13.6.17

Recensione: "Sils Maria"


Una profonda riflessione sull'accettazione di sè stessi.
Tra vita reale e teatro un film che racconta di quanto sia difficile a volte mettersi nei panni dell'altra.
Sapendo che in realtà sono i tuoi stessi panni

Quelle nuvole paiono un serpente, Maloja Snake, che striscia e svicola tra le montagne.
Nuvole che sembrano seguire un percorso quando in realtà loro, le nuvole, di percorsi non dovrebbero averne, così inermi, sempre, alla mercè del vento e dei suoi capricci, ora ferme, immobili, e ora in movimento, ora informi e ora che ci paion qualcosa, a tutti una cosa diversa di solito, perchè la vita è così, tutti segni da interpretare, tutte piccole cose che a me sembrano un cavallo alato che mi porterà via, ad un altro un drago di fuoco che ci distrugge, sì, la vita è un insieme di segni che a seconda dell'angolazione in cui li guardi cambiano di forma, a seconda di come tu stai cambiano di forma, a seconda di quello che vuoi cambiano di forma.
Forse il senso dell'esistenza non è altro che un cumulo di nuvole che cerchiamo di definire o che aspettiamo se ne vada via, col vento, e non in maniera netta e precisa come il Maloja Snake, ma con la casualità e il caos di tante particelle che si distruggono, con l'entropia.
Si dice che in quelle valli -grazie Rocco - Nietzsche abbia avuto alcune delle sue più importanti folgorazioni, come quella, ad esempio, dell'eterno ritorno, del continuo ripetersi delle cose, in cicli di perfetta identità.
E non è assurdo pensare che Assayas in qualche modo abbia tenuto presente questa lezione nicciana in Sils Maria.
Perchè è proprio di una ripetizione che racconta il film.


Maria Enders a 18 anni interpretò a teatro il ruolo di Sigfrid, una giovane ragazza che seduce, fino a farla morire, il suo capo, la 40enne donna in carriera Helena.
Venti anni dopo (qui una delle cose più incomprensibili del film, la Binoche passata come 40enne, strano...) alla stessa Enders viene chiesto di rifare la stessa piece, ma stavolta, ovviamente, nel ruolo di Helena.
Ne nasce un film non perfetto, un pò ridondante, prolisso, verboso, didascalico ma interessantissimo.
Innanzitutto c'è una profonda analisi di quello che vuol dire calarsi in un personaggio. Di come sia difficile talvolta interpretare un ruolo che non si sente proprio.
Ma si va anche oltre, si dà estrema importanza al testo teatrale, alle sue implicazioni, alle sue mimesi con la vita reale e alle sue falsificazioni.
E questa commistione tra vita reale e vita che si deve rappresentare diventerà il fil rouge dell'intero film.
Non a caso molte scene ritraggono la Binoche mentre prova le scene della piece con la sua assistente (una sempre grande Kristen Stewart).
Un pò quello che avevamo visto con Cesare deve morire per capirsi.
Nella straordinaria cornice delle Alpi Svizzere, contesto perfetto per pensare e riflettere, Assayas dirige un film profondamente esistenzialista che usa il mezzo del teatro e della rappresentazione per parlare di un concetto delicatissimo, quello dell'accettare chi si è.
O quello che si è diventati.
Interpretare adesso Helena e non Sigfrid mette in profonda crisi Maria perchè deve costringerla ad accettare che, benchè possa sentircisi, non è più la ragazzina dirompente di una volta, non è più giovane.
Ma Maria non riesce proprio a mettersi "nei panni dell'altra", non riesce proprio a farsi piacere Helena.
C'è una scena in cui fa un bagno con la Stewart. La giovane assistente rimane in costume, lei si spoglia completamente. Sono piccoli gesti che si fanno per restare quelli che si era, per credersi diversi, per restare ancorati al passato.
Poi Maria vede chi interpreterà Sigfrid.
Sarà una giovane diva hollywoodiana pazza e dedita agli scandali, tipo la Lohan.


Ne nascerà un rapporto di attrazione e repulsione ma, in ogni caso, un rapporto che farà arrivare la Binoche ad una profonda accettazione.
Nel frattempo la sua assistente la lascerà, per il discorso che facevamo sulle nuvole, per quel dare loro forme diverse che, magari, non vengono accettate dall'altro.
In questo gran bel film che è quasi un trattato sul conoscere profondamente sè stessi, sull'amarsi rinunciando anche magari a qualcosa che in maniera ostinata continuavamo a sentire nostra (la giovinezza), ci sarà una scena magnifica nel finale.
La Binoche che con gli occhi lucidi chiede alla Moretz di non abbandonare Helena così in fretta, di non lasciarla nell'ufficio senza averle degnato almeno uno sguardo.
Le chiede di darle qualche secondo in più.
La ragazzina dice che no, dice che Helena a quel punto è andata, non interessa più a nessuno.
Ma la Binoche continua a pregarla.
Una meravigliosa sequenza per raccontarci che Maria è finalmente diventata ciò che è.
Maria è Helena, e tutte le sofferenze che prima provava per Sigfrid adesso sono rivolte a lei.
Non resta che andare sul palco, adesso siamo veramente pronti.
Si apre il sipario.
E si ha la sensazione che no, che quella là nell'ufficio non sia Helena, ma Maria.
Che questo non sia teatro ma vita vera

14 commenti:

  1. Film bellissimo, e il tuo post mi ha ricordato quanto mi fosse piaciuto qualche anno fa. Ti voglio leggere, poi, su Personal Shopper. Non so se c'è un'interpretazione che sia coerente, o almeno io non ce l'ho, ma mi ha affascinato molto - non solo perché c'è la Stewart, bella e brava, di mezzo.

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    1. Ormai quest'anno è così incasinato che di conseguenza anche con i film magari cambierò approccio e mi vedrò Personal Shopper a breve (per quelli saltati al cinema ho sempre aspettato un anno)

      son contento che anche te apprezzi la Stewart

      un abbraccio Ink

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  2. Olivier Assayas mai banale, anche in questo film affronta tematiche profonde. Esagerati i fischi ricevuti a Cannes, però Personal Shopper non mi ha convinto e soprattutto annoiato.

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    1. Era il mio primo Assayas Lucien...

      Prima di informarmi un pò su Persona Shopper quando uscì al cinema praticamente era per me un autore sconosciuto, anche se ricordavo che aveva fatto quella serie di cui parlano tutti, Carlos

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    2. A me è piaciuto molto "Qualcosa nell'aria" mi ricordo che l'ho inserito fra i migliori film del 2013. Merita!

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  3. si penso che lo recupererò
    al cinema non lo avrei visto, ma mi incuriosisce lo stesso, e la tua recensione ha rafforzato la mia idea

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    1. E' un film molto femminile Patalice

      e più si è "grandi" secondo me più può colpire

      ecco, se ha un difetto forse è nel ritmo

      vedrai

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  4. Va bene la riflessione però io mi sono annoiato a vederlo, forse perché odio il teatro o forse per altro, ma una volta basta ;)

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    1. Sì sì, comprensibilissimo Pietro. Anche io ho messo questo come difetto tra l'altro

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  5. Io l'ho trovato meraviglioso. C'è tutta la questione dell'eterno ritorno e della ripetizione. Anche riportare a teatro, rivedere al cinema è ritornare in fondo. Ma appunto eterno ritorno nell'accezione nicciana non significa ripetizione dell'identico,ed è questa la grande lezione anche di Assayas accettare il cambiamento. Ciò che torna non è mai semplicemente lo stesso, ma quello che è stato e ciò che sarà insieme alla somma dei nostri incontri e delle nostre esperienze moltiplicata per il dolore e amore che abbiamo vissuto.

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    1. ero sicuro te potessi amarlo più di me (mi sembra ieri te l'ho anche detto)

      grazie per il bellissimo commento e per aver miglioratos e impreziosito il post, spiegando il concetto dell'eterno ritorno

      ora però chiudo perchè a pranzo devo andà con un amico a magnà una pizza, un amico che ha appena scritto un commento in un blog, non so se lo conosci, poi te lo presento

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