21.7.20

Recensione: "The vast of night" - Su Prime


Su Amazon Prime.
Opera prima.
Film anacronistico, non solo per l'ambientazione ma anche perchè osa essere nel 2020 un film di fantascienza senza fantascienza.
Solo suoni, luci, suggestioni.
In una piccola comunità americana due ragazzi iniziano a sentire uno strano suono nelle frequenze della radio.
Alla fine scopriranno che quel suono ha una matrice che non c'entra niente con questa terra, qualcosa perso nell'immensità del cielo e della notte.
Ma the vast of night (film non immune da difetti comunque) è anche altro, o almeno per me.
E' un omaggio al ruolo primigenio del cinema, quello di ricercare lo stupore e la meraviglia nello spettatore, quello di trasportarlo in un mondo che fa paura ed affascina-

Sarebbe un errore vedere The vast of night "solo" come un film.
Sarebbe un errore perchè più che analizzarlo in tal senso dovremmo vedere quello che, sotto le immagini, vuole raccontarci.
Ed è un qualcosa di molto bello, molto intimo e con tanto amore dentro.
Perchè questo film così anacronistico in realtà a me è sembrato una metafora del cinema stesso e del senso di meraviglia che, almeno agli albori, trasmetteva.
Siamo negli anni 50, negli Usa (è passata una settimana dalla visione e ho dimenticato lo Stato), in una piccola comunità rurale dove tutti si conoscono, dove una partita di basket può esser vista dall'intero paese e dove la vita procede placida e tranquilla, roba che un cane che partorisce diventa una notizia.
Sono gli anni 50, quelli dove comunisti e neri erano visti o come nemici o come minoranza cui star lontani (notare ad esempio la squadra di basket di soli bianchi).
Gli anni in cui quasi chiunque era timorato di Dio, visto come Padre di tutti mentre alla Patria spettava, forse, il ruolo di Madre.
A vedere adesso come eravamo viene da sorridere, il mondo in tal senso è andato molto avanti e migliorato.
Everett gestisce una piccola stazione radio, ascoltata praticamente solo nel suo paesino da poche decine di persone.
E' amico di Fay, un'adolescente che fa un lavoro simile, ovvero la centralinista nel "baracchino" che smista le chiamate della comunità.
Due lavori che hanno a che fare con il sonoro, con le voci, con i rumori.
Mentre tutto il paese è in un palazzetto a vedere la partita della squadra di casa Everett e Fay iniziano a sentire nelle loro frequenze uno strano rumore, mai sentito prima.
Piano piano capiranno che quel rumore con questa nostra Terra ha poco a che fare.

Le qualità del film sono davvero tante, e tutte notevoli.
Per prima cosa ho letteralmente adorato il fatto che sia praticamente in tempo reale. Non certo in piano sequenza (anche se di piani sequenza ne avremo almeno tre lunghi e belli, tutti con  tecniche diverse, ne parleremo). Il film dura un'ora e mezza e la stessa vicenda, a sensazione, sembra durare lo stesso tempo visto che non ricordo nemmeno una ellissi temporale di pochi minuti.
Seconda meraviglia è l'ambientazione. Le piccole comunità degli anni 50 son fantastiche, c'è poco da fare. La ricostruzione è perfetta, edifici, vestiti, caratteri, tutto.


Terza nota di merito è l'essere riusciti a fare un film di fantascienza senza... fantascienza.
Solo alla fine infatti avremo elementi visivi di genere, per il resto il film è basato tutto su voci, suoni, racconti.
Ed ecco che iniziamo ad avvicinarci a quello che The Vast of night è.
Ovvero il cinema.
Se ci fate caso tutto il film sembra un omaggio alla macchina cinema.
Al sonoro, sul quale si basa gran parte della trama.
Alle luci che diventano un personaggio a sè stante.
Alla capacità di suggestione e di meraviglia per cui il cinema inizialmente è nato.
Quello che quella comunità vivrà quella notte è simile a quello che vissero i primi spettatori del cinematografo, ovvero ritrovarsi impauriti e a bocca aperta dinanzi a questo mistero di luci, suoni e immagini.
E' come se quel paese fosse diventato un gigantesco set in cui si sta proiettando qualcosa di mai visto prima. E ad esaltare tutto ci sono per l'appunto degli elementi essenziali come il sonoro e le luci, a ricordare questi aspetti tecnici che rendono grandi i film ma che alla fine rimangono sempre nascosti e fuori dagli onori.
Ecco quello che ho amato in questo film, quel senso di mistero primigenio, quello scoprire qualcosa di nuovo, quel trovarsi davanti uno spettacolo che al tempo stesso atterrisce e affascina.
E in tutto questo avremo anche una regia notevolissima, ricordando poi che siamo all'opera prima.
Una scena in particolare rischia di essere una delle più belle di questo anno.
Mi riferisco al pazzesco piano sequenza (sicuramente "finto" ma sticazzi) della macchina da presa che esce dalla stazione radiofonica, attraversa a mezz'aria tutto il paese, entra dentro il palazzetto, volteggia dentro la partita e poi esce di nuovo.
Da brividi.
Ne avevamo già avuti due di piani sequenza, uno classico, ovvero il seguire loro che camminano per tutto il paese fino al centralino, e uno "attoriale", ovvero la macchina da presa ferma che inquadra per moltissimi minuti lei che smista le chiamate.
A dimostrazione di come questa tecnica possa avere almeno 3 usi (macchina ferma, quasi teatrale, macchina in movimento a seguire i personaggi  il puro virtuosismo tecnico, quasi come un drone).


E' innegabile, però, che il film abbia anche dei piccoli problemi.
Questo suo puntare tutto sul racconto, sulla suggestione, sulla paura immaginaria, lo porta ad essere quasi soltanto una serie di dialoghi (tanto che ad un certo punto sembrava un piccolo The Guilty). E impossibile non avvertire un pizzico di noia, non tutto funziona. Anche il discorso dell'ex militare ha parti molto affascinanti (quando parla di deserto, alle cose da non sapere etc, siamo sicuri che siamo agli inizi dell'Area 51) ma tutta la faccenda di quel suono, alla lunga, stanca.
Stesso discorso con la vecchia, anche qui affascinante ma la faccenda della "formula magica" sembra davvero molto forzata, debolissima e anche un pochino confusa nel suo uso e neis ui effetti (anche se porta alla bella scena di quelli che si bloccano in macchina).
Restano però parti molto suggestive in questo racconto, come il neonato, come la definizione di "persone del cielo" e soprattutto qualcosa di nuovo che io non avevo mai sentito prima.
Ad un certo punto la donna dice che da sempre gli alieni sono venuti a trovarci. Lo fanno sempre in aree quasi disabitate e colpendo persone sole. Ma è bellissimo quando dice che, piano piano, loro hanno iniziato a plagiare tantissimi di noi, tanto che in anni e anni siamo diventati veri e propri loro burattini e che tutti i vizi umani, sia privati che mondiali, come la guerra, sono in realtà opera del loro plagiarci.
Ecco, che quello che noi siamo dentro, anche nelle nostre paure e debolezze, abbia questa matrice è davvero suggestivo.

Ci troviamo così davanti ad una specie di Guerra dei mondi di wellsiana memoria che invece di riguardare un'intera nazione sta capitando lì e solo lì.
E questa notte diventa davvero immensa, come titolo - stupendo - suggerisce.
E' un titolo sinestetico perchè abbiamo la sensazione che l'immensità sia astratta e reale, una notte infinita, buia, in cui accadono cose sia nel cielo che dentro gli animi delle persone che la stanno vivendo.
Sta accadendo una cosa immensa in quello che è il simbolo dell'immensità, il cielo.
Il film ricorda tantissimo i formidabili Ai confini della realtà di quegli anni, anzi, lo stesso film ci viene presentato come opera di finzione, come sceneggiato che qualcuno - noi stessi - stiamo vedendo in un televisore.
Ho trovato al tempo stesso questa trovata molto elegante ma anche depotenziante perchè fa piombare il film in una ammissione di finzione che forse si poteva evitare.
Ma avercene di film così, film in cui le luci e i suoni hanno ancora il potere di farsi carne, film che raccontano di noi e delle nostre paure più ancestrali, film che nascondono dentro chicche (come quel dialogo su treni sotterranei e possibili piccoli telefoni portatili nel futuro), film che si spogliano di tutto per provare a farci vivere emozioni nello stesso modo in cui le vivono i protagonisti.
Film che sembrano un grande atto d'amore al cinema, a quello di pochi mezzi e tante suggestioni.
E alla fine anche noi, come i nostri protagonisti, saremo rapiti, portati lassù

7.5

13.7.20

Recensione: "The Station Agent" - Passeggiate, il cinema della poesia - 8 - di Roberto Flauto

Ottavo appuntamento col recensore poeta Roberto.
Anche stavolta, come accade spesso nella sua rubrica, ci presenta un film quasi sconosciuto, vi lascio prima al cappello di presentazione, poi alla recensione.

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Opera prima del bravissimo Tom McCarthy.
Un film sulla riscoperta di sé, una storia di amicizia e rinascita che viaggia sui binari della vita.
Fin (uno splendido Peter Dinklage) è un uomo affetto da nanismo che ha un grande amore per i treni. Non ha amici e non ha fiducia nel mondo né negli altri.
Eredita una stazione di servizio in una piccola cittadina.
Qui incontra il logorroico e invadente Joe e la dolce e tormentata Olivia.
Malgrado e grazie a ogni difficoltà, tra loro nascerà un’amicizia sorprendente e autentica.




I treni che viaggiano di notte.
La testa appoggiata al finestrino.
Il paesaggio e le luci lontane danzano nei riflessi sul vetro.
I ricordi, i desideri, le speranze, i rimorsi, le possibilità, il vuoto.
C’è tutta la tua vita in quelle immagini, su quei binari, in questa notte.
Non c’è niente di più malinconico e spaventoso.
Invece a me è sempre piaciuto.
Forse perché sono malinconico e spaventoso anche io.

Guardo più lontano che posso.
Chiudo gli occhi.
Non vedo altro che lei.


Anche a Fin piacciono i treni. Molto più di quanto potrebbero mai piacere a me. Perché lui li guarda e non vede solo malinconia, amore, ferite e altre effimere eternità. Fin vede se stesso, la sua vita, tutto il suo mondo, ogni mondo possibile. Lui ama i treni. Li studia, li osserva, li rincorre. Per lui sono la meta, non il mezzo.
Treni abbandonati e diroccati, con la sterpaglia e gli insetti che li infestano. Treni in perfetto stato, che corrono veloci, visibili per un attimo, il tempo di un sogno, l’eternità di un istante. Fin ama le stazioni ferroviarie. Sa tutto di questo universo, e non importa nulla se non sa quando siano stati inventati i dirigibili. Conosce le mappe, i percorsi, gli orari, i materiali. Gli piace passeggiare sui binari, ma lo fa sempre da solo. Conosce l’odore delle vecchie macchine usate per obliterare i biglietti dei viaggiatori, gli piace, forse gli ricorda di una carezza ricevuta da bambino, o il sogno di una carezza.
Fin ama i treni, sono la sua passione più grande. Ci sono chilometri di binari infiniti che corrono nelle sue vene, il suo sangue bollente, il suo sorriso accennato, lo sguardo di frammenti, dolce e malinconico. Ma non c’è spavento. La tristezza, quella sì. E la paura, e la rabbia. Ma Fin è un puro. Come un treno che ti porta dalla persona che ami. Quante storie d’amore, alla stazione. Quanti addii. Quanto orrore, quanta sublime bellezza.

Fin è alto un metro e trentatré.
Ha un solo amico, Henry, il vecchio proprietario di un negozio di modellismo, dove entrambi lavorano. La sera guardano fotografie di vagoni, carrozze, stazioni, o filmati amatoriali dei cosiddetti “cacciatori di treni”, altri amanti del train watching che vanno in giro per il paese a osservare, filmare e documentare i treni, il loro passaggio, le loro caratteristiche.
Fin soffre il suo nanismo. Sente il peso degli sguardi della gente quando passa, le prese in giro che fa finta di non vedere, le smorfie dei ragazzini, le frecciatine, le reazioni di sorpresa e di imbarazzo. Credo che voglia essere ancora più piccolo, minuscolo, sparendo del tutto.
Lui abbozza un sorriso, va avanti, come un treno che non ha bisogno di fermarsi.
Poi accade che Henry muore, e Fin si ritrova a dover lasciare il lavoro, perché il negozio e tutto l’edificio sono stati venduti. Ma il suo vecchio amico gli lascia in eredità una piccola stazione di servizio, ormai in disuso, in una altrettanto piccola cittadina di campagna. Non ha niente che lo trattenga. Il binario della sua vita ha preso una svolta imprevista.
È notte e piove quando arriva nella sua nuova casa.


Il treno.
Metafora del tempo, delle occasioni, della vita.
Ha ispirato poeti, scrittori, artisti, cantanti, pittori.
Il fischio di un treno cambia la vita di Belluca, nella novella di Pirandello.
L’operaio delle ferrovie, protagonista di Glory, trova il suo destino in attesa.
Nella città di N. arriva il treno dell’assenza e dell’altrove, nei versi della Szymborska.
Carducci che canta la stazione in una mattina d’autunno.
Il trenino Thomas e l’Orient Express che trasuda sangue.
Gli assalti di Jesse James e i salti del Polar Express.
Il treno metropolitano sotto il quale si lancia Andreas in The Bothersome Man.
Il treno che trafigge il tempo nell’opera di Magritte.
E ancora e ancora e ancora.

10.7.20

Recensione: "Wij"


Un gruppo di 8 adolescenti.
Ricchi, di buona famiglia.
Hanno una grande voglia di vivere, di stare insieme, di fare esperienze.
Ma tutto quello che fanno è malato.
Giochi erotici, perversioni, una serie di atti totalmente sprezzanti della vita e degli altri, in un crescendo sempre più grande che non potrà non portare ad una tragedia.
Un film diverso sull'adolescenza, perchè non parla del dolore esistenziale ma dell'opposto, dell'eccesso, del potersi permettere tutto, del togliere ogni mistero, magia e bellezza al sesso di quell'età, facendolo diventare invece una forma di potere, un'arma contro tutto e tutti, un modo per sentirsi capaci di ogni cosa.


Ne ho visti tanti di film sull'adolescenza, anzi, credo proprio che sia uno dei temi a me più cari nel cinema.
Sono talmente appassionato all'argomento che avevo fatto addirittura due liste di questi film, le trovate qua la prima parte, qua la seconda.
Eppure, malgrado ne abbia visti tanti di bellissimi, questo misconosciuto film belga-olandese va prepotentemente tra i miei preferiti.
Il motivo è semplice, Wij (we, ovvero "noi") porta alcune tematiche a limiti estremi, molto coraggiosi. E' quindi uno di quei film che per me diventeranno "simbolo" di certi argomenti perchè hanno avuto la forza di portare dei presupposti a estreme conseguenze, arrivare ad un limite che altri non raggiungono. Tutto questo però in una cornice molto verosimile che rende il film ancora più grande.
Ma oltre a questo merito ho trovato questo film eccellente in ogni aspetto, nella sceneggiatura, negli attori, nell'atmosfera e soprattutto nel modo che sceglie di raccontare le vicende, metodo geniale che si basa su 3 aspetti molto particolari.
Ma andiamo con ordine.
(ah, scrivo la recensione ancora una volta ad una settimana dalla visione, mi scuso se commetto qualche errore di memoria).

Siamo al confine tra Belgio ed Olanda.
Abbiamo 8 adolescenti, divisi perfettamente tra maschi e femmine, 4 e 4.
All'inizio c'è un processo dove vediamo un giovane testimoniare, capiamo che è un processo importante, capiremo poi perchè.
Questi 8 ragazzi amano vivere, tutto sembrano tranne che adolescenti con problemi alle spalle. Hanno ormoni a mille, si spogliano uno davanti all'altro senza problemi, fanno giochi strani (come infilare piccoli oggetti nel sedere delle ragazze per poi farle indovinare cosa siano, fino a quando qualcuno non ci infila anche altro...). Sembrano ragazzi senza nessuna inibizione, senza regole, senza ruoli sociali.
Ma, purtroppo, anche senza valori.
La loro visione della vita è puro edonismo, nichilismo, disprezzo delle regole.
I loro giochi, pericolosamente a metà tra lo scherzoso e il perverso, piano piano inizieranno ad essere sempre più estremi, sempre meno controllati, cercando poste in palio sempre più alte solo per il gusto della trasgressione, del sentirsi liberi, "potenti". Quasi tutto ha a che fare col sesso, vero motore e anima del film. Sesso che viene visto come "arma", delle bellissime ragazze nemmeno maggiorenni che sanno che con il loro corpo possono raggiungere qualsiasi obiettivo e far accadere qualsiasi cosa.
Vicino a loro hanno ragazzi maschi che iniziano ad "usarle", in un pericoloso e squallido gioco di "magnaccia e puttane" che ha l'unico scopo di far soldi, disprezzare la vita e i valori, sentirsi capaci di tenere per le palle tutti.


Un film che è l'esaltazione definitiva dell' "ormonalità", ovvero della potenza devastante del desiderio di sesso, ovviamente mai così forte come nell'adolescenza.
Quelle ragazze diventano vere e proprie armi nucleari capaci di dominare e distruggere qualsiasi cosa incontrano e raggiungere qualsiasi obiettivo si prefiggano.
Ecco così che la meravigliosa epoca del primo desiderio sessuale, di solito fortissimo ma tenuto goffamente nascosto, diventa in Wij e nei suoi adolescenti una lucida, fredda e consapevole maniera per avere il mondo ai propri piedi, per umiliare, per far soldi, per prendersi gioco del prossimo, persino per uccidere.
Un gruppo di ragazzi che, dominati probabilmente da Thomas e Liesl - le due vere menti criminali del gruppo - riesce a formare una banda che non ha alcuna stima per l'esistenza, specie per colpa di una visione del mondo adulto visto come noiosissimo, falso, triste. Essere diversi dai propri genitori autoritari o monotoni (spesso anche separati) porta così gli 8 ad una vita che è un continuo cercare l'estremo e dimostrare che già a quell'età chiunque può stare ai loro piedi, grazie alla sessualità.
La scena del cavalcavia, con quelle ragazze nude che provocano un incidente mortale, è il non plus ultra di questo potere, l'immagine più potente. E il fatto che il sapere quello che il loro gesto ha comportato li esalti è la dimostrazione di come questi siano ragazzi ormai totalmente persi, magari non per causa loro, e che stanno vivendo in una bolla ormonale che non ha quasi più niente di umano.
Tanto che anche fantastiche e dolci ragazze come Femke compiono esattamente gli stessi gesti delle altre, senza alcuna remora. E' come se fossero una testa unica che in nome di valori positivi (amicizia, il vivere la vita, il divertirsi) ha portato quei valori a completi disvalori, al loro rovescio della medaglia.
E' per questo che il film fa male perchè trasforma la voglia di vita che ogni adolescente dovrebbe avere in un modo mostruoso.
Ma parlavamo delle 3 particolarità con cui viene raccontata la vicenda.
Per prima cosa il film è diviso in 4-5 capitoli (tra l'altro bellissimi quei nomi con luci al neon), ognuno dei quali prende il nome di uno dei ragazzi. Ecco così che abbiamo la possibilità di approfondire la vita, la psicologia e il punto di vista di alcuni di loro.
Se Simon si rivela essere il più "umano", quello con più dubbi e l'unico con la forza di volersene andare anche prima della tragedia, è innegabile che i due personaggi più inquietanti restano Thomas e Leisl.


Il primo è figlio di una ricchissima famiglia. Non fa nulla, ha padre e fratello super realizzati e viene fatto sentire continuamente inferiore a loro, oltre che mantenuto. Questo lo porterà a diventare il leader degli 8 adolescenti, in quella che è quasi una specie di rivalsa per dimostrare che anche lui può riuscire in qualcosa, anzi, può tenere per le palle l'intera città (anche perchè tutti finiscono con le "sue" ragazze, dal sindaco a personaggi molto importanti).
Leisl poi fa ancora più paura perchè per lei tutta quella perversione e quel male hanno un significato "estetico", della vera "arte di vita", quasi delle performance. Terribile quel suo volere il feto dell'aborto come "pezzo d'arte" (tra l'altro secondo me scena più devastante del film quella in cui la nuova ragazza viene fatta abortire).
Questa scelta di dividere il film in capitoli di questa maniera ci porta anche a rivedere stesse scene o atti in angolazioni diverse, non tanto psicologiche, ma con elementi in più.
In questo la sceneggiatura è meravigliosa, non si contano le volte in cui sappiamo solo qualcosa di un fatto e poi ad ogni "confessione" (ci torneremo) aggiungiamo dettagli, non tanto una diversa angolazione (come Elephant) ma un prima e un dopo.
Ad esempio in un racconto vedremo un cane sulle rotaie ma solo alla fine, in un altro capitolo, capiremo perchè.
E la stessa morte di Femke è all'inizio solo evocata, poi esplicitata, poi raccontata in maniera misteriosa e solo alla fine mostrata.
Ma, come ho scritto, la particolarità più grande di questi racconti sta nel fatto che siano tutte confessioni (tanto che il film poteva intitolarsi Confessions, come uno ben più famoso) fatte dai ragazzi dopo che ormai tutto è successo.
E i confessori sono sempre diversi, può essere uno psicologo, può essere la madre (e pensate per una madre sapere di quelle cose che batosta sia) o, come nel caso di Thomas, può essere la confessione finale, quella "ufficiale", quella data in tribunale, ennesima vetrina di sè stesso per prendere in giro tutti e manipolare (anche se non del tutto, anche qui torneremo).
Sul piano estetico il film non cerca chissà quale virtuosismo ma le inquadrature, la colonna sonora, la suggestione di alcune scene ne fanno anche un film molto bello da vedere. Ad esempio quei primi movimenti in bici non possono non richiamare un altro film belga, quello sì esteticamente incredibile, Violet.
Ed è così che in questo film così malato, film nel quale 17enni fanno film porno, adulti vanno con ragazzine continuamente (anche la scena degli operai... brividi, ma non tanto per gli operai, quanto per come si propongono le ragazze), in cui si tatua "puttana" nel ventre di una giovane, in cui si uccidono feti a cazzotti, in cui si piscia addosso alle ragazze per umiliarle e tanto altro, ecco che finalmente scopriamo come è morta Femke.
E questa scena che sembra ridicola è un autentico capolavoro di scrittura, fenomenale.
Lo è per due motivi.
Il primo è che rappresenta perfettamente quello che il film racconta, ovvero di come per sprezzo della vita, immaturità, arroganza e perverso senso del divertimento ogni gesto che in menti "malate" può sembrare normali può invece avere conseguenze terribili (come il cavalcavia).
Femke è morta per niente, in un modo ridicolo, per una cosa che si fa anche fatica a credere (un ghiacciolo dentro al sedere) vera e propria metafora di quella vita vissuta senza un motivo in cui si può morire così stupidamente.
Ma quel ghiacciolo ha anche un altro significato, quel ghiacciolo è quello che il padre di Thomas prese per lui da piccolo, conservandolo in frigorifero. Quel ghiacciolo è Thomas, è il suo legame coi genitori, è come il canino di Dogtooth.
E Thomas togliendolo dal frigo e usandolo in quella orrida e insensata maniera si stacca definitivamente dal nucleo famigliare, lo irride. Ma questo avrà una conseguenza terribile.

Tra l'altro l'ultima scena del film è un'altra perla di scrittura. Thomas ha detto tutte bugie alla corte ma una no, il sindaco veramente violentava anche lui. E capirlo solo da quel suo star zitto e girarsi dall'altra parte è fenomenale. Questo non giustifica nulla ma rende ancora più complesso e tragico il film.
Un film che parla di giovani, di voglia di vita, ma che trasforma quella voglia di vita in un fregarsene della stessa.
E che trasforma il sesso adolescenziale, quello più bello, misterioso, impacciato ed emozionante di tutta la vita in un qualcosa di cinico, manifesto, arrogante, freddo.
E omicida.

7.7.20

ATTENZIONE, CAMBIO DATE RADUNO

IL RADUNO SI TERRA' NEL SECONDO FINE SETTIMANA DI SETTEMBRE, 11-12-13

appena potrò farò un post con il programma ma queste sono le date definitive

contattatemi per qualsiasi informazione

6.7.20

Settimo Raduno de Il Buio in Sala chiamato anche il Raduno Rebus (11-12-13 settembre 2020)

L'incredibile potere di un abbraccio e tutti i suoi benefici | DiLei

Sarà veramente buffo quest'anno vedere se il nostro raduno annuale sarà un flop o, al contrario, uno dei più partecipati di sempre.
Buffo perchè in entrambi i casi il motivo sarà lo stesso, il Covid.
La gente avrà ancora paura?
Tra due mesi tutta la faccenda sarà finalmente alle nostre spalle o, al contrario, sarà peggio di oggi?
Ma è anche vero che l'essere stati così tanto tempo in casa, il non aver potuto vivere per parecchi mesi la vita fuori magari porterà all'effetto contrario, ovvero alla voglia di vedersi ancora più di prima.
Tra l'altro qui in Umbria il virus lo abbiamo visto col binocolo praticamente....
E allora a due mesi esatti dal raduno intanto fissiamolo e parliamone, poi quel che sarà sarà, lo capiremo solo vivendo.
Come al solito il raduno sarà tra Perugia e Tuoro sul Trasimeno, anche se quest'anno si volevano organizzare un paio di viaggetti insieme altrove.
Ci saranno film, quiz sul cinema, tantissimo cibo e soprattutto "noi", tra quelli che sono sempre venuti, quelli che sono venuti solo una o due volte e quelli, speriamo, che verranno per la prima volta.
Ovviamente avremo i soliti alberghi e agriturismi a prezzi bassissimi, dai 15 ai 25 euro.

Per qualsiasi informazione chiedete dove volete, pubblicamente o privatamente.

Noi intanto ci organizziamo, poi se si farà e quanto grande sarà dipenderà da tanti fattori

Intanto un abbraccio virtuale sperando che poi, e fragoroso, ci sarà quello reale, ce lo meritiamo un pò tutti