16.9.16

Recensione "Man in the dark" (Don't Breathe)




Un gran bel thriller firmato dal regista dell'ottimo remake di Evil Dead.
Nell'oscurità il cieco è il Re.

presente qualche spoileronzolo (spoiler non assassino)


E così, dopo il grande esordio alla regia col remake de La Casa, il giovane regista uruguaiano Fede Alvarez arriva di nuovo al cinema con la sua opera seconda.
Il suo Evil Dead, benchè abbastanza lontano dall'indimenticabile originale di Raimi (spiegai qui perchè) è stato, a mio parere, uno dei 5,6 migliori horror visti in sala nella seconda decade degli anni 2000. Potente, debordante, visivamente bellissimo, un vero e proprio horror di quelli senza mezze misure.

Torno in sala per vedermi "un Alvarez" avendo davanti agli occhi soltanto la locandina, nient'altro.
E facendo 1 + 1 (La Casa + la locandina di questo nuovo) sono stato per tutto il film convinto che mi sarei trovato davanti un altro horror. Stavo là e dicevo ai miei compagni di visione "Di sicuro dietro quella porta c'è qualcosa, la figlia morta, un mostro, qualcosa, non pò esse solo un thriller".


E invece no, e invece una delle sorprese più grandi di questo film, in culo al titolo, in culo al solito poster orrorifico, è l'essere "solo" un thriller, davvero molto realistico nelle dinamiche. Magari, certo, le vicende sono alquanto improbabili ma, dato per buono l'assunto iniziale, tutto procede alla meraviglia.
Questa di presentarsi per quello che poi non si è (e il farti stare per tutto il film con la convinzione che qualcosa di soprannaturale possa sempre accadere) non è l'unico merito del film, anzi.
Intanto azzeccatissima la scelta di ambientarlo a Detroit, la città americana divenuta ormai quasi fantasma a causa di una tremenda crisi economica. Una città che i nostri tre protagonisti -  delinquentelli che rubano nelle case sfruttando il fatto che uno dei tre è figlio di un addetto alla sicurezza domiciliare- vorrebbero tosto abbandonare.
Una città con dei quartieri completamente disabitati (famosa fu la notizia delle case in vendita ad un dollaro).
E in uno di questi quartieri c'è una villetta in cui, invece, ancora qualcuno abita. E' un ex marine, bello grosso. Ed ha un mucchio di soldi a casa. Ed è cieco.
La sua villetta, i suoi soldi, sono il prossimo obbiettivo dei tre ragazzi.
Insomma, una casa in un quartiere fantasma con un cieco dentro da rapinare. Bingo Alvarez, l'idea è perfetta.

Risultati immagini per man in the dark

Sta di fatto che un pò perchè i tre sono giovani e affatto avvezzi alla grande criminalità (uno fa finta di essere un gangster ma, diranno nel film, ha una pistola con la quale non ha mai sparato), un pò perchè il vecchio marine è uno a cui rode fortissimamente il culo, ecco, se pensavate che 3 vedenti contro un solo non vedente potesse essere una sfida impari vi sbagliate. E, a mio parere, il film in questo senso non ha nessuna pecca. E non solo perchè quel marine, a differenza loro, sa uccidere e non si fa problemi, ma anche per l'assunto per cui in un mondo di oscurità il cieco è il Re (se poi ha la pistola in mano è proprio Imperatore Supremo).
Ah, poi ha anche un cane che te se magna, particolare non da poco.
Alvarez ci sa fare. I 20 secondi del prologo son bellissimi, con quella ripresa aerea che lentamente piomba giù.
Anche se io, in realtà, ho amato sopra ogni cosa quel piano sequenza fluttuante che parte da quando loro entrano in casa ed arriva al vecchio dormiente. L'inquadratura galleggia e si sposta dapertutto, si avvicina alle foto della figlia, poi alla serratura, poi agli strumenti da lavoro e poi sale su di stanza in stanza. Geniale metodo narrativo, un "vi mostro la location e tutto quello che, più avanti, potrebbe diventare importante nel film".
All'inizio Man in the dark mi ha ricordato moltissimo Livide, misconosciuto horror francese che ad un primo tempo pazzesco (roba altissima) fa succedere un secondo a tratti senza capo nè coda.
In realtà i due film si somigliano solo per l'impostazione iniziale. Man in the dark diventa infatti uno stranissimo thriller, quasi un survival, in cui per parecchio tempo è difficile capire chi sia la vittima, chi il cacciatore. Loro uccideranno lui o lui ucciderà loro? Lo spettatore, del resto, si troverà più volte a parteggiare per una o l'altra parte. Perchè se è vero che il veterano è una vittima a tutti gli effetti (sia nelle contingenze -lo stanno rapinando-, sia umanamente - è cieco e ha perso una figlia bambina-) è anche vero che più il film va avanti più sarà lui a ergersi a vero e proprio villain e loro a povere vittime con cui empatizzare.


Che dire, funziona un pò tutto. La tensione c'è, le dinamiche paiono credibili e lui, l'ex marine, riesce al tempo stesso sia a muoverci a pietas che ad inquietare. 
Tutti assolutamente in parte i 4 attori.
E poi avremo anche un colpo di scena quasi identico a Il Segreto dei suoi occhi (anche se qua non funziona da twist finale, solo turning point). delle scene al buio pesto veramente notevoli e la sequenza di lui che cade nella vetrata a specchi a dir poco perfetta.
Per non dimenticare quello che scopriremo poi, ovvero il perchè di quella ragazza, chi era, a cosa serviva. E la scena potentissima del tentativo di inseminazione.
Altro merito è il creare tanti "finali", il sapere inventarsi qualcosa per andare avanti quando sembrava potessimo esser veramente arrivati alla fine.
E anche l'ultima scena in open air (quella che culmina nell'automobile) è ben girata.
Insomma, un thriller quasi privo di difetti. Semmai l'unico di difetto è proprio quello di non avere niente per cui gridare al miracolo.
Un'opera "onesta", ben fatta, anche molto umile secondo me (dopo La Casa Alvarez sembra quasi fare un passo indietro, chapeau).
Io, se fossi un appassionato, un salto al cinema lo farei.

( voto 7 )

26 commenti:

  1. L'ho visto carico di aspettative, saranno le ottime medie che colleziona sui siti americani, ma mi è sembrato si discostasse poco dai tipici horror estivi - regia di Alvarez, già bravissimo con Evil Dead, a parte.
    Non ho retto le infinite resurrezioni del tenero ragazzotto friendzonato, ad esempio. Né il villain, figlio illegittimo di Michael Myers e Andrea Bocelli. E tutto mi ha ricordato tanto, troppo, tra le altre cose, tale Shut In: thriller semisconosciuto, neanche troppo interessante, che ho visto e rimosso un po' di tempo fa. Carino, ma solita storia, per me. :)

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    1. Io invece sono andato a vederlo nella giornata a 2 euro appunto perchè pensavo fosse una cazzata ;)
      Insomma, l'opposto tuo. Non avevo visto nemmeno mezza media per sbaglio.
      Credo che questi due diversi approcci siano decisivi.
      Vedi, rileggendomi sembra che parli di un capolavoro, alla fine gli hom dato un 7, te forse ad un 6+ c'arrivi, non siamo lontanissimi.
      Però anche se niente di originale non ho trovato particolari difetti (ma, bravissimo, la cosa di quello che non muore non l'ho digerita nemmeno io, uno muore anche solo per quei 6 cazzotti in faccia dati da un bestione come quello).

      Non conosco Shut in ma praticamente è il rovescio della medaglia del titolo originale di questo, Don't breathe ;)

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  2. Devo ancora vederlo: per evitare delusioni, partirò tiepido con le aspettative.

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  3. Carino come film grottesco, anche se l idea del cieco coi superpoteri non è originalissima!

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    1. Ahah, te aspettavo al varco ;)

      dopo tutte le cazzate che hai detto durante...

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    2. Diciamo che è un film che presuppone una gara di cecità tra cattivo, vittime e spettatori.

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  4. Ciao, l'ho visto proprio ieri al cinema..ti invidio un sacco per essere riuscito a vederlo "avendo davanti agli occhi soltanto la locandina", perché io al contrario avevo visto il trailer e mi ha un po' ammazzato un film che invece mi sarebbe piaciuto molto di più! Ne ho parlato anche io se ti va di perdere due minuti.. https://lacrimenellapioggiablog.wordpress.com/2016/09/19/man-in-the-dark-fede-alvarez-2016/

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    1. Ah, hai un blog?

      allora dopo quando vengo a leggerti ti metto pure nella blogroll qui a destra. E se mi scordo dammi un fischio ;)

      oh, ma solo a me è piaciuto?

      no no, anzi, gli ho dato 7 e ho sentito di gente a cui è piaciuto molto di più

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    2. no ma guarda che a me è piaciuto eh!! solo che il trailer era veramente da denuncia, praticamente avevo già visto mezzo film prima di entrare in sala! :)

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    3. ah, ammazzato in quel senso ;)

      oggi vengo a leggere e ti metto nella blogroll

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  5. Questo ero tentato di inserirlo nella lista dei migliori(visti) nel 2016

    Soggetto magari non originalissimo,ma ben girato e con un ritmo forsennato.Promosso in pieno

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    1. promosso super in pieno

      e poi al cinema a 2 euro

      top

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    2. il suo maggior pregio è la quasi assenza di momenti morti,fila via velocissimo.In più lo sviluppo della trama legata al "segreto del vecchio"non mi è affatto dispiaciuta,poi se l'hai visto a 2 euro......

      piacevole sorpresa!

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    3. il genere del thriller è talmente in crisi che credo possiamo tranquillamente mettere questo nei primi 5 dell'anno

      e a me è piaciuto da morire essere sempre dubbioso di un'eventuale svolta horror che poi, forse per fortuna, non arriva

      ma il dubbio era molto bello

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  6. Pierluigi Tronchetti12 gennaio 2017 alle ore 00:51

    Ci sono realtà in cui il tempo non scorre mai. Fermo e immobile ,sovrasta il vissuto di tutti coloro il cui unico irrefrenabile desiderio e' costruire una vita altrove. Quell’ altrove che, molto spesso, ha l'indefinibile retrogusto dei sentieri polverosi ed impervi che si inerpicano verso le prominenti vette dell’ ignoto; quell'altrove che, altresì, può nutrirsi della speranzosa convinzione di poter vedere, un giorno, il verde smeraldo degli occhi sognanti di una bambina rifrangersi nelle limpide e calde acque dell’ oceano californiano. Rocky è disposta a tutto pur di permettere a sua figlia una vita dignitosa. Per consentirle di nuotare in quel mare promesso, sospinta da onde che, accarezzandola, la trasportino aldilà dai confini di una città, Detroit, in cui ora, dismessi i fasti di un tempo, e’ persino difficile restare a galla. Un agglomerato di mattoni e cemento, così irrisorio e gretto nell’offrire possibilità, da sembrare edificato sulle aride fondamenta del più becero degrado economico, morale ed etico.(In tal senso e’ emblematica l’ unica scena in cui ci viene mostrata la casa e i balordi con cui Rocky e' costretta a far crescere la sua bambina). Rocky, per l’ amore che nutre verso sua figlia, è talmente determinata nel conseguire il proprio obiettivo, che e' persino disposta egli stessa ad infrangere anche la più basilare regola di onestà, moralità ed etica. Il furto perciò, diviene allegoricamente la chiave per scardinare la serratura di una prigione sociale, all'interno del quale, le rigide costrizioni dettate dall’ ormai tristemente nota “crisi economica”, di cui la città americana e' divenuta centro nevralgico e simbolo, l’hanno indotta ad idealizzare che solo grazie all'appropriazione indebita nei confronti della società stressa- rea di aver depredato il suo futuro e quello di sua figlia- potrà risarcirla permettendole di finalizzare il suo intento evasivo. E così, a Rocky e ai suoi compagni di fuga, non resta che quell'ultima casa; l’ultimo numero della combinazione di una cassaforte in cui sono beffardamente segregati quei desideri di libertà e riscatto sociale lungamente agognati. Il tema del riscatto sociale pervade ogni singolo angolo e quartiere di una Detroit in ginocchio. E' una fitta pioggia perpetuante che penetra in profondità fin nell'animo dei protagonisti che (soprav)vivono tra i suoi desolati marciapiedi.

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    1. Pierluigi Tronchetti12 gennaio 2017 alle ore 00:53

      Il lungometraggio scivolava avanti, un fotogramma alla volta. E più mi focalizzavo sulle dinamiche che contraddistinguevano le vicissitudini accorse ai tre ragazzi, e più non potevo far a meno di pensare ad un accostamento a dir poco ambizioso. Folle!La mia mente, catturata da lontane reminiscenze, è volata agli “sconfitti”. Al “ ciclo dei vinti”. Ad un tratto Rocky, Alex e Money mi sono sembrati delle ostriche. Quelle ostriche avvinghiate allo scoglio che le ha viste nascere e crescere , e dal quale ,un giorno, nel disperato tentativo di staccarvisi, muteranno in vittime sacrificali alla mercé dell’impeto del mare e delle fauci di qualche feroce predatore . In cuor mio sono certo che un personaggio come Norman Nordstrom, sarebbe piaciuto moltissimo al Verga. Lo avrebbe amato e al contempo odiato. Immerso nel suo pessimismo storico , dalla sua penna e calamaio ,il leggero riverbero di una fulgida luce, ne avrebbe illuminato le sfumature conferendogli un ‘aurea di ineluttabilità, delineandone al tempo stesso dei sinistri e oscuri contorni attraverso gli imponenti e marcati tratti somatici propri di un’anatomica umanizzazione del fato avverso. Norman, a mio avviso, e’ la personificazione di una cittadina ferita e tradita dalla propria nazione; se Norman fosse una città, sarebbe Detroit. Questo triste e solitario uomo e' la metafora dello scoglio da cui un’ ostrica che vi è nata non riesce a staccarsi. A divincolarsi quel tanto da poter sperare nella possibilità di un futuro migliore altrove. Le profonde radici che tengono ancorati i sogni di coloro che chiedono solo di poter sognare, sostenuti da un’ altra terra e ammirati da un altro cielo. Il vecchio Nordstrom e' un ex militare , un reduce di guerra che, alla stregua di una piccola cittadina, ha combattuto credendo e illudendosi, che grazie anche al suo sacrificio sarebbe stato possibile costruire una grande nazione( e per quanto mi riguarda gli USA non lo sono neppure un po’). Proprio come una cittadina abbandonata dal suo stato, anch’ egli porta nella sua solitudine e nelle sue ferite i segni di una delusione radicata. Viscerale. Viscerale come il vuoto che alberga nelle iridi decolorate dei suoi occhi sfregiati, la mera testimonianza della sua irreversibile condizione di non vedente. Perché un cuore dilaniato dal dolore per la perdita di un proprio figlio, non può che condurre ad una vita vissuta nella più completa oscurità. L’incidente in cui Norman ha perduto sua figlia, così vilmente messo a tacere dalla sacralità del Dio denaro, io non sono riuscito a vederlo in altro modo se non come metafora: La cecità come l'oscurità piombata su una Detroit che ha “perduto” i suoi “figli” ( in seguito ai continui esodi, la città americana ha dovuto subire una riduzione esponenziale dei propri abitanti) a causa dell'arroganza del potere e degli interessi economici , incidenti mortali provocati da banche e lobby, i veri pirati della strada della moderna società cosiddetta civile, che tutto speculano e tutto comprano. Persino il silenzio assordante della verità.

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    2. Pierluigi Tronchetti12 gennaio 2017 alle ore 00:55

      Una crisi talmente profonda da aver reso Detroit/ Norman talmente algida e insensibile, da non consentirgli più di “vedere” l'abbagliante luce che discerne il bene dal male; il giusto dal malfatto, nonché i reali bisogni dei propri cittadini. Uomini, donne, ragazzi e ragazze proprio come Rocky , Alex e Money, impossibilitati persino di esplicare la più banale-ma fondamentale- delle funzioni fisiologiche: respirare. Rocky trattiene il respiro. E' spaventata e sola. Vederla accovacciata nell’ angolo di un polveroso ripostiglio, mi ha ricordato ” la postura sociale” di tutti coloro che dalla crisi economica sono stati messi all’angolo. Lasciati da soli in apnea e in balia degli eventi, trattengono il respiro, quasi ad esorcizzare la paura di essere catturati dalla brutalità di un presente incerto e ostile, che non consente loro neppure di respirare(ancora una volta vivissimi complimenti alla distribuzione nostrana che ha cambiato il titolo originale!). Restano immobili nel silenzio, incapaci di espirare l’aria insalubre che ristagna nei loro polmoni, per poter inspirare finalmente aria fresca e pulita. Quel respiro e quell’aria che Rocky, ad un tratto, pareva finalmente aver trovato custoditi gelosamente all'interno di una cassaforte, mescolati alla rinfusa in mezzo a tutto quel denaro che illusoriamente , ora, sembrava dar spazio ,luce ed ossigeno, a quell’angusto sgabuzzino. In quel preciso momento Giovanni Verga entrava nuovamente in scena. Rocky svestiva gli stretti abiti da nouvelle Eva Kent , per indossare gli ottocenteschi e logori indumenti di uno degli umili membri della famiglia Toscano(Malavoglia) . E quel denaro, che nei suoi occhi e nella sua mente avevano oniricamente traghettato lei e la sua bambina su una spiaggia dorata a crogiolarsi sotto il sole della California, assumevano la parvenza del varo della “Provvidenza”. Il salpare di una speranza che ,una volta giunta nella crudele realtà del mare aperto , avrebbe incontrato la sciagurata tempesta fautrice di un naufragio tristemente certo. Ma l'ancora era ancora lì , saldamente incagliata ad uno scoglio apparentemente insormontabile: Norman Nordstrom. L’abbraccio inestricabile di una realtà sociale che aveva già visto partire troppi figli per lasciare che altri calcassero quelle stesse orme. Se una città come Detroit improvvisamente prendesse vita, presumibilmente, e' esattamente come Norman che agirebbe. Accecato da un sadico egoismo, sia nel cuore che nello spirito, imporrebbe a coloro che ora non può che riconoscere come intrusi, una vita al buio. Ne sarebbe disumano carceriere, nell’irrazionale convinzione di poter , grazie a quei prigionieri, riavere indietro quella prolificità(la grottesca inseminazione) e prosperità ,figlie di un tempo ormai perduto e lontano.

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    3. Pierluigi Tronchetti12 gennaio 2017 alle ore 00:56

      Don’t Breathe, a mio avviso, nella teatralità di un palcoscenico imbastito sulle macerie degli effetti devastanti del capitalismo, mette in scena, da un lato, il disperato tentativo di poter cambiare la prioria condizione sociale, dall’altro, le difficoltà e gli ostacoli che si erigono al cospetto del tentativo stesso di distaccarsi dalle proprie origini. Rocky e Norman ne sono gli emblemi; i due poli opposti asserragliati ognuno nella propria trincea e pronti a dar vita ad un estenuante battaglia. Ma Rocky, oltre al suo coraggio, ha nell’ amore per sua figlia ,e nell’ inscalfibile desiderio di regalargli un futuro migliore, la spinta propulsiva per non arrendersi ed andare avanti. Guardando a dritto, imperterrita ,verso quel sospirato altrove. Quella figlia(figli) che paradossalmente Norman non può più tenere stretta a sé, crudelmente volata verso un mondo migliore, ormai da troppo tempo. Corre Rocky. E' stanca e ferita , ma continua a correre, braccata da una tempesta che, con i suoi sferzanti venti inneggianti alla resa , in una lenta agonia vorrebbe mandarla a fondo. Vorrebbe impedirle di staccarsi da quello scoglio; Sradicare le sue abissali radici. Probabilmente Giovanni Verga avrebbe idealizzato un epilogo diverso per questo racconto. Lo avrebbe reso ancora più pessimistico di quanto in realtà già non lo sia. Chi vive di pessimismo, certo, non si flagella di effimere illusioni, né può mostrare le stigmate dei fallimenti. Ma si preclude di sognare, di sperare che domani possa essere un giorno migliore di quanto non lo sia stato oggi, piuttosto che ieri. Rocky alla fine non ha smesso di sognare, e le opportunità che ora vede negli occhi di sua figlia, la proiettano dinnanzi al placido defluire/affluire delle limpide acque azzurre dell’oceano della California. Un’immagine impalpabile, inconsistente, frutto della fantasia e degli indelebili desideri impressi nei disegni della sua bambina. Seduta a quel tavolo , adesso, vicina a colei che di magnifico ha avuto in dono dalla vita, Rocky può aprire i suoi polmoni e riempirli d'aria. Può finalmente respirare. Una breve ma vitale possibilità di respirare ancora, prima che l’amara consapevolezza irrompa in scena e si faccia manifesta. La consapevolezza che ovunque andremo, qualunque saranno le possibilità che ci saranno concesse, e per il quale combatteremo strenuamente, alla fine non ci sbarazzeremo mai né delle nostre origini, né del nostro passato. Un sottile filo invisibile che, nell'imprevedibilità delle nostre esistenze, forse, non ci permetterà mai veramente di liberarci l’uno dell’altra. ( Rocky apprende dalla tv che Norman e' ancora vivo)Lo scrittore siciliano, assolto in un espressiva combinazione di compiacimento, sconforto e rassegnazione, mestamente avrebbe annuito.

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    4. Pierluigi Tronchetti12 gennaio 2017 alle ore 00:58

      Notte Giuseppe, un abbraccio;-)

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  7. se possibile sei riuscito ancora a migliorarti e, forse, scrivere il tuo miglior commento di sempre

    le ostriche, la cecità, il respiro, il sogno, verga, hai tirato fuori una perla dietro l'altra

    sono semplicemente ammutolito

    sinceramente mi stai anche un pò sulle palle per tutto questo, te lo dico

    non è possibile quello che tiri fori da ogni film

    ;)

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  8. Recuperato ed è stata una visione molto molto piacevole, l'unica pecca che gli ho trovato sono i finali che si susseguono che mi sono parsi messi per allungare un pò la pellicola per farla arrivare alla tempistica minima (84 minuti), per il resto quasi impeccabile, c'è di tutto: storia, tensione, interpretazioni, location, sequenze di rilievo. Sto anche più alto di te col voto :)

    Voto: 7,5

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    1. sì, davvero una gran bella sorpresa

      e sto Alvarez a sto punto è uno vero

      i tanti finali possono essere un difetto e una necessità oppure anche un pregio però

      bisognerebbe essere nella testa del regista...

      voto che ci sta ;)

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    2. Di Alvarez ho visto solo questo, ho scansato volutamente il remake de La Casa perche la credevo un'operazione inutile, leggendo qui da te mi sa che mi sbagliavo, farei bene a recuperarlo vero?

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    3. Il remake de La Casa è La Casa al tempo degli horror degli anni 2000

      gli manca la sporcizia, la genuinità e l'atmosfera maligna del primo ma, per quanto mi riguarda, è una delle meglio cose viste in sala in ambito horror in questi anni

      esagerato, violento, fotografato benissimo

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