29.11.11

Recensione: "Existenz"

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Ci sono film che riescono a sviluppare un'idea stupida e banale in maniera meravigliosa. Ci sono altri invece dal soggetto geniale, complesso e importante che, al contrario, non riescono poi a farlo rendere al massimo. In entrambi i casi possiamo trovarci davanti a grandi film, magari non completi, ma comunque grandi.
Existenz fa parte della seconda schiera, di quei film così originali e intelligenti che malgrado non siano perfettamente riusciti riescono lo stesso ad esser potenti. E' come se ci trovassimo davanti a un quadro non bellissimo di per sè, ma stupendo se visto insieme alla cornice (e in Existenz parlare di cornice, in senso cinematografico, è assolutamente pertinente) e se capito nel suo significato.
Cronenberg, regista straordinario, gira un film che è una perfetta invettiva, in stile un pò cyber-punk, contro il mondo virtuale, nella fattispecie quello dei videogames. Il regista canadese riprende delle tematiche già affrontate in  moltissimi dei suoi film quali lo sdoppiamento di personalità (qui nella scissione persona-personaggio), l'"incontro" tra la carne e la tecnologia, l'alienazione, un particolare erotismo, la metamorfosi.

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A tratti surreale, altre ironico, altre ancora disgustoso (come l'operazione al Pod, molto simile a una scena di Eraserhead), Existenz racconta la vicenda di Allegra Geller, la programmista inventrice del gioco che dà il titolo al film, un videogame ultramoderno in cui il giocatore si trova letteralmente catapultato in una realtà virtuale tale e quale (beh, diciamo quasi...) alla nostra. Durante la prova generale di presentazione del gioco avviene un sabotaggio. La Geller è costretta a rientrare dentro Existenz per salvare il programma. Il finale, geniale, oltra a scombinare quasi del tutto le carte, è importantissimo perchè è lì che Cronenberg in maniera abbastanza esplicita lancia la sua invettiva verso il mondo virtuale, verso quella deriva tecnologica che più si va avanti più allontana l'uomo dalla sua vita reale. Impossibile non ripensare a Videodrome.
Quello che non convince in Existenz è una confusione che fa capolino più volte, la sensazione che il film, specie nella sua parte centrale, perda coerenza in parecchie occasioni. Molte volte Cronenberg rispetta le regole del videogame, altre no. Molte azioni paiono banali, altre inutili. E' vero, il finale "riabilita" tutto ma sono innegabili dei momenti di stanca. Interessantissime alcune scelte come il pod organico collegato al nostro corpo attraverso una specie di cordone ombelicale (vera summa del concetto di appendice uomo-macchina) o l'uso di più piani realtà (Inception?) per cui gli stessi personaggi si ritrovano a volte a non sapere se si trovino nel gioco o no.

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Però ecco, non so che dire, non c'è l'atmosfera che il regista quasi sempre ha saputo creare nelle sue opere - da Inseparabili a Videodrome, da La Mosca a Spider (bellino st'abbinamento ), da Il Pasto Nudo a History of Violence-. Qua, malgrado la materia sia interessantissima, c'è sempre un certo distacco con quello che accade, dovuto forse alle leggere discrepanze di cui sopra.
Resta un grande film, l'ennesimo di un maestro del cinema che ha davvero pochi pari nel mondo.

( voto 8 )

26.11.11

Recensione: "Broken (2006- Adam Mason)"



(presenti spoiler)  Dopo quasi una settimana, causa mancanza di pc, torno finalmente al mio amato blog. Ora ho un portatile che fa anche i cappuccini, son cazzi vostri. Nel frattempo mi sono visto 3,4 film. Cercherò di recensirli nel miglior modo possibile anche se farlo dopo diversi  giorni per me è davvero difficile abituato come sono a commenti a caldo, al massimo la mattina successiva alla visione.Cominciamo con questo Broken, survival poco conosciuto ma degno di attenzione. Per giudicarlo devo riuscire in tutti i modi a dimenticarmi l'osceno doppiaggio, roba di un dilettantismo unico. Non c'è un singolo personaggio che abbia una voce appropriata o perlomeno credibile. Se poi aggiungiamo che anche gli attori, seppur discreti, non hanno il minimo appeal (specie il villain) ecco che Broken parte con un handicap non indifferente.L' incipit non ci farà certo capire di essere davanti a un capolavoro ma mette già le cose in chiaro, Broken con gli effettacci ci sa fare, e la dose di cattiveria è assicurata. L' auto-omicidio (una specie di suicidio assistito) è davvero incisivo.Poi, dopo una scena in un ristorante in cui il livello del doppiaggio di lui raggiunge livelli da Fossa delle Marianne, comincia il film.
Un pazzo rapisce ragazze e le costringe a vivere insieme a lui nel bosco. Non è un torturatore incallito, diciamo solo che se qualcuno prova a fuggire, beh, lui non è contento. Prima le costringe a una specie di rito di iniziazione (quello del prologo), una sorta di prova "d'amore"e di devozione per vedere se hanno la forza di vivere con lui. In questo senso notevolissima la scena delle due ragazze sugli alberi.



Poi inizia la convivenza. Le ragazze, legate, sono gli angeli del focolare domestico. In fin dei conti devono solo pulir pentole e curare il giardino, c'è di peggio dai, almeno non sono costrette a vedere il sabato sera la partita o raccogliere i calzini in giro per casa.
Broken è infarcito da dilettantismi, l'uso delle luci è imbarazzante, la povertà di sceneggiatura davvero al limite del consentito (una staticità incredibile inframmezzata da scene ripetute più volte). La mancanza di spiegazioni (specie riguardo le motivazioni del pazzo) è davvero particolare, non si sa se sia dovuta a una incapacità di raccontare del regista o ad una scelta autoriale ben precisa. Però la vicenda prende abbastanza, gli effetti sono ottimi, la curiosità di vedere quello che accadrà sempre presente. Resta davvero difficile spiegarsi perchè le ragazze, nelle due occasioni a disposizione, non uccidano l'aguzzino. Sarà una sorta di Sindrome di Stoccolma, sarà un'umana pietas, sarà quel che sarà ma è davvero particolare.
Tra una insopportabile piagnona giustamente fatta fuori e una scena con testa presa a mazzate strepitosa, si arriva alla fine. O meglio alle due "fini". Prima c'è lui che vuole essere ucciso, probabilmente perchè il suo "gioco" era andato troppo oltre (aveva ucciso lui stesso). Poi c'è il cattivissimo epilogo, beh, guardatelo con gli occhi ben aperti. Voi che l'avete...

( voto 6,5 )

22.11.11

Recensione: "Seul contre tous"

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" Il mondo è cattivo" diceva Justine in Melancholia.
" Il mondo è cattivo" ripete ossessivamente l'uomo solo.
Il mondo è cattivo, siamo tutti soli, non esiste l'amore, non esiste l'amicizia, non esistono gli affetti familiari, gli uomini e le donne sono solo involucri che portano in giro i propri organi genitali.
Odia tutto quest'uomo.. Odia gli uomini, odia il potere, odia le religioni, odia le razze, Seul contre tous, già. Il rapporto con le madri termina con la fine dell'allattamento, quello coi padri è basato solo sul denaro, inizia con i primi soldi prestati e termina con l'eredità. Gli uomini sono tutti froci pronti a prenderlo e metterlo in quel posto. Gli uomini sono tutti opportunisti, menefreghisti e porci. Gli uomini sono tutti tremendamente soli.
Il mondo è cattivo e siccome non c'è un pianeta che verrà a schiantarsi su di noi per salvarci tutti l'uomo che fu macellaio decide di pensarci da solo.
Il mondo è cattivo e lui non non fa che adeguarvisi.
Noè racconta un uomo senza più ideali, senza più morali, senza più sogni. E l'umanità nella quale si muove è anch'essa derelitta, una malata terminale in attesa di quella morte che tanto, alla fine, "non è niente di che", soltanto un corpo ormai freddo e inutile.
" Tutto è nero" rantola la vecchietta prima di morire.
Già, tutto è nero, la vita non è altro che un lungo tunnel di angoscia e infelicità alla fine del quale non si intravede nessuna luce.
E così, novello Hobo with a gun, l'uomo ha deciso che è l'ora di cominciare a chiudere qualche conto, l'ora di vendicarsi, l'ora di dare un senso, per quanto abietto, alla propria esistenza.

ATTENZIONE: avete 30 secondi per abbandonare la recensione.

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 Lui va a trovare sua figlia, quella figlia indesiderata che la società gli ha strappato di dosso una ventina di anni prima. La prende e la porta nell'alberghetto di quart'ordine dove fu concepita. Decide di ucciderla, tanto per lei la morte sarebbe soltanto una liberazione. Prima ci va a letto, poi, PUM, le spara alla gola. Mentre la figlia rantola a terra, mentre la figlia sta crepando in un modo insopportabile, mentre quelle immagini mi scorrono davanti, io penso.
Penso che Seul contre tous sia un film ignobile, senza una minima etica.
Che senso ha infatti ammorbarci per più di un'ora (quasi annoiando) con discorsi sempre uguali, pensieri reiterati, per poi arrivare a un punto così scontato e disgustoso? Non si poteva fare allora un cortometraggio? Perchè concludere questo trattato di nichilismo con un omicidio tanto efferato?
Poi quel fine, quel senso che in quell' interminabile minuto in cui la figlia si contorceva a terra non trovavo incredibilmente arriva.
E non è un senso soltanto prettamente cinematografico (tutto quello che lo precede rende questo momento straordinario e inaspettato).
E' il senso nel suo significato più alto, il Senso della vita.
Quell'abbraccio sulle note di una delle più belle melodie concepite dall'uomo è qualcosa di incredibile.

screen capture of Seul contre Tous

L'ex macellaio non è Hobo. E' una specie di Zeno Cosini. Quell'ultima sigaretta più volte dichiarata non arriverà mai, anzi, respirerà a pieni polmoni il fumo della vita. Tutti i suoi propositi d'incanto non esistono più.
Non esistono più perchè tutte quelle parole vuote che detestava, parole come l'amore, la felicità, la voglia di vivere, d'improvviso si materializzano davanti ai suoi occhi.
Noè va ancora oltre. E' così potente e nuovo l'amore scoperto dall'uomo che non conteranno più le convenzioni e le leggi dell'uomo, non ci sarà più un'etica e una morale universalmente riconosciuta.
Sua figlia diventerà la sua donna perchè solo lui potrà amarla in un modo così grande.
Ma io preferisco tornare a quell'abbraccio, forse la conclusione più degna.
Gaspar, non è vero come scrivi alla fine che ogni uomo ha una morale.
La verità è un'altra.
Ogni uomo ha un cuore.
E c'è soltanto una cosa più bella del sapere di possederlo.
Riscoprirlo.

( voto 9 )

21.11.11

Peliculas para no dormir (3/6) : Adivina quien soy

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Forse è meglio così. Sapevo che c'erano almeno due anelli deboli nella serie dei Film per non dormire spagnoli, e Horror Channel ha pensato bene di spararceli entrambi nella prima terzina. Intendiamoci, Adivina quien soy ( "Indovina chi sono" traduzione letterale, "Real Friend" titolo internazionale e "Amici Veri" quello italiano...) non è certo ai livelli dell'inguardabile La Culpa perchè se non altro non ha le pretese autoriali del film (?) di Serrador.
Tutto è molto più easy, ci si può comunque annoiare, ma almeno non sale la rabbia e l'istinto omicida.
Soggetto semplice e abbastanza accattivante. Una bimba, che ha perso il padre anni prima in circostanze misteriose, è una super appassionata di film horror. La madre è una poottanella, il padre, come detto, non c'è e quindi lei si crea un mondo tutto suo nel quale ha come amici del cuore Leatherface e Il Vampiro. ( per inciso, avere come amico Leatherface dovrebbe essere fighissimo -personalmente stravedo per Faccia di cuoio-). Ma li immagina soltanto o esistono davvero? E Il Vampiro è proprio un vampiro o è qualcun altro? Per gli amanti da balera del twist il twist finale ci sarà.

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Un film che comincia con una bambina che mette in lettore dvd un film noleggiato, perlopiù con una custodia identica alle mie, già parte avvantaggiato. Se poi c'è Leatherface praticamente come attore protagonista (ottima la maschera) gli voglio ancora più bene.Malgrado tutto questo non riesco a dare la sufficienza... Il film non è che non metta paura, non ha proprio gli elementi minimi per farlo. E' un drammatico con venature fantasy o una specie di commedia nera, niente di più. La figura del Vampiro è quasi ridicola, specialmente quando scopriamo quale sia la sua reale identità. Magari a questo punto si poteva tentare con più forza la via introspettiva, curare il più possibile l'empatia con la piccola protagonista. Anche se i film sono completamente diversi, vuoi per trama, per sviluppi e per livello, la mente va inevitabilmente all'immenso Il Labirinto del Fauno. Il confronto è impietoso. Buono qualche make up, convincenti le due attrici protagoniste e poco altro. Riguardo il colpo di scena finale, per me inaspettato, non mi rendo conto se sia un valore aggiunto o esattamente il contrario, una cosa che si poteva evitare.
Vabbeh, la chiudo qui, non mi ispira nè in senso positivo nè negativo. E poi ho un pc provvisorio col quale scrivere è degno di Sisifo.
Alla prossima.

( voto 5,5 )

18.11.11

Recensione: "La Banda"

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Il pullman riparte.
Lascia a terra 8 omini tutti vestiti allo stesso modo, completo celestino e cappello d'ordinanza.
Ognuno ha poggiato accanto ai propri piedi un trolley e una custodia. Otto diverse custodie, alcune grandi come quelle di un violoncello, altre piccole come quelle di un flauto. E proprio quello contengono effettivamente le otto custodie, violoncelli, trombe, clarinetti, flauti. Perchè gli 8 omini tutti vestiti uguali sono la banda musicale della Polizia di Alessandria d' Egitto, mica de Casal Palocco.
Hanno un concerto il giorno dopo a Bet Hatikva, un concerto importante, un punto d'incontro tra l'Egitto musulmano e Israele. Non c'è nessuno ad attenderli però, come mai? E sto deserto, sta cittadina fantasma che cos'è? Aspè, Bet Hatikva... oddio, vuoi vedere che era Petah Tikva?
I pullman che passano a Bet Hatikva e portano a Petah Tikva sono limitati, anzi, diciamo che ce n'è soltanto uno, o meglio, diciamo che ce n' ERA soltanto uno, quello da cui sono appena scesi. Non resta che passare la notte in questo deserto, in questa cittadina fantasma. Non resta che passarla a casa di qualche israeliano dal cuore d'oro.

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Film dolcissimo, tenero, misurato, profondo con, tra l'altro, un cast di un livello straordinario, su tutti l'attore che interpreta il Generale (una specie di nostro Tirabassi con 20 anni in più) e la bellissima donna israeliana.. Il registro è quasi quello della commedia, una commedia intesa un pò alla Kusturica per capirsi.
Il film non ha la presunzione di raccontare la questione israeliana attraverso la metafora di una piccola vicenda. Chi vede questo in La Banda sbaglia, e sbaglia di grosso. Perchè questo piccolo film racconta soltanto delle microscopiche dinamiche emozionali, racconta della tristezza e della felicità, dell'amore e del ricordo, del senso di colpa e della speranza. Racconta come l'umanità a volte, anche a fronte di differenze religiose assassine, può riuscire a passare la nuttata insieme, raccontandosi le proprie debolezze, chiedendo conforto nelle braccia altrui, aiutandosi a vicenda. E così il bel trombettista può insegnare l'arte di amare e sedurre all'impacciato e bruttino israeliano (in una scena divertentissima), e così altri tre componenti della banda possono superare disagi e differenze culturali attraverso la magia della musica, e così il generale può passare una notte magnifica con la bellissima israeliana che lo ospita. Lei forse vorrebbe l'amore, quell'amore sognante nascosto tra la magia della lingua araba o nei film egiziani, o forse vorrebbe soltanto una notte di sesso ma lui no, personaggio dalla dignità incredibile e dall'immensa carica malinconica resterà nel suo guscio almeno fino a quando la notte non gli porterà consiglio e un senso di colpa sempre sopito tornerà violentemente fuori. E nella scena madre del film, una scena che può probabilmente restar nascosta e passare inosservata, il generale ha un gesto distensivo verso il giovane trombettista ribelle perchè è questo che avrebbe dovuto fare con suo figlio. Giovane, fai la tua vita, divertiti, fai tutto quello che la tua età ti permette di fare. E prenditi questa donna, io sono vecchio, stanco e triste. Sono 5 minuti di un'intensità pazzesca.

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E così, tra un ragazzo che sente il mare nelle orecchie, un musicista che intuisce la chiusura del suo Concerto nella stupida melodia di un ninnolo per bambini e un Generale e una Donna che in poche ore scoprono di loro stessi più di quanto abbiano fatto in una vita intera, si arriva alla fine.
Il piccolo concerto si farà. A Petah Tikva ovviamente.
Come in Pranzo di Ferragosto ci si può annoiare, dire che il film parla di nulla, affermare che alla fin dei conti non accade niente. Bisogenerebbe capire però che è vero l'esatto contrario, il nulla sono i robottoni, le macchine supersoniche, gli zombie e i pirati fantasma. Sono nulla perchè non appartengono alla nostra vita. Questi film raccontano invece di noi, delle nostre umili esistenze e delle nostre piccole emozioni. Possono non piacere, annoiare o farci restare indifferenti ma se parlano del nulla, allora il nulla siamo noi.

( voto 8 )

14.11.11

Peliculas para no dormir (2/6): La Culpa


Dal Latino:

Orior: nascere, sorgere
Ab: particella privativa o negativa
Aborior: non nascere, morire prima di nascere
Abortus: participio passato
No, dico, almeno la recensione di questo aborto di film sull'aborto serve come minimo a qualcosa.
Eppure dovevo aspettarmelo.
Le Peliculas para no dormir trasmesse in queste settimane da Horror Channel dovevano avere certamente un progetto dietro. E cosa si fa in questi casi? Si mette il miglior esponente (o uno dei migliori) come primo episodio per attirare il pubblico a proseguire la rassegna, poi si infila l'anello debole alla seconda puntata che tanto non dovrebbe far danni e poi si comincia a risalire lasciando il best come utlimo o penultimo appuntamento.
Serrador è un regista prettamente televisivo, guardate la carriera su Imdb e non troverete praticamente un film che sia uno. Primo indizio.
Serrador è del 1935. Secondo indizio.
Serrador ha un cognome che nun se pò sentì. Terzo indizio.
Non poteva che venirne fuori un film televisivo, vecchio e che nun se pò vedè.
La Culpa narra le vicende di una ragazza che va a far da assistente a una ginecologa abortista. La stessa ragazza una volta rimasta incinta si sottoporrà, senza alcun motivo apparente, alle cure speciali del medico.

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Una noia... Non è tanto l'aver a che fare con un film piatto, noioso e tremendamente vecchio nella messa in scena (dalla fotografia alla recitazione, dalle musiche alle location), così vecchio che pare di assistere a uno degli sceneggiati tedeschi anni 80, no, quello che fa rabbia in La Culpa è l'assoluta pretesa autoriale, il tentativo di Serrador di affrontare il tema del diritto alla vita in un modo talmente confuso e banale da rasentare l'idiozia. E quello che fa ancora più rabbia è l'aprire 3,4 parentesi inutili, completamente inutili, che come inutilità insegna, non portano assolutamente a nulla.
Ma chi cazzè quella Cristina continuamente nominata? Sembra Voldemort, al solo pronunciare il suo nome tutti rabbriviscono. Non avrete una minima risposta.
Ma che cazzè quella stanza che sembra una location argentiana dietro la famigerata porta sulle scale? A cosa serve? Non avrete risposta.
Ma cosa significa il film? Il finale ci suggerisce (attenzione, SPOILER, leggete almeno vi togliete la tentazione di guardare il film) un'immedesimazione della madre con il feto, un senso di culpa per non aver procreato che l'ha portata a diventare un feto assassino. A posteriori raggiunge un potere comico strepitoso la scena dei barattoli sulla credenza. La ragazza si era forse nascosta dentro una scatola di pelati?
Probabilmente quando De la Iglesia ha mandato il progetto a Serrador, un correttore di bozze malandrino (come il protagonista dello splendido saramaghiano Storia dell'assedio di Lisbona) ha semplicemente cancellato una parolina.
Peliculas para dormir avrà letto Serrador
Beh, in questo caso ha fatto un capolavoro.

( voto 4 )

11.11.11

Recensione: "Fantozzi"


Ogni tanto mi chiedo com'è possibile che abbia scritto più di 230 recensioni e vi siano soltanto 2 commedie (di cui una vista tra l'altro perchè riguarda il mio lavoro, Be Kind Rewind).
I motivi principali sono sostanzialmente quattro:

1 l' 80% della distribuzione punta sulle commedie sentimentali, vera e propria mia kriptonite
2 il 20% che resta, quello affidato al comico più becero, meno sceneggiato e più "gag-gato" è affidato a comici beceri che non mi piacciono.
3 non che non mi piaccia divertirmi con i film (lo sapete...), ma orami per me la nuova frontiera del film comico sono gli horror pane e salame, specie se col pane rancido e il salame cotto al sole.
4 perchè dopo Fantozzi niente potrà mai lontanamente avvicinarglisi.

Io odio Villaggio nel profondo del cuore e amo Fantozzi nel profondo dell'anima. Non sono un fantozziano incallito, uno di quelli che ricordano cosa accadeva in ogni episodio, ma sono comunque uno che guardandolo non ce la fa a smettere di ridere. Probabilmente mi servirebbe uno psicologo per capire perchè, visto che accanto a gag geniali ce ne sono altre veramente banalotte in cui rido lo stesso. Lo psicologo costa troppo quindi faccio un viaggio astrale alla Insidious e mi autoanalizzo stando contemporaneamente nel lettino e nella poltrona a fianco.

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" Giuseppe, cosa c'è che la fa ridere in una persona sfigata che sbatte la testa in una statua di bronzo?"
" Non lo so dottore, probabilmente quella persona sfigata mi ricorda i tempi che furono, mi ricorda quando mi arrampicavo sugli alberi e mettevo in bocca il Vicks per il naso. Quello che ti fa ridere a crepapelle a 12 anni ti fa ridere anche a 33, forse solo per solidarietà verso te stesso. Lei poi dottore lo sa meglio di me"
" Assolutamente Giuseppe. Però dovresti capire perchè una stessa situation comedy ripetuta ai giorni nostri non ti farebbe ridere come capitava e capita ancora con Fantozzi"
" Aspetti dottore. Intanto se una stessa situation comedy fosse ripetuta ora è comunque sempre una ripetizione, una copia. E poi la magia di Fantozzi stava nel personaggio stesso, una caratterizzazione incredibile, a 360°. Di Fantozzi sapevi tutto, da come andava al bagno a come avrebbe reagito alla vista della figlia, da come sarebbe stato trattato in ufficio a quello che sarebbe successo nelle gag con Filini . Dai, son personaggi che non esistono più, c'è poco da fare."
" Sì, può essere, ma non credi che un'ora e 40 di sfiga continua, di umiliazioni, di vessazioni, alla fine stanchi un pò?"
" Si sbaglia dottore. Fantozzi sa reagire, non è solo un Bambocci. Fantozzi ci insegna che anche la persona più stupida, sfigata e zerbino del mondo quando viene colpita nell'orgoglio e negli affetti (anche se questi apparentemente li scansa lui stesso) trova il coraggio e la forza di reagire. Guardi la scena di Mariangela trattata come una scimmia, o quella magnifica della partita a biliardo, o la corazzata Potemkin nel secondo capitolo. Non sottovalutare quelle scene. Non è tutto fuffa e tranvate in testa in Fantozzi, ci sono pochi momenti di sentimento che funzionano alla grande. Certo poi la forza maggiore resta sempre quella di scene come la partita di calcio, la clinica per dimagrire, il capodanno etc... ma non creda che sia un film così stupido"
" Me ne sta parlando come se fosse un capolavoro della cinematografia mondiale, suvvia..."
" No, in effetti non lo è. Io ad esempio non sopporto la tanto amata voce-off e devo ammettere che i momenti di stanca non mancano. Se unissimo però in un solo film tutti i momenti migliori dei vari episodi allora capolavoro sarebbe quasi riduttivo."
" Giuseppe, non credo ce lei possa guarire mai da questa malattia, mi dispiace"
" Dottore, io non voglio guarire da questa malattia, se possibile vorrei quasi morirne. E poi lei non è un dottore, lei sono io, ho fatto semplicemente un viaggio astrale, non se la tiri troppo"
" Vorrei per cortesia esser pagato lo stesso"

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E così tiro fuori 50 euro, mi alzo e li passo da una mano all'altra.
Esco fuori in questa bellissima giornata di sole sperando che questa scena, che so, magari in un Fantozzi ci poteva stare.
Esco fuori in questa bellissima giornata di sole sperando che a un certo punto la veda arrivare.
La nuvoletta dell'impiegato.
E tipo Tim Robbins in Le ali della libertà mi bagnerei di felicità sotto di essa.

( voto 8,5 )

8.11.11

Recensione "Komodo" - Gli Abomini di serie Z (14)




"Mi metto comodo a vedere Komodo"

Un bicchiere di Coca nel comodino
pronto a vedè sto bell' horrorino
Appare il komodino e fa tenerezza.
Poi il komodone mi mette tristezza.
Mi accomodo poi sulla poltrona
quasi m' abbiocco per una buon'ora
poi come Dino mi tuffo alla Zoff
sul comodino per poco m'affoss
"Do cazzo sei telecomandino?
tanto vorrei averti vicino"
poi lo trovo, lo punto e premendo
me levo dalle palle sta specie de scempio
li mortacci sua, al Komodo e al Komodino
l'avessi saputo avrei fatto un panino.
Sempre meglio, per salì de 'n par d'etti,
du salsicce che gonfiasse i suddetti
Anche perchè, l'avessi terminato
non certo di etti avremmo parlato
ma du palle gonfie come un melone
m'avrebbe fatto venì il Komodone.
Ora è meglio che qualcuno l'avverte
a sto brutto biscione, sta specie de serpe
che manco pe sbaglio me venisse vicino
altrimenti la fine fa del grissino
Ho saputo che c'han fatto pure 'l 2 e 'l 3
che manco pe scommessa m'avventuro a vedè.
Me basta già na frattura, 'n bel dolorino
pe esseme tuffato sul comodino

( voto 2 )

7.11.11

Peliculas para no dormir (1/6): Para entrar a vivir

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contiene lievi spoiler
Nel 2006 un gruppetto formato dai più importanti giovani registi horror spagnoli -tra i quali De la Iglesia e Balaguerò- crearono per la tv una specie di Masters of Horror al gusto di paella, le Peliculas para no dormir (credo non ci sia bisogno di traduzione). Il quasi sempre inutile canale di Sky, Horror Channel (l'ex Fantasy), per una volta offre qualcosa di interessante e mette in programmazione proprio l'episodio di Balaguerò -quello che più avrei voluto vedere- l'interessantissimo Para entrar a vivir (espressione riferita alle case in affitto già pronte per vivere).
In effetti la trama parla dell'inferno vissuto da una giovane coppia andata a visionare una casa da affittare. Pensavano di poter scegliere, invece no, la casa era ormai la loro, inutile discutere...
Sono contento di aver visto questo film perchè mi permette di tornare su un argomento in parte già affrontato con Insidious. L'Horror ben fatto non deve permetterti di pensare. O la storia narrata è così ben strutturata e solida che pur "impegnandoti" non riesci a trovar falle, oppure è così densa l'atmosfera e così tesa la suspense che non riesci proprio a pensare ad altro. Per un motivo o per l'altro comunque il diktat è sempre quello: vietato pensare, perchè pensare nell'horror porta quasi sempre alla rovina...
Ora, perchè non sono riuscito a farmi piacere fino in fondo Para entrar a vivir? Perchè sin dall'inizio ho pensato che il personaggio cardine del'intero film, la pazza affittuaria, non sia stato affatto credibile. E non parlo solo di plot o di verosimiglianza delle vicende ma anche di faccia. Sì, di faccia. Se fate una rapida carrellata mentale dei vostri horror preferiti vedrete che in quasi nella maggior parte dei casi la scelta degli attori o delle maschere dei "mostri" (Leatherface, Jason and co.) è determinante. Se il cattivo di turno non ha appeal (o almeno non lo ha per voi), tutto quello che succede è tremedamente annacquato.

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Balaguerò gira il film un anno prima dell'indimenticabile Rec. Ed già è presente quello che, a mio parere, è il punto di forza del capolavoro firmato insieme a Plaza, il palazzo. Anche Para entrar a vivir infatti si svolge completamente all'interno di un edificio, tra l'altro cinematograficamente splendido. Balaguerò usa gli spazi ed i luoghi in un modo magnifico, li circoscrive al massimo per far sì che lo spettatore si ritrovi sempre più dentro al film, sappia dove portano quelle scale, cosa c'è dietro quella porta etc.... Come sempre il livello degli attori (una costante di cui ho già parlato in precedenza riguardo l'horror europeo) è ottimo. Anche l'atmosfera è vincente, tesa e malata allo stesso punto. Il film va via che è una bellezza, la paura se ne sta magari su un angolino ma una certa aria di inquietitudine certo non manca. Se non fosse, almeno per me, per il cattivo. A me pare impossibile che una signora gracilina sia riuscita a far quello che ha fatto ( non solo a loro...). Il marito della coppia fa una figura davvero grama in qualsiasi corpo a corpo con la suddetta. Tra l'altro ci sono 3,4 momenti in cui anche un obiettore di coscienza come me l'avrebbe accoppata con una facilità disarmante... Come faccio a godere al massimo di un'ottima pellicola se mi ritrovo continuamente a dire "com'è possibile?". Mannaggia, me l'ha quasi rovinato.
Rimane un horror altamente consigliato, visione quasi obbligata per gli amanti del genere. Se mai ce ne fosse ancora bisogno dimostra come qualsiasi produzione europea, anche televisiva come questa, sia superiore al titolo di punta americano dell'anno. Ogni riferimento a Insidious è puramente casuale.

4.11.11

Recensione: "Scannati Vivi"

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Credo che un film più assurdo di questo potrebbe essere soltanto uno che abbia per protagonisti... che so...fatemi pensare... un culturista senza testa... un uomo con un cervello grosso come una poltrona... un nano che tira piatti, non vabbeh, questo è troppo una cazzata forse.. poi... uno con con la pelle tipo da anfibio e una tagliola al posto della bocca e poi... no basta, già quelli che ho inventato sono tutti personaggi troppo insensati.
Cosa dite? Questi sono proprio i personaggi di Scannati Vivi? Cazzo, è vero, quel folle del regista mi ha rubato l'idea!
Bisogna poprio avere il cervello piccolo come una pallina da calciobalilla o uno grosso come una poltrona per poter soltanto pensare a un film del genere. Impossibile dare un qualsiasi giudizio: disastroso, insopportabile, allucinante oppure geniale, entusiasmante, spettacolare, qualsiasi aggettivo usiate difficilmente sbaglierete.
Perchè Scannati Vivi è un delirio alla massima potenza, è un film che mischia il Lynch di Eraserhead, lo Svankmajer di qualsiasi film di Svankmajer e il Freaks di Browning riuscendo a fonderli in una trashata senza fine.

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No, dico, c'è un nano che tira piatti mica ogni tanto, SEMPRE. E' in macchina e tira i piatti, è felice e tira i piatti, è triste su un angolino e tira i piatti, vuole uccidere la gente tirando i piatti, finisce le scorte di piatti e per difendersi tira fuori un piatto da sotto terra e lo lancia. Plate il suo nome, e te credo....
Aspetta, torniamo al film. Per dare un riferimento accessibile ai più diciamo che è un Non aprite quella porta in cui cambia solo la famiglia degli scemi, ma questa è talmente allucinante che in confronto quella del buon Leatherface sembra una borghese, bigotta e tradizionalista. E senza nano per giunta.
Le scene cult (anche se i momenti di stanca non mancano) sono una marea. Non c'è un singolo momento che possa risultare credibile, dalla famiglia che accetta un invito a cena in una casa che sembra un tunnel del'orrore al bambino che urla "mancato!" all'uomo con la tagliola per poi un secondo dopo trovarsi aperto in due come una mela; dalla comitiva di vecchi riders decrepiti che beve entusiasta il fondaccio del caffè alla ragazza sequestrata che va a fare una scampagnata in spiaggia col macrocefalo ma decide chissà perchè di non scappare o chiedere aiuto.
Inseguimenti patetici, luce che cambia di inquadratura in inquadratura, successione degli eventi affidata al pallottoliere, attori talmente macchiette che il Dixan gli fa na sega.

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Ma anche tanto divertimento, la sensazione di trovarsi davanti a un genio che gioca a fare lo stupido e anche una punta di malinconia nel personaggio del cervellone (vedere la scena dei dadi-alfabeto che gli escono dalla testa).
Quando poi il nano diventa un nano scespiraino e prima di sferrare la piattata finale nel volto del malcapitato sotto di lui, comincia a decantare l' "Elegia del Piatto" :
" Conosci l'amato smalto, la porcellana? Sono come una visione. Ogni molecola è un'individuo, come me. Ma quando li unisci la struttura prende forma , un recipiente circolare per distribuire nutrimento organico. Noi come questo piatto aumentiamo di forza coi numeri, prosperiamo in un ambiente popoloso, finchè un giorno..."
quando poi il malcapitato sotto di lui lo interrompe e gli dice: "ma di che cazzo stai parlando?" noi per un secondo vogliamo tanto bene al malcapitato sotto di lui perchè lettera per lettera, sillaba per sillaba, parola per parola avremmo voluto dire quella frase al posto suo.

( voto 2, o forse 10, facciamo 7 )

2.11.11

Recensione: "Rosso come il cielo"

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Mirco Mencacci ha 10 anni e un amore per il cinema grande così quando inaspettatamente incontra il suo Destino. Il fucile del padre è lassù in alto, Mirco è incuriosito. E' facile cadere da una sedia a quell'età ma un conto è rompere il vasetto della marmellata, un altro venir colpiti in viso dai pallettoni esplosi dal fucile caduto.
Mirco Mencacci ha 10 anni. E non vedrà mai più.
Mirco Mencacci non è un nome di fantasia ma quello di uno dei migliori montatori del suono nel cinema italiano. Questa è la sua meravigliosa storia.
La sfortuna di Rosso come il cielo è l'esser stato girato nel 2005 anzichè nel 1946 altrimento parleremmo di un nuovo Sciuscià. E Cristiano Bortone non è (ancora) diventato Giuseppe Tornatore altrimenti parleremmo di un altro Nuovo Cinema Paradiso. Perchè questo è un piccolo capolavoro, inutile girarci intorno.
E se la scuola italiana credesse soltanto un filino di più al cinema questa sarebbe una delle visioni obbligatorie, imprescindibili.
Perchè è un film che insegna molto di più di un ermo colle imparato freddamente a memoria.
Insegna che l'handicap a volte non è una mancanza, una privazione, ma un valore aggiunto, un dono. Mirco quasi se ne frega della vista perchè conosce la bellezza dei suoni e in questo senso il non vederci più diventa soltanto un ulteriore stimolo a scoprirne la magia.




 Il primo "montaggio" che crea oltre a dimostrare empiricamente quello che è un talento immenso è anche la prova che l'handicap può esser superato, quasi sublimato nell' arte.
Perchè l'arte, la creatività, e questo è il secondo insegnamento del film, sono istinti che non possono, non devono essere ingabbiati, trattenuti. La scuola per ciechi dove Mirco, suo malgrado, è costretto a stare (per una legge dell'epoca i ciechi non potevano studiare in scuole normali) rappresenta quel mostro burocratico ed istituzionale che in nome delle regole, della forma e della tradizione vieta a qualsiasi ragazzo di esprimere al meglio le proprie inclinazioni, i propri talenti, o semplicemente impedisce loro un naturale desiderio di vivere una vita normale. In questo senso la recita "istituzionale" poi modificata in quella del meraviglioso finale non poteva essere scelta più bella ed originale per trattare questa tematica.


Ma Rosso come il cielo ci parla anche dell'amicizia e di come questa possa portare a risultati straordinari, individuali quanto collettivi. Quando i ragazzini dell'istituto (un gruppo di giovani attori incredibile, quasi tutti veri ciechi) riescono, grazie a Mirko, ad innamorarsi del Cinema e della magia dei suoni, scopriranno quella felicità che per anni era repressa nei rigidi protocolli della scuola. Perchè fare le cose insieme, collaborare, creare, divertirsi e giocare  porta nei bambini a risultati che noi adulti non abbiamo la benchè minima possibilità di ottenere. L'unica cosa che dobbiamo fare è permettergli tutto questo, aiutarli. E in questo senso spicca nel film la figura dello straordinario insegnante, uno di quegli adulti notevoli che ogni bambino dovrebbe aver la fortuna di incontrare nel proprio cammino di vita. (in questo senso il film mi ha ricordato anche lo splendido Les Choristes).
E sottotraccia il film è anche un grande omaggio al Cinema nel suo senso primario, quello della lanterna magica, quello delle emozioni, quello dei rumori, quello che sa ancora sorprendere e far sognare, quello che, ahimè, soltanto un bambino può "vivere".



Un film che non cerca mai la lacrima facile o il pietismo ma che, al contrario, attraverso la speranza, la gioia di vivere, l'ottimismo, il lieto fine, ci porta più volte anche a divertirci.
Che dire della sceneggiatura? Prima scena: bimbi che giocano a mosca cieca. Seconda: Mirco al cinema col padre. Terza: Mirco con forbici e nastro che ripara una biglia. In 3 pennellate c'è tutta quella che sarà la sua vita: montatore del suono non vedente. E' una scrittura che trasuda dolcezza, tenerezza, sobrietà e amore per il proprio lavoro.
E soltanto una scrittura così può portare alla scena capolavoro della recita finale, una scena simbolo di tutto quello che abbiamo detto finora: l'esaltazione della creatività, il rifiuto delle regole, il valore dell'amicizia, il superamento dell'handicap, l'omaggio al cinema. E anch'io, come gli spettatori della recita, ho preferito "vederla" con gli occhi chiusi.
Per due motivi.
Apprezzarla di più.
Trattenere le lacrime.
Poi ho riaperto gli occhi e quello che trattenevo è uscito fuori.
E ridestandomi da quel magnifico buio, uscendone fuori, sono io quello ad essermi sentito handicappato.

( voto 9 )