23.1.15

Pozzi, nonni e calciatori romeni meteore nel Milan


Il giardino era abbastanza grande da poterlo convertire in campetto da calcio ma abbastanza piccolo e pieno di insidie da poter considerare tale conversione una scelta quantomeno azzardata.
Non era solo per quegli alberi che c'erano sul lato destro (se la vostra squadra attacca dalla casa alla strada), quegli alberi che hanno distrutto caviglie e fatto rimbalzare palloni dapertutto, ma specie per la presenza del pozzo.
Ora, giocare in un campo che è lungo una decina di metri tra porta e porta e che ha 3 alberi da un lato e un pozzo dall'altro capirete che non è normale. E nemmeno facile. Però vuoi mettere segnare un goal facendo passare la palla sotto l'arco del pozzo?
Che gli avversari nemmeno la vedono la palla, te sei là, dietro il pozzo, magari con gli occhi fai finta di passarla al tuo compagno in mezzo al campo e poi invece sta cosa sferica sbuca fuori all'improvviso da sotto quell'arco.

Che poi, essendo il campo così corto, i portieri nemmeno potevano usare le mani, era una delle nostre limitazioni per rendere più vario e divertente il gioco.
Questa del pozzo era la nostra "rovesciata" ma solo una delle tante giocate possibili, come quella ad esempio di dribblare i 3 alberi e poi appoggiare in rete.
In rete, diciamo nel vuoto pneumatico dietro la porta, ma sempre rete era.
Eppure in questo campo senza senso che già in 4 lo "riempivi" tutto c'ha giocato un paese intero eh, mica scherzi. Venivano tutti, tutti, anche il prete venne un giorno.
Ed io a 12 anni ero già quello che sarei stato poi, un bambino che aveva bisogno di rendere numero e statistica ogni cosa.
Ogni goal segnato finiva con una "x" nelle pagine di un'agenda che appoggiavo sul pozzo.
Ed ognuno di noi, almeno una trentina di ragazzi del paese, aveva il nome d'arte in quell'agenda, persino il prete.
Io ero Radoucioiu, attaccante romeno meteora nel Milan.
L'agenda si riempì fino in fondo, qualcuno, io compreso, aveva superato persino i 1000 goal.
Non c'era una sola cosa che poteva farci smettere, acquazzoni, neve, febbre o caviglie rotte comprese.
L'unico motivo, a volte, era una voce che veniva dall'alto, da un immenso finestrone che dominava da dietro una delle due porte, porte che in realtà, almeno all'inizio, vere e proprie porte non erano, solo due sassi messi a terra.

"Basta! Delinquenti! Ora scendo e vi buco il pallone!"

diceva armeggiando un coltello che, ve l'assicuro, a volte qualche pallone lo bucava davvero.
Il fatto è che mentre un'orda di ragazzini urlava là sotto, e lo faceva ininterrottamente ore ed ore, dalle 2 del pomeriggio a cena, là sopra qualcuno stava tentando non di dormire ma di addormentare.
E non lo faceva come può farlo una madre con un bambino che o.k, è importante, ma alla fine ci si passa sopra, no, lo faceva per lavoro.
Là sopra c'era qualcuno che faceva l'ipnosi.
Era un dottore che dopo anni ed anni da medico di base, uno di quelli di una volta che lo chiamavi e si facevano 5 km a piedi nella neve con la sua valigetta, ora, da qualche tempo, aveva affiancato alla sua professione medica (perlopiù dentista adesso) questa nuova (ma vecchissima, ancestrale) tecnica.
Perchè che il 90% dei nostri mali risiedano nella testa lo sapete tutti credo. Ed entrare in quella testa, trovare la tecnica e la chiave giusta per penetrare l'inconscio a volte era meglio di qualsiasi cura possibile.
Quest'uomo stava là sopra, lui ed il suo paziente, e sentivano, per 8 ore:

"Goal!!!!!!" "Vaffanculo!!!!!" "Vai Peppe, vammi a mettere la "x"!" "Ahiaaaaaaaaaa" "Sto cazzo de pozzo!!!!"

Insomma, il paziente stava lì a fissare un punto, l'ipnotista con la sua voce suadente cercava di portarlo nella trance e questo invece si ritrovava a sentir bestemmie e urla di giubilo.
Appariva così il coltello alla finestra.
La finestra di un salone immenso, più grande di qualsiasi casa avrò io in vita mia.
In quel salone un tempo si ballava vorticosamente, si vociferava, si mostravano i propri cappelli, si vivevano anni che il nostro Paese probabilmente non vivrà più.
Poi i balli son finiti perchè le epoche finiscono.
Ma il salone è rimasto grandissimo lo stesso, che i muri, a meno che non ci pensa l'uomo, non si restringono mai.
E questo salone immenso che un tempo fu quartier generale e parco divertimenti della Paciano Bene adesso era solo il mondo di un uomo e del suo paziente. Poi, nella trance, quel salone diventava magari un campo fiorito, un deserto, una piscina, ma per noi nipotini che in trance non ci siamo mai andati rimaneva soltanto un salone grandissimo, troppo grande e vuoto per non trovarlo malinconico.
In realtà questa persona, ah giusto, mio nonno, era anche esibizionista e usava la sua tecnica non solo per la professione medica ma anche per fare il ganzo.
Specie al mare.
All'Hotel Splendid di Cattolica ancora ricorderanno i suoi spettacoli, quest'istrione che giocava con il pubblico, una specie di Giucas Casella credibile e non buffone. Ed io che ho sempre odiato l'esibizionismo me ne stavo nascosto dietro i divani dell'hotel, che non lo sopportavo sto nonno che faceva troppo il ganzo. Però guardavo anch'io e sotto sotto mi meravigliavo e divertivo come gli altri.
Specie quando vedevo donnine magrissime fatte diventare con la trance veri e propri pezzi di legno, messe con la testa in una poltrona e i piedi nell'altra, con tutto il resto del corpo sospeso tra le due poltrone. E poi uomini di 100 kg ci si sedevano sopra, alzando pure i piedi da terra eh, senza che queste crollassero giù. Detto così sembra una cosa brutta, amorale e sadica, ma era solo e puro divertimento.
Anzi, non solo divertimento ma la dimostrazione, anche fisica, della potenza della nostra psiche.
Poi arrivò un'altra passione, passione che forse in un post di ricordo così divertito è meglio tralasciare, che spiegare certe cose per scritto è rischioso, che poi a volte è difficile capirle.
Ma avveniva sempre in quella sala, sempre più buia, sempre più vuota, sempre più grande. E mio nonno, stavolta, era solo.
A volte credi che gente così, una specie di Capo dei Capi della famiglia però benvoluto, stimato e amato da tutti, siano persone immortali. E invece poi ti ritrovi che quello che era la persona di cui tutti avevano bisogno era diventata la persona che aveva bisogno di tutti.
E forse tanti suoi nipoti non gli avranno dato le soddisfazioni che voleva ma tutti gli hanno voluto bene fino all'ultimo.
E non è mai stato solo, mica è poco.
Uno che conobbe il nazismo da vicino quando a Paciano potevi davvero respirare l'odore dei granai.
Uno che vide davvero passare insieme soldati e spose.
Rivedere adesso quel giardino, ora che si è grandi, ti pare impossibile fosse teatro di quello che fu.
Come facevano ad entrarci tutti quei bambini, come faceva a divertire un campo che potevi percorrere in 3 secondi netti?
Prendo una palla, vedo ancora se mi riesce lo scavetto per farla passare sopra il pozzo.
La traiettoria è perfetta e la palla si infila in rete sorprendendo un portiere che non c'è più.
Non urlo perchè se è vero che i bimbi grandi non piangono è vero anche che non urlano per un goal senza portiere.
Però alla fine un goal è un goal, anche senza avversari, anche 25 anni dopo.
E per questo prendo una penna e metto una "x" su Radoucioiu.




12 commenti:

  1. Avevi scritto che era il nonno 15 righe sopra, correggi.

    Il rimpianto è di non aver partecipato ai mega tornei, ma sul giardino troppe partite abbiamo fatto...
    Anche il gabbiotto faceva parte del campo; dentro o polli, o quaglie o pappagalli.

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    1. Sì, ma purtroppo non hai vissuto l'intero paese che veniva a giocare, la fila fuori dal giardino, i tornei e l'agenda.

      E' vero, il gabbiotto, ma a livello tattico non serviva quasi a niente, era dietro la porta, al massimo ce facevi il giro per fa du risate o rifiatà

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    2. Nel nostro campo serviva perché la porta era spostata indietro attaccata alla rete. Da lì arrivavano la maggior parte degli assist.

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  2. Noi qui abbiamo la strada davanti alle vecchie scuole del paese come campo,
    cassonetto della carta ribaltato come porta,
    rampa per disabili usata per manovre d'evasione perché ha solo due punti di accesso ed è lunga 6-7 metri,
    giardini dietro la scuola dove il pallone finisce ogni 5 minuti per far riprendere fiato (tranne a chi ha tirato),
    leggero gradino tra pavè ed asfalto che fa impennare tutti i palloni rasoterra diretti al cassonetto ( che è sul pavè),
    vari pali, colonne e muri usati per tentare tiri o dribbling epici, spesso finiti in tragedia.

    Modalità di gioco:

    Mundialito - un tutti contro tutti a cassonetto ribaltato, bisogna segnare per passare il turno, se sei l'ultimo sei eliminato.
    Si gioca tra i 4 - 99 giocatori, quando si è in più di 12-13 i primi turni assomigliano ad una Battle royal della WWE.
    Il vincitore diventa il detentore della cintura di campione.
    Ognuno adotta una sua personale tattica, chi con tiri dalla distanza ( da me preferiti) chi con combo di dribbling contro 4-5 giocatori in fila, chi invece volteggia da avvoltoio a pochi metri dalla porta aspettando tutti i rimpalli.


    Rest In Peace - stesse regole di mundialito ma il cassonetto è in piedi e per convalidare il goal non basta che la palla entri ma che il tiro faccia chiudere il coperchio al cassonetto.
    Gioco estremamente difficile che richiede mira ma soprattutto una capacità di calibrare forza e angolazione del tiro per far rimbalzare perfettamente il pallone contro il coperchio, e tutto va fatto scartando 6-7 persone ogni volta.
    A mia memoria solo 2 persone sono riuscite nell'impresa.


    E questo campo e questi giochi vengono tramandati in ogni generazione e qualche sabato pomeriggio estivo ancora siamo lì con un po' meno tempo per giocare e più macchine parcheggiate per impedircelo,
    ma il cassonetto è sempre lì
    ed è sempre lo stesso.

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    1. Non c'è niente da aggiungere. bellissimo.

      Solo due cose, a costo di sfidare la retorica.

      Questo che tu hai raccontato è il vero sport, ma pochi lo capiscono. Non vero inteso come superiore a quello "ufficiale" (qualsiasi sport sia e qualsiasi livello sia), ma vero perchè oltre alla più o meno ridicola componente sportiva mischia quello che lo sport in teoria dovrebbe portare, ossia passione, divertimento e unione.

      Altra cosa, che forse tu puoi capire.
      Quando dico che queste partite valgono forse più di una Coppa del mondo vinta da un verso faccio un'iperbole, ma non poi tanto.
      Forse sì, qualsiasi risultato sportivo "vero" che raggiungi ti può dare più felicità, più soddisfazione, più realizzazione, ma quando arriveranno i momenti dei ricordi, quando ricorderai lo sport col cuore per quello che ti ha regalato ti assicuro che le partite a Rest in peace saranno davanti a qualsiasi altra cosa.
      Perchè l'uomo per quanto possa sentirsi legato alle cose grandi nel momento del vero ricordo, di quello più emozionale, è invece legato alle più piccole, alle più intime, a quelle che lo hanno veramente segnato.

      w i pozzi e i cassonetti

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    2. ahah è il grande classico del calcio su strada, lo preferisco a rest in peace, quando ci troviamo per una partita fate un salto su a Varese tu e tuo fratello!

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  3. eh, magari Marco, ma quando Contra era al MIlan avevo già 24 anni, il mondo incantato dell'adolescenza era finito ;)

    grazie mille amico

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