21.9.16

Recensione "Disperata ricerca" 1994 - Ruben Preuss - Boarding House - 8 - di Giorgio Neri

Almost Dead

Torna il nostro incredibile esperto di pellicole cult e sconosciute Giorgio Neri.
Il titolo di quest'ultimo film è un pò la sintesi di questa sua rubrica. "Disperata ricerca", come quella che chiunque deve intraprendere per provare a visionare i film che consiglia.
Un film Tv che in italiano ha addirittura 3 titoli ( quello citato, "Morte Apparente" e "Non sono morta"), il che è tutto dire...
Ma Giorgio riesce ancora una volta a buttar giù una recensione degna di Mulholland Drive per un film tv che nessuno conosce.
Colta, divertente, interessantissima.
Chapeau

Su una rete locale romana ebbi modo di vedere questo film Tv. A prescindere dal fatto che la protagonista sia Shannen Doherty (cioè l’indimenticabile Brenda della serie televisiva Beverly Hills 90210), il film sarebbe potuto essere davvero qualcosa di inguardabile e di indigeribile. Ma, grazie al meccanismo della sospensione della incredulità e anche alla tenerezza che tali prodotti semi-horror ispirano, si lascia apprezzare e può far passare una serata piacevole ad un gruppo di amici.
È il mio cult personale, perché ne apprezzo tutte le cadute di suspense e di tensione e tutte le ingenuità impercettibili o palesemente evidenti. Non ha bisogno di perfezionamenti né di severe critiche da parte di chi si approccia al cinema con fare serioso.
Il film diverte ed è godibile. Punto e basta.
Che poi non abbia una intenzionalità nel proporre un determinato messaggio, beh questo lo si lascia, come disse John Carpenter, alle segreterie telefoniche.
Eppure, in questa storia di una giovane psicologa (di nome Roshack: diversa grafia ma pronuncia uguale al famoso test di Rorschach che serve per analizzare la personalità del soggetto) traumatizzata dal lutto della madre e che la vede in diverse apparizioni come se fosse viva, si può attuare una dissezione del lungometraggio per messo delle cinque fasi di Kubler Ross a proposito dell’elaborazione del lutto:

Negazione/Rifiuto (in principio si nega il lutto come naturale meccanismo di difesa)
La prima apparizione della madre, in un vestito di chiffon azzurro e con un volto che davvero mette angoscia e paura, vede la Doherty alla mensa, vestita da uomo (pantaloni, camicia bianca e una cravatta: rifiutando la morte della madre, la ragazza rifiuta anche il suo sesso? Possibile...). La madre appare e lei si precipita all’esterno, non riuscendo però a trovarla. Quindi va dal suo amico psicologo e lì cita le cinque fasi della teoria di Kubler Ross. Insomma, la Doherty ci serve su un piatto d’argento la chiave di accesso del film, perlomeno quella meno evidente e più specifica, quasi per “addetti ai lavori”.

Rabbia (subentra un enorme carico di dolore che provoca una grande rabbia, alle volte rivolta verso se stessi o persone vicine o, in molti casi, verso la stessa persona defunta)
La seconda apparizione avviene nello studio dove lei lavora ad un progetto che durante il film si definirà in questa maniera: studio di gemelli monozigoti; cioè si cerca di spiegare come loro possano interagire l’uno con l’altro (ad esempio, una scarica elettrica realmente fornita ad uno è percepita anche dall’altro, senza che quest’ultimo sia collegato ad alcun elettrodo). Costernata e rabbiosa, la Doherty decide di andare al cimitero e far aprire la tomba. Risultato: è vuota, nessun corpo della madre.
A questo punto, la nostra eroina conosce il poliziotto belloccio di turno (ovvio che il nome Doherty vuol dire anche amore e passione per i film cuciti su di lei...): è Costas Mandylor, il quale, tra altri film, ha recitato in alcuni capitoli della saga di Saw. Continua sempre ad essere arrabbiata, agitata, tremendamente in preda a dubbi e certezze. Intanto nell’aria si sparge una brutta puzza di bruciato: la sua auto va a fuoco, il bagno dell’appartamento pure, anche il sedile dell’automobile del bel poliziotto è carbonizzato.
Il Diavolo, probabilmente...

Negoziazione (si tenta di reagire all’impotenza cercando delle risposte o trovando soluzioni per spiegare o analizzare l’accaduto)
Come dice la definizione di Kubler Ross, alla terza apparizione, vista anche dallo stesso poliziotto in un vicolo nel piccolo motel di un suo amico, Eddy (di cui si parlerà più avanti), bisogna cominciare a far muovere la scienza o chi per essa. Con quest’ultima frase s’intende la meravigliosa battuta dell’agente: “Questa pistola può fermare chiunque: vivo o morto”. Ma, da questo tragitto così preciso, come al solito un film che si rispetti deve avere qualche deviazione di sorta che possa rendere meno ovvio il prodotto finale. Ecco allora la comparsa di una teoria prettamente cattolica che vuole il suicidio (si suppone, infatti, che la madre della Doherty si sia suicidata, facendosi esplodere in casa) come un tormento per le anime, le quali vagano per la Terra istigando i consanguinei ad atti che possano placare la loro tristezza eterna. Tra di essi, il suicidio medesimo, che il poliziotto vuole scongiurare e per questo si tiene stretta la ragazza con sé. Presto però si scopre che tale teoria non è la via giusta ma soltanto uno stratagemma per descrivere il passato del poliziotto: infatti, lui è solito vagare come anima in pena per il cimitero perché la moglie, malata di tumore, decise di spararsi quando lui era fuori casa. Grazie a questo sotterfugio due personalità contrarie ma simili s’incontrano: una ragazza che vede uno spirito e un uomo che vorrebbe rivederlo.
S’incastrano alla perfezione.
Il processo di negoziazione si esplicita nella divertente sequenza dell’obitorio, in cui il solito anatomopatologo si compiace di illustrare la precisione del suo intervento sul cadavere, commentata dalla visione, questa sì immaginaria, della madre della Doherty.
Ma lei non è convinta, sebbene capisca che un corpo morto è pieno di formalina.

Depressione (ci si arrende alla situazione razionalmente ed emotivamente)
Primo movimento contrario alla elaborazione del lutto. Nella chiesa in cui Doherty viene portata dall’agente di polizia (“è un posto sicuro” dice), si attua la quarta apparizione, che è quella più inquietante. I due protagonisti ricorreranno ad un laboratorio per analizzare un pezzo del vestito di chiffon azzurro lasciato sul lastricato della chiesa. La scienza, che avrebbe dovuto determinare l’azione depressiva inevitabile per superare il lutto, invece conferma il fatto che il vestito è stato nella tomba e che addirittura vi sono scaglie di epidermide che corrispondono esattamente alla pelle della madre defunta.
La solida teoria di Kobler Ross sembra che si stia sgretolando...
Se poi si considera che i due vanno da un prete per riceverne un preciso identikit di chi devono affrontare, cioè il Diavolo (che si manifesta nelle fiamme, con la puzza di zolfo), la possibilità che la giovane psicologa raggiunga la fase cinque è molto remota.

Accettazione (si accetta l’accaduto, spesso sperimentando fasi di depressione e rabbia di natura moderata, volte a riconciliarsi definitivamente con la realtà)
La sesta ed ultima apparizione - che è la quinta “reale e vera” - accetta l’accaduto in una versione più complessa e totalmente opposta a come dovrebbe essere: la Doherty riconosce che la madre sia morta e, per lasciarla libera, acconsente a bruciare i soldi del padre (i due genitori si sono separati) sulla tomba della madre perché maledetti.
Ed ecco che il film vira sul thriller.
La ragazza, mentre si trova dinanzi alla tomba, è spinta dentro di essa. Il poliziotto, accorso sul luogo, insegue un’apparizione a dir poco scattante e alquanto vispa. Quindi, si ritrova messo ko in un edificio cimiteriale poco distante. Il prete di cui si è detto riesce a liberare la ragazza, la quale corre in aiuto del poliziotto e si scopre che due gemelli, pazienti della Doherty, per tanto tempo stavano studiando la loro dottoressa e avevano escogitato questo piano così macchinoso ma efficace: assistenti di due anatomopatologi, bravi ed esperti, si erano travestiti come la madre morta della ragazza per fare in modo che facesse ciò che volevano, cioè ritirare due milioni di dollari e rubarglieli circuendo la ragazza per mezzo del Soprannaturale. Ma la Doherty, riuscendo ad accoltellarne uno con un crocifisso, condanna a morte anche l’altro fratello. Poi si scopre che l’anziano prete era morto dodici ore prima che la ragazza finisse chiusa nella bara.
Fine del film.
Nessun riconciliamento con la realtà.
Questa è la potenza del cinema.




Il personaggio di Eddie
Ad una prima visione, il personaggio di Eddie (interpretato da un noto caratterista, John Diehl, che ha preso parte a film come 1997: Fuga Da New York di Carpenter o Un Giorno Di Ordinaria Follia di Joel Schumacher) sembrerebbe essere piazzato in mezzo al film per allungare un po’ il minutaggio e fornire una certa tensione interna al rapporto che si è instaurato tra il poliziotto e la protagonista. Infatti, è stato innamorato di una ragazza che lo ha lasciato per un altro e lui s’inventa la storia di averla uccisa, spaventando a morte la Doherty. Ma, appunto, sono soltanto invenzioni, le quali, frullate insieme alla sua presenza nella stanza esclusivamente per osservarla, lo fanno sembrare un maniaco ossessivo e attratto da belle ragazze che non potrà mai avere. Perché ha una gobba. Ora, quest’ultimo dettaglio non so dove l’abbiano preso gli sceneggiatori del film: dal romanzo Sepolta Viva (titolo originale: Resurrection) di William M. Valtos, da cui il film è tratto? Difficile dirlo, il romanzo non è mai stato ristampato dal 1990 (se interessati, se ne trovano alcune copie su Ebay). O è una versione moderna del gobbo del Notre-Dame De Paris di Victor Hugo? Un amore impossibile da corrispondere e che minaccia la stabilità mentale e la salute fisica della giovane ragazza? Può essere. Fatto sta che tale personaggio ripropone il concetto del Doppio, insito sia nel nome della protagonista (in fin dei conti, un’immagine del test di Rorschach è un’immagine speculare, quindi doppia) sia nel fatto che per il gobbo lei fa riaffiorare alla sua mente questi falsi ricordi, vuoi perché è una bella ragazza vuoi perché ne è spaventata, se non disgustata, come avrebbe dovuto esserlo la ragazza di cui lui vaneggia.
Certo è che questo personaggio deforme non ci fa una bella figura, crepando anche nel film: è ucciso dalla pistola dell’agente di polizia, che l’aveva data alla Doherty per proteggersi (questa è una vera forzatura) e che non si trova più. La polizia accuserà il poliziotto e lo metterà al gabbio, giusto il tempo per l’ultima e significativa apparizione della madre morta. Così, mettendo nero su bianco questi incastri di situazioni, si scopre che il personaggio di Eddie vive e muore soltanto per allontanare i due protagonisti e complicare la faccenda. Come già detto, la deformità nel mondo della giovane psicologa già di per sé “deformato” da eventi inesplicabili è messa al bando. Come in un reazionario film dell’horror i mostri stanno da una parte, gli umani dall’altra. La lezione diCabal (1990) di Clive Barker non è stata recepita affatto da Ruben Preuss - se si considera da quest’ottica anche l’idea di due gemelli come due parti della stessa immagine di Rorschach, due esseri indefinibili capaci di alterare la voce maschile in quella femminile, due mostri (perché diversi, rari, come possono esserlo due gemelli monozigoti: con le dovute differenze, soprattutto concettuali,Inseparabili di David Cronenberg, 1988, credo sia stato tenuto in considerazione in fase di stesura della storia) che, invece di essere studiati come cavie da laboratorio, studiavano.
Sarà forse troppo cervellotica la considerazione di tali elementi stratificati in un film da passaggio televisivo ma la sensazione epidermica è questa. Confermata da una visione cattolica che è la vera pecca del film ma che tanto piace alla normalità televisiva. O alla pia Brenda di Beverly Hills 90210 - doppia, guardacaso, del fratello Brandon - che nella serie scomparirà per essere esclusivamente ricordata o “evocata come un fantasma”.
Gli eterni ritorni, i corto-circuiti, i circoli viziosi, gli Urobori, tutto qua dentro...

Sgusciati fuori dalla pelle seria della critica cinematografica, passiamo alle scene divertenti, perché quella finale conferma ciò che si è detto a proposito della fase cinque.

1) Il pianosequenza iniziale che mostra la morte della madre della ragazza, accompagnandola dal suo arrivo ad un parcheggio fino all’entrata in un appartamento, è ben girato. Ma un elemento che non avevo mai notato si collega con lo strambo sottofinale: ancora il cerchio della Vita che si chiude saldamente. Lo si dirà più tardi.

2) Il paziente che il collega della Doherty sta curando, prima che lei entri all’improvviso nello studio, “crede che tutti ce l’abbiano con lui”: si scoprirà essere un sosia di Mikhail Gorbaciov, propugnatore dei processi di riforma legati alla perestrojka e alla glasnost’. Per gli americani, come adesso del resto, i russi sono sempre stati degli spauracchi.

3) Quando la Doherty assiste alla prima apparizione della madre defunta, lancia il vassoio del cibo con una tale intensità drammatica che mi ha fatto sbellicare.

4) L’entrata in scena del poliziotto è sottoforma di un galeotto: suona la fisarmonica dentro una cella. Ha lo sguardo da bel tenebroso. Niente è come sembra.

5) L’ultimo quadro dipinto dalla moglie morta del poliziotto non assomiglia affatto alla Doherty, sebbene lo si dica nel film. Infatti, compare una volta sola nel montaggio. Simbolizza bene il concetto del Doppio, ma avrebbero dovuto trovare un altro ritrattista.

6) Momento cult da riproporre ogni volta che si debba girare una scena d’amore in un appartamento con uso cucina. “È da tanto tempo che non lavavo i piatti con qualcuno” è la frase romantica, in puro stile Harmony, che il poliziotto riversa sulla ragazza. Per mezzo di semi-carrellate che inquadrano i loro sguardi mentre lui lava e lei asciuga, il legame tra i due è certo e rassicurante. Sono morto dalle risate.

7) Ciò che non ti aspetti.
Dopo il fantasma del prete, che dovrebbe rendere il film uno di quelli che felicemente si annovera tra i lungometraggi ad uso e consumo della cosiddetta gente religiosa, l’ultima inquadratura è tutta dedicata ad una pala che copre di terra il cadavere della madre morta. La pala è tenuta da qualcuno che è invisibile, con un effetto speciale molto semplice. In una sola scena, si manda all’aria la concezione di un mondo dominato dalle forze del Bene e dalle forze del Male. Non è così: esistono altri mondi, altre forze non definibili al di là di questo consueto manicheismo. Forze grigie, si direbbe.
Qui si torna al punto 1.
Prima che l’automobile della madre catalizzi la nostra attenzione, un’altra automobile attraversa lo schermo: è un carro funebre guidato da non si sa bene chi. Dunque, c’è un carro funebre all’inizio e una pala tenuta da un essere invisibile alla fine.
È il necroforo Tall Man di Fantasmi di Don Coscarelli (1979), citato nell’inseguimento finale all’interno di un edificio cimiteriale labirintico (ma senza sfere d’acciaio)?
Oppure, nel finale, è il prete trasformato in spirito?
Forse è il cinema stesso, che nel rapporto tra realtà e fantasia permette sempre di far vincere quest’ultima quando si ha a che fare con la Morte.
O probabilmente è la Morte stessa, sempre a metà tra un Bene e un Male.


[Trasmesso in prima visione su Rai 2 l’11 marzo 1995 con il titolo Non sono morta, il film è uscito in vhs per la RCS e rieditato in dvd con due differenti copertine: in quella per la Open Game il titolo in evidenza è l’originale (Almost Dead); nell’altra si usa il titolo italiano. Ma le edizioni sono sostanzialmente uguali.]

3 commenti:

  1. Ciao,ricordo questo film.Lo vidi nella serie NEL SEGNO DEL GIALLO.E ricordo che mi fece abbastanza impressione! Queste due gemelli che alternandosi si erano vestiti come la madre defunta della psicologa che lei stava studiando.

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  2. Secondo me sotto certi aspetti mi farebbe impressione anche ora.Anche se, molto probabilmete,ma è un'idea mia, ci sarebbe da dire qualcosa sul modo di recitare,ma loro li ricordo piuttosto bene.Erano orridi.Uno mi sembrava più terrificante,ma c'è poca differenza.

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