Arrivo un pochino tardi su questo film.
Non che mi freghi qualcosa (mai inseguito in 11 anni il "devo parlarne subito") ma ho come la sensazione che in questo caso, come pochi altri, arrivare dopo davvero significhi, giocoforza, scrivere cose che in tantissimi avranno già scritto.
Perchè siamo davanti ad uno di quei casi dove i pregi e i difetti di un film sono talmente evidenti che il rischio di recensioni fotocopia è molto presente.
In ogni caso, come sempre, cercherò di dire la mia nel modo più libero e personale che posso.
Il cinema è anche spettacolo, anzi, deve essere anche spettacolo.
Io il cinema "solo" spettacolo non lo vedo, non fa per me, ma è risaputo che ancora adesso nei nostri giorni sia quello che tira di più.
Però quando abbiamo degli ibridi come 1917, film in cui lo strapotere della tecnica è affiancato ad un tentativo di raccontare una storia e di dare emozioni, ecco, allora ben venga, anche per me, lo spettacolo.
Il problema di 1917 però sta proprio in questo paradosso, ovvero che nelle intenzioni iniziali il racconto e l'emozione volevano essere pari alla tecnica.
E no, non lo sono.
Parlo di paradosso perchè il limite di 1917 è questo suo aver voluto ambire ad essere un film completo, emozionante, complesso, ben scritto.
Se si fosse limitato ad essere un giocattolone sarebbe stato inattaccabile.
Attenzione, non sto dicendo che il film non mi abbia - a tratti - emozionato.
Ad esempio la scena dell'ultima corsa nel prato (quella appena sopra la trincea) con le bombe che cadono è stata molto coinvolgente, così come più d'una volta il mio cuore ha sobbalzato per capolavori tecnici, come ad esempio l'impressionante sequenza dell'aereo caduto o per alcune stupende fotografie, su tutte, forse, quella delle sequenze nella notte e nella successiva alba.
Il problema è che questo film non voleva solo emozionare nella tecnica, ma anche umanamente nei personaggi che raccontava.
E allora lì, con me, ha fallito, io che non ho provato quasi niente alla morte del soldato Blake, io che quasi mai sono entrato in empatia con il nostro protagonista, quasi mai ho avuto paura per una sua possibile morte, io che in questo film che alla fine è un survival quasi mai ho sofferto.
Eppure i survival quello dovrebbero fare, creare un'empatia o una grande vicinanza tra te e i protagonisti.
1917 poi con la faccenda del piano sequenza (girato come fosse uno soltanto ma in realtà chissà quanti ce ne sono - io ho contato almeno 6 stacchi - ) doveva ancora di più accentuare questo aspetto, questo sentirsi al suo posto, soffrire con lui.
E invece no.
Ecco allora che mi è balenato un titolo, Revenant.
Alla fine trovo i due film similissimi, due survival tecnicamente e fotograficamente impressionanti dove ci viene richiesta empatia.
E niente, per me è finita come con il film di Inarritu.
Ma che questa scrittura emozionale mi sia arrivata poco lo dimostra anche la sequenza della ragazza francese, probabilmente la scena che ci richiedeva più commozione.
E invece, per me, quasi una scena sbagliata.
Ma il mio problema principale con il film (oh, m'è piaciuto eh, poi ci arrivo) è stata in questo suo trasformarsi in una specie di cinecomic in cui abbiamo un super eroe che non solo non può morire ma nemmeno ferirsi.
1917 è uno SPLENDIDO film di morte, di corpi putrefatti, di soldati caduti e che cadono, di perenne pericolo. In questo momento sei vivo, un secondo dopo non ci sei più.
In questo senso ho trovato grandioso, ma veramente grandioso, questo passaggio dalla trincea all'esterno, dal sotto al sopra.
Ecco, lì veramente mi sono emozionato, quando i personaggi escono dal fosso si trovano completamente in un altro mondo e lo spettatore sta cosa la percepisce tutta, il passaggio è fenomenale.
Ma, dicevo, in questo film di costante morte "facile" al nostro protagonista:
1 crolla un'intera grotta addosso
1 crolla un'intera grotta addosso
2 spara un cecchino da un metro, un cecchino che stava tra l'altro mirando già alla porta da cui è entrato il nostro protagonista
3 cade dalle scale, 10 scalini, DI NUCA
4 sparano una 40ina di proiettili, tra l'altro alcuni da, letteralmente, 3 metri
5 cade in un fiume quasi in piena e in una cascata
6 corre in mezzo alle bombe
tutto questo in un'ora
(attenzione, il film è in tempo reale e racconta invece almeno 12 ore di vita, anche questo è un errore. Vero che lui dopo la caduta dalle scale rimane incosciente ma i tempi non tornano per niente lo stesso e il passaggio da mattina-pomeriggio-sera-notte-alba-mattina è letteralmente impossibile. Ah, come non ripensare all'immenso Victoria dove davvero il tempo era reale?)
Niente, non muore, mai, non è mai colpito, gli cadono massi di 5 kg in testa, cade di nuca, gli sparano da un metro e lui nel finale sembra uscito da casa sua, scattante, pulito, perfetto.
1917 sarà ricordato come il film di guerra in cui una ferita alla mano in un filo spinato farà più danni di una decina di traumi e rischi di morte sommati insieme
Peccato, questi sono mezzi che in un film di guerra (genere che deve sempre o quasi essere realista) sono imperdonabili
Però potremmo vedere il film anche come metafora, sia di tutta la guerra (alla fine al protagonista in un'ora e mezza capita tutto quello che può capitare in un conflitto) sia, astraendo ancora di più la metafora, come del concetto:
"il messaggio deve arrivare"
quasi che quella lettera che Schoefield deve portare sia un messaggio, un simbolo
e questo messaggio arriva, tutto quello che accade e che non lo ferma è simbolo di questo, il messaggio doveva arrivare
come non ripensare allora a "Un messaggio dell'Imperatore" di Kafka o a "I sette messaggeri" di Buzzati, due racconti meravigliosi su messaggi da recapitare, entrambi però che giocano sul paradosso del tempo e della vastità degli ambienti
Quindi, poca empatia, scene umanamente più importanti (morte Blake, francese e altre) non del tutto convincenti, immortalità o "invisibilità" del protagonista.
E, in più, una scena per me inconcepibile.
Blake muore nella cascina, i due soldati sembrano soli.
Poi, tempo 2 minuti, intorno a loro c'è una carovana di 30 soldati.
Ho capito che la camera inquadrava solo loro ma una carovana di 30 soldati con mezzi pesanti e tutto il resto non può trovarsi a 4 metri da te e pensare che non l'abbiamo vista e i protagonisti non l'abbiano sentita solo per una cascina in mezzo.
Rivedete la scena, ha dell'assurdo.
Per non parlare dei tedeschi, disastrosi.
Però il resto è magnifico.
Quell'incipit in cui la camera passa continuamente da "a seguire" ad "a precedere", la prima uscita dalla trincea, loro che strisciano nel fango, i primi morti, gli scheletri dei cavalli, le straordinarie location (sembra un videogame ma è tutto reale), la scoperta del tunnel buio, lo scoppio della bomba, il salto da "cieco", la battaglia nei cieli, l'incredibile sequenza dell'aereo che cade, il camion in panne, il ponte, la notte e i suoi bagliori di guerra, l'alba, l'inseguimento, il fiume e quei corpi ammassati sul tronco, il canto del soldato, la nuova trincea, la corsa disperata nell'erba, c'è da restare stupefatti per tanta bellezza.
Un film che ci racconta quanto nel cinema può ancora esserci la magia del "vedere", dell'usare la tecnica a supporto del realismo (incredibile che sia più realista la tecnica della sceneggiatura in questo film), un'opera che dimostra un grandissimo amore per quest'arte.
E un finale per me bellissimo nella scelta, col nostro protagonista che dopo un'ora e mezzo di corse, pericoli, paure si accascia vicino un albero.
La guerra non è finita, niente è finito.
Ma il messaggio è arrivato, se il film voleva essere un simbolo, beh, c'è riuscito in pieno