Sono andato a Roma, al Festival "Fuorinorma, la via neo-sperimentale del cinema italiano".
Festival molto interessante, specie per come riesce a creare un circolo virtuoso tra tutti i partecipanti, gli spettatori, gli organizzatori, i registi. Si parla, si fanno incontri, ci si conosce e intorno ai semplici film si creano quindi ulteriori dinamiche che in festival più grandi sono impossibili.
Si forma come una specie di bolla in cui per alcuni giorni c'è un gruppo di persone che parla di cinema, presenta le proprie cose e cerca di scandagliare più aspetti possibili di questo strano mondo che è il cinema.
Ho visto 7 film, alcuni dimenticabili, altri che non ho capito perchè troppo colti per uno come me che colto non è, altri ancora sui quali non avevo tante cose interessanti da dirci sopra.
Ho voluto quindi parlare di tre film che, incredibile (me ne sono accorto solo oggi) raccontano tutti e 3 di persone che non ci sono più, sono omaggi (più o meno artistici e più o meno riusciti) a persone importantissime, non foss'altro per chi quei film l'ha girati.
C'è il film che Pietro Marcello ha dedicato a Lucio Dalla.
C'è il film alla memoria di Piergiorgio Welby.
C'è il film che un padre ha dedicato al proprio figlio 14enne, scomparso per un male terribile.
In quest'ultimo caso, per me, è stato davvero difficile scrivere, perchè avevo tre elementi che cozzavano tra loro in modo incredibile, quello del regista, quello del film in sè per sè e quello della parte emozionale.
Tre film, in ogni modo, che ricordano tre persone straordinarie.
PER LUCIO
di Pietro Marcello
Adoro Pietro Marcello.
Credo che qualsiasi essere umano vedendo La Bocca del Lupo e Bella e Perduta non possa non restare affascinato da questo artista così unico, "diverso", sensibile e dolce.
Quel suo volteggiare tra documentario e fiction, realtà e favola, il montaggio pazzo, originale e poetico.
Uno che ama storie minime di persone minime.
E che attraverso la sua alchimia, attraverso il suo realismo magico, ci vengono poi restituite grandi, grandissime.
E sì, Lucio Dalla era un "soggetto" perfetto per il cinema di Marcello, questo cinema che è sempre rabdomante di umanità e di persone che elevano la nostra specie.
E Lucio Dalla era così, uno dei migliori di noi.
Per Lucio è quindi un documentario di ricordi, in gran parte regalatici dal manager storico di Lucio, "Tobia", e dal suo amico più grande, Stefano Bonaga.
E' un viaggio dolce, lento, carezzevole, attraverso la conoscenza, più umana che artistica, di questo straordinario uomo e cantautore.
Interviste si frammezzano a tantissime immagini di repertorio, alcune così belle che valgono da sole la visione.
E conosciamo così Lucio come fosse stato un nostro grande amico.
Scopriamo una persona amante della vita in modo assoluto, una persona curiosa, uno attratto dalle anomalie più che dalle certezze, uno che smise di fare il jazzista perchè "il jazz non esiste, il jazz non appartiene all'uomo, il jazz è qualcosa creato dall'intelletto", uno che amava follemente la madre anche se quest'ultima - scherzando - offriva soldi per mandarlo via di casa perchè "troppo brutto", uno che voleva fare l'imbianchino perchè amante dei colori e, lo si sa, il bianco sono tutti i colori messi insieme (e questa cosa nel documentario tornerà più volte, questo Lucio che amava la vita a 360 gradi, l'unione di tutte le cose, questo Lucio che diventava tutte le persone che conosceva, una specie di Uno, Lucio, nessuno e centomila).
Il percorso umano e artistico di questo uomo amante degli emarginati e dei disgraziati (che però, civettuolamente, comprava case su case a Bologna) è raccontato dai suoi amici più cari sì con esattezza ed emozione, ma anche con schiettezza e paraculaggine, come se Lucio fosse lì, con loro, e quindi fanculo le agiografie.
L'amicizia con Roversi che cambiò la sua carriera, che gli regalò dei testi immensi e che gli "insegnò" indirettamente a sua volta a scrivere, il suo impegno sociale e politico sempre in qualche modo filtrato dalle sue canzoni, quel suo essere sempre sorprendente ("era uno che deludeva sempre le tue aspettative, sorprendendoti sempre, come quella volta che all'intervallo di una partita di basket mise a segno 3 tiri da 3 consecutivi, lui che era una schiappa incredibile").
Forse nel documentario mancano però i problemi, i conflitti, i dolori, le battaglie, è tutto troppo bello, tutto troppo delicato.
Inutile commentare la colonna sonora in un film del genere. Colonna sonora che accompagna la storia del nostro paese, dalla guerra al dopoguerra, dalla Mille Miglia (quei 5 minuti sono i più grandi del film) alla Fiat, dalla Strage di Bologna alla questione dei Missili.
Marcello come sempre ama le sgranature, le immagini sporche e sgraziate che, con uno peloso e sgraziato com'era Dalla, vanno a braccetto perfettamente (e che bello vedere immagini de La Bocca del Lupo....).
Si esce arricchiti, si sentono parlare persone vere ed intelligenti che parlano di uno verissimo e geniale.
Le parole ci cullano, le immagini ci cullano, la musica ci culla.
E noi abbiamo la sensazione che non sia tanto Per Lucio tutto questo.
Ma per noi
STORIA DI UNA LACRIMA
di Giovanni Coda
Ancora un film sulla memoria di qualcuno che - almeno in questo mondo - non c'è più.
E qui sono costretto ad andare "fuori" dal film (lo farò anche con il terzo) perchè la bellezza e il vantaggio dei festival molto spesso è questo, quello che può accadere fuori dai film.
Storia di una lacrima è un film delicatissimo su un argomento delicatissimo, quello dell'eutanasia.
Prende come spunto Ocean Terminal, libro scritto da Piergiorgio Welby, probabilmente l'uomo simbolo della lotta italiana per la lotta all'accanimento terapeutico e per il diritto all'eutanasia (ma che buffo poi che in quel titolo del testo di Welby ci sia l'Oceano, e allora come non ripensare al "Mare Dentro" di Ramon Sampedro, per certi versi il Welby spagnolo. Da rifletterci).
In ogni caso alla proiezione c'era Mina Welby, la moglie di Piergiorgio.
Mina, non credo si offenderà, è anziana. E' piccolina, tanto piccolina.
Eppure in quei miei due giorni di festival (7 film e tante persone conosciute) la ricorderò come la presenza più viva, più giovane, più positiva. Non dimenticherò quando sono andato a ringraziarla e lei per 5 secondi mi ha stretto la mano ricambiando il saluto. E' una di quelle persone minute eppure giganti, sussurranti eppure tuonanti, apparentemente deboli eppure fortissime. Donna di profonda dolcezza che ha arricchito la visione del film.
Un film strano, coraggioso, antinarrativo, ai confini della video arte. Il bravissimo regista Giovanni Coda fa un'operazione strana (che io ho poco capito ma mi ha molto affascinato) ovvero mettere come significante, come immagini, quelle di artisti di strada, clown, mimi, drag queen, e come testo quello invece riguardante la vita e la morte, il dolore e la sofferenza, la voglia di finirla e la paura di andar via, insomma, tutto quello che concerne il mondo "eutanasia".
Al sottofondo delle parole di Welby (declamate in modo umano e struggente) si uniscono queste immagini teatrali, di artisti malinconici, a creare un'atmosfera al tempo stesso dolcissima e intensa.
L'attore principale è formidabile (il suo ultimo primo piano, quello del pianto finale, ci porta a 5 minuti stupendi) e paradossalmente questa incapacità da parte dello spettatore di capire il legame tra quello che sente e quello che vede rende "Storia di una lacrima" qualcosa che ha un senso ancora più forte, perchè non ci sono cose che abbiano più senso di quelle dove il senso devi riuscire di trovarlo.
Forse l'unico difetto del film è una certa ripetitività, un mostrarci all'infinito sempre le stesse cose e le stesse dinamiche, un'incapacità di trasformarsi in altro.
Però è un film che parla di cose terribili eppure senza essere sferzante, polemico. Parla di un uomo (e con lui di tutte le grandi figure che possiamo affiancare a Welby in questa lotta) che è stanco di lottare, è stanco di provare dolore, è stanco di non avere più la minima possibilità di essere felice. Come si sente in quelle magnifiche parole la morte, "naufragio dei giovani e approdo dei vecchi" non è mai dignitosa e l'eutanasia non è tanto una gioia, perchè nessuno vuole morire, ma una liberazione.
Ed ecco qui che, forse, viene fuori la metafora con il titolo del film.
La storia di una lacrima è appunto il racconto di questa lacrima che non vuole ancora uscire dall'occhio, vuole starsene al buio. Le altre lacrime escono e lei resiste, se ne sta lì. E questo perchè vuole aspettare una gioia ancora più grande per uscire, vuole aspettare il momento più bello.
E alla fine, mentre il nostro attore piange, quella lacrima decide di uscire, di andare alla luce, di essere versata.
Finalmente luce, finalmente aria.
Non dimenticatemi, dice la lacrima.
E forse questa lacrima è Welby, questa lacrima è qualcuno che finalmente è riuscito ad uscire dal nero del dolore e della sofferenza.
E finalmente arriva alla luce. Non è una gioia, ma una liberazione.
Ma era quello il momento migliore per uscire, quello il miglior modo di essere versata.
E su una cosa quella lacrima, Welby e tutti gli altri che hanno lottato e stanno lottando per questo diritto inalienabile che è l'eutanasia devono star tranquilli.
Non sono stati dimenticati
VITA E MORTE E MIRACOLI DI EFTIMIOS
di Pasquale Misuraca
Mamma mia quanto è difficile scrivere di questo film. Ancora più che per "Storia di una lacrima" son costretto ad uscire dal film e a raccontarlo anche attraverso il contesto.
Il film è stato presentato da Pasquale Misuraca, non solo regista del film ma anche padre di colui al quale il film è dedicato, suo figlio Eftimios, scomparso a soli 14 anni (vado a memoria ma credo di ricordare bene) dopo essere stato colpito non solo da uno (e già uno è qualcosa di inumano) ma due mali terribili, una leucemia e un tumore (arrivato dopo la guarigione dalla prima).
Misuraca ci ha presentato il film in maniera molto bella tenendoci a dire specialmente due cose. La prima è che questo film non l'ha fatto perchè Eftimios è suo figlio, la seconda che la sensazione che lo pervade è quella della gioia e della serenità perchè questo è quello che suo figlio trasmetteva, gioia e serenità.
Due balle. Per me, ovviamente.
Balle che gli ho anche contestato a voce, per questo mi permetto di scriverle.
La prima balla è che no, se Eftimios non fosse stato suo figlio Misuraca questo film non l'avrebbe mai fatto. Perchè questo non è un film di un artista che parla di una cosa bella che non gli appartiene, questo è il film di un padre dedicato al proprio figlio. E invece che nascondere o "abiurare" questa cosa Misuraca farebbe bene ad esaltarla. Perchè se noi ci siamo emozionati è soprattutto perchè un padre ha saputo fare questo per suo figlio.
La seconda balla è che Misuraca ha riso e scherzato per tutta la presentazione del film, sornione, battutista, sereno e poi appena cominciato il film si è messo dietro di me e ha pianto a dirotto (a dirotto, letteralmente) per tutta la durata dello stesso.
Giusto il tempo di passare dal palco (dove lui ama stare) a dietro di noi (dove lui è più vero secondo me).
Ho visto quindi il film in un'atmosfera pazzesca ed irripetibile (si dice che il cinema sia ripetibile ma no, in questo caso quello che è successo è irripetibile).
Davanti a me il film.
In mezzo io.
Dietro di me il padre che piangeva.
Sopra di me e dappertutto Eftimios, suo figlio.
Immagini davanti, pianto dietro ed Eftimios che, da qualsiasi parte sia, sentivi intorno a te.
Ed è per questo che mi irrita sentire dire a Misuraca che il film non l'ha fatto perchè quello è suo figlio e che il suo ricordo gli provoca solo serenità e gioia (poi, con me, a parte, ha ammesso quanto dolore ci sia ancora). Finge Misuraca, senza capire che se si mostrasse più vero arriverebbe ancora di più alle persone.
Una cosa è certa, suo figlio era un essere straordinario.
Misuraca ha fatto una citazione bellissima (a memoria mi pare abbia detto di Hemingway), ovvero che "Il coraggio è grazia sotto pressione".
Che bella cristo.
Ed è vero, quel bambino era la grazia impersonata sotto pressione. Una leucemia, un tumore al cervello (vado a memoria e mi scuso immensamente se io ricordi male in una cosa così delicata) e lui sempre sorridente, sempre sereno, con un viso e dei capelli d'angelo.
Eftimios è il film, è lui che lo rende grande.
Perchè il film, anche se Misuraca si è dichiarato grande artista, in realtà non è bello.
Filmati sgranati del Tubo, estratti da film precedenti del regista mal recitati e mal montati.
Ogni tanto immagini di Eftimios, bellissime.
Non c'è alcuna cura artistica e mi permetto di dirlo perchè Misuraca, nell'arco delle due giornate, criticherà anche aspramente quasi tutti gli altri film e gli altri autori, altri film ed altri autori che io (che di cinema capisco nulla eh) ho trovato sempre superiori a lui.
Sicuramente narciso, arrogante, ma lo sa da solo, anche se ci tiene a smentirlo ogni 30 secondi.
Eppure ho trovato bellissimo il suo spettacolo teatrale (inserito in larga parte nel film). A parte l'attore veramente notevolissimo ho trovato un testo di altissimo livello, a farmi pensare che Misuraca con la penna sia 100 volte meglio di quello che è dietro alla cinepresa (regista) o davanti (youtuber).
Uno spettacolo teatrale che andrei a vedere stasera stessa, emozionante, minimalista ma capace di raccontare il mondo, suggestivo.
Quello spettacolo è sì Arte ma non rende arte il film solo se lo ci si mette dentro.
Film, in ogni caso, in cui son dentro dei racconti da pelle d'oca, come quello del bonsai che diventa albero per la troppa gioia, come quello dell' "essere umano dispari" (destinato a star solo), come quello del pettirosso che si butta nel fuoco o quello del sogno che Misuraca ci dice essere alla base del film (incipit davvero bellissimo).
E sì, vedere Keaton nel finale è perfetto, quel paragone con Eftimios ci sta tutto, quell'essere aggraziato sotto pressione, sempre.
Però io, di artistico, nel senso di "bello", ho visto poco, Eftimios a parte.
Ma è anche vero che l'Arte magari è la capacità di raccontarsi attraverso un mezzo, cinema, pittura, scultura e musica che sia.
E allora sì, e allora il Misuraca PADRE diventa un'artista straordinario, ma proprio per tutti i motivi che lui rinnega.
E io lo ringrazierò non tanto per quello che ho visto davanti a me ma per quello che non ho visto ma ho sentito dietro di me.
Lo ringrazierò per quel pianto