23.7.15

Recensione "Stand" (2014)


Nella Russia, nuova patria europea dell'omofobia, una coppia gay cerca di portare alla luce la verità sull'omicidio brutale di un omosessuale che, forse, avrebbero potuto salvare.
Film a tratti irrisolto ma dal finale potentissimo.
Visibile quasi esclusivamente tramite MyMovies, se volete informazioni contattatemi pure.

spoiler solo nelle ultimissime righe

Due ragazzi, coppia gay, discorrono tranquillamente in macchina.
Ad un tratto uno dei due vede qualcosa fuori, un'aggressione.
L'altro, per paura, non si ferma.
In quell'aggressione, scopriranno, è morto un omosessuale, massacrato di botte in quanto tale.
Per Anton, il ragazzo che voleva fermarsi ed aiutare, niente sarà più come prima.
Ho trovato delle analogie tra questo film e il bellissimo Forza Maggiore.
Entrambi raccontano di un piccolo (non) gesto che minerà per sempre il rispetto e la fiducia di una coppia.
In realtà i due film sono profondamente diversi, perchè se quello svedese era da considerarsi una specie di autopsia del matrimonio questo, sulla carta, vuole essere molto di più perchè oltre ad analizzare le dinamiche di una coppia "ferita" prova anche a trasformarsi in una specie di spy story e, ancor più importante, in un film di denuncia fortissima verso l'ondata omofoba che, specie in Russia, sta prendendo sempre più piede.

E se per tutta la durata del film ho arricciato il naso più volte, lo splendido finale non solo ha alzato notevolmente il livello del film, ma ha dato anche un paio di risposte a quelli che io fino a quel momento consideravo difetti abbastanza macroscopici.
Innanzitutto la lentezza. Si sa, la lentezza è un dato puramente soggettivo, non c'entra nulla con la sceneggiatura, il taglio e il ritmo proposto dal film. La lentezza è la percezione per cui ti sembra di faticare a seguire il film, a prescindere da qualsiasi costa mostri e in che modo. Ecco, io amo i film che raccontano il nulla e il quotidiano, (dai, citiamo sempre i Dardenne per capirsi=, ma solo se quel "nulla" e quel quotidiano sono l'anima del film, il film stesso. Invece Stand prova ad essere altro, una specie di mini thriller sulla ricerca della verità e degli assassini e in questa cornice le decine di scene vuote e riempitive secondo me fanno perdere del tutto il ritmo e l'attenzione che una storia del genere presupponeva.


Altro problema è quella voce fuori campo sentenziosa (non sappiamo nemmeno di chi quasi fino alla fine) e filosofeggiante. Ricorda certo Trier e soprattutto quel capolavoro di Seul contre tous. Ma se nel film di Noè quella voce fissa fuori campo era personaggio principale e motore di tutto qua ad un certo punto diventa solo uno sporadico ma comunque ridondante espediente.
Anche se poi, quando scopriamo a chi quella voce appartenga e, nel finale, possiamo dare a quelle frasi sentite più volte finalmente un senso, ho quasi rivalutato tutto, ho capito perfettamente l'operazione del regista.
Anton vuole dare un volto agli assassini di quel ragazzo, Anton vuole togliersi di dosso il senso di colpa di non essersi fermato quel giorno (per volere del suo ragazzo). Le indagini vanno avanti ma anche qua il film non convince del tutto, si fa molto confuso, ellittico, passiamo da scene inutili ad altre in cui viene mostrato Anton davanti a un reticolo sul muro stile detective nel quale sembra aver raccolto centinaia di informazioni. In mezzo a scene francamente noiose forse sono quelle camera a meno le più belle e riuscite. Mi riferisco a quella notturna in piano sequenza nella quale Vlad cerca Anton, a quella nella quale Anton esce di casa e, da lontano, vediamo sempre Vlad che lo segue e a quella, stupenda, della fuga nel bosco innevato (ricorda Calvaire).
Il mondo gay viene raccontato in modo assolutamente normale, senza clichè e forzature. Abbiamo davanti solo una coppia in crisi perchè uno dei due componenti ha perso stima e fiducia nell'altro ("non posso continuare così, hai ucciso quell'uomo").


Si va avanti, gli attori, specie il bellissimo protagonista, sono molto bravi, la regia c'è, la sceneggiatura un pò meno, priva di guizzi e confusetta.
La ricerca della verità per Anton diventa una sfida multipla, quella privata al suo senso di colpa, quella istituzionale verso una morte dimenticata da tutti e quella morale contro l'omofobia.
Tutto molto interessante ma abbastanza irrisolto.
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Poi arriviamo agli ultimi 10 minuti e il film si impenna.
In tutte le sue componenti poi, visivamente, narrativamente e nel mesaggio-denuncia che vuole portare avanti.
Scene bellissime da vedere e al tempo stesso quasi insopportabili.
Narrazione che finalmente raggiunge un punto di arrivo e in qualche modo "spiega" o rende meno insignificante quello che abbiamo visto fino ad allora.
E, soprattutto, denuncia fortissima.
Il ragazzo si alza con le pochissime forze che gli sono rimaste.
La vernice blu, quel repellente simbolo di odio verso gli omosessuali, si mischia al sangue.
In qualche modo Anton riesce a mettersi in piedi, a resistere.
E quel rimettersi in piedi fisico e quel resistere psicologico danno finalmente un senso, bellissimo, a quel titolo che non riuscivo a capire.
Stand.
E quella ipocrita voice off torna di nuovo.
La morale non è ciò che pensiamo, ma come agiamo, dice.
Le nostre azioni definiscono la nostra morale.
Forse, in modo aberrante, quello che ho fatto aiuterà Anton nella sua ricerca.
Dice.

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