Visto che nel sondaggione finale i film non distribuiti in Italia non potevano partecipare, e visto che quest'anno nel Buio in Sala non hanno praticamente mai trovato spazio (ho visto al 95% film distribuiti, sala e piattaforma), ho pensato di riunire una specie di Intellighenzia di amici e chiedere a loro di presentare qui nel blog 2/3 film bellissimi a testa che da noi non sono mai usciti.
Ed ecco che è venuto fuori questo bellissimo post, spero anche molto interessante.
Ed ecco che è venuto fuori questo bellissimo post, spero anche molto interessante.
Ovviamente al momento (ma per quasi tutti direi che anche in futuro) questi film non potete vederli "legalmente", cercate di arrabattarvi in qualche modo ;)
Ah, la bella notizia è che nella squadra qui sotto io non ci sono!
RICCARDO SIMONCINI
RICCARDO SIMONCINI
THE HAPPIEST MAN IN THE WORLD di Teona Strugar Mitevska
In mezzo alle macerie di una Sarajevo presente bombardata dalla guerra, in un grande e desolatissimo albergo vengono organizzati incontri per trovare l’amore o forse un futuro, per uscire da un tempo che imprigiona tutto e tutti, residuo di un mondo distrutto e senza speranza, come quei palazzi lì affacciati tappezzati di fori di proiettile. Chiusi in un susseguirsi di stanze vuote dai nomi di città svizzere, i partecipanti (tutti conformati con casacche viola per "mantenere la concentrazione e far rispettare le regole") si dedicano ad attività e giochi di ogni tipo, che sembrano richiamare una versione comica e grottesca degli Hunger Games per trovare l’anima gemella. Dalle domande iniziali per conoscersi - che pongono sullo stesso banalissimo piano il colore preferito e la propria posizione politica verso i serbi. Ad una versione adattata di "palla avvelenata". Dove una rievocazione storica viene confusa per una performance. Così si incontrano Asja e Zoran, con un carico di tensioni che sono tutto meno che sessuali. Potrebbero infatti essere la coppia perfetta, hanno interessi e passioni comuni, ma in mezzo si interpone il trauma del loro passato, l'odio ereditato da assurdi principi.
Teona Strugar Mitevska torna con un’opera dall’ironia pungente e sottilissima, dove i volti dei suoi personaggi non assomigliano a quelli dei loro genitori biologici ma all’eredità della Storia che li ha plasmati: guerre e tradizioni insensate, come quella che muoveva le sorti della protagonista Petrunya nel film precedente. Religione, confini, popoli che si odiano più per una rabbia ereditata che per motivi interiorizzati. Come i movimenti innati di quelle stesse dita che ora si incrociano per afferrare una palla, ma che prima hanno premuto un grilletto per uccidere. E ora dentro quegli spazi ognuna di quelle persone affida quel dolore ad un oblio impossibile, nascondendosi dentro se stessa, riempiendosi gli occhi anestetizzando la memoria. Come se l’amnesia fosse la massima lucidità mentale. Lì dove quello che chiamiamo presente non è altro che un disturbo da stress post traumatico, la pazzia della guerra.
“Avete ripreso tutto da capo”.
STEFANO DE ROSA
Teona Strugar Mitevska torna con un’opera dall’ironia pungente e sottilissima, dove i volti dei suoi personaggi non assomigliano a quelli dei loro genitori biologici ma all’eredità della Storia che li ha plasmati: guerre e tradizioni insensate, come quella che muoveva le sorti della protagonista Petrunya nel film precedente. Religione, confini, popoli che si odiano più per una rabbia ereditata che per motivi interiorizzati. Come i movimenti innati di quelle stesse dita che ora si incrociano per afferrare una palla, ma che prima hanno premuto un grilletto per uccidere. E ora dentro quegli spazi ognuna di quelle persone affida quel dolore ad un oblio impossibile, nascondendosi dentro se stessa, riempiendosi gli occhi anestetizzando la memoria. Come se l’amnesia fosse la massima lucidità mentale. Lì dove quello che chiamiamo presente non è altro che un disturbo da stress post traumatico, la pazzia della guerra.
“Avete ripreso tutto da capo”.
STEFANO DE ROSA
VIEJOS di Raúl Cerezo, Fernando González Gómez
La Spagna è attraversata da un’eccezionale ondata di caldo che ha un impatto devastante sulla salute fisica e mentale della popolazione più anziana. I viejos, guidati da una misteriosa forza esterna (aliena?) si coalizzano contro i giovani, in una spirale di terrore che vede come protagonista nonno Manuel (interpretato magistralmente da Zorion Eguileor, che avevamo già avuto modo di apprezzare in una precedente edizione del Festival nello straordinario “El Hoyo”) che ha perso da poco la moglie in circostanze misteriose.
La storia è raccontata dai due registi (Raúl Cerezo e Fernando González Gómez) con una mise-en-scène di gran classe, a cominciare dall’incipit con la macchina da presa che indugia su un primissimo piano del dipinto di Goya “Due vecchi che mangiano”, dove compaiono due personaggi anziani: quello di sinistra, fa una smorfia con la bocca, probabilmente per la mancanza di denti, mentre l'altro ha il volto di un cadavere. E proprio in tale opera troviamo una prima chiave di lettura del film che mostra, con una fotografia “calda” (soffocante come il clima di Madrid) che vira spesso sui toni del giallo e del marrone, quanto possa essere terribile la condizione di un essere umano giunto ormai alla fine della propria esistenza.
Ma Viejos è anche (e direi soprattutto) un film sull'essere ignorati se non addirittura invisibili, un grido di dolore indirizzato alle generazioni più giovani, con un finale aperto che mi ha ricordato molto quello di “The invitation”.
DAVIDE BANCHIERA
THE NOVELIST’S FILM di Hong Sang Soo
Ogni film di Hong sang soo è unico, ma paradossalmente se dovessimo far un gioco ed estrapolare 5 frames da altrettanti suoi film , difficilmente sapremmo individuare di quale film si tratti.
I luoghi ed i personaggi sembrano a prima vista assomigliarsi un po’ tutti, ma è proprio qui che entra in gioco l’autorialità del regista, che lentamente toglie il velo che ricopre ogni personaggio e li presenta in tutta la loro spontaneità.
In quest’ultimo The Novelist’s film, è una scrittrice la protagonista e saremo pian piano portati a concentrare la nostra attenzione sui rapporti che intercorrono fra lei e le persone che incontra: un’amica di vecchia data, un regista, un’attrice, un poeta…
Una serie di coincidenze porterà la scrittrice a dirigere il suo primo cortometraggio; avremo quindi modo di riflettere sull’onestà intellettuale e sulla mancanza d’ispirazione, ma vedremo come la passione, l’istinto e l’amore per l’arte riusciranno a portare alla nascita d’immagini in movimento.
Allo spettatore sembrerà di ricevere una carezza, un soffio, un abbraccio metacinematografico.
Il cinema di Hong sang soo è pura poesia , un modo perfetto per concentrarsi sul “qui e ora”, soffermarsi su un gesto, una semplice parola o una lieve sfumatura.
GIANLUCA CAFAGGI
MAD GOD di Phil Tippett
Levitico 26:33, riassumendolo brevemente Dio mette in guardia l'uomo dandogli un assaggio di ciò che il suo terrificante volere potrebbe rappresentare.
Mad God comincia così, con questo passo dell'antico testamento, tutto quello che vedremo dopo sarà il caos descritto in quelle poche righe, caos che l'uomo ha contribuito a creare e pur cui adesso viene punito da Dio...ma chi o cosa è Dio?
Opera in stop motion la cui realizzazione è durata più di 30 anni, partorita e plasmata nei minimi dettagli da Phil Tippett, creando e animando totalmente a mano scenografia e personaggi.
Mad God è un'operazione probabilmente irripetibile, un atto d'amore verso il cinema di una maestosità tale da lasciare a bocca aperta sequenza dopo sequenza, per lo più autofinanziato da l'autore stesso e da chiunque negli anni abbia creduto nel progetto.
Una lunga discesa all'inferno, rappresentata da una sequenza iniziale memorabile, un'inferno animato da creature inumane, volte ad alimentare un ciclo continuo fine a se stesso. Un paesaggio post industriale dove colori sporchi, polvere e oscurità fanno da padroni, fotografia che rende ancora più terrificanti i paesaggi incredibilmente dettagliati che fanno da cornice alla vicenda, veri protagonisti del film.
Nonostante un'impostazione fortemente antinarattiva e una totale assenza di dialoghi, Mad God non si limita all'estetica, molteplici sono le letture e le riflessioni a cui ci sottopone. Partendo da una critica al puro e mero consumismo moderno, al materialismo e al cerchio piatto a cui la società riduce le nostre vite, scaverà sempre più a fondo, portandoci fino a vere e proprie riflessioni esistenziali, dove starà a noi decidere chi o cosa sia quel Dio citato nelle prime righe.
Un film cinico, crudele ma anche sincero e mai retorico; sicuramente una visione pesante, ma che non può lasciare indifferenti.
ENRICO GASPARI
TRES di Juanjo Giménez
Questo Tres - a volte si trova anche come “Out of sync”, che, se volete la mia, è un titolo orribile e banalizzante – è il classico esempio di film dal grande soggetto, una categoria onestamente sovradimensionata. Ardirei dire che chiunque può avere una bella idea, o che suona tale. Tutt’altro discorso è trasformare quel nucleo impreciso in una storia che si aggiri, generalmente, sull’ora e mezza, coerente, ritmata, con personaggi e dinamiche interessanti: questo sì, che vuol dire avere un grande soggetto. È per pochi, e tra quei pochi ci metterei Juanjo Giménez – spagnolo, niente di strano dunque, ormai è uno dei cinema migliori al mondo – al suo esordio. Cosa succederebbe se il nostro udito fosse fuori sincrono, anche di poco, come accade alla protagonista senza nome (Marta Nieto, la Rosamund Pike spagnola)? Mezzo secondo di ritardo, una nullità: eppure quel poco basta praticamente a rovinarle la vita – lei è tecnico del suono, e pure per progetti prestigiosi, immaginate il disastro – e non solo, aumenta sempre di più fino a divenire interi minuti di scompenso. Siamo dipendenti dall’udito: una pentola che bolle, un clacson, un rumore strano la notte, i segni del pericolo ci proteggono, e se non possiamo udirli possiamo affinare i nostri altri sensi, ma gestire un ritardo così variabile no. E in effetti, la scena al supermercato è persino horror, quando lei sente quella conversazione dilazionata e la propria voce stentata (se non puoi ascoltare non puoi nemmeno parlare normalmente). Eppure, il colpo di genio di questo film, oltre alla trovata metacinematografica – come detto lei è tecnico del suono, e per quelli veri sarà stata divertente e impegnativa la gestione del set – è quella seconda parte dove lei, nonostante tutto, quella vita comincia a godersela. È quasi un ritorno all’arcaismo felice, non esistono orari, scadenze, ritardi, contano solo i cicli naturali, perché se tutto è in ritardo è come se nulla lo fosse. Si torna ad apprezzare le piccole cose, e a questo proposito c’è una scena talmente bella che penso non me la toglierò mai dalla testa, dove lui accompagna lei al cinema in tempi sfasati, che credo valga da sola dieci anni di film (anche venti se contiamo pure il seguente coito “ritardato”). Sono curioso di sapere cosa ne pensano altri sul finale, dove si dipanano degli eventi passati certo commoventi, forse non necessari; sarebbe stato meglio lasciare tutto all’immaginazione, ma è un pensiero mio. Ai posteri l’ardua sentenza, anche così lo ritengo uno dei film non distribuiti più validi degli ultimi anni.
FRANCO CAPPUCCIO
THE PLAINS di David Easteal
Nel primo lungometraggio di Easteal, il regista australiano adotta uno stile registico basato sulla durata che ha probabilmente raggiunto il suo apice attorno all’inizio degli anni ’ ma egli mette a frutto la cornice concettuale in un lavoro coinvolgente con naturalezza e libero dagli aspetti più provanti del cinema contemplativo (ad esempio, lunghi passaggi di silenzio, oppure personaggi quasi simbolici che si avventurano in missioni apparentemente senza fine verso l’illuminazione). Di durata 180 minuti e quasi completamente ambientato dentro una macchina, The Plains ci mostra la vita giornaliera da pendolare di un uomo d’affari di mezza età dal parcheggio di un ufficio legale di Melbourne fino alla sua casa nei sobborghi esterni della città. Ogni giorno, appena passate le 17, Andrew (Andrew Rakowski) entra nella sua Hyundai, chiama sua moglie, e si informa delle condizioni della madre sofferente, prima di ascoltare un talk show alla radio per il resto dell’ora di viaggio. Di tanto in tanto, offre un passaggio ad un collega, David (interpretato da Easteal), che sta attraversando una rottura ed è in linea generale poco soddisfatto della sua vita personale e professionale. Nel corso del film raccontato in maniera ricorsivi, iniziando nello stesso luogo e nello stesso spazio per ogni giorno Andrew e David rivelano loro stessi in conversazioni superficiali, fatte su due piedi (apparentemente scriptate ma recitate così naturalmente da dare la sensazione di essere un documentario) che si accumulano in un ritratto acuto della vita moderna una in cui le altrimenti inarticolate credenze, rimpianti ed ansietà portano alla luce una umanità condivisa troppo spesso persa nel trambusto del mondo.
MARCO BAGARELLA
THE EXECUTION di Lado Kvataniya
Ecco, quindi questa ballata della Giustizia, suprema signora dell’universo. Ecco l’incedere lento ma inarrestabile del suo passo, mentre segue il carnefice, lo scruta, lo inganna, lo svela e lo annienta abbracciato alla sua stessa colpa. E se anche fosse, così come lo è in questa narrazione filmica, che l’uomo colpevole vive nella prosperità, riceve onori, ecco che i morti si levano dalle tombe (anche i vivi-morti, gli uomini sepolti dalla vita in vita, viene da aggiungere), e lo perseguono. E lo portano via con loro. Thriller epico, da mettere accanto a capolavori come “Seven” e “Memories of murder” e film-bomba, per me, per il biennio ‘21/’22. Che se fosse stato distribuito in Italia avrebbe scalzato chiunque, colorando, con i già nelle sale Sokurov e Khrzhanovskiy, l’intero podio di cultura russa.