29.5.18

Recensione: "Dark" - Le Serie tv de Il buio in sala

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Una grande serie tedesca che prende il meglio da tante altre produzioni, da Lost a It, da Les Revenants a Twin Peaks, e ci racconta la storia di una cittadina dove, ciclicamente, accadono cose terribili.
Fantascienza cerebrale, loop temporali, collassi di epoche. Ma anche una serie di luoghi, di volti, di segreti, di domande e di risposte impossibili.
Bellissima

presenti spoiler

Mamma mia che casino...
Parto con una curiosità e una convinzione.
La curiosità è che mentre vedevo Dark m'era venuto in mente un film che avevo visto non da tanto, The Silence (che, altra coincidenza, è un film a cui sono molto legato).
Vedo la storia di questi bambini scomparsi, di due temporalità, del paesino. E so che la serie, come anche quel film, è tedesca. Ieri mattina, quando ancora mi mancavano due puntate -viste poi la sera- sono andato a vedere chi fosse il regista di Dark.
Ed era quello di The Silence, incredibile. Un brivido freddo lungo la schiena.
Ora non dico a tutti di andarsi a vedere quel film, primo perchè so che tra tutti quelli che hanno visto Dark un buon 70% sono amanti quasi esclusivamente di serie tv, l'altra perchè pur con un soggetto iniziale molto simile (dei bambini scomparsi e uccisi in diverse temporalità) le due opere non hanno niente in comune (a parte alcune inquadrature, splendide, come le stradine che attraversano campi e boschi), visto che dove una è una serie tv di fantascienza molto complessa l'altro è invece un essiccato drammatico thriller di grande dolore e verosimiglianza.
Ora la convinzione. 
Sono sicuro che il regista abbia visto Lost (di cui Dark riprende il 50% del suo materiale, inutile a negarlo. Poi ce sarà anche gente che dirà che Dark è superiore. Vi dico da adesso che manco me interessa affrontà la questione, va bene così).
Ed è innegabile come Dark riprenda quasi fedelmente una delle puntate storiche di Lost, ovvero L'Incidente.
Tutti i collassi temporali, tutto il discorso sulla possibilità o no di cambiare il futuro, addirittura il discorso che è il futuro che può condizionare il passato e non viceversa e, come firma finale, anche qua "l'incidente", ovvero lo scoppio alla centrale nucleare.
Anzi, proprio il finale di Dark, con quel tentativo dello Jonas adulto di far terminare tutto nella grotta ci viene detto che, invece, sarà proprio ciò che farà cominciare tutto. Come L'Incidente, anche qua.
Ed è impossibile non richiamare la Dharma quando vedi alcune comportamenti e segreti della centrale nucleare.
Oppure la botola...
Ma del resto Dark è una serie molto citazionista, una splendida opera che ha saputo prendere il meglio da tante cose.

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C'è molto di It, moltissimo, vedi la caverna stile Barren, il fatto che ciclicamente (su It mi pare ogni 27 anni, qui 33) accada qualcosa di terribile nella cittadina (con bambini protagonisti) fino ad arrivare ad omaggi espliciti come l'accappatoio giallo.
Ma c'è anche sentore della bella Les Revenants, serie francese anch'essa ambientata in un paesino dove passato e presente, morte e vita, si confondevano.
E c'è Twin Peaks nell'atmosfera generale, in questo paese di silenzi e segreti, dove dei fatti di cronaca nera creano un manto gigantesco sulla cittadina.
Di Twin Peaks io c'ho visto anche questo dare spazio a dei luoghi simbolo, tanto da creare piccoli microcosmi. Qua c'è la stazione di polizia, la piccola baita, l'hotel quasi abbandonato, la centrale, il bosco. Insomma, quasi delle location autonome che diventano esse stesse personaggi.

24.5.18

I Corti de Il Buio in Sala - 19 - Tre proposte di "amici - "Canti della Forca" - "Selvaggio Deserto" - "Sete rimane Sete"




CANTI DELLA FORCA

Avevamo già incontrato Stefano Bessoni agli albori del blog con l'imperfetto ma tanto tanto umile e pieno d'amore per il proprio lavoro Imago Mortis.
E ora dopo circa 7,8 anni, su segnalazione del grande amico Tommaso Ferrero (se ho capito bene allievo di Bessoni) ritrovo un autore che, ancora una volta, mi trasmette una grandissima passione e un amore sconfinato per le cose che fa.
Canti della Forca è un ibrido tra la stop motion e il live action, un'opera fortemente metacinematografica perchè racconta e mostra anche tutta la parte creativa (la lettura, la scrittura, il disegno dei personaggi).
In questo mi ha ricordato anche un certo Nichetti.
Una specie fiaba gotica che, ovviamente, ricorda tanto Burton o altri esponenti recenti di tale tecnica (penso a Boxtrolls).
Disegni bellissimi, pupazzi lo stesso, filastrocche orecchiabili e piacevolissime.
E' il racconto di alcuni strambi personaggi, accomunati dall'esser stati impiccati.

Musiche originali notevolissime e un finale molto malinconico che al tempo stesso pare un voler raccontare il diventare tutt'uno con i propri personaggi ma, fors'anche, una triste metafora della condizione di alcuni tipi di artisti, come Bessoni




SELVAGGIO DESERTO

Indovinate di chi è questo corto?
Nientepopodimeno che del grande Giorgio Neri, il curatore in questo blog della rubrica malata Boarding House.
E solo così, estreamamente malato, poteva esse il suo corto.
Lui lo definisce il trait d'union tra il vecchio e il nuovo Maniac (vedere la citazione del nome dell'attore...).
Quello che è certo è che Giorgio omaggia quel mondo che, forse, nessuno conosce bene come lui in Italia. Un corto che ritrae una persona disturbata, un degrado fisico, ambientale e morale, un misogino in preda ai suo vaneggianti e violentissimi attacchi contro le donne (voice oggi notevole).
Giorgio alterna molte immagini statiche, molti dettagli a qualche movimento di macchina più mosso. Tutto quello che vedrete ricorda tantissimo i film visti da Giorgio, il suo background.
Un film di solitudine, malattia, buio esterno ed interno.
Con una sequenza finale secondo me riuscitissima, questo mix tra la quotidianità del vivere e il "pensiero laterale" dell'omicidio

Bravo amico

(ma nella realtà non sei così vero?)





SETE RIMANE SETE

Bellissimo.
Diretto (insieme ad altri) dall'amico Nicola Pertino, Sete Rimane Sete è un piccolo viaggio esistenziale di straordinaria forza visiva e, forse a causa di alcune vicende personali, di grandissimo impatto per me.
La fine di un amore non accettato, la voice off di una donna che manda messaggi vocali a lui che non c'è più.
Tutto questo sopra immagini di qualcosa che ormai è finito, deserti, scheletri, scogliere spoglie, polvere, ruggine, tronchi d'albero mangiati da formiche, edifici distrutti, detriti, ruderi, vetri rotti, muri scrostati, fratture nel suolo.
Un'incredibile sequela di immagini di abbandono, di resti di qualcosa che ora non c'è più, di piccola morte.
Un film che è un sommesso ma perentorio e deciso grido d'amore, un non accettare l'abbandono, un sentirsi prosciugati come un frigo spento lasciato a perder acqua.

"Vaffanculo te e la libertà"
Stupendo









22.5.18

Recensione: "Kaili Blues"




Un'opera d'arte di un 26enne cinese.
Un film apparentemente lineare, povero e monotono che nasconde invece un'incredibile, vorticoso, onirico viaggio nello spazio e nel tempo.
Con un piano sequenza di 41 minuti che per realizzazione e significato piomba di diritto nella storia recente del cinema.
Un film facile e inutile se non avete voglia di faticarci dentro, bellissimo e unico se proverete a farlo

disponibile nel Guardaroba de Il buio in sala

 Qualcosa che non avevo mai visto prima.
Se in questo momento mi chiedeste di consigliarvi un film tipo Kaili Blues probabilmente direi che non ne esistono. In realtà sì, e l'avrò pure visto qualcuno, ma al momento ho questa sensazione, l'esser davanti a qualcosa di unico.
Sarà difficilissimo spiegarmi, ma ci provo.
Innanzitutto credo che poche volte come in questo caso sia assolutamente necessaria una seconda visione (io, ammetto, due-tre scene me le sono riviste). Perchè a me stanno venendo ogni 5 minuti nuove interpretazioni, nuove suggestioni e, sono sicuro, una seconda visione mi permetterebbe di confermarne tante (evviva! sono intelligentissimo!), smentirne altre (nooo, avevo proprio pensato una cazzata) e magari tirarne fuori altre ancora (e che palle, c'era anche questo?).

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In realtà Kaili Blues è un film apparentemente facilissimo.
E' un film che dipende TOTALMENTE dallo spettatore. Se volete limitarvi alla superficie non troverete praticamente niente, se non un'opera fortemente realista (anche se con un paio di inserti strani e surreali) e dalla trama monotona e banale.
Se invece avrete voglia di andare oltre, se avrete voglia di concentrarvi in ogni nome che viene detto, in ogni gesto compiuto, in ogni oggetto che ricompare e in ogni tragitto fatto dai personaggi, beh, allora vi troverete davanti un gioiello.
Siamo in una remota regione cinese, in un'ambientazione che pare uscita più dai libri di Dostoevskj e Gogol che dall'Oriente.
Ambienti poverissimi, degradati, essenziali, cantieri o edifici non terminati ovunque (ma del resto il non terminato, il non funzionante, sarà fil rouge).
Lo stesso studio medico dove lavora il nostro protagonista è una bettola sporca e non accogliente.
Questo protagonista, Chen, ha un fratellastro fancazzista, giocatore d'azzardo e sfaticato. E' padre però, di un bimbo vitale e un filo strano, Weiwei.
Un giorno Chen scopre che il suo fratellastro ha venduto il figlio. Parte allora per cercarlo. A quel punto anche la sua collega, un anzianissimo medico, gli chiede di andare a cercare il suo vecchio amante -che dovrebbe essere nello stesso paese dove il bambino è stato venduto- per consegnargli alcuni oggetti.
Chen parte quindi per una doppia ricerca.
Alla regia un 26enne.
E quello che questo 26enne è riuscito a creare è un qualcosa di una sensibilità di sguardo, di mano e d'intelletto davvero paurose.
Un film colto, difficile che si mostra come un qualcosa di basico e spoglio.
E invece Kaili Blues è un film dove ogni inquadratura, ogni oggetto, ogni frase, dovrebbe essere materia di analisi e di studio.
Dalla prima sequenza con quella tosse che diventa luce intermittente all'ultima.
Un film dalla regia pazzesca che porterà a 41 minuti che, personalmente, potrebbero essere i 40 minuti migliori di questo anno cinematografico.
In realtà per quasi tutta la prima ora lo spettatore più volte si perde tra nomi e fatti, più volte si annoia, più volte ha la sensazione che sto film non vada mai avanti.
Seguiamo questi due fratelli, alcune piccole scene nello studio medico, qualche altra col bambino presente ma niente di più.

19.5.18

Recensione: "Dogman"

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L'ultimo Garrone è, ancora una volta, un grande film, forse grandissimo.

In un litorale romano grigio e spento vivono il mite e buono Marcello, toelettatore di cani, e l'ex pugile Simoncino, un omone arrogante che tiene sotto scacco l'intero quartiere.
Una vicenda umana e sociale, il racconto di un debole che arriva al suo punto di rottura.

Fotografia, recitazione e costruzione delle scene da cinema altissimo.
Forse unica piccola pecca una sceneggiatura priva di guizzi.
Ma, insomma, ce ne fossero.

Credo di aver recensito solo 3 film, su 1250, con "cane" nel titolo.
Con una percentuale dello 0,1% sono incredibilmente stati consecutivi, L'isola dei cani e Dogman (tra l'altro il terzo, Dogville, a differenza di questi due coi cani non c'entra nulla).
Ma la cosa più assurda e che preferisco non "leggere" è che tra questi due film, in mezzo a loro, se ne sia andata Miele.
Non ho parole

Nel 1990 un tassidermista nano, Domenico Semeraro, viene ucciso dal suo protetto, un ragazzo che aveva preso a bottega e di cui si era invaghito. Tra i due c'era un rapporto morboso, diventato ancora più morboso e delicato quando Armando Lovaglio -il ragazzo- conobbe Michela, una bella e spigliata ragazza di cui si innamorò.
Al nano quella ragazza non piaceva, era un fastidioso impedimento al suo rapporto con Armando.
Fatto sta che un giorno i due ragazzi uccidono il nano per liberarsene.
Da quel film Matteo Garrone trasse L'Imbalsamatore, vera e propria pietra miliare del noir italiano.
Se volete saperne di più cercatevi l'intervista di Franca Leosini ad Armando Lovaglio in Storie Maledette.

Nel 1998 Marco Mariolini uccise Monica Calò.
Niente di strano, di ragazze uccise dal proprio (ex) compagno siamo ormai invasi.
Ma la storia di Mariolini è una delle più perverse ed inquietanti tra quelle sfociate in femminicidio.
Mariolini era un "anoressofilo", ovvero un uomo che amava solo le ragazze anoressiche. A lui del corpo umano attraevano solo le ossa. Costrinse più di una sua ragazza a scendere sotto i 40 kg. Lo stesso fece con Monica, ragazza che ad un certo punto lo lasciò prima di incontrare il suo tragico destino.
Quello che rende ancora più inquietante la vicenda è che Mariolini l'anno prima dell'omicidio scrisse un romanzo autobiografico, Il Cacciatore di Anoressiche, in cui descriveva esattamente l'omicidio che poi avrebbe compiuto l'anno successivo. Tanto che questo romanzo, caso credo unico, fu usato come prova di premeditazione.
Due anni dopo L'Imbalsamatore ancora un caso di cronaca nera ad ispirare Garrone. Il film è Primo Amore ed io, per motivi personali, non sono mai riuscito a vederlo nè, credo, mai lo farò.
Anche in questo caso se volete approfondire c'è un'incredibile intervista a Mariolini realizzata dalla solita Franca Leosini.



Nel 1988 un minuto e mite toelettatore di cani, Pietro De Negri, uccide un grosso e prepotente ex pugile, Giancarlo Ricci.
Stanco di sopraffazioni e soprusi il De Negri, con uno stratagemma, riuscì a chiudere il Ricci in una delle sue gabbie per cani. Da lì, torture, omicidio e nuove torture post mortem.
Rimase famoso come Il delitto del Canaro. Lo stesso Canaro, il De Negri, raccontò dettagli raccapriccianti delle sue torture. Questi dettagli nell'opinione pubblica sono diventati così "reali" che in molti vi diranno "ho letto del Canaro, mai visto niente di simile, nemmeno nel peggior horror". In realtà se la gente approfondisse, scoprirebbe che il 70% di quei dettagli furono solo frutto dei vaneggiamenti della mente malata del De Negri sotto l'effetto di cocaina. L'autopsia smentì quasi ogni cosa. Resta un delitto efferato, molto efferato, non privo ad esempio di mutilazioni. Ma il mito ha sopravanzato la realtà.
Da questo fatto di cronaca il solito Matteo Garrone ha tratto Dogman, il film di cui parleremo.
Non so se questa trilogia sia stata "ufficializzata" o le sia stato dato un nome.
Fatto sta che io la chiamerò la Trilogia della Nera di Matteo Garrone.

15.5.18

Ciao, Miele


Arrivi a 40 anni che di dolori e sofferenze ne hai vissute tante, e di diversi tipi.
Nè più nè meno che ogni 40enne probabilmente, ma poco cambia.
Ma ti è servito a provare a stare meno male per le cose, che ti ci abitui, che hai le armi.
Che poi un amico a 4 zampe che per te era tutto l'avevi già perso.
Gli avevi dedicato un negozio e tanti pianti notturni.
E invece ti ritrovi che succede di nuovo, che da un momento all'altro, senza una spiegazione, qualcun altro non c'è più.
E ti accorgi che il dolore è sempre lo stesso.
Anzi, ne scopri uno nuovo, quello di vedere un meraviglioso essere di 10 anni che piangendo disperata ti chiede:

"Perchè?"

e te i perchè non ce l'hai.
Perchè i perchè non esistono.

Ciao Miele

E, malgrado tutto, viva la vita



14.5.18

Il Cinema Esperienza, ovvero i film che non solo ho visto, ma anche vissuto


Più di una volta -ma neanche tante- mi è capitato di dire "questo è un film-esperienza".
Ma cosa significa?
Ecco, provo a spiegarmi.
Per me i film-esperienza sono quei film che a prescindere dal gradimento o no (ma quasi sempre son bellissimi) sono riusciti a farmi completamente entrare nel loro mondo, sono riusciti a farmi intraprendere un viaggio con loro.
I film-esperienza non si limitano ad esser visti ma sono vissuti. Sono quei film in cui non riesci nemmeno a pensare alla trama, agli snodi narrativi o qualcos'altro, ma te ne stai lì, completamente dentro il film, e ti lasci trasportare fino alla fine.
E di solito quando arrivi alla fine, solo in quel momento, ti rendi conto del viaggio che hai fatto. Spesso te ne esci proprio con un bel respiro, come fossi stato in apnea.
Ci son film stupendi, penso ad Alabama Monroe, a Biutiful, a Melancholia (3 commedie insomma) dove di emozioni ne hai a pacchi. Eppure, per me, non rientrano nei film-esperienza, rimangono solo grandi film (anche molto più belli dei F.E) ma in cui, comunque, anche con tutta l'empatia massima, siamo una cosa staccata dai protagonisti.
Non ci sembra di aver compiuto un viaggio, semplicemente di aver vissuto delle emozioni straordinarie.
Il F.E è invece diverso, sono un viaggio, sono un continuo presente, sono un entrar dentro ed uscire solo quando arrivi alla fine.
Ognuno ha i suoi parametri, ognuno ha i suoi film.
Ne metto alcuni dei miei.

GRAVITY


Voglio partire con Gravity proprio perchè potrebbe essere esempio perfetto di questa lista.
Film osteggiato dai più, non piaciuto, anche deriso.
Ma vi assicuro che averlo visto in sala in 3D (tecnica che odio) ne hanno fatto un'esperienza indimenticabile.
Dal primo secondo siamo nello spazio, fluttuiamo. 
Noi e lo spazio, fino al ritorno a terra.
Senza cinema, senza 3D, quest'esperienza è impossibile viverla

BEYOND THE BLACK RAINBOW

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Perchè i film esperienza possono anche essere semplice esperienza visiva.
Siamo dentro a una specie di base.
La colonna sonora, le luci, l'atmosfera, quello che succede rendono questo film ipnotico, quasi impossibile riuscire a venirne fuori

EL ABRAZO DE LA SERPIENTE

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Ancora un'altro tipo diverso di esperienza.
Un viaggio, in tutti i sensi della parola, in un mondo a noi sconosciuto.
La fotografia straordinaria, questi luoghi vergini, usanze autoctone. E poi la piante allucinogene. El Abrazo de la serpiente è trasferirsi in un altro mondo per due ore. E rimanerne pietrificati dalla bellezza

HOLY MOTORS

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Ma cosa sta succedendo?
Chi è lui, che fa, perchè cambia continuamente?
Lo spettatore è stordito, fatica come non mai per capire il film, dargli un senso.
Ma non riesce a staccarsi, non riesce a respirare tante le cose che succedono, tanto il fascino.


BURIED

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Siamo dentro ad una bara.
Dal primo all'ultimo secondo, senza un'immagine fuori, senza un respiro.
Siamo lui.

SYNECDOCHE NEW YORK

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Un lettore mi scrisse: "Non è un film con una vita dentro, ma una vita con un film dentro"
Vedere Sny vuol dire esperire quasi tutto quello che si può esperire in un'esistenza

INTERRUPTION

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Appena visto.
Siamo dentro un teatro.
No, nel senso che siamo proprio dentro un teatro, anche noi spettatori (se poi il film lo vedete al cinema è assurdo).
Tutto quello che vivremo lo viviamo come fossimo lì, come fossimo anche noi quegli spettatori.
Film esperienza e film esperimento.
Grandioso

VICTORIA

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Un unico piano sequenza.
Mai nella recente storia del cinema così sensato, così necessario.
Victoria esce dalla discoteca alle 4, e noi con lei.
In un unico, immenso e incredibile tempo reale arriveremo all'alba insieme a lei.
E le cose che passeremo in quelle due ore, in quelle REALI due ore, valgono un'esistenza

IL FIGLIO DI SAUL

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Esperienza pazzesca.
Apnea pura.
Noi siamo Saul, dall'inizio alla fine.
E la stessa scelta visiva, quella di sfocare i contorni, rendono la cosa ancora più incredibile.
Quando un film significa veramente viverlo

ENTER THE VOID

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Qualcuno muore.
Qualcosa esce da lui.
E quel qualcosa diventiamo noi.
Il più grande viaggio della storia recente del cinema, la miglior ora (la prima) che io abbia mai visto nel cinema.
Il film esperienza per definizione



Da menzionare anche Magic Magic, Morgenrode, Seul contre tous, Pvc-1, The Fall, Lake Mungo, Il Sale della terra, Lebanon e altri, ognuno di questi un tipo di esperienza diverso


e i vostri?

10.5.18

Recensione: "L'Isola dei cani" (con una prefazione su Wes Anderson e sulla perfezione)



Per quanto mi riguarda il miglior Wes Anderson che abbia mai visto.
Di sicuro l'Anderson più adulto, più maturo, più coraggioso.
In una splendida animazione a passo uno un film di fortissima denuncia sociale, un film di deportazioni e razze inferiori, di soprusi e segregazioni, di poteri forti e di esseri ultimi.
Ma anche di amore e desiderio di libertà

Voglio dire la mia in maniera definitiva su Wes Anderson.
E lo dico da ora, i wessini non si offendano, io da 15 leggo di tutto, le peggiori bestialità, su gente come Trier, Lynch, Nolan, Lanthimos e altri dei miei preferiti.
Sinceramente tutte le offese, spesso gratuite e violentissime, che ho letto riguardo i miei registi preferiti mi hanno fatto lo stesso effetto di una leggera brezza sul viso, nè caldo nè freddo (dipende dalla leggera brezza), anzi, di solito mi hanno divertito nel constatare quanta incompetenza e celodurismo c'è in giro.
Quindi se ora faccio una leggerissima critica a Wes Anderson (regista che stimo tantissimo) è da auspicare che questa non offenda nessuno.
Parlando dello straordinario The Florida Project ho scritto una frase del tipo "e' Wes Anderson se Wes Anderson riuscisse a mettere il cuore davanti, e non dietro, la sua ossessione formale".
Più di una persona mi ha contestato la cosa.
Preferisco spiegarmi meglio.
Con quella frase non ho MAI voluto intendere che Wes non avesse anima o non mettesse cuore nelle sue opere. Anzi, credo ne abbia a quintali.
Volevo solo dire che mi dispiace che questo aspetto, così marcato, venisse dietro la sua ossessione per la forma.
Io spesso mi immagino i registi sui set.
E allora mi immagino Wes.
Lo vedo lì a costruire una scena, a dirigere.
Mi immagino che stia girando una scena molto bella, dolce, tenera e buffa come sa fare lui.
Gli attori son perfetti, la scena è venuta da Dio, la luce negli occhi dei bambini quella giusta, la chimica perfetta, la battuta detta nel modo giusto, quella mano ha fatto quel piccolo gesto così bello.
Ma cavolo, l'inquadratura non era perfettamente centrale, rifacciamo, ciak.
Ecco, mi immagino Wes star lì a comporre l'inquadratura, a dargli la sua centralità, ad armonizzare luci e colori, a far tutto, a discapito di tutto quello che i suoi personaggi e la sua storia potrebbero dare.
La trovo una cosa talmente ossessiva che mi uccide la vita dentro il film.
Spesso io uso la figura femminile per spiegarmi meglio.
Immaginate quelle ragazze bellissime, perfette, con il viso senza nemmeno un'irregolarità, con un corpo incredibile, pettinate da Dio, vestite in modo impeccabile.
Ma vuote dentro come una ciotola dove è passato un cane affamato.
Ecco, quelle ragazze NON sono il cinema di Wes.
Sono perfette ma vuote, cazzi loro, contente loro e i maschi, di solito vuoti parimenti, che le cercano.
Ora invece immaginate una ragazza con un mondo dentro, profonda, intelligente, simpatica, emozionata ed emozionante, con la luce negli occhi.
Però questa ragazza si veste e comporta come quelle vuote di cui sopra, si agghinda alla stessa maniera, si trucca completamente, si rifà le sopracciglia e qualcos'altro, cerca di apparire perfetta anteponendo tutto questo a quello che, di magnifico, potrebbe dare.
Ecco, che spreco cazzo, che spreco.
Ma lo sanno tutti che gli innamoramenti nascono dalle piccole imperfezioni, dalle cose diverse dalle solite, dagli sbagli, dalle irregolarità, dagli errori che si fanno e dalle debolezze.
La perfezione è quasi per definizione privazione di sorpresa e di imprevisto, la perfezione è routine. E la routine è quasi sempre una piccola morte.
Questo è per me il cinema di Wes, una ragazza con un mondo dentro, bellissima di suo, potenzialmente emozionante, ma ossessionata dalla forma e dalla perfezione dell'apparire.
Che poi, intendiamoci, a me i film puramente estetici piaccion tanto. Penso ad Amer, a Beyond the black rainbow e a tanti altri. Però lì quello si cerca e ottiene, una bellezza visiva ed estetica priva di altro.
In Wes no, in Wes ci sarebbe tutto volendo.
Che poi di registi ossessivi ce ne sono tantissimi, non lo sono gli stessi Lynch, Trier e Lanthimos?
Però quelle ossessioni sono diverse, sono magma, sono distruzione, sono malattia, quelle ossessioni non tolgono niente, anzi, aggiungono.
Sono ossessioni per l'imperfezione semmai, l'imperfezione e la potenza della psiche.
Nel caso di Anderson, invece, a me quella perfezione ha sempre affascinato (come puoi criticare una sua inquadratura? sono magnifiche) ma sempre tolto qualcosa.
Ecco, non ci torno più.
E non voglio avere ragione, è solo la mia idea.

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Ecco, tutto questo discorso che ho fatto non voglio applicarlo minimamente per L'isola dei cani.

8.5.18

Recensione: "Un sogno chiamato Florida" (The Florida Project)




The Florida Project è Wes Anderson se Wes Anderson riuscisse a mettere il cuore davanti, e non dietro, alla sua ossessione formale.
The Florida Project è Re della terra selvaggia se Hushpuppy al posto di lagune ed immaginazione avesse avuti amici, asfalto e caseggiati.
The Florida Project è Bellas Mariposas senza i primi pruriti adolescenziali.
The Florida Project sono i nostri bambini di Scampia se Le Vele al posto di quel terreo grigio fossero colorate di un magico viola.
 The Florida Project è quella corsa verso il castello magico per eccellenza, quella corsa a perdifiato, mano nella mano, per andare nel mondo delle favole, per rifugiarsi e per nascondersi da quel mondo degli adulti che prima o poi, inevitabilmente, ci inghiottirà.

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"Moooneeee!!!"
"Scooootyyyy"

urla Dicky ai suoi amichetti.
Sì, perchè è arrivato il momento di fare una marachella, di andarsene al Future a sputare, dall'alto, sulle macchine parcheggiate sotto.
I 3 bimbi hanno sui 6 anni, son sempre soli, vanno dove vogliono, fanno quel che vogliono. Si muovono in poco spazio, quello che va dal loro residence, di un viola totale e stucchevole, ad un altro paio di caseggiati.
Siamo in Florida, alle porte di Disneyland e là è tutto pacchiano e gigante.
Baker, il regista, più volte ci offre il percorso che fanno i ragazzini per andare a conquistarsi il loro gelato quotidiano.
Ed è un percorso che passa davanti a negozi giganteschi e tremendamente kitsch, roba da cartoni animati.
Disneyland, l'ho detto, è a un passo. E allora là intorno è tutto coloratissimo, che mica puoi offrire una view smorta e grigia a chi è venuto a visitare l'Eden del divertimento.
Tutto colorato, già. 
In Florida Project non trovi una mano di vernice di grigio. La cosa buffa, però, è che invece il grigio è il colore predominante, anche se non lo vedi. Perchè sotto quelle tinture pastello ci son vite appese alla disperazione, vite che flirtano con al povertà riuscendo spesso a portarsela a letto.


Intono ci son campi da golf, ci sono elicotteri che si alzano ogni volta che alzi gli occhi al cielo, c'è Disneyland (l'ho detto?), insomma, ci son tante cose belle e ricche.
 E allora quelle povere le colorano chè almeno, ad un'occhiata superficiale, tanto povere non paiono.
In quel residence viola vive Moonee, la bambina che qualcuno, urlando, stava chiamando nella nostra prima riga.
Moonee vive con la sua giovane madre, una ragazza tutta tatuaggi e strafottenza interpretata da una nuova attrice, lituana, una tale Bria Vinaite, una ragazza dal corpo mozzafiato e da un viso che quando lo vedi ti trovi a pronunciare "cinema" senza che nemmeno le tue labbra si aprano.

4.5.18

Recensione: "Escobar - il fascino del male"

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Tratto dalla biografia dell'ex amante di Escobar - la bella giornalista Virginia Vallejo- Loving Pablo (questo il titolo originale) è un film che per buona parte della sua durata ti dà la sensazione dell'agiografia.
E il personaggio di lei è talmente irritante che vorresti muoia ogni singola scena.
Nessuno crede alla sua storia d'amore, nessuno.
Per fortuna il film ha il merito di avere al suo interno parecchie sequenze davvero riuscite. Ma questo modo un pò glamour di parlare di efferati criminali non fa del tutto per me

Scrivo la recensione a 9 giorni dalla visione. A questo punto volevo evitarla ma magari a qualcuno può comunque interessare qualche riga sul film

Sono andato a vedere Escobar solo perchè avevo un biglietto gratuito all'Uci che scadeva quello stesso giorno. Anzi, ne avevo due. E siccome mi hanno dato buca uno l'ho pure regalato. Tutti mi guardavano male, solo la quarta persona ha accettato quello che pareva impossibile, ovvero un biglietto gratis senza che le venisse chiesto niente in cambio (che poi gratis non era, semplicemente avevo comprato un mini-abbonamento di 5 ingressi, pagati, che, appunto, scadeva quel giorno).
Su 10 film in programmazione ce n'era solo uno interessante per me (Ghost Stories, ma l'avevo già visto) e uno che, in questa condizione di non voler buttare biglietti, potevo vedere, Escobar.
La mia paura era che mi potessi trovare davanti un'opera agiografica, ovvero un film che più che condannare la figura di uno dei più efferati criminali della storia dell'America Latina in qualche modo lo esaltasse.
E quello che leggo nei titoli iniziali è stato, in questo senso, un colpo per me

"Escobar films" presenta

Escobar Films??
ma stiamo scherzando?

Ve lo giuro, non ho letto male.

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E siccome il film parlerà di un criminale che riuscì a metter le mani dappertutto, tanto da essere pure eletto nella camera dei deputati, immaginarsi che in qualche modo anche il film se lo sia fatto da solo (ovviamente attraverso i suoi discendenti) è davvero inquietante...
In realtà il film dovrebbe essere tratto dalla biografia della compagna di Escobar, la giornalista Virginia Vallejo.
E anche qui il secondo, fortissimo, disturbo.

3.5.18

Le uscite al cinema di questa settimana, ovvero Caden ospite della mitica rubrica di James e del Cannibale

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Sapete perfettamente quanto io non veda trailer, non legga trame, non ricerchi informazioni sui film e quanto, di conseguenza, in questo blog non s'è mai parlato di queste cose.
Nè si è mai data nessun tipo di informazione, solo recensioni o liste.
Capite quindi che una rubrica sulle nuove uscite al cinema è quanto di più lontano io possa fare.
Questa rubrica la fanno da anni, però, due storici blogger, James di Whiterussian e Marco Goi di Pensieri Cannibali.
Da un pò di tempo hanno deciso di "ospitare" nella rubrica una terza voce, ogni volta diversa, tra noi scribacchini di cinema.
Stavolta l'hanno chiesto a me.
Per la cosa in sè non l'avrei mai fatto, è totalmente contronatura sia per me (infatti ho dovuto veder trailer e legger trame, aiuto!) che per questo blog.
Ma ho accettato per un fatto puramente "umano".
Tanti di voi non lo sanno ma circa 10 anni fa eravamo davvero in pochi ad aver blog di cinema.
E io, James e Marco eravamo tra i primi. Alla fine ci si commentava sempre tra noi (adesso purtroppo molto poco), anche perchè lettori nemmeno ce n'erano, eravamo compagni di merende di piccoli blog da camera.
Ora, dopo 10 anni (chi più chi meno) siamo ancora tutti qui. Qualcuno da quella passione credo ne abbia tratto un lavoro (Marco) qualcun altro ha creato un blog dove ogni santo giorno riesce con una costanza e passione infinita a mettere un aggiornamento (James).
Insomma, non solo sono vivi ma più vegeti che mai.
E allora ripensando ai vecchi tempi, ripensando a quando si iniziò quasi tutti e 3 insieme, è impossibile dir loro di no.
James la definirebbe una serata di bevute tra vecchi amici che un pò si sono persi (o meglio, loro due son pappa e ciccia, mi son perso io ;)  ).
Io non so come la definirei, ma credo sia comunque una bella cosa.
Che per me resterà unica, preferisco lasciar fare certe cose a chi le sa fare bene.
In alto i calici Marco e James ;)


GAME NIGHT - INDOVINA CHI MUORE STASERA?
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La reazione del cast al sottotitolo italiano

Caden: Lo spettatore, verrebbe voglia di rispondere al titolo.
In realtà vedendo il trailer sembra di trovarsi davanti ad una cosa carina, un mix di generi probabilmente riuscito, talmente riuscito che ha portato le possibilità che io lo veda dallo 0% allo 0,734%

Cannibal Kid: C'è Jason Bateman, attore che non mi sta particolarmente simpatico, quindi anche per me le possibilità di concedergli una visione sono le stesse del “matematico” Caden Cotard, ovvero dello 0,734%. Hey, un momento. C'è anche Rachel McAdams? Allora le possibilità salgono improvvisamente al 100%!
Quanto a chi vorrei morisse stasera, un'idea ce l'avrei...

Ford: credo ci siano le probabilità dello 0,734% che possa piacermi questo film. Dello 0%, invece, che possa piacermi Cannibal.

A BEAUTIFUL DAY - YOU WERE NEVER REALLY HERE
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"Giuseppe, ti aspetto"
"Nessun problema Joaquin, fai finta che sono già là"

Caden: Dopo 6 lunghissimi anni torna finalmente alla regia la Ramsey, regista, tra l'altro, di quel grandissimo film che fu "E ora parliamo di Kevin".
Come se non bastasse prende come attore principale Dio Phoenix.
E niente, bastano sti due elementi (più un paio di immagini) a darmi la quasi certezza di fiondarmi in sala

Cannibal Kid: Film già visto e presto arriverà il mio post in proposito. Sarà una beautiful recensione come quelle di Caden, o una schifezza come quelle di Ford? uahahah


Ford: questo film pare uno di quei titoli in grado di promettere tutto, e non portare a casa nulla. Le premesse perchè si possa far bene ci sono, ma l'eventuale cannibalata incombe. In quel caso, cercherò di non essere lì.


CI VUOLE UN FISICO
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Sì, sono uguale e Depardieu e me lo stanno dicendo anche dal quinto piano

Caden: Il trailer mostra un film abbastanza innocuo ma anche abbastanza piccolo e dolce per farsi voler bene. Sapete quanto stia lontano dalle commedie, non parliamo di quelle italiane. Ma qui c'è la sensazione, almeno, di aver voluto raccontare una piccola storia senza tante ambizioni. E i due volti mi pare funzionino

Cannibal Kid: Caden si dichiara lontano dalle commedie italiane, qualche tempo fa pure io avrei detto lo stesso, e Ford ancora di più. Negli ultimi tempi però il vento sta girando e tutti e tre sembriamo meglio disposti nei confronti del genere. Soprattutto quel finto musone di Ford. Qui non c'è la sua nuova eroina Ambra, però a sorpresa si potrebbe trattare di una piccola gradevole visione per tutti e tre.

Ford: tra Caden e Cannibal mi pare si sia esaurita la dose massima di melassa per questa rubrica, quindi direi che continuerò a rimanere nella mia posizione di pseudo duro ed ignorerò questa proposta.

1.5.18

Recensione: "Interruption"

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Ancora dalla Grecia un altro film magnifico.
Anzi, stavolta mi spingo a parlare di capolavoro.
Uno spettacolo teatrale viene interrotto da degli uomini armati.
Da quel momento saranno loro, autodefinitisi il Coro, a dirigere lo spettacolo.
Una delle più grandi riflessioni su realtà e finzione che io abbia mai visto.
Un'opera cerebrale, concettuale, colta ma talmente tanto bella e grande da emozionarti
Per favore correte al cinema a vederlo

presenti spoiler grandi dopo ultima immagine, quella della ragazza di spalle

E' buio.
E' tutto sfocato.
Intravediamo una luce, poi un volto.
Piano piano quel volto, anzi, quei volti, vengono messi più a fuoco.
Arrivano ad un corpo nudo, il corpo di un vecchio che di lì a poco dovrà morire.
Comincia così Interruption, straordinario film greco (ancora loro, incredibile) che, per quanto mi riguarda, diventerà un vero e proprio punto di riferimento da adesso in poi.
Comincia con questo buio, con queste luci artificiali, con questo passaggio dal fuori fuoco al fuoco. E, attenzione, questi giochi di luce, questi virtuosismi visivi non ci abbandoneranno più, in un film che in ognuna delle sue componenti, anche quella delle luci, diventa metafora di tante cose.
Gli uomini di cui scrivevo poco sopra sono in realtà attori. Attori teatrali che, in un magnifico teatro di Atene, stanno mettendo in scena l'Orestea, tragedia greca di omicidi famigliari, mogli che uccidono mariti e figli che uccidono madri.
Clitennestra uccide Agamennone, suo marito, colpevole in passato di aver fatto uccidere loro figlia Ifigenia e di aver portato adesso dentro casa Cassandra, una bellissima schiava.
In realtà Clitennestra ha un amante, Egisto, con il quale aveva escogitato il piano.
La scenografia essenziale, il palco del teatro completamente spoglio se non per una specie di casa-cubo illuminata in cui gli attori stanno dentro a recitare.

Risultati immagini per interruption film

Ad un certo punto saltano le luci.
Vediamo le ombre degli attori guardarsi l'un l'altro (e le ombre saranno un'altra componente decisiva nel film). 
Sia noi che gli spettatori del teatro non sappiamo se quello che sta succedendo fa parte dello spettacolo.
Ad un certo punto dal fondo della platea arrivano degli uomini. E' bellissimo il piano sequenza che segue lui, il capo di quegli uomini, arrivare fin sopra il palco, davanti a un microfono.
Il giovane uomo parla agli spettatori.
"Siamo il Coro, d'ora in poi saremo noi la vostra guida per la serata"
Il Coro nel teatro greco è una specie di unico personaggio collettivo, un gruppo di attori che danza insieme, commenta con canti quello che avviene nella scena e a volte interagisce pure con gli attori.
Sì, ma in questo caso questo il Coro ha letteralmente preso in mano lo spettacolo, lo ha interrotto (vedi il titolo) e, d'ora in avanti, sarà lui a decidere le regole.
Tra l'altro, non dimentichiamolo, questi uomini sono armati.
Comincia così Interruption, opera enorme di cinema sperimentale di cui fatico ad intravedere tutta la grandezza.
Ancora una volta un soggetto strepitoso che arriva dalla Grecia, la patria mondiale delle idee cinematografiche da un decennio.
Interruption prende la più grande ricchezza della Grecia, quella del teatro, e da lì tira fuori un film incredibile, che porta a mille riflessioni e che diventa cinema-esperienza, che diventa cinema-esperimento.