30.5.10

Ci Siamo...


POST TEMPORANEO PER EVITARE SPOILERATE E PARLARE DEL MIGLIORE PRODOTTO TELEVISIVO DELLA STORIA

27.5.10

Recensione: "Bubba Ho-Tep"


Fa ridere quel clown. Guarda il naso rosso, la guance rubiconde, il sorriso gigante. Guardate quel buffo cappello e come riesce a sprizzare l'acqua dal farfallino. Guardate quelle scarpe che non finiscono mai e come ci inciampa. Straordinario. Guardate tutto questo, guardate, ridete, ma io non ne ho voglia. A me sembra che quel clown non sia felice, a me sembra che abbia sofferto, che dietro il sorriso disegnato ci siano denti serrati, che dietro quegli occhi colorati ci siano lacrime, che dietro quel vestito arlecchineo e ingombrante ci sia un corpo vecchio, malandato.
Tutto questo mi ha suggerito Bubba Ho Tep, un film che è molto più di quello che sembra, che ha un vestito sfarzoso, tempi comici, storia barocca, ma un'anima triste. E bellissima. La vecchiaia, la solitudine a cui porta, la tenerezza dell'amicizia in là con gli anni, l'importanza delle piccole cose, dei piccoli oggetti che ci ricordano fasti, amori e gioie passate, la malattia, le piccole soddisfazioni o meglio le grandi soddisfazioni dovute alle minime cose . E poi nella figura decadente e decadentista di Elvis parliamo del declino, della fine della fama ma poi, meravigliosamente non rimpiangiamo tanto quella fama, quel successo, ma al contrario avremmo voluto evitarlo, avremmo voluto essere persone normali, avremmo voluto stare più tempo possibile vicino a nostra moglie e nostra figlia. 

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Straordinario l'Elvis nato dalla penna di Lansdale, un uomo che per un destino forse autocreatasi si ritrova vecchio e solo in una casa di riposo. Il Re è sceso dal trono, e soffre come e più dei suoi vecchi sudditi. Ma tolti i lustrini acquisisce un'altra regalità, quella dell'anima. E con lui in un processo quasi mimetico si accompagna Bruce Campbell, l'attore che mai più ha raggiunto la fama avuta a trent'anni. Bruce è Elvis, il suo doppio come Rourke era Randy "The Ram"in the Wrestler. La vita non è sempre sulla cresta dell'onda, specie se quella cresta aveva le dimensioni di uno tsunami.
Togliete quella mummia, togliete gli orpelli, perchè Bubba Ho tep non è quello che sembra. Bubba Ho tep è una splendida riflessione su noi e sui nostri ultimi anni, sulla morte e sulla vita vissuta male, sulla mancanza di affetti e sulla chiusura del palcoscenico, sulla pazzia e tenerezza di un vecchio nero convinto di essere Kennedy e, all'opposto, di un uomo che è davvero Elvis ma, forse, non vorrebbe mai esserlo stato.


( voto 7,5 )

21.5.10

Recensione: "Evilenko"


Recensione non facile per questa opera prima e unica di David Grieco, tra l'altro giornalista da sempre interessatosi alla storia del comunismo. Portare in celluloide la storia di Andrej Chikatilo, uno dei più efferati serial killer di sempre, non era certo facile, sia moralmente che cinematograficamente dato che la crudeltà e nefandezza dei suoi omicidi, specie su bambini era, a mio parere giustamente, infilmabile. E qui rendo merito a Grieco e al suo film. Molti avrebbero potuto calcare la mano nel dettaglio macabro degli omicidi, mentre il regista ha sempre mostrato soltanto il Pre e il Post delitto, peraltro con più di una scena riuscita. Rendo poi il doveroso omaggio alla grande prova di McDowell, completamente immerso stanislaskivamente nel personaggio. Cos'è allora che non mi convince appieno? Innanzitutto il "taglio" televisivo del film, e per taglio intendo atmosfera, fotografia, dialoghi, anche recitazione, tutti aspetti che a volte ci fanno sembrare di essere davanti a una puntata di Derrick anzichè al cinema. 


Ma, soprattutto, non ho amato la distorsione della storia approntata da Grieco. Perchè prendere la vicenda di Chikatilo e cambiarla ad arte solo dove fa comodo? Sembra che il regista abbia preso la biografia del killer e detto: questo sì (passato da insegnante, capacità di eccitarsi e raggiungere l'orgasmo solo con la violenza, l'omicidio) questo no ( Chikatilo era padre di 2 figli, molto importante a mio parere), questo lo gonfiamo ( Chikatilo aveva la tessera comunista, nel film è addirittura un agente KGB; Chikatilo aveva senz'altro capacità di persuasione con le sue vittime, ma nel film è praticamente un ipnotista) questo lo sminuiamo ( la pazzia, malattia mentale di una persona del genere). Grieco, addirittura, è così immerso nel suo studio sul comunismo che, sebbene il dialogo sia molto buono, sembra addossare nella crisi di quest'ultimo la nascita di mostri come Chikatilo. Riporto il dialogo: -" La schizofrenia nasce sempre da una crisi di identità, l'unica identità dell'uomo sovietico è il comunismo; ora il comunismo sta morendo e l'uomo sovietico per non morire ricorre all'istinto di sopravvivenza" -" Secondo lei siamo tutti malati?" -"Dal momento che i manicomi si sono serviti per chiudere la bocca ai dissidenti, cioè agli unici sani di mente, devo presumere che i veri malati siano ancora tutti là fuori". "in questo paese sta per scoppiare una vera epidemia. Lui (Evilenko- Chikatilo) è il virus. Se lo ucciderete non troverete mai l'antidoto".
Tutto molto bello Grieco, ma usa questi tuoi pensieri per altro. Chikatilo era un malato, punto e basta. L' America ne ha avuti molti di più se è per questo. Sta epidemia che fine ha fatto? Chikatilo era semplicemente un uomo, Chikatilo era semplicemente un mostro.

( voto 6,5 )

15.5.10

Recensione: "Shadow"


(presenti spoiler)

Mi ritrovo per la prima volta a commentare un film il giorno dopo la visione e non immediatamente. Questo perchè Shadow ha bisogno di essere rielaborato, capito, ricostruito, per non rischiare di tacciarlo come semplice gioco registico, peraltro ottimo. Per questo, se la mia ricostruzione fosse giusta, credo di essere davanti a una grande opera di genere (anche se a dir la verità Shadow balla tra più generi). A mio parere il tema dominante del film è il Senso di colpa. Cercherò di spiegarmi il più possibile. David è un soldato che in Iraq, suo malgrado, si è reso complice di un eccidio di civili in una grotta (bruciati vivi). Subito dopo però è colpito da una granata. I suoi due compagni muoiono, lui resta senza gambe. Questa in realtà è la fine del film ma punto di partenza di tutto. David prima del risveglio in ospedale vive un incubo, praticamente l'intero film.E' in Europa a fare biking. Conosce una ragazza, anch'essa biker, della quale si innamora. I 2 sono perseguitati da un paio di cacciatori pazzi pronti ad ucciderli. Ma un' inquietante presenza, quasi un mostro, rapirà tutti e 4 e li trascinerà all'inferno.

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Parlavo del senso di colpa : David in realtà non avrebbe voluto compiere il massacro in Iraq ma non ha saputo fermare i compagni. Questi 2 soldati, nella rielaborazione mentale di David, non sono altro che i due cacciatori. Sono suoi antagonisti nell'incubo perchè colpevoli nella realtà di averlo coinvolto nel massacro. Da qui si spiega anche il fatto che David, per punizione, li faccia morire nel suo incubo. Ma chi li uccide? Qui sta la genialità, sempre che l'abbia colta, di Shadow. Il mostro, l'uomo deforme, non è altro che la l'impersonificazione di tutte le vittime di guerra della storia, la loro crasi ( fisico da ebreo dei campi di concentramento, viso da disastro nucleare, corpo da torturato) che finalmente può avere la sua vendetta sugli uomini della guerra, sui carnefici. Non a caso uccide i due cacciatori, ma non David, che in realtà è stato solo testimone (palpebra tolta, occhio sbarrato: testimone ) del massacro iracheno ma non direttamente colpevole. La ragazza ( in realtà l'infermiera dell' ospedale) non è infatti nemmeno toccata nè la si vede più dopo il rapimento da parte del "mostro", perchè completamente innocente. Però la sua voce, il suo richiamo porterà David fuori dalla casa delle torture, come in effetti nella realtà salverà lui la vita (quando nell'incubo David esce finalmente fuori è raggiunto dal mostro che , presumibilmente, gli taglia le gambe...). 

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Tre vari sensi di colpa, totale dei soldati, parziale di David, nullo della ragazza sono così sublimati nell'incubo del ragazzo. Se questo era veramente il messaggio di Zampaglione lo considero uno dei metodi più geniali e originali per la rivalsa delle vittime di guerra contro i carnefici.
Gia, Zampaglione. Un film ha anche un aspetto tecnico e Shadow è oltre ogni aspettativa. Fotografia mozzafiato, che passa dai campi lunghissimi degli stupendi paesaggi ai primissimi piani, quasi dettagli, dei protagonisti. Colonna sonora disturbante e funzionale, veramente notevole, firmata in toto dal regista. Interpretazione degli attori di ottimo livello sui quali spicca quella MEMORABILE del mimo Nuot Arquint, capace di dare vita a uno dei più bei cattivi cinematografici degli ultimi anni (le smorfie e lo sguardo durante la prima tortura sono qualcosa di straordinario). Scene d'azione perfette come quella dell'inseguimento in macchina ai 2 bikers. Ambientazioni degli interni da incubo, tensione per tutta la durata della pellicola molto sopra la media. Che dire? Quei piccoli difetti (sicuramente presenti) che può avere la pellicola sono senz'altro superati dalla qualità, originalità e "effetto sorpresa" (per essere un horror italiano) che innegabilmente possiede Shadow. Una boccata d'aria fresca (anzi malsana, sgradevole, irrespirabile) ma comunque ARIA nell'apnea decennale del cinema horror italiano.

( voto 8)

14.5.10

Recensione: "Ben X"

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presenti pesanti spoiler

E' difficile trovare le parole per descrivere le emozioni che questo autentico capolavoro ha saputo suscitarmi. E' difficile, ma doveroso, perchè non potrei trovarle a freddo, non sarebbero le stesse, è giusto che vengano ora, a cuore ancora pulsante, a viso ancora segnato dalle lacrime.
Ben X è uno dei film più toccanti che abbia mai potuto vedere anche se tale aggettivo rischia di sminuirlo, di limitare alla semplice (ma importantissima) componente emozionale quella che è una grandezza a prescindere dell'opera. Cercherò per questo di analizzarlo più completamente che posso anche se le dita, ancora tremanti, potrebbero portarmi a scrivere cose troppo di parte.
Partiamo dalla recitazione. L' interpretazione di Greg Timmermans (Ben) è semplicemente memorabile. Certo, il suo personaggio è straordinario, ma in 9 visi su 10 sarebbe risultato esagerato, forzato, macchiettistico. Lui passa da un registro all'altro, sopra e sotto le righe senza far mai perdere coerenza al personaggio. E che dire della madre, figura dalla straziante umanità, forza e debolezza, speranza e rassegnazione, amore sconfinato per un ragazzo che, solo apparentemente, non sembra ricambiare. E veri, veri, in un cinema che sembra non conoscere le persone e le dinamiche della vita, veri sono tutti gli altri personaggi, forse di contorno (perchè tutto in BEN X è di contorno a Ben, alla sua mente), ma allo stesso tempo tremendamente funzionali.




La regia, modernissima, è a volte forse troppo da videoclip, ma da videoclip, da videogame è la coscienza di Ben, veloce, attenta ai dettagli, incapace di fermarsi, a 2000 l'ora dentro a una testa e a un viso che sembrano , al contrario, essere spenti e fermi. Sono molte le distorsioni e i virtuosismi tanto da arrivare a volte a un senso di iperrealtà, ma iperreale è la vita vista da Ben, vissuta allo stesso modo del videogame dove essere a livello 80 "significa che sei rispettato da tutti" mentre nel mondo reale nessuno lo fa. Nei videogame "puoi essere quello che vuoi", mentre nella vita, quella vera, sei ciò che sei. E qui entriamo nel discorso della sceneggiatura, assolutamente perfetta. Difficilmente ho visto film dove non ci sia neanche un comportamento fuori posto, una sola frase sbagliata o superflua, un solo evento che non sia funzionale alla storia. E così la videocassetta del dileggio massimo, quella videocassetta che ci accompagna come una freccia piantata nel cuore per tutto il film, riviene fuori alla fine, quando ormai nessuno di noi se lo aspettava più. Ed è qui che scopriamo che Ben, alla faccia di tutti, non è semplicemente una vittima predestinata, Ben sa cos'è il dolore, sa cos'è la vergogna, sa qual'è il male e riesce a combatterlo, e a sconfiggerlo, in un modo magnifico, plateale, geniale, definitivo. E le lacrime che avevamo cominciato a spendere per quello che sembrava, diventano lacrime di gioia, di tenerezza, di dolcissima rabbia. E poi il finale, quel cavallo più volte cavalcato virtualmente ed ora lì, davanti a lui, così reale, così vicino.

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E il lirismo di alcune scene, l'abbraccio con la madre nel parco, le urla alla croce ( "Gesù, dove sei?"), l'incontro con la sua guaritrice, che tenendo fede al nome riuscirà a guarirlo dalla malattia più brutta, la malattia del vivere.
Magnifico, poetico e allo stesso tempo forte, sociale. Mi piace chiudere con la descrizione che fa Ben del profumo della pelle di Scarlite, la sua amata, "il profumo di una stagione che deve essere ancora inventata su un continente che deve essere ancora scoperto". Grazie Ben, grazie davvero.

( voto 9 )

12.5.10

Recensione: "Rovine"


Classica pellicola nella quale tutte le componenti "tecniche" prevalgono su quelle di scrittura.
Lo scheletro di sceneggiatura è il solito: gruppo di giovani dalla vita spensierata e promiscua di botto si ritrova a vivere un incubo che li vedrà morire uno dopo l'altro con il classico unico sopravvissuto. Lo scheletro è quello, vero, ma Rovine ha almeno un'ambientazione originale, uno sperduto tempio Maya in Messico. E allo stesso tempo originale è il "serial killer" che decima i ragazzi, nè umano nè mostruoso, ma vegetale. Però, come al solito sono vari gli errori ( 2 litri al giorno d'acqua per sopravvivere, perlopiù detto da un dottore...) le incongruenze (perchè i "selvaggi" si uccidono se toccati dalle piante? Non è mica il semplice contatto a portare la morte) e omissioni (quando era andato alle rovine il fratello del tedesco? Che sappiamo di queste piante?) di sceneggiatura che ci portano a fare troppe congetture quando forse era meglio spiegare.

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La parte tecnica però è superba: una fotografia pulitissima, nitida, che ci fa apprezzare al massimo la bellezza del luogo (bellissima l'immagine dal fondo del pozzo con il cielo sullo sfondo); i giovani attori protagonisti che hanno facce giuste e buon mestiere; gli effetti splatter a dir poco perfetti anche se l'unica vera tensione si concentra proprio soltanto in questi momenti quando invece, in un horror ben fatto, dovrebbe coprire tutti i momenti "morti", quelli in cui accade poco. Il regista era probabilmente anche a corto di location se è vero che abbiamo praticamente solo la sommità del tempio e il ristretto pozzo. Da qui una certa ripetitività delle azioni che, inevitabilmente dà staticità al film. Mi sarei aspettato dei cunicoli sotterranei, o comunque qualcosa che aveese aperto nuovi scenari. Rimane un teen horror molto sopra la media, a suo modo originale e, ripeto, molto ben fatto. Da notare che nel film, mentre gli uomini diventano vegetali, la pianta diventa sempre più umana (ha coscienza, ci imita). Non da escludere a questo punto un messaggio ambientalista da parte del regista.

( voto 6,5 )

8.5.10

Recensione: "Piovono Polpette"


 In un'epoca nella quale l'animazione ha ormai raggiunto un livello d'eccellenza (quantomeno visiva) è giusto porre l'accento all'originalità, alla genialità di un'opera. Per questo premio e promuovo a pieni voti Piovono Polpette (straordinario il titolo originale traducibile con " nuvoloso con possibilità di polpette").
In un'isoletta sperduta dell' Atlantico c'è una comunità che vive di sardine: unico cibo, unica fonte di guadagno e unico interesse. Un giovane inventore però cambierà la vita di tutti costruendo una macchina capace di trasformare la pioggia in cibo, qualsiasi tipo di cibo. Fino a che la situazione non precipiterà...
E' vero, il film può risultare, soprattutto "in mezzo", come ripetitivo e un pò statico, ma siamo comunque di fronte a un piccolo gioiello. A livello visivo il risultato è massimo e scene come il rotolamento della palla di vetro, l'arrivo della prima nuvola carica di hamburger e la reggia di gelatina sono un piacere per gli occhi. Ma è la storia, completamente pazza e insensata che ci regala un profumo di nuovo, perlopiù gradevolissimo. Le tematiche certo non sono originali: ragazzino diverso dagli altri, quasi un freak (Dragon Trainer e, soprattutto, Robots); inseguimento di un sogno osteggiato dal padre (Kung fu Panda); successo che dà alla testa (Linguini in Ratatouille); distruzione della Terra da parte dell' uomo (Wall-e); solo per citare le più evidenti e limitandosi alla filmografia recente.Senza dimenticare il riferimento kubrickiano (già ripreso da Wall-e) per il quale la tecnologia, alla fine, acquisisce una propria coscienza e lotta contro l'uomo che l'ha creata.Ma è il modo, la cornice in cui tutto è raccontato a risultare senz'altro sui generis, peculiare. Fortissimo il richiamo al cinema catastrofico o in senso lato ai disastri naturali: il cielo cha cambia colore tipico della bomba atomica, il tornado di spaghetti, l'alluvione finale di cibo che distrugge la città costiera (New Orleans?).

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E, rimanendo in tema con il film, avrà pane per i suoi denti anche chi critica la mancanza di trovate divertenti o personaggi riusciti: che dire del sindaco ingrassante (alla fine identico a Bigweld di Robots)? E del ragazzo-pollo? E degli orsettini gommosi? E del padre? Per non parlare dei topouccelli, dell'immigrato guatemalteco dottore, fisico e altro che si ritrova a fare il cameraman. Mi sembra che rispetto a animali che fuggono da uno zoo o mostri che senza un filo logico si scontrano con alieni... ci sia molta "roba", più genio, più voglia di creare.Insomma in un tempo nel quale inevitabilmente il cinema riutilizza e cita se stesso, Piovono Polpette equivale a una bellissima citazione modificata ad arte che mette in calce la propria firma.

( voto 7,5 )

2.5.10

Recensione: "Birdy"


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L' orrore della guerra e delle sue conseguenze, fisiche e psicologiche; la bellezza eterea del Volo, sogno millenario e mai sopito dell' Uomo: è tra questi 2 estremi che si muove il bellissimo, difficile, intenso Birdy di Alan Parker.
" Si sono presi il meglio di noi" sussurra Al (Cage) nel meraviglioso monologo/dialogo finale al suo grande amico Birdy (un immenso Modine). La guerra. il Vietnam si è preso il meglio di un'intera generazione, morta, ferita, deturpata o impazzita a causa della guerra. Ed anche ragazzi di una purezza quasi irreale, come Birdy, ragazzi con il semplice sogno non tanto di volare come gli uccelli, ma di ESSERE uccelli, ragazzi che alle attrazioni, contingenze e pericoli della vita terrena preferirebbero un'altra vita, quella aerea, anche questi ragazzi, inevitabilmente, hanno dovuto in quel periodo scontrarsi con la realtà, la durezza e l'orrore della guerra, rimanendone devastati . E allo stesso tempo le terribili ferite al volto riportate da Al non sono diverse dal trauma di Birdy, sono sempre ferite, nella pelle o nell'anima, ma comunque indelebili.
Particolarissimo lo stile narrativo, ora super partes, ora focalizzato su Cage, ora su Modine con un continuo spostamento del punto di vista. Regia classica ma con punte liriche come la nascita del canarino o come il bellissimo volo della mente di Birdy, ripreso tanti anni dopo da Amenabar in Mare Dentro. Lo stesso volo, la stessa mente che viaggia, la stessa farfalla che parte dall'ingombrante scafandro del nostro corpo e vola libera, dove nessuno ha il permesso e la capacità di poterla fermare.

P.S: Scandaloso che un attore come Modine che ha debuttato negli anni 80 in maniera quasi devastante con Birdy e Full Metal Jacket, non abbia fatto più NIENTE di livello in seguito.



( voto 7 )

24.4.10

Recensione: "La Città verrà distrutta all'alba" (2010)


Ormai il viral movie è diventato, a sua volta, un virus che si sta propagando nel mondo facilmente infettabile del Cinema. Dall' Hollywoodiano "Io sono Leggenda" al misconosciuto "The Signal" questo sottogenere dell' Horror e del Thriller è senz'altro il più battuto, insieme probabilmente al Torture. Questo remake dell'originale di Romero è senza dubbio uno dei migliori esponenti, almeno in questi ultimi 5 anni.
Il virus, propagatosi con l'acqua potabile, non trasmette una "zombiasi", ma una pazzia omicida. Il Governo è cosciente dell'accaduto essendo il virus una sua arma non convenzionale che, a causa di un incidente aereo, va a finire in una piccola comunità rurale. Bisogna intervenire, in fretta e in maniera drastica...
Ottima la regia che alterna sapientemente i campi lunghi della zona agricola, con gli stretti spazi interni dove può sempre nascondersi un crazy, un infetto. La tensione non è al massimo (del resto non siamo di fronte a un horror, bensì a un apocalittico), ma sono più di una le scene da brividi, specie nella funeral home, e quella dell'uomo con il rastrello. Buone le interpretazioni, non esagerato ma riuscito il make up degli infetti. Film americano ma antiamericano nella figura dell'esercito spietato che rende quasi ineluttabile un'assurda "soluzione finale".

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Come sempre, gli errori, incongruenze ed esagerazioni di sceneggiatura abbondano ma si possono perdonare o addirittura sorvolare in una pellicola che dall'inizio (scena nel campo da baseball) alla fine (bomba atomica) mantiene sempre un buon livello e un'alta soglia di attenzione. Il film presenta praticamente 3 finali, uno spettacolare, uno imprevisto (ma, paradossalmente, forzato) ed uno durante i titoli di coda, molto misterioso, che a mio parere sarebbe stato meglio evitare. Ultima annotazione sul titolo italiano. Sono molto combattuto perchè se da un lato mi suona magnifico, dall' altro mi sembra troppo traditore dell'originale e troppo evocatore di quello che succederà. Del resto questa traduzione si ebbe già con l'originale e forse è stato giusto mantenerla.

( voto 7)

14.4.10

Recensione: "Smile" - Gli Abomini di Serie Z - 1 -


Per una volta mi trovo costretto a commentare un film in una maniera un pò meno seria e "cinematografica" (se mai quelle precedenti lo fossero state). Del resto ricercare emozioni e analizzare aspetti tecnici in un film del genere sarebbe impresa improba e uno spreco di tempo. Prima di entrare in una divertente carrellata di perle regalateci da questo Smile mi limito a dire che è una pellicola in cui niente si salva, niente è credibile, nè i personaggi, nè i dialoghi nè (soprattutto) i comportamenti nè in senso lato la vicenda o l'intera sceneggiatura che si regge in piedi come un capretto appena nato perlopiù affetto da zoppia congenita.
Ma vediamo alcune chicche:
1 Alcune comparse (almeno 4,5 volte) guardano in camera.
2 Una delle ragazze alle 2,3 di notte si reca in una sperduta stazione del Marocco per tornare a casa, tra l'altro con un trolley che compare misteriosamente. Per non parlare della morte...
3 Segreterie telefoniche che partono addirittura prima che si finisca di comporre il numero.
4 Boschi del Marocco con una nebbia da Valpadana per creare atmosfera.
5 Una soggettiva di un ragazzo che dialoga con gli altri che definire patetica è un eufemismo.



6 Il ragazzo marocchino che muore trasformandosi in 3 secondi in uno scheletro fumante.
7 Tentativo di sfondare una porta colpendo sul muro a fianco.
8 Capolavoro: Ragazzo che accusa la protagonista di aver voluto uccidere tutti gli altri fotografandoli (ah, dimenticavo, chi viene fotografato da una Polaroid demoniaca poi muore) mentre la ragazza in realtà ha fatto UNA sola foto delle sei maledette quando addirittura TRE!!! sono state fatte dallo stesso ragazzo che l'accusava (tra cui un'autofoto a sè stesso!!!), veramente straordinario.
9 Fotografo che si accorge dopo un quarto d'ora che il corpo che sta fotografando è quello di sua figlia.
10 Spiegazioni sul potere della macchina fotografica e sul perchè sia maledetta (storia del fotografo) a dir poco risibile e senza alcun senso.
Ma soprattutto:
11 Gruppo di amici che vede morire uno a uno tutti i componenti in maniera orribile e si limita a dire "qui c'è un serial killer" o coprire il corpo con una coperta. Io se vedessi morire un mio amico sarei scioccato per un anno, loro si limitano a dirne il nome o a esclamare "sarà stato un fulmine?" vedendo uno scheletro carbonizzato.
SMILE: ridiamoci sopra.

( voto 2 )

7.4.10

Recensione: "Monsieur Verdoux"

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Premessa doverosa. Chi scrive è visceralmente chaplinista tanto da considerare Chaplin, senza appelli, il più grande uomo di cinema mai vissuto. Anche Monsieur Verdoux è uno straordinario film, forse un capolavoro, ma non posso metterlo sullo stesso piano degli Charlot. Il motivo è semplice e cercherò di spiegarlo.
Monsieur Verdoux è un uomo fallito, licenziato dalla sua banca. Si trova allora un'altra attività, sedurre vedove facoltose per poi ucciderle e intascare o rubare il malloppo.
Senz'altro le tematiche affrontate da Chaplin sono come al solito tante e forti: il fallimento, l'avidità, il capitalismo, l' omicidio, ma anche l'amore, la pietas, la tenerezza e la presa di coscienza. 

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Non si potrà (quasi) mai discutere sul valore morale ed umano dei film di Chaplin, straordinario accusatore della società in cui viveva, capace di usare il fioretto e quasi mai la spada. No, la mia predilezione per la serie del vagabondo è puramente tecnica, per essere precisi, sonora. Insomma, per me il Chaplin inarrivabile è il Chaplin muto. A mio parere la parola, il sonoro, la forza della voce, si è rivelata invece una debolezza. Nessuna scena del Verdoux, nessun discorso ha la forza dirompente, anzi, la Magia, delle migliori scene de La Febbre dell'oro e compagnia bella, anzi bellissima. Avete fatto caso che le due sequenze più riuscite (almeno secondo me) in Verdoux sono le uniche 2 mute (barca, vino avvelenato)? E non sembra anche a voi che il discorso di Hynkel ne il Dittatore (primo sonoro della voce di Chaplin) sia la parte più pesante e debole del film? Chaplin non ha bisogno di parlare, le sue accuse sono devastanti anche se non esplicitate in parole. Direi addirittura che con il verbo, rischia di essere retorico a volte, magari senza volerlo. Rimane inarrivabile e Verdoux una grandissima opera, anche se non è vero che sia una sceneggiatura perfetta (mi liquidi moglie e figlia con "li ho persi"?). Del resto quanto sia legato al Vagabondo lo dimostra il destino. Ci ha lasciato nel Natale del 1977, io festeggiavo il mio primo...

( voto 8 )

5.4.10

Recensione: "Les Choristes"

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Piccolo gioiello di un cinema, quello francese, capace di eccellere in questi ultimi 10 anni in tutti i generi, dalla commedia ( Veber, Giù al Nord e il recentissimo Nicolas) all'Horror (vera e propria nuova scuola), dall' azione-noir (36, L'Ultima missione) al drammatico.
Clement Mathieu è un musicista, ma viene assunto come sorvegliante in un severissimo istituto di rieducazione per bambini. Il cattivissimo direttore ha un solo credo, azione-reazione per il quale ogni piccolo errore o malefatta dei ragazzi deve essere severamente punita. Mathieu invece ha un altro credo, la musica, e tramite essa, con la creazione di un coro, vuole ridare speranza, felicità, vita ai piccoli "ospiti" dell'istituto.
Film misurato come pochi in cui niente è esagerato, nè la violenza nè l'amore, nè la condanna nè la retorica. Sono i bambini, le loro emozioni, le loro paure, le loro speranze ad essere protagoniste, a ricordarci che mai, mai, un bambino può essere segregato o inibito nelle proprie passioni o potenzialità. E qui viene in soccorso la musica, l' altra grande protagonista del film. E' attraverso essa che i ragazzi "migliorano", una musica educatrice che li compatta, che li rende più responsabili, che fornisce un appoggio nel caotico mare delle loro pulsioni frustrate. Le regole ferree non servono, un bambino circondato da regole si comporterà sempre, appena ne avesse la minima possibilità, come una tigre uscita dalla gabbia. 




La musica è il collante, la passione che li farà tornare vivi e, in un certo senso, "puri". Ed è sempre attraverso la musica che viene fuori lo straordinario personaggio di Morhange (eccezionale il giovane attore), ragazzo ribelle dalla voce meravigliosa, talento purissimo che rischiava di appassire tra le mura asfissianti dell'istituto.E lui diventa il simbolo di tutti, il simbolo della bellezza, della meraviglia, della dolcezza che OGNI bambino dovrebbe avere la possibilità di vivere e dimostrare. Il sorvegliante Mathieu non è un eroe, è solo una persona che conosce l'importanza dell'infanzia, e sa che quando questa viene corrotta o inibita rovina irrimediabilmente la vita futura.
Film che commuove e a volte diverte, ma sempre sotto le righe, con garbo, permeato fortemente da un'atmosfera neorealista per ambientazione, anni (siamo nel 1949), protagonisti e tematiche. E' ovvio il rimando del cuore allo "Zero in condotta" di Vigo. Forse non siamo di fronte a un capolavoro, ma ad uno di quei film "veri" che per un'ora e mezza, forse, ci rendono persone migliori.

( voto 8 )

4.4.10

Recensione: "Triage"


Triage è l'ultimo lavoro di Tanovic, il regista premio Oscar per No man's land. E' un film di guerra che più che concentrarsi sul conflitto ivuole analizzare gli effetti devastanti che può causare l'esserne stati testimoni. La storia narra la vicenda di due reporter di guerra nel Kurdistan del 1988. Uno vuole tornare a casa per la nascita del figlio, l'altro, al contrario, preferisce restare nel teatro di guerra in cerca di foto il più possibile importanti e drammatiche. Alla fine sarà il secondo a tornare, ferito a causa di un "incidente", ma forse le ferite più grandi non sono nel corpo, ma nell'animo...
C'è poco da fare, Triage non convince affatto. Il film ha il difetto di essere tremendamente senza ritmo, lento nel senso deleterio del termine, verboso, come fosse un'unica e interminabile seduta psicanalitica lunga un'ora e mezza (del resto nella seconda parte lo è letteralmente).Si badi bene, la lentezza di un film non è di per sè un difetto, tutt'altro, ma la mancanza di ritmo, lo stare fermo malgrado lo scorrere inesorabile dei minuti è una caratteristica difficilmente digeribile. 


Il protagonista, un bravo Colin Farrel, sa qualcosa che lo spettatore e tutti gli altri personaggi non sanno, ma il metodo, la lungaggine con cui la verità alla fine viene fuori, rischia di farlo diventare il segreto di Pulcinella. Non mancano immagini forti, scene buone (l'incidente dei 2 reporter su tutte), non mancano denunce, esplicite e non, a tutte le guerre e a tutti i regimi, ma non si arriva mai ad una "potenza" così forte, titpica dei capolavori, da smuovere le coscienze. E' una sceneggiatura facile, che punta tutto sui dialoghi e pochissimo sulla storia, sulle vicende; una sceneggiatura a tesi che vuole dimostrare quello che tutti sappiamo, l'orrore della guerra, l'orrore della morte.
E il riferimento al triage, cioè al sistema di smistamento negli ospedali delle zone di guerra, con il quale si decide chi può essere salvato e chi no (e giustiziato per questo) alla fine si rivela quasi estraneo al film, o almeno alla sua risoluzione, pur essendone il titolo...
Ovviamente non è un film da buttare, e chi ha visto poche pellicole sull'argomento può trovare anche spunti e riflessioni interessanti, ma senz'altro da Tanovic ci si aspettava di più.
Impressionante infine, e mi scuso se fosse stato già notato in precedenza, la somiglianza dello scheletro di sceneggiatura di Triage con quello di Brothers di Sheridan ( o meglio dell'originale della Bier). Due persone in guerra, una torna, l'altra no. Chi torna serba con sè un terribile segreto riguardante il compagno, segreto che lo tormenta e non ha la forza di raccontare alla moglie del ragazzo non tornato. Mentre in Triage però questo canovaccio è quello principale in Brothers, film di tutt'altro spessore, viaggia parallelo allo studio del conflitto, psicologico e non, dei due fratelli protagonisti.

( voto 5,5 )

28.3.10

Recensione: "Lebanon"

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Lebanon, vincitore a Venezia 2009, opera prima di un regista israeliano, Samuel Maoz.
The Hurt Locker, trionfatore agli oscar 2010.
Il grande cinema di guerra ritorna a mietere successo dopo quasi 2 decenni di semibuio susseguenti ai magnifici anni '80 ( Apocalypse now, Platoon, Good Morning Vietnam etc...). Due film straordinari ma molto diversi tra di loro. Lebanon racconta, quasi in tempo reale, l'incursione di un drappello di militari, un carrarmato e dei paracadutisti, in un centro abitato, non meglio identificato, del Libano, appena bombardato dall'artiglieria israeliana. Siamo nel 1982, 1° guerra del Libano. All'interno del carrarmato, chiamato Rinoceronte, 4 giovani ragazzi.
L'esperienza di guerra dei quattro ragazzi è pari a 0. Probabilmente sbagliano qualcosa, e si ritrovano così soli dentro il blindato senza possibilità di venire salvati.
E' difficile dire se il più grande merito di questo film sia la sua assoluta sperimentalità o il messaggio che vuole darci. Riguardo il primo aspetto Lebanon è veramente un film straordinario nel senso etimologico del termine. Tranne nella prima e ultima inquadratura infatti, ci troviamo SEMPRE all'interno del carrarmato, e il nostro occhio non è più quello umano, ma il mirino del cannone. La sfida del regista è vinta perchè malgrado lo spazio angustissimo in cui ci catapulta, riesce a mantenere per tutta la durata del film una grandissima tensione. 

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Lo spazio limitato rende ancora più devastanti e definite le emozioni che i 4 ragazzi provano all' interno. Siamo lì con i loro e come loro non abbiamo la minima possibilità di evadere, sia fisicamente che mentalmente. Dobbiamo star lì e pensare lì, perchè la minima distrazione o un calo di attenzione potrebbero essere fatali.
Riguardo il messaggio che il film ci lascia mi piace notare come Lebanon ci parli dell' esatto sentimento contrario a quello raccontato in Hurt Locker. Mentre il film della Bigelow ci raccontava infatti l'assoluta necessità del protagonista di stare DENTRO la guerra, del rapporto quasi di dipendenza che si era instaurato tra lui e il teatro bellico, Maoz ci parla dell'assoluto contrario, del trovarsi catapultati, assolutamente impreparati, a dover combattere, al dover uccidere, e conseguentemente, Lapalisse, al terrore di restare uccisi. Non è questione di coraggio nel primo caso e di paura nel secondo, la distinzione la fanno l' incoscienza e la consapevolezza. E, forse, non sono i 4 ragazzi terrorizzati ad essere immaturi come sembrano; forse, lo è ancor più l'artificiere di Hurt Locker. La vita è una cosa meravigliosa. Ce ne è stata data una, una soltanto, e non volere perderla è sintomo di maturità e attaccamento ad essa.

( voto 8 )

24.3.10

Recensione: "Il Nastro Bianco"


ll Nastro Bianco è un film dalla portata difficilmente calcolabile. Vincitore della Palma D'Oro, dell' EFA come miglior film europeo e del Golden Globe come miglior film straniero la nuova pellicola di Haneke si infila senza discussioni nella ristretta cerchia dei capolavori cinematografici, di quei film che sembrano uscire dalla pellicola e impiantarsi nelle coscienze, quei film in cui il significato, il messaggio che nascondono è molto più forte del significante, delle immagini (malgrado la superba fotografia in bianco e nero).
Paesino tedesco, anni 12/13 del '900. La tranquilla vita rurale e monotona del paese viene "movimentata" da uno strano incidente al dottore, disarcionato dal suo cavallo per colpa di un filo teso tra 2 alberi. Piano piano, giorno dopo giorno, altri piccoli e grandi episodi si susseguono. I meno scossi sembrano i bambini del paese...
Siamo in un paesino all'inizio del Novecento, una di quelle realtà in cui il Sindaco ( qui il Barone), il Medico e il Prete ( o Pastore) sono le tre autorità riconosciute da tutti. Società ottocentesche in cui i Figli devono rispettare i Padri, rigorosamente dandogli del Voi, senza alcuna possibilità di replica. Padri per giunta violenti, stupratori, intimidatori, senza alcun senso della famiglia, dell'umanità e dell'amore. L'unica libertà per questi figli, peraltro limitata, è quella di ritrovarsi e giocare insieme. E stando insieme, forse, iniziare una ribellione...

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Qualcosa sta cambiando nel paese e nel Paese. Se anche il figlio del Barone è soggetto di violenza vuol dire che sta per crollare qualcosa, lo Status Quo autoritario e definito da anni  è pericolosamente minato da forze nuove.
E intanto, in contemporanea, l'Arciduca Francesco Ferdinando viene ucciso...
L' Austria dichiara guerra alla Serbia scatenando una reazione a catena, la Prima Guerra Mondiale è ormai cominciata.
Niente sarà più come prima, nè al paesello contadino, nè nel resto del mondo. E questi bambini, oppressi e violentati a 8, 10, 12 anni ne avranno 30, 35 , 40 in anni ancora più bui, e saranno loro i nuovi padri, potranno loro esercitare quell'autorità subita in infanzia.
E come in quella che forse è la scena madre del film, ovvero l'uccisione, in gabbia, dell'uccellino del padre da parte della figlia, forse quei bambini si sentivano come quell'uccellino a cui il volo era vietato. Uccidere quel piccolo essere aveva un profondo significato: la vostra autorità è finita, preferiamo morire, ucciderci, non essere più bambini da tenere in gabbia ma cominciare a diventare qualcos'altro. E il nastro bianco legato al braccio, simbolo imposto di una purezza da preservare, potrebbe diventare in futuro di un altro colore, questa volta nerissimo.

( voto 9 )

6.3.10

Recensione: "Shutter Island"

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Credo che questo sia uno di quei film che necessiti assolutamente di una seconda visione. E non per capirci di più ma per rivederlo alla luce di quello che, solo adesso, sai.
Film non facile insomma, basato sul gioco di cos'è vero e cosa non lo è, qual è la verità, quale la menzogna. Opera torbida, dura, mentale, fastidiosa a volte sia visivamente che psicologicamente, pellicola nella quale la memoria individuale si incrocia con la Memoria, quella storica, dove i delitti del singolo uomo giocano a dadi con quelli dell' Uomo, i più nefandi, i più terribili.
L' agente federale Teddy Daniels si reca nell'isola penitenziario di Shutter Island dove sono imprigionati e curati molti criminali malati di mente. Il pretesto è la sparizione di una paziente, la realtà è che l'agente Daniels vuole smascherare le pratiche aberranti che subiscono i detenuti da parte dei medici aguzzini. Questo almeno è quello che sembra, ma la realtà, quella vera, è molto diversa...
Il film, come accennato, è molto torbido. Alterna scene dell'eccidio nazista dei campi di concentramento ad altre di malati mentali ridotti a larve, omicidi plurimi di bambini (filicidio per giunta) a discorsi sulla lobotomizzazione. Come si mischiano tutte queste cose? Durante la visione è difficile cogliere un senso ma poi Scorsese nel magnifico sottofinale sul faro (luce, verità) ci spiegherà tutto. E rimarremo spiazzati, meravigliati, colpiti nel più profondo dell'anima. Altri film hanno giocato lo stesso gioco di Scorsese, ma qui, almeno per conto mio, questo gioco era veramente nascosto nel migliore dei modi.
Il capolavoro però è il finale.




E mi sono accorto sia in sala che nel tempo, specie in videoteca, che pochissimi hanno prestato attenzione a quel finale, a quella frase che, quando tutto sembrava ormai in un certo modo, riesce a ribaltare ancora il film e a daegli un significato tutto nuovo. (la terapia funziona davvero).
Asoltatele quelle ultime parole del protagonista (similissime, tra l'altro, a quelle di Oldboy), guardate gli atteggiamenti di tutti e pensateci.
Grande film, immerso in un'atmosfera magnifica di scogli e tempeste, manicomi e cimiteri.
Opera nel quale il ricordo, il suo riaffiorare, o meglio, il modo in cui riaffiora, giusto o sbagliato, segna da solo la famosa linea rossa, il confine tra sanità di mente e pazzia.

( voto 8 )

7.2.10

Recensione: "Paranormal Activity"


Dovrei fare una premessa che invece inserisco in post scriptum. Paranormal Activity, per chi non lo sapesse, è uno dei più grossi fenomeni cinematografici della storia; girato con meno di 20000 euro! in un'unica location (la casa del regista) ha incassato cifre che paragonate percentualmente al budget con cui è stato prodotto, fanno diventare gli incassi di Avatar un flop...
Una coppia; lui è un malato di elettronica e riprese con telecamera, lei da quando ha 8 anni è perseguitata da attività paranormali (rumori, visioni); lei lo confida a lui, lui mette la sua tecnica (telecamere dapertutto e molte riprese a mano) per vedere se è vero. Altrochè se è vero.
Film furbetto che usa alcune carte sicuramente vincenti: una giovane coppia per rendere più facile l'immedesimazione, l'uso di riprese diegetiche per dare un senso di realtà, il piccolo luogo chiuso, i rumori fuori scena, il climax ascendente (tipico degli horror) dove ogni notte succede sempre qualcosina in più, la recitazione (buona) il più possibile non recitata, insomma tutti elementi per dare un senso di REALTA' al tutto, entrare completamente anima e corpo nel film e dimenticarsi di stare al cinema (cosa impossibile in taluni casi, vedi p.s). 

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Il risultato è soddisfacente ma pecca gravemente di sceneggiatura. Tante cose buttate là e non spiegate, comportamenti insensati (puoi inseguire un demone con una TELECAMERA!!??) un finale che "colpisce" ma solo in un senso letterale. L'atmosfera sicuramente c'è,e vederlo a casa da soli, specie di notte, potrebbe farlo rendere al meglio ma di tutto questo dovrò averne la conroprova.
Come già accennato tutto è basato oltre che sul senso di realtà (addirittura i nomi dei 3 personaggi sono quelli degli attori) su quello dell'invisibilità, delle cose che accadono fuori inquadratura, dei rumori fuori stanza, della (appunto) non visibilità del demone o presenza paranormale che sia. Tutte cose già viste in altre pellicole a partire da Blair e qui esasperate al massimo. Rimane un buon film, ottimo se non riferito agli incassi, esempio di cinema di genere fatto senza una lira, e di questo gli va dato senz'altro atto.
( voto 6 )

P.S. Ho visto il film in condizioni proibitive. Alle spalle infatti un sestetto di diciassettenni non ha fatto altro che parlare, ridere, urlare, dare fastidio, e non per maleducazione, ma per esorcizzare la paura. Ridere durante momenti di tensione per "dimostrare" che non hai paura è semplicemente immaturo, sentir ridere durante momenti di tensione è semplicemente insopportabile. In tutti i tipi di film ciò rovina moltissimo la visione, in un horror praticamente la distrugge.

2.2.10

Recensione: "Bastardi senza gloria"


Il voto, probabilmente troppo basso sia per il valore assoluto del film, sia se paragonato agli altri assegnati in questo blog, deriva da un semplice fatto: a me Bastardi senza gloria ha deluso, e non poco. Avevo probabilmente troppi pregiudizi (positivi), troppe attese, purtroppo non accontentate. Io non sono un fan sfegatato di Tarantino però amo moltissimo 2 suoi film: Pulp Fiction e Kill Bill. Più di tutti gli altri, Iene e compagnia bella. Questo perchè in tutte le sue opere riconosco la mano, il marchio, la "cifra" di Tarantino, ma solo in quei 2 io vedo il GENIO di Tarantino, quel quid che mi fa dire che quei film li poteva fare solo lui e nessun altro. Bastardi è un gran film, con tutte le carte per diventare un cult, ma mi è sembrato troppo piatto, prevedibile, a tratti noioso, senza scene o dialoghi memorabili, insomma una pellicola, come tante, che ha avuto molto più di ciò che merita. 

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Non mancano le sequenze azzeccate ( l'incontro iniziale tra Landa e la famiglia francese, la taverna) ma il tutto in un contesto, ripeto, prevedibile, stereotipato, "già visto", i soliti nazisti, le solite spie, il solito attentato. Ecco, malgrado sia un remake, mi aspettavo da Tarantino molta ma molta più originalità anche in una materia , quella dell'occupazione nazista in Francia, che ha tutto fuorchè prestarsi a opere originali o troppo "fantasy". Non tutti possono permettersi capolavori come Il labirinto del fauno, ma da autori così creativi, così anticonformisti come lo è senz'altro Tarantino, tutto potevo aspettarmi tranne che un film (quasi) classico. Anche a livello tecnico, non ho niente da rimarcare nè per quanto riguarda l'estro di sceneggiatura(galoppante in Pulp e Kill Bill) nè nei virtuosismi fotografici ( Kill Bill). Ovviamente la recensione ha rimarcato solo quelli che io considero difetti, in un film di tale portata elencare i pregi è inutile. Prometto un giorno di rivederlo, devo capire tale successo a cosa è dovuto.
( voto 6,5 )

23.1.10

Recensione: "Il quarto Tipo"


Il mio è un voto indubbiamente netto, senza appelli. Non si riferisce tanto però alla qualità del film o alla sua riuscita, quanto al metodo usato per raccontarlo.
Molti film horror o fantascientifici hanno come obbiettivo quello della sospensione dell'incredulità da parte dello spettatore. Più quello che vediamo ci sembra vero, o comunque ci fa dimenticare che sia falso, più riusciamo ad apprezzare un film di questo genere e, in un certo senso, ad immedesimarci. Quest' effetto però deve essere il più possibile naturale, assolutamente all'opposto de Il Quarto Tipo. Insomma, ci viene fatto credere che gli attori interpretino persone che hanno vissuto veramente i terribili accadimenti di cui il film narra, ovvero i ripetuti rapimenti da parte di alieni subiti dagli abitanti di una sperduta cittadina dell' Alaska. 


Per questo le immagini dichiaratamente finte del film si intervallano ad immagini di repertorio, registrazioni, interviste, tutte presuntemente vere. E molti cadranno nel tranello. La cosa è ostentata in modo insopportabile, reiterato, pesante. Addirittura sono gli stessi protagonisti del film che all'inizio ci dicono che loro sono soltanto attori che interpretano quello realmente successo. Non capisco perchè questo regista non abbia fatto lo stesso film, identico,stessa trama, stesse immagini, ma senza tacciarlo continuamente come semidocumentario, come pellicola che porta alla luce documenti che in confronto quelli relativi all'Area 51 diventano il segreto di Pulcinella. Sarebbe stato un buon film di genere, con più di una sequenza forte, e sarei uscito soddisfatto dalla sala. Così non è. Insomma, e scusate per una volta la recensione poco esplicativa e monotematica, ma a me essere preso in giro così puerilmente va poco. Rec, Blair witch project e altri fanno lo stesso, ma la loro presunta verità è solo la cornice del film, e noi ce ne dimentichiamo subito. Qui è il filo conduttore di tutto. Addirittura patetico il finale nel quale i titoli di coda sono accompagnati da vere (almeno queste "forse" sì) telefonate di avvistamenti alieni. E allora? Cosa ci si vuole dimostrare? Che gli alieni davvero ci fanno spesso visita? Se prima ci credevo poco, quesro film mi ha fugato tutti i dubbi...

( voto 5 )

14.1.10

Recensione: "Rec 2"


Rec 2 ha un grosso merito, l'essere stato girato dagli stessi 2 registi del film d'apertura. Sembra un dettaglio, ma questo era l'unico modo per mantenere alto il livello della serie. C'è una coerenza narrativa e stilistica che soltanto gli stessi registi potevano mantenere.
Si torna nel terribile palazzo, completamente messo in quarantena. Al suo interno  un virus che non deve uscire, o almeno questo è quello che tutti sanno. Solo pochissimi, anzi, quasi nessuno, sa la verità. Dentro non c'è un semplice virus, dentro c'è il Diavolo.
Il primo film, magnifico per il genere, ci aveva lasciato molti dubbi, molti passaggi oscuri presi, almeno da me, come sceneggiatura debole, quando invece erano probabilmente reticenze volute, domande che solo nel secondo capitolo dovevano essere svelate. Per alcuni versi Rec 2 supera Rec. La storia è molto più complessa, dettagliata, "scritta". 

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Se il primo voleva più che altro farci impaurire (riuscendovi) questo ci vuole raccontare una storia, dirci che niente è casuale, che c'è un prima a tutti i fatti successi, che quel palazzo, e ciò che cela, è molto più importante di quello che sembra. Insomma la storia del primo non viene solo ampliata mettendo molta più carne nel fuoco, ma viene letteralmente stravolta. Molti hanno criticato la porta troppo metafisica che Rec 2 apre, il suo sganciarsi troppo dalla realtà, certo orrorifica ma molto "fisica" del primo, per calarsi in quella dell'eterna lotta tra il Bene e il Male, la Luce e il Buio (non lo scrivo a caso...) del secondo. Insomma, un'ottima pellicola, che fa meno paura della precedente ( sappiamo come sono i "mostri", sappiamo come si comportano) ma molto più complessa e interessante. Visto il finale (ottimo) neanche quotabile il fatto che ci sarà Rec 3. A pensarci bene, potrebbe essere molto probabile anche un Rec 0.

( voto 7 )