31.1.20

Recensione: "1917"


Arrivo un pochino tardi su questo film.
Non che mi freghi qualcosa (mai inseguito in 11 anni il "devo parlarne subito") ma ho come la sensazione che in questo caso, come pochi altri, arrivare dopo davvero significhi, giocoforza, scrivere cose che in tantissimi avranno già scritto.
Perchè siamo davanti ad uno di quei casi dove i pregi e i difetti di un film sono talmente evidenti che il rischio di recensioni fotocopia è molto presente.
In ogni caso, come sempre, cercherò di dire la mia nel modo più libero e personale che posso.

Il cinema è anche spettacolo, anzi, deve essere anche spettacolo.
Io il cinema "solo" spettacolo non lo vedo, non fa per me, ma è risaputo che ancora adesso nei nostri giorni sia quello che tira di più.
Però quando abbiamo degli ibridi come 1917, film in cui lo strapotere della tecnica è affiancato ad un tentativo di raccontare una storia e di dare emozioni, ecco, allora ben venga, anche per me, lo spettacolo.
Il problema di 1917 però sta proprio in questo paradosso, ovvero che nelle intenzioni iniziali il racconto e l'emozione volevano essere pari alla tecnica.
E no, non lo sono.
Parlo di paradosso perchè il limite di 1917 è questo suo aver voluto ambire ad essere un film completo, emozionante, complesso, ben scritto.
Se si fosse limitato ad essere un giocattolone sarebbe stato inattaccabile.
Attenzione, non sto dicendo che il film non mi abbia - a tratti - emozionato.
Ad esempio la scena dell'ultima corsa nel prato (quella appena sopra la trincea) con le bombe che cadono è stata molto coinvolgente, così come più d'una volta il mio cuore ha sobbalzato per capolavori tecnici, come ad esempio l'impressionante sequenza dell'aereo caduto o per alcune stupende fotografie, su tutte, forse, quella delle sequenze nella notte e nella successiva alba.
Il problema è che questo film non voleva solo emozionare nella tecnica, ma anche umanamente nei personaggi che raccontava.
E allora lì, con me, ha fallito, io che non ho provato quasi niente alla morte del soldato Blake, io che quasi mai sono entrato in empatia con il nostro protagonista, quasi mai ho avuto paura per una sua possibile morte, io che in questo film che alla fine è un survival quasi mai ho sofferto.
Eppure i survival quello dovrebbero fare, creare un'empatia o una grande vicinanza tra te e i protagonisti. 


1917 poi con la faccenda del piano sequenza (girato come fosse uno soltanto ma in realtà chissà quanti ce ne sono - io ho contato almeno 6 stacchi - ) doveva ancora di più accentuare questo aspetto, questo sentirsi al suo posto, soffrire con lui.
E invece no.
Ecco allora che mi è balenato un titolo, Revenant.
Alla fine trovo i due film similissimi, due survival tecnicamente e fotograficamente impressionanti dove ci viene richiesta empatia.
E niente, per me è finita come con il film di Inarritu.
Ma che questa scrittura emozionale mi sia arrivata poco lo dimostra anche la sequenza della ragazza francese, probabilmente la scena che ci richiedeva più commozione.
E invece, per me, quasi una scena sbagliata.
Ma il mio problema principale con il film (oh, m'è piaciuto eh, poi ci arrivo) è stata in questo suo trasformarsi in una specie di cinecomic in cui abbiamo un super eroe che non solo non può morire ma nemmeno ferirsi.
1917 è uno SPLENDIDO film di morte, di corpi putrefatti, di soldati caduti e che cadono, di perenne pericolo. In questo momento sei vivo, un secondo dopo non ci sei più.
In questo senso ho trovato grandioso, ma veramente grandioso, questo passaggio dalla trincea all'esterno, dal sotto al sopra.
Ecco, lì veramente mi sono emozionato, quando i personaggi escono dal fosso si trovano completamente in un altro mondo e lo spettatore sta cosa la percepisce tutta, il passaggio è fenomenale.
Ma, dicevo, in questo film di costante morte "facile" al nostro protagonista:

1 crolla un'intera grotta addosso
2 spara un cecchino da un metro, un cecchino che stava tra l'altro mirando già alla porta da cui è entrato il nostro protagonista
3 cade dalle scale, 10 scalini, DI NUCA
4 sparano una 40ina di proiettili, tra l'altro alcuni da, letteralmente, 3 metri
5 cade in un fiume quasi in piena e in una cascata
6 corre in mezzo alle bombe

tutto questo in un'ora 

(attenzione, il film è in tempo reale e racconta invece almeno 12 ore di vita, anche questo è un errore. Vero che lui dopo la caduta dalle scale rimane incosciente ma i tempi non tornano per niente lo stesso e il passaggio da mattina-pomeriggio-sera-notte-alba-mattina è letteralmente impossibile. Ah, come non ripensare all'immenso Victoria dove davvero il tempo era reale?)

Niente, non muore, mai, non è mai colpito, gli cadono massi di 5 kg in testa, cade di nuca, gli sparano da un metro e lui nel finale sembra uscito da casa sua, scattante, pulito, perfetto.

1917 sarà ricordato come il film di guerra in cui una ferita alla mano in un filo spinato farà più danni di una decina di traumi e rischi di morte sommati insieme

Peccato, questi sono mezzi che in un film di guerra (genere che deve sempre o quasi essere realista) sono imperdonabili

Però potremmo vedere il film anche come metafora, sia di tutta la guerra (alla fine al protagonista in un'ora e mezza capita tutto quello che può capitare in un conflitto) sia, astraendo ancora di più la metafora, come del concetto:

"il messaggio deve arrivare"

quasi che quella lettera che Schoefield deve portare sia un messaggio, un simbolo

e questo messaggio arriva, tutto quello che accade e che non lo ferma è simbolo di questo, il messaggio doveva arrivare

come non ripensare allora a "Un messaggio dell'Imperatore" di Kafka o a "I sette messaggeri" di Buzzati, due racconti meravigliosi su messaggi da recapitare, entrambi però che giocano sul paradosso del tempo e della vastità degli ambienti


Quindi, poca empatia, scene umanamente più importanti (morte Blake, francese e altre) non del tutto convincenti, immortalità o "invisibilità" del protagonista.
E, in più, una scena per me inconcepibile.
Blake muore nella cascina, i due soldati sembrano soli.
Poi, tempo 2 minuti, intorno a loro c'è una carovana di 30 soldati.
Ho capito che la camera inquadrava solo loro ma una carovana di 30 soldati con mezzi pesanti e tutto il resto non può trovarsi a 4 metri da te e pensare che non l'abbiamo vista e i protagonisti non l'abbiano sentita solo per una cascina in mezzo.
Rivedete la scena, ha dell'assurdo.
Per non parlare dei tedeschi, disastrosi.

Però il resto è magnifico.
Quell'incipit in cui la camera passa continuamente da "a seguire" ad "a precedere", la prima uscita dalla trincea, loro che strisciano nel fango, i primi morti, gli scheletri dei cavalli, le straordinarie location (sembra un videogame ma è tutto reale), la scoperta del tunnel buio, lo scoppio della bomba, il salto da "cieco", la battaglia nei cieli, l'incredibile sequenza dell'aereo che cade, il camion in panne, il ponte, la notte e i suoi bagliori di guerra, l'alba, l'inseguimento, il fiume e quei corpi ammassati sul tronco, il canto del soldato, la nuova trincea, la corsa disperata nell'erba, c'è da restare stupefatti per tanta bellezza.
Un film che ci racconta quanto nel cinema può ancora esserci la magia del "vedere", dell'usare la tecnica a supporto del realismo (incredibile che sia più realista la tecnica della sceneggiatura in questo film), un'opera che dimostra un grandissimo amore per quest'arte.
E un finale per me bellissimo nella scelta, col nostro protagonista che dopo un'ora e mezzo di corse, pericoli, paure si accascia vicino un albero.
La guerra non è finita, niente è finito.
Ma il messaggio è arrivato, se il film voleva essere un simbolo, beh, c'è riuscito in pieno

28.1.20

Recensione: "La ragazza d'autunno" (Dylda)


L'opera seconda di Balagov (ma la prima che vedo) è un film grandissimo.
Sembra incredibile che un ragazzo di 26 anni (età alla quale presumo abbia scritto il film) possa avere una tale sensibilità, gusto, padronanza dei mezzi e, soprattutto, capacità di togliere invece che di aggiungere, raccontare, costruire.
La storia di una ragazza altissima, scemotta, di gran cuore, e della sua amica che ritorna dal fronte.
Due personaggi femminili che diventano indimenticabili nell'attimo stesso in cui li vedi.
Un film che è meraviglioso da vedere per messinscena, colori e fotografia ma che nei contenuti e nella sensibilità in cui sono scritti personaggi e vicende, è ancora più grande.

presenti spoiler

La sensibilità non ha età.
Anzi, è forse vero che il periodo della nostra vita in cui la nostra sensibilità raggiunge vette più alte è quello dell'adolescenza, periodo in cui abbiamo ancora forte l'istintualità delle emozioni dei bambini e la coscienza dei sentimenti che poi si farà sempre più forte in età adulta.
Quindi, che Kantemir Balagov a 26 anni (età in cui presumo abbia scritto Dylda) abbia questa sensibilità ci sta.
Un'altra cosa però è riuscire a dare forma alla sensibilità, a raccontarla in Arte, a riuscire a trattenerla dentro parole e immagini, a riuscire ad essere così maturi nell'esporla.
A 26 anni tanti possono avere la sensibilità di Balagov ma, se va bene, uno su un milione può scrivere e realizzare Dylda.

Quando lo vedi ti sembra di immergerti in quella letteratura russa che hai divorato da giovane, non tanto quella ad ampio respiro di Tolstoj quanto quella più intima, psicologica e penetrante di Dostoevskj.
E ti stupisci di questo giovane che riesce a fare un film di due ore e un quarto senza mai urlare, senza scene madri eclatanti (ma tante lo sono in modo soffuso), una storia in cui è il togliere a dominare.
E, di solito, nelle opere giovanili non è mai così.


Dylda (giraffa) è una ragazzona alta come il cielo, biondissima, tontolona, quasi analfabeta della vita e con un cuore proporzionato alla sua altezza.
Fa l'infermiera in un ospedale per reduci di guerra, cura i malati, sgrana gli occhi, fa qualche dolce sorriso e poi torna a casa - una specie di casa comune con appartamenti singoli e stanza condivise - ad accudire il suo piccolo bambino, Pashka.
Ilya, questo il suo vero nome, soffre di tremendi attacchi epilettici, attacchi in cui si blocca e il rumore del mondo diventa solo uno stridente sibilo che tutto nasconde.
Un giorno, mentre gioca col bimbo a terra, ha uno di quei attacchi.
Il suo grande corpo rimane sopra quello del povero bambino, per interminabili minuti.
Una manina non si nuove più.
Già solo questa scena ci urla contro la grandezza di un regista in cui la scrittura, la forma e la realizzazione delle scene formano un connubio praticamente perfetto.
Tra l'altro questa scena di questo grande corpo sopra quel corpicino sarà il manifesto di tutto il film, un film che dal primo all'ultimo minuto racconta di corpi che si toccano, che si abbracciano, di visi che si sfiorano, un film di continui ed emozionanti contatti umani, strettissimi.
Davvero, sono decine.
Non sarà un caso che il film finirà con un ennesimo, ultimo, abbraccio.

Per sbaglio ho letto alcuni minicommenti sul film e ho visto parlare di film "formale", estetizzante, povero di contenuto.
Per una volta vorrei perdere il mio famoso aplomb e incazzarmi, ma lascio perdere, tanto è inutile.
Dylda è una storia bellissima, è un film in cui vengono costruiti due personaggi impressionanti, è una sceneggiatura di piccole storie che in qualche modo poi riescono tutte a incastrarsi perfettamente, è un film che parla di un'epoca e dell'animo umano, specialmente delle sue debolezze e delle sue tenere mancanze, è un film di stramaledetto contenuto che poi ha il merito di mostrarci tutto in una veste cinematografica eccelsa, con dei colori pastello di abiti e scenografie meravigliosi, con una fotografia sublime, con un uso dei volti magistrale.
Probabilmente chi vede solo la forma non ha la capacità di percepire la grandezza delle piccole storie, non ha la voglia di capire quanto un racconto sotto le righe sia enormemente più difficile da scrivere di quelli eclatanti e pieni di cose.
Ma bastano i due profili psicologici delle due protagoniste a rendere Dylda un film di contenuti, di incredibile sensibilità e misura.

27.1.20

Boarding House - 15 - Recensione "I Dinamitardi" (1992- Christian Duguay)


Torna addirittura dopo UN ANNO (ma la colpa è la mia, mi aveva mandato sto pezzo l'estate scorsa....) il nostro pazzo Giorgio e la sua rubrica di film cult, la Boarding House, spazio in cui recensisce quasi sempre sconosciutissimi (questo forse però è uno dei 3-4 più conosciuti che ha mai fatto) e spesso al limite del lecito (e anche qui stavolta pare essere andato più calmo...).
Vi lascio alla lettura

Danny O’Neill/Pierce Brosnan si occupa di disinnescare bombe e gli capita tra capo e collo una banda di terroristi medio-orientali che ne hanno inventata una davvero geniale: un liquido - una mescolanza di nitroglicerina, napalm e idrogeno - che a contatto con i succhi gastrici dello stomaco rende le persone “detonatori viventi”. Che il Medio Oriente e la Russia siano stati gli spauracchi di tutto il cinema action americano, è un dato di fatto. L’America interveniva nelle faccende private di molte Nazioni, vendeva armi e metteva al potere chi era favorevole alla sua politica economica. L’esempio maggiore, da cui deriva il film di Christian Duguay, è Die Hard - Trappola di Cristallo (1988) diretto da John McTiernan. Ma se nel film di McTiernan “I Fratelli della Rivoluzione” guidati da Hans Gruber (Alan Rickman) - erano dei banali ladri di denaro, nel film I Dinamitardi i terroristi hanno agganci con il Senato americano per un progetto di vendita di armi al Medio Oriente che non deve essere bloccato. Quindi, la complessa macchina del terrorismo era un materiale inesauribile per evidenziare la corruzione dell’entourage politico degli Stati Uniti d’America e avvertire il cittadino medio degli accordi e contratti anti-americani. In nuce, ecco il seme dell’11 Settembre 2001 e il crollo delle Torri Gemelle a New York. L’America stessa ha creato i propri mostri e, visti col senno di poi, molti film del periodo che va dagli anni Ottanta agli ultimi anni dei Novanta hanno detto, anticipato e previsto alcune derive paranoiche e psicotiche che ormai sono all’ordine del giorno in questo stato di guerra perenne. Ma il film sfiora, anche se non proprio in maniera esplicita, l’horror. Christian Duguay, infatti, è soprattutto un regista di horror ed action - la sua carriera è costellata di film per la Tv come Scanners 2: The New Order (1991) e Scanners 3: The Takeover (1993) che mancano della profondità concettuale del capostipite cronenberghiano ma si lasciano vedere - e questa sua passione si sente e si equilibra al meglio nel film che abbiamo scelto di accogliere qui da noi alla Boarding House
Perché? 
Innanzitutto, l’idea originale di vedere nell’assunzione di acqua un pericolo esplosivo. Come si capirà nel corso del film, il liquido esplosivo è incolore ed insapore come l’acqua; una volta mescolato e bevuto, rende la persona una bomba. Ma l’acqua e il fuoco si mescolano in una soluzione alchemica il cui risultato, una volta scoperto il meccanismo, non è la capacità extra-sensoriale degli Scanners - che saltano, si deformano, esplodono nei film diretti da Duguay - ma un unico e solo elemento imprescindibile dell’action anni
Novanta e di tutti quei thriller essenziali e diretti: l’eroe che si va un mazzo tanto per farsi amare e mettere la testa a posto una volta per tutte


Tale aspetto del film costituisce l’interesse sul quale è catalizzata l’attenzione dello spettatore. È probabilmente un caso limite nella storia di questo genere di film. Lo spettatore sa come funziona il meccanismo in quanto l’acqua fisicamente entra in scena fin dai titoli di testa per proseguire con bicchieri pieni di acqua, pioggia, pozzanghere, fontane; quindi, ha il vantaggio di seguire una storia in cui sa più dell’eroe, perlomeno fino a quindici/venti minuti di film, dopodiché ciò che sa lo spettatore coincide con ciò che sa il protagonista e l’avventura a perdita di fiato comincia a far scalare i minuti. Presumibilmente. E invece no: molto tempo è speso nel seguire le vicissitudini personali di Danny O’Neill/Pierce Brosnan e si viene a conoscenza di alcuni elementi interessanti e  gestiti in maniera molto particolare, sebbene abbastanza comuni in questo genere: 

1) L’eroe ha problemi con la moglie perché la loro figlioletta è morta annegata nella piscina di casa, e così l’acqua è un elemento doppiamente traumatizzante per l’eroe: da una parte muoiono persone che si scoprirà essere disoneste e legate a doppio filo con i terroristi; dall’altra, il liquido della vita ha ucciso una bambina e rovinato il legame tra moglie e marito. Ora, sebbene nel film non sia esplicitato né a livello di dialogo né in maniera continuativa (c’è soltanto un flashback), l’acqua è una metafora, come nel più classico dei film americani: si prende un tema e lo si infarcisce di metafore o simboli che tornano e ritornano, un procedimento di scrittura che spesso sforna roba banalissima. Anche I Dinamitardi non si scosta da un tale procedimento scritturale, ma l’aspetto horror lo rende molto godibile e sicuramente originale per il genere. 


2) La moglie ha avuto una pseudo-relazione con il senatore Traveres (Ron Silver),  per poi scoprire che il senatore è in rapporti più che amichevoli con il capo dei terroristi (interpretato da Ben Cross). Questo è il vero fulcro di tutta la vicenda e il film si squilibra pesantemente verso una zona insolita che accentua la relazione altalenante che nel 1988 Bruce Willis aveva con Bonnie Bedelia in Die Hard - Trappola Di Cristallo; ad un certo punto,  senza accorgersene, lo spettatore perde interesse per il sanguinario capo dei terroristi e vorrebbe assistere alla risoluzione della faccenda familiare tra Pierce Brosnan e il senatore Traveres. E il tutto, sebbene la forzatura del triangolo "Lui, Lei e L’Altro" sta lì lì per far crollare il film nella più becera banalità, è accettato dal pubblico perché in mezzo ci sono dei morti che esplodono. In poche parole, I Dinamitardi è una tormentata love-story che mantiene il suo ritmo romantico soltanto perché ogni tanto qualcuno diventa un detonatore vivente ed esplode; questi corpi esplodenti diventano, allora, un contrappunto davvero ben studiato per parlare di altro e rendere il prodotto molto accattivante per qualsiasi tipo di platea. Desiderando che terminino le azioni del capo dei terroristi, così si vorrebbe la morte del politico corrotto; ma non tanto per i suoi squallidi accordi anti-americani, ma perché se la spassa con la moglie dell’eroe. Questa caratteristica del film, volenti o nolenti, lo rende davvero un prodotto diverso. Nonostante sia un film prettamente mainstream. E la frase di Pierce Brosnan - “Ma perché non hanno ammazzato lui per primo!” - racchiude tutto il furbesco meccanismo di captatio benevolentiae che trascina il film, sottilmente e forse incosciamente, verso i lidi di una moralità conformista che ripristini il senso dell’Amore e dei valori familiari. Per fortuna tale aspetto non è il fulcro del film, anche grazie ad un protagonista ben scritto: disilluso, tendente al suicidio - nel film viene detto che disinnesca bombe non di sua competenza: un atteggiamento auto-distruttivo - volgare, cialtrone e spericolato. 

3) L’eroe deve riprendersi la moglie, una volta scoperte le magagne del senatore. Il terzo punto avverrà più o meno a mezz’ora dalla fine, in una maniera alquanto metaforica: scena di sesso dentro una vasca piena d’acqua. Il trauma è superato. Anche se il film non mette in evidenza come l’acqua possa generare nei protagonisti la repulsione e la paura, opprimendoli con il pensiero della figlia morta, l’idea di una scena di sesso all’interno della vasca è un’ulteriore metafora del superamento di un trauma senza psicofarmaci o alcool. Soltanto nel liquido che ci costituisce al 75% e soltanto tramite una unione sessuale che pare essere, per gli americani sessuofobi e puritani, l’esplicitazione migliore di un rapporto amoroso rinnovato tra moglie e marito, due persone possono sperare di amarsi. Ma per quale motivo moglie e marito si ricongiungono? La scena cult del film - la più conosciuta per chi almeno una volta lo ha intravisto  - è quella del terrorista travestito da clown, all’inaugurazione di un parco giochi per bambini, che ingurgita l’acqua esplosiva e viene scaraventato via dal nostro. Durante questa inaugurazione è presente lo stesso senatore Traveres e la stessa moglie del nostro eroe. Dopo questa sequenza la moglie decide di rritornare da Danny O’Neill/Pierce Brosnan. Capisce che lui, ancora suo marito, ce la sta mettendo tutta per proteggerla e per averla dalla sua parte; che il cattivo di turno non è solo il terrorista ma anche l’uomo a cui si è abbandonata in un attimo di debolezza dovuta alla perdita della figlioletta; che lui sta sconfiggendo l’acqua cattiva che ha annegato il loro frutto dell’Amore. Che è un eroe tout court, insomma. 

Inizia così lo smantellamento progressivo della figura rassicurante del self-made man e dell’uomo politico che ha un incarico importante ed onorevole dall’America. E se l’uomo è ciò che mangia, l’uomo è anche ciò in cui vive: la casa. Dico “smantellamento” a proposito, in quanto l’ultima mezz’ora si svolge nella grande villa del senatore Traveres (e su di lui vi sono parecchi dubbi su come se la fosse procurata, visto che dichiara soltanto 120,000 dollari l’anno). Capiti ormai gli interessi in gioco, forte dell’amore della sua donna, deciso a mettere fine agli attacchi terroristici e alla carriera del senatore, Pierce Brosnan si trasforma in una sorta di MacGyver - che, guardacaso, cesserà di essere trasmesso proprio nel 1992 - e fa a pezzi i locali della villa, mettendo fuori gioco i terroristi, che stanno invadendo la villa del senatore. Tramite il gas, infiamma la cucina; tramite vaselina (“Facciamo una festa?” dice, sornione, Pierce Brosnan) e acetone fa saltare in aria la stanza da letto; fino a giungere alla soffitta e scoprire che il denaro non dichiarato è stato nascosto sotto il tetto. Il confronto con il capo dei terroristi è inevitabile. Il terrorista ingerisce il liquido e diventa una bomba.



Pierce Brosnan e il senatore Traveres saltano dal tetto della villa. Il senatore Traveres finisce infilzato sulla ringhiera; Pierce Brosnan si salva. Un anno dopo, alla moglie gli si rompono le acque. L’acqua torna ad essere un elemento di vita e serenità. Due sequenze simpatiche, all’inizio e alla fine, che forse racchiudono la vera “morale” del film, senza estremizzarne troppo il significato: Danny O’Neill/Pierce Brosnan si trova sdraiato sotto il sedile di un’auto, tra le gambe di una ragazza. Lei ha tradito il marito e questi ha deciso di farla saltare in aria. Dopo che tutto va a buon fine, dice: “Non tradisca suo marito e si metta le mutandine!”. Alla fine del film: stessa ragazza, stessa bomba ma è stata messa dall’amante. La bomba è disinnescata come la volta prima. Danny O’Neill/Pierce Brosnan ha appena ricevuto la notizia che la moglie sta partorendo, saluta la ragazza e le dice: “Mi piace la sua biancheria intima!”. La morale? Da qualsiasi cultura si provenga o qualsiasi intenzione si abbia, terroristica o patriottica,  per soldi o per il potere, la fica resta sempre l’obiettivo da raggiungere per mettersi in pace con se stessi e farsi cullare dal liquido amniotico della soddisfazione di Sé.

24.1.20

Recensione: "Occhio per occhio" ("Quien a hierro mata") - Su Netflix


L'ultimo film di Plaza è, secondo me, il suo migliore di sempre (a parte i due Rec con Balaguero).
Un drammatico che si tinge di crime e thriller con un soggetto molto semplice ma anche tanto originale.
Mario è un infermiere in una casa di riposo/clinica spagnola.
E' molto bravo, forse il più bravo, grande carisma, paraculaggine e capacità lavorative.
Un giorno capita nella struttura un vecchio molto speciale, il boss di una famiglia di narcotrafficanti, famosissimo.
Mario decide di occuparsene.
Forse, però, dietro questa scelta ci sono motivi diversi da quelli che pensiamo.
Su Netflix e con un grande Luis Tosar

scusate per la recensione povera ma ormai scrivo sempre giorni e giorni dopo, speriamo torni la scintilla del piacere di vedere film e scriverne

presenti spoiler

 Paco Plaza è uno dei grandi nomi del cinema horror/thriller europeo contemporaneo.
In realtà, se proprio devo dirlo, credo sia un filo sopravvalutato.
Praticamente, per caso, ho visto tutti i suoi film (a parte i primi 5 introvabili e non distribuiti).
E, certo, ha un capolavoro, Rec, e un grande film, Rec 2.
Ma là dentro c'era anche Balaguero, uno che poi ha dimostrato anche da solo di essere un grande.
Plaza ho sempre faticato, da Second Name a Rec 3, dall'episodio delle Peliculas para no dormir a Veronica.
Tutti film che vanno dal sufficiente al buonino, niente di orribile niente di eccellente.
Ecco che quindi posso dire con assoluta certezza che "Quien a hierro mata" è il film più grande del Plaza senza Balaguero.
Tra l'altro dopo tutti horror (anche se con molte variazioni) il Nostro cambia genere, regalandoci un drammatico/crime/thriller che di paranormale non ha assolutamente nulla ma, come il Bed Time dell'amico Balaguero, riesce a creare una tensione superiore ai film di genere sopracitati.
Tra l'altro, manco a fallo apposta, abbiamo proprio lo stesso attore di Bed Time, il grandissimo Luis Tosar.


Ma le "coincidenze" (sempre che lo siano) non finiscono qua visto che il personaggio che Tosar interpreta qua ricorda tantissimo quello del film di Balaguero.
Certo, le motivazioni che stanno dietro ai suoi gesti sono molto diverse, certo qua lui è la vittima, quello per cui tifiamo, e non il carnefice, ma il suo modus operandi è identico.
E, per non farci mancare nulla, il terribile finale di "Quien a hierro mata" ricorda molto l'altro finale, altrettanto terribile (ma che io trovai mal costruito), di Bed Time.

Mario è un infermiere in una casa di riposo/clinica spagnola.
E' molto bravo, forse il più bravo, grande carisma, paraculaggine e capacità lavorative.
Un giorno capita nella struttura un vecchio molto speciale, il boss di una famiglia di narcotrafficanti, famosissimo.
Mario decide di occuparsene.
Forse, però, dietro questa scelta ci sono motivi diversi da quelli che pensiamo.

Un drammatico che poi si veste da thriller e da crime, davvero bello.
La storia è semplicissima ma molto molto originale (non mi sono informato se è presa da un libro o altro). E' molto intelligente portare lo spettatore a scoprire la verità piano piano, inserendo sempre qualche elemento in più.
L'incipit è davvero ottimo, con quella gabbia nel mare e la telefonata definitiva.
E subito facciamo conoscenza con la famiglia criminale del film, il boss (personaggio bellissimo e complesso) e i suoi due figli, due cazzoni arroganti che credono di essere stocazzo mentre sono due e veri e propri incompetenti.

19.1.20

Recensione: "Bikram: guru dello Yoga, predatore sessuale - BuioDoc 45 - Su Netflix


Su Netflix la vera storia di Bikram, celeberrimo maestro di Yoga indiano emigrato in America.
Dagli anni 70 in poi diventerà una vera e propria star (tanto che moltissime celebrità usufruiranno dei suoi insegnamenti) e Bikram ben presto creerà un impero, 600 studi e oltre un milione di allievi.
Grandissimo yogi, persona di incredibile carisma, istrione, furbo, manipolatore, un vero e proprio guru, sia nel senso positivo del termine (quello di reale guida spirituale) che in quello negativo, come tante storie di sette ci hanno insegnato.
Arrivato all'apice del suo successo, però, verranno fuori molte verità prima celate, specie tutte le violenze psicologiche e fisiche che Bikram perpetrava alle sue allieve.
Tutta l'America si scaglierà contro di lui ma l'epilogo sarà sorprendente.

Elvis Presley
Richard Nixon
George Harrison
Barbra Streisand
Frank Sinatra

sono solo alcune tra le celebrità (e stiamo parlando quasi delle più importanti nei rispettivi campi) che, si dice, hanno usufruito delle "cure" e degli insegnamenti di Bikram Choudhury, eccezionale Yogi (maestro di Yoga) indiano.
Questo verso gli anni 70 è andato in America e in pochissimo tempo ha creato un vero e proprio impero, tanto che a suo nome nasceranno circa 600 "studi" (scuole di yoga) frequentate da circa un milione di persone.
Bikram è un uomo di un carisma incredibile, eccezionale nella sua arte ma anche straordinario intrattenitore.


Le sue lezioni non sono soltanto lezioni di yoga ma veri e propri show, non di rado terminanti con lui che se mette a cantà (davvero bene tra l'altro).
Bikram è un narcisista patologico, uno che crede di poter dominare tutti, uno che pensa di essere amato da tutti (e in gran parte è vero) e questa sua auto-venerazione lo porterà a diventare più che un maestro di Yoga un vero e proprio guru, ma non nel senso positivo del termine, bensì una di quelle personalità catalizzatrici in grado di plagiare e manipolare chiunque.

15.1.20

Sondaggio Miglior Film 2019 de Il Buio in Sala - I Risultati Finali


Altra edizione dall'altissima affluenza per il sondaggio.
Abbiamo raggiunto numeri identici all'anno scorso, 113 votanti invece di 115 e 124 film menzionati invece di 126.


eccoci alla classifica, in fondo troverete molte statistiche e le mie considerazioni

Tutti i film dei quali non specifico tra parentesi il numero delle menzioni ne hanno avuta solo una

In fondo statistiche e considerazioni

mi scuso per eventuali errori di battitura o nei film o nelle considerazioni finali 

120° 2 punti
Il Paradiso probabilmente
Brittany non si ferma più
Hellboy
L'uomo del labirinto
Il mio capolavoro

115° 3 punti
Antropocene
Rocketman
Ted Bundy
Strange but true
Le nostre battaglie

105°  4 punti
Psicomagia - Un'arte per guarire
Un uomo tranquillo
Cyrano mon amour
Charlie Says
Tutti pazzi a Tel Aviv
Motherless Brooklyn
Rolling Thunder Revue
Panama Papers - The Laundromat
Momenti di trascurabile felicità
The Perfection

96° 5 punti
John McEnroe - L'impero della perfezione
La Belle Epoque
Avengers Endgame
L'Angelo del crimine (2 menzioni)
La Tempesta di sabbia
Wounds (2 menzioni)
Il Ragazzo che catturò il vento
The Lego Movie 2
Doctor Sleep

83° 6 punti
La Promessa dell'alba
Wolf Call
Dilili a Parigi
Il Terzo Omicidio
Drive me home
Il Mostro di St Pauli
Il Peccato
L'Immortale
Apocalypse Now Final Cut
Captive State
Durante la tormenta
Gli uomini d'oro
Dragon Trainer 3

76° 7 punti
Sarah & Saleem - Là dove nulla è possibile
5 è il numero perfetto
La mia vita con John F. Donovan
Of Fathers and Sons - I bambini del Califfato
Dov'è il mio corpo? (2)
Benvenuti a Marwen
Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità (3)

75° 8 punti
Un valzer tra gli scaffali (2)

69° 9 punti
Voglio mangiare il tuo pancreas (2)
Skate Kitchen
La rivincita delle sfigate
American Animals
The Farewell (3)
Una notte di 12 anni (2)

68° 10 punti
Toy Story 4 (2)

64°  11 punti
Weathering with you (2)
Grazie a Dio (2)
Selfie
Finchè morte non ci separi (2)

61°  12 punti
Carmen Y Lola (2)
Un giorno di pioggia a New York (3)
The Forest of love (2)

60° 13 punti
Pinocchio (3)

58° 14 punti
Il Regno (3)
I am Mother (3)

52° 15 punti
Dio è donna e si chiama Petrunya (3)
I figli del mare
I due Papi (2)
Apollo 11 (2)
Funeralopolis
Stanlio & Ollio (2)

48°  17 punti
Il Re (4)
Glass (3)
Vox Lux (3)
Manta Ray (2)

47°  22 punti
La Vita invisibile di Euridice Gusmao (5)

46°  23 punti
Ad Astra (3)

45°  24 punti
Le Mans '66 - La Grande Sfida (34

44° 25 punti
Nancy (4)

42° 26 punti
I morti non muoiono (4)
Tramonto - Sunset (7)

40° 27 punti
Oro Verde - C'era una volta in Colombia (6)
Light of my life (4)

39° 28 punti
La famosa invasione degli orsi in Sicilia (3)

37° 29 punti
Copia Originale (5)
The Mule (6)

36° 30 punti
I Fratelli Sisters (7)

35° 31 punti
Stars Wars : l'ascesa di Skywalker (5)

33° 32 punti
La paranza dei bambini (7)
La mafia non è più quella di una volta (4)

32° 35 punti
Knives Out - Cena con delitto (7)

30° 43 punti
The Nest (9)
Mug - Un'altra vita (6)

29° 50 punti 
The Rider (5)

28° 53 punti
Vice (8)

27° 54 punti
I figli del fiume giallo (7)

26° 70 punti
Pity - Miserere (11)

24° 87 punti
Martin Eden (17)
Ritratto di una giovane in fiamme (10)

23° 89 punti
Il Primo Re (18)

22° 96 punti
Tesnota (14)

21° 97 punti
Green Book (14)

TOP 20

20° 135 punti
Us - Noi (24)

19 ° 136 punti
Suspiria (21)

18° 137 punti
Border (21)

17° 140 punti
Il Traditore (20)

16° 147 punti
L'ufficiale e la Spia - J'accuse (20)

15° 168 punti
Dolor Y Gloria (23)

14° 186 punti
Marriage Story - Storia di un matrimonio (32)

12° 196 punti
The Handmaiden - Mademoiselle (24)
Ricordi? (23)

11° 223 punti
Climax (33)


LA TOP TEN

10° 246 punti

THE GUILTY - IL COLPEVOLE (33)


9°  253 punti

THE IRISHMAN (32)



8° 290 punti

CAFARNAO (33)




7°  313 punti

MIDSOMMAR (47)


6° 330 punti

BURNING (35)


LA TOP 5

5° 337 PUNTI

LA FAVORITA (51)



4° 484 PUNTI

C'ERA UNA VOLTA A...HOLLYWOOD (60)


3 POSTO 623 PUNTI

LA CASA DI JACK (61)


2° 704 punti

JOKER (74)


1° 937 punti

PARASITE (90)



Film più menzionato

90 Parasite
74 Joker
61 La Casa di Jack

Miglior Film Italiano

1 Ricordi? 196
2 Il Traditore 140
3 Suspiria 136
4 Il Primo Re 89
5 Martin Eden 87

Miglior Cartone Animato

La famosa invasione degli orsi in Sicilia


Media Punti (almeno 5 menzioni)

10.41 Parasite
10.21 La Casa di Jack
10.00 The Rider
9.51 Joker
9.42 Burning
8.74 Cafarnao
8.70 Ritratto di una giovane in fiamme
8.52 Ricordi ?



Maggior numero di primi posti

18 La Casa di Jack
17 Parasite
10 Joker
8 Burning

Film più in alto in classifica senza alcun primo posto

1 Marriage Story 186
2 Il Traditore 140
3 Suspiria 136

L'albo d'oro si arricchisce di un altro grande film e un altro grande autore.

2016 Il Figlio di Saul
2017 Arrival
2018 Il Sacrificio del Cervo Sacro
2019 Parasite

Due edizioni, la prima e la terza, sono state punto a punto, Arrival e Parasite hanno vinto invece per dispersione

- La classifica, come sempre, è di altissimo livello, diciamo un 90% di film d'autore e notevoli.
Ovviamente la distribuzione più o meno diffusa dei film è elemento importantissimo ma è un qualcosa con la quale è impossibile non convivere

- Io, personalmente, sono d'avvero felicissimo per ogni singolo risultato.
La vittoria di Parasite (ho preferito altro ma è stupendo), il trionfo assoluto come miglior horror per Midsommar (cioè, il migliore, e per distacco, è La Casa di Jack, parlo degli altri), la vittoria insperata come miglior italiano pe Ricordi ?
Niente, ogni anno i risultati sono in perfetta linea con quello che penso, fortunato ;)

- Anno disastroso per l'animazione, ma questo ha permesso che la speciale classifica sia stata vinta da un piccolo film italiano, La famosa invasione degli orsi in Sicilia

- Più che la classifica in sè per sè spero che questa lista serva a tanti di voi per recuperare il meglio dello scorso anno.
Magari anche negli ultimi posti c'è tanto tanto di buono