essere innocente solo dopo molti mesi.
E non si capisce se tutto ciò sia dovuto alla costruzione step by step del doc oppure ad un uomo che odiava sè stesso e che quindi ha comunque accettato una punizione così terribile.
Solo i libri prima e l'amore poi, infatti, sembra che l'abbiano portato a "riconoscersi", accettarsi, stimarsi. Forse questi due elementi sono stati la spinta per lottare poi.
Ed è perfetto che solo alla fine ci viene rivelato cosa rappresentasse quel bambino che correva nel bosco.

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Prima c'è il bellissimo racconto della pioggia che batte sulla serranda, lui, il suo cane, una coperta e solo quel rumore.
Poi c'è un bosco.
E nel bosco spesso ci sono gli orchi.
Probabilmente tutto quello che Nick nella sua vita ha fatto ed è stato dipende da quel giorno.
E così in montaggio parallelo e analogico abbiamo due docce, quella di Nick bambino che si toglie l'orrore di dosso e quella del Nick adulto che profuma di libertà.
Perchè, magari, adesso te ne sei liberato Nick.
Sia di quel mostro che di 20 anni e più passati in carcere.
Avanza ancora il tempo di essere felici.


8 commenti:

  1. Ho letto poco perchè già con poche righe mi hai convinto a vederlo e non voglio rovinarmi la storia, ti dico però che sì, devi finirlo Making a Murderer! e sempre sul tema carceri su Netflix c'è 13th (dove il 13 sta per l'emendamento che abolì la schiavitù), che fa il punto sulla situazione americana con numeri e leggi da far venire l'angoscia.

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    1. E certo che devo finirlo...
      Il problema è che ormai, dopo mesi e mesi, mi toccherebbe proprio ricominciarlo...

      E per uno come me che fa sta fatica con le serie...

      sì sì, quello che dici te era proprio quello "a fianco" de quello che ho visto io, ero tentato da uno o l'altro!

      lo vedrò

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  2. non vado oltre un tot della tua recensione per evitare spoiler, ma mi hai fatto venire in mente Salvatore Striano, detenuto "risvegliato" dai libri. ne ho sentito parlare alla radio (ed era parecchio interessante), e l'ho visto in un paio di film. il libro non l'ho letto ma chissà non l'abbia fatto qualcuno qui mi interesserebbe saperne

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    1. Sai che sto nome e sta storia non mi è nuova?

      devo aver visto qualcosa anche io

      vado a controllare!

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  3. Il bello è che praticamente vedi un film,sentendo il racconto.Una storia strana e terribile,raccontata talmente bene,che in alcuni punti,riesce veramente a emozionarti.Penso alla fuga dal distributore,i colpi di scena al processo,il racconto finale,terribile.Mi chiedo come ha fatto a resistere vent'anni,a livello mentale,dopo aver fatto un'esperienza del genere.Forse veramente è la speranza di una felicita',a dare la forza per andare avanti...

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    1. Vero...
      Cioè, sta sua tranquillità e accettazione serena di stare 20 anni in un carcere da completo innocente mi sembra talmente straordinaria da apparire assurda.
      C'è anche da dire che lo vediamo raccontare le cose ora, magari l'uomo che avremmo intervistato durante questi 20 anni era un altro...
      Ma l'uomo di adesso è un uomo mediamente felice, che ha saputo metabolizzare e realizzare

      ti consiglio L'Impostore

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    2. L'ho messo in lista!

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due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

2 metti la spunta qui sotto su "inviami notifiche", almeno non stai a controllare ogni volta se ci sono state risposte

3 ciao