Dodicesimo appuntamento con Enrico che torna per la seconda volta sul mitico Lupin.
Lo fa perchè su Amazon Prime sono disponibili tre mediometraggi (sui 50 minuti l'uno) molto recenti che hanno entusiasmato il nostro giovane appassionato di Anime.
Vi lascio prima alla sua premessa, poi alla sua premessona e poi alle 3 recensioni dei singoli film
Lo fa perchè su Amazon Prime sono disponibili tre mediometraggi (sui 50 minuti l'uno) molto recenti che hanno entusiasmato il nostro giovane appassionato di Anime.
Vi lascio prima alla sua premessa, poi alla sua premessona e poi alle 3 recensioni dei singoli film
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La lapide di Jigen Daisuke, Il getto di sangue di Goemon Ishikawa, La bugia di Fujiko Mine. Tre mini film (da 50 minuti) su Lupin III, o meglio, tre istantanee sulla sua scalcagnata banda. Personaggi assurti ormai al Pantheon degli anime, giustamente meritevoli dell’occhio appassionato e al contempo sfacciato di un regista che nel suo campo è un piccolo maestro.
Disponibili su Prime. Spoiler minimi.
Lupin terzo, dalla nascita nel 1967, non se n’è mai andato. Film televisivi con protagonista il simpatico ladro sono usciti ogni anno, ma ci voleva davvero qualcosa di speciale avvicinandosi al 50esimo anniversario. Le prime avvisaglie sono arrivate con la miniserie dedicata interamente alla compagna/avversaria di Lupin, la Donna chiamata Fujiko Mine. Non l’ho vista, ma sembra che sia nel look che nelle intenzioni dovesse riagganciarsi a quando tutto cominciò, con le tavole schizofreniche, al limite dello scarabocchio, del creatore Monkey Punch. Insomma, pare che parlando di Lupin non ci sia scampo dai paragoni con l’ispirazione James Bond: anche la famosa serie cinematografica, quando perse slancio negli anni ’80, si volse nuovamente ai libri di Ian Fleming per ritrovare carattere. Idealmente questa rivoluzione alla romana (cioè che guarda al passato per rinnovare il presente) dovrebbe essere proseguita dai tre mediometraggi in questione, forniti di tutto il necessario per il fan di Lupin della prima ora: avventura, violenza, tensione, e il giusto pizzico di erotismo.
Questi però sono parte di un’unica creatura, modellata sui tre comprimari classici della saga: Jigen, Goemon e Fujiko (a dirla tutta ci sarebbe anche Zenigata… quarto capitolo in arrivo?). Lo stile varia, da cervellotico e adrenalinico per il pistolero, più cupo per il samurai, più sensuale per la ladra; ma tutto è collegato dalla pennellata di Takeshi Koike, già character designer della citata miniserie. Per chi non sa chi sia, solo l’allievo del mio regista preferito nella storia dell’animazione, nientemeno che Yoshiaki Kawajiri. E il più promettente, a giudicare dal curriculum. Chi non si fida delle raccomandazioni infatti, dovrebbe ammirare il suo meraviglioso World Record, un corto di quella antologia di tesori animati chiamata Animatrix (spin-off del famosissimo film dei Wachowski). Probabilmente è meglio conosciuto per il lungometraggio Redline, arrivato anche in Italia, quindi ci troviamo già davanti ad un talento multiforme, capace di lavorare con qualsiasi tempistica della macchina cinema. Riuscire poi ad incanalarlo in una serie longeva e dai cardini solidi come rocce quale è Lupin, vuol dire essere davvero un genio.
Funziona a meraviglia, diciamolo. Lupin è sempre quello, giacca blu in linea con le ultime due serie, la faccia da schiaffi e la voce, ormai consolidata da più di un decennio, del bravissimo Stefano Onofri. Ma è pure un Lupin straordinariamente retrò, a partire proprio dalla collocazione temporale di metà anni ’70. Tempi in cui Lupin e Jigen erano freschi compari, agli albori di una splendida amicizia (quasi un caposaldo del primo anime) ma formalmente in rapporti di affari. Anche Goemon vive in una specie di versione alternativa di sé stesso, durante la caccia a Lupin ma prima della nascita della loro collaborazione. Fujiko è l’unica con un’avventura tradizionale, non fosse per il suo assoluto protagonismo, che più o meno conferma tutto quel (poco) che sappiamo sulla ladra.
Un restyle impossibile da non amare, che coinvolge anche la colonna sonora jazzissima, un vero capolavoro: per una volta hanno lasciato in pace il decano compositore Yuji Ohno, quindi le musiche sono molto più fresche del solito (ancora una volta, niente di nuovo: per il rinnovo Bond, con Solo per i tuoi occhi, avevano chiamato Bill Conti per svecchiare la saga dalla costante presenza del maestro John Barry). Ma basta con questi dettagli panoramici, direi di passare ai singoli film.
La Lapide di Jigen Daisuke
Ho sempre sospettato che Jigen fosse il mio personaggio preferito della cumpa. Adoro il personaggio del solitario pistolero, che qui più che mai digrigna quella faccia da James Cogburn e sprofonda lo sguardo nelle tese sconfinate del suo fedora, non ama i lavori di squadra e dà l’impressione di poter persino ficcare una pallottola nella schiena di Lupin per una parola di troppo.
La Lapide di Jigen Daisuke, d’ora in poi mia opera topica per il personaggio, ne è la conferma definitiva.
Ovviamente non cambierà il mondo dell’animazione o del cinema in generale, non è rivoluzionario nella narrativa o tematiche, lo è relativamente al suo ambito, la saga di Lupin. Guardando un prodotto a caso dalla lista ci si aspetta tutto tranne che una trama eccelsa (eccezione, il Castello di Cagliostro) da thriller hitchcockiano o poliziesco coreano. Lapide non fa eccezione, per via di qualche smussatura da operare a livello di sceneggiatura. Ciò che rende un Lupin III meritevole è la scrittura dei personaggi, l’effetto sorpresa, ma soprattutto la capacità di legare il tutto senza strabordare. La ricetta è in fondo sempre quella, sarabande di rapimenti, inseguimenti, tecnologie irreali o anacronistiche, sparatorie, mascherate. Tutte cose che, scollate dai rapporti di causa-effetto, possono annoiare a morte, come succedeva in alcuni special annuali, paradossalmente aggravati dal ritmo indiavolato. Anche con le libertà che concede l’animazione bisogna andarci piano: un personaggio, anche fatto di linee e colori, deve poter morire, altrimenti perché lo spettatore dovrebbe preoccuparsi per lui? Devono essere i simpatici ladruncoli che tutti amiamo a latitare, non la tensione.
Takeshi Koike riesce nell’impresa di tenere tutto assieme. Anzi, scommette con lo spettatore di poter fare molto di più: uccidere Jigen Daisuke, una delle pietre angolari della saga (in un prequel, per di più!). Jigen muore, anzi è già morto, fin dalla prima, bellissima tavolozza, questo cimitero dalle testate spropositate e cielo rosso sangue, dove un uomo posa un fiore s’una tomba, la tomba di Jigen Daisuke. È un po’ la scommessa che faceva un altro franchise da me molto amato, Kuroshitsuji, nel bellissimo OAV Book of Murder: sappiamo che tu, spettatore, conosci a menadito le regole, ma noi ti freghiamo lo stesso.