Dopo La terra dell'Abbastanza i gemelli D'Innocenzo riescono a fare ancora meglio.
E lo fanno con un progetto molto diverso dall'opera prima (anche se parimenti dolorosa), coraggiosissimo.
Favolacce prende tutto il meglio degli ultimi 20 anni di cinematografia europea, grecia ed Haneke in primis.
Ne viene fuori un film cupo, senza speranza, con una tensione latente a tratti insostenibile.
Un film di famiglie romane, di padri sbagliati e figli incapaci di essere felici.
Un'opera che ha bisogno di più visioni per essere compresa fino in fondo.
Dolorosissima.
presenti spoiler, grandi dopo foto bimbo nell'acqua
Siamo a Roma, Spinaceto.
La prima istantanea vede 3 famiglie a tavola.
Ci sono i genitori e i 4 bambini.
Nessuno di loro accenna un sorriso.
Una sta sempre zitta, un'altra viene raccontata dal padre come fosse un'handicappata di cui prendersi cura, gli altri due esibiti come trofei.
I voti in pagella sono tutti 10.
Eppure la bimba, mentre li legge, deglutisce più volte, fa fatica.
La seconda istantanea è una bimba che ha preso i pidocchi.
Viene fatta sedere su una sedia, le vengono tagliati i capelli, quei capelli che per le ragazze, specialmente se sono bimbe di 12 anni, significano tutto.
Lo sguardo della bimba è fermo, nessuna sofferenza, nessuna reazione.
Anche in questa seconda istantanea qualcuno deglutisce prima di parlare.E' il padre a farlo, dicendole "sei bellissima".
La terza istantanea è un bimbo che guida una automobile in un prato, a soli 12 anni.
E il padre orgoglioso che gli urla "Sei come me! Sììì! Sei come me!".
Figli che devono essere uguali ai padri.
E ci spostiamo un attimo più avanti, con gli stessi soggetti di questa terza istantanea.
Padre e figlio camminano verso gli ospiti che stanno arrivando.
La camminata è la stessa, identica.
Sei come me.
La quarta è un ragazzino che dice ad una neomadre poco più che adolescente:
"Sei sicura di volere fare un figlio?"
La quinta, forse una delle più nascoste ma anche più significative, è quel padre che toglie dalla mano del figlio il regalo gommoso che gli avevano appena regalato.
"Ma che è sta schifezza, butta via"
A quel bimbo per la prima volta era stato regalato qualcosa, ed era successo nel loro mondo, in quello dei bimbi. Ma un secondo dopo torna nel mondo dei grandi, di quelli che dei segreti e delle magie dei piccoli se ne infischiano, nemmeno le guardano.
"Ma che è sta schifezza"
Sono solo 5 tra le decine di scene che potremmo prendere da questo gioiello italiano, senza dubbio uno dei pezzi più belli usciti fuori dalla nostra cinematografia in tempi recenti.
Cinque scene prese a caso ma che dentro hanno tutto quello che ci basta.
Eppure serve una seconda visione per cogliere tutto (io ne ho fatte due consecutive), una seconda visione per capire tante scene che, durante la prima, ci passavano davanti sì comunque significative ma in qualche modo nascoste.
Del resto la voce narrante ce lo aveva detto, quello che aveva trovato era uno scritto potente ma anche reticente, in cui quello che non viene detto sembra ancora più forte e doloroso di quello che è scritto nella carta.
Ecco, nel film avviene la stessa cosa, quella reticenza sono le sensazioni che dobbiamo avvertire sotto le immagini, quelle che solo una seconda visione, una volta visto come finisce il film, ci possono regalare e leggere.
Favolacce è un film coraggiosissimo, un raro esempio di cinema italiano maledetto, cupo, privo di speranza, fastidioso.
Ha dentro tutto il più grande cinema europeo degli ultimi 20 anni, quel cinema di silenzi, tragedie trattenute, ambienti malsani, famiglie senza amore, tensioni.
Favolacce è la vera risposta italiana al cinema greco degli ultimi 15 anni, impossibile non scorgervi, tra gli altri, Dogtooth, Miss Violence, Luton.
Ma è anche un film completamente hanekiano tanto che, ad esempio, Il Settimo Continente è richiamato a gran forza.
E fortissimo anche il richiamo a Il Nastro Bianco, bambini non amati, ribelli, che prendono le distanze dal mondo degli adulti e sono pronti a vendicarsi.
Non c'è gioia in Favolacce, non ci sono scappatoie, la coltre nera che tutto copre (splendida la locandina) è inestirpabile.
Quello che più fa paura è che quello che noi capiamo solo verso la fine del film i bambini lo hanno sempre saputo.
Sin dalla prima inquadratura quelli erano bimbi lucidi, consapevoli di tutto, pronti alla fine.
E' proprio questo incredibile distacco tra i bambini e adulti a fare impressione.
I primi sono intelligenti (anzi, forse troppo intelligenti, tanto che quei 10 a scuola sono come un preannunciare capacità nascoste), sensibili, maturi, lucidi.
I secondi, i genitori, sono narcisisti patologici, immaturi, cattivi, egoisti, incapaci di rendersi conto dei danni permanenti che stanno procurando ai proprio figli.
Nel migliore dei casi, vedi le madri, sono esseri succubi dei padri. Forse in loro c'era ancora una sorta di amore ma il loro ruolo è defilato e di impossibile contrasto all'autorità paterna.
In una scena emblematica, quella del rischio strozzamento a cena, la madre accuserà il figlio di aver fatto piangere il padre, ribaltando la situazione.
Tra l'altro il padre aveva pianto per finta, per schernire.
Scena perfetta per dimostrare come quella madre sia "sotto ipnosi".
E da quella ipnosi si sveglierà nel modo più tragico, con delle urla che ancora mi tormentano.
I gesti dei padri sono sempre nervosi, ed in questo gli attori sono formidabili. Sono un fascio di nervi, sono ipocriti corpi che cercano di stare composti e invece dentro ribollono, sempre.
In realtà un padre che ama il figlio sembra esserci, quello di Geremia, un bimbo che già dal nome, assurdo ed orribile, era destinato a star da solo.
Questo è un padre diverso dagli altri, immaturo, di scarsissima intelligenza, che ha come unico problema quello di trasformare l'amore per suo figlio (presente) nell'amore verso sè stesso.
Te paresse poco...
Se iniziamo a vedere i due film dei fratelli D'Innocenzo è impossibile non notare questa loro visione incredibilmente negativa dei padri.
Ovviamente non ci azzardiamo a tirar fuori nessuna conclusione, ma i due fratelli ci hanno raccontato solo padri terribili. A volte non cattivi (non lo era nemmeno Max Tortora nel primo film) ma sempre sbagliati, sempre immaturi, sempre inadeguati al proprio ruolo.
Visto che mi sono ritrovato a parlare dei due film come "coppia" notiamo anche come i D'Innocenzo facciano morire "tutti" i buoni, tutti gli innocenti, tutti i protagonisti principali.
Per questo dico che i loro film sono "oggetti alieni" quasi sconosciuti da noi, ma figli della cinematografia europea decadente di questi ultimi 20 anni.
Spero con tutto il cuore che prossimamente i due fratelli possano aggiungere luce nei loro film, speranza, vita. E' vero che ci sono registi che hanno fatto un'intera carriera senza mai mostrare una luce (Trier ed Haneke, ad esempio) ma i D'Innocenzo sono giovani e, per il poco che ho conosciuto uno dei due, si sente un entusiasmo, una voglia di vivere, un vitalismo poetico che prima o poi dovrà per forza portare a togliere tutto quel nero.
Se possibile il difetto di Favolacce è proprio questo, l'incredibile tristezza, l'assoluta incapacità di una via di fuga.
Ma i fratelli si "salvano" raccontando il film come una favola che, come da prassi, può risultare esagerata rispetto alla realtà.
La voce fuori campo lo dice, si scusa anche, ed è come se gli stessi due registi si scusassero con noi per averci messo davanti un quadro così cupo e terribile.
E allora avviene quello che, guarda caso, avvenne in Funny Games, la voice over ci dice "dai, ricominciamo da zero", come se volesse rimandare indietro il nastro e cancellare tutto l'orrore che avevamo visto.
Ma niente, i due uomini sul divano sentiranno la stessa notizia che la famiglia di Germano sentì nella prima scena del film.
Insomma, in una sorta di paradosso temporale (il film finisce con il suo inizio) capiamo che no, anche uscendo dalle favole brutte, anche provando a raccontare altro, la realtà è sempre quella.
Anzi, stavolta ci vengono mostrate anche le immagini di quella tragedia famigliare.
E in quelle immagini c'era una coppia che avevamo conosciuto, forse gli unici "buoni" che sembravano essere scampati al massacro.
No, non c'è via d'uscita, anzi, è tutto peggio di prima.
Il film non ha difetti e, se li ha, sono quelli di non poter essere compreso immediatamente.
In realtà ci sono dei problemi di dizione in alcuni momenti che rendono difficile la fruizione.
Peccato che ciò ad esempio accada in una scena, quella sul bus, che ci rivela un fatto molto importante, quello della bomba.
Di film di insopprimibili dolori, di vite tristi e senza obiettivi, di prigioni famigliari e voglia di farla finita per incapacità non tanto di non avere un futuro ma per completa disconoscenza del bello della vita, ne abbiamo visti tanti.
Molto spesso, però, riguardavano adolescenti (un titolo recente su tutti, Bridgend).
E anche in questo Favolacce dimostra il suo coraggio, nel portare quella soglia addirittura ai 12 anni, come se alcune consapevolezze puoi raggiungerle anche molto prima. Non è un caso che i suoi bambini siano molto intelligenti perchè solo una spiccata intelligenza e sensibilità può portarti a quell'età al desiderio di morire.
Questa mia frase è scomoda e pare un ossimoro, ma tant'è.
E se la prima idea era quella dell'esplosione, con la costruzione delle bombe poi scoperte, i bimbi pensano poi quasi al contrario, ovvero ad una implosione, al morire dal di dentro, soltanto loro, lasciando che il mondo prosegua.
Ed entrambe le idee, sia quella distruttiva che il suicidio, sono arrivate a loro dallo stesso professore (attore superbo per me) che, è evidente, è "uno di loro" - intelligente e tremendamente solo - che ha avuto la (s)fortuna di diventare adulto.
Ed è una chicca di sceneggiatura che il metodo del suicidio venga dato dal professore durante la sua ultima lezione (lo capiamo perchè è vestito uguale alla scena del licenziamento).
Se ne andrà via ma, andandosene via, darà suggerimenti sull'andarsene via per sempre.
E i bambini, quasi come un The Invitation, sceglieranno di farlo tutti insieme (molto bella la scena di quel padre - che non avevamo visto quasi mai - che bussa alla figlia ma non ha il coraggio di entrare dopo aver sentito le urla nelle altre case).
Gli attori sono tutti eccellenti, ancora una volta i D'Innocenzo si dimostrano perfetti nello sceglierli e dirigerli (molto particolare che almeno 4 attori abbiano lo stesso taglio di occhi, occhi molto distanti tra loro, un pò come vedemmo in Corpo e Anima, anche se lì c'era l'identificazione con le mucche).
La regia è molto diversa da quella secca e nascosta de La Terra dell'Abbastanza. Stavolta i fratelli, a ricordare che sempre in una favola potremmo essere, girano sequenze luminose, altre liriche (i bimbi che si fanno i gavettoni), giocano con le inquadrature (stupenda la scena del barbecue in campo lungo. Ma chi li spia dalla finestra?), sfruttano l'elemento acqua di continuo (gli appena citati gavettoni, il mare, il lago, la piscina), insomma ci regalano "anche" un film bellissimo da vedere.
Ma tutto questo brio è soltanto in alcuni significanti, mai nei personaggi.
Inutile dire che la scena che ci resterà più impressa è quella del suicidio.
Più che scena unica è un arcipelago di scene perfette.
I due bimbi che, di notte, vanno in cucina.
Quel loro guardarsi.
Lei, la bimba che per tutto il film, pur essendo la più piccola, ci è sembrata sempre la più lucida e matura, la più consapevole (ci dirà che quell'anno tornare a scuola non le dava più ansia, questo perchè aveva già deciso di non vivere più) comincia ad avere gli occhi lucidi.
E poi il capolavoro di Germano che scende e noi che guardiamo solo il suo agire, senza controcampo.
Quel suo vigliacco tornare a letto e mettersi giù è agghiacciante, un uomo che si è sempre dimostrato un despota e ora non ha il coraggio nemmeno di urlare o reagire alla morte dei figli, tanto merda si starà sentendo in quel momento.
Forse quel viso nel letto è il viso di una persona nuova, che solo ora si rende conto di tutto.
Ma il prezzo pagato è ormai troppo alto.
E poi quella madre fuori campo, le urla.
Come detto sopra solo in quel momento è tornata la madre che, forse, avrebbe potuto sempre essere senza quel marito.
Ma è troppo tardi anche per lei.
Sono morti tutti questi bimbi troppo cresciuti, bimbi che per colpa di genitori sbagliati già conoscevano il sesso (tenerissima la scena di loro al lago, inquietante quella del preservativo pronto per l'incontro al morbillo), bimbi che non hanno mai sentito amore, che non sono mai riusciti veramente a sentirsi felici, bimbi costretti ad interpretare ruoli, prendere bei voti, somigliare ai padri, senza poter mai vivere il segreto e la magia della loro età.
Un film terribile che vorremmo fosse solo una favola ma che non lo è.
Un film dove l'unico momento di felicità e spensieratezza è quello di una coppia che sta parlando di una canzone e poi quella canzone, incredibilmente, parte proprio in quel momento, nel locale dove sono.
Un film dove la felicità può essere solo una coincidenza