30.5.19

"I pronipoti dei Lumiere", 20 bellissimi film francesi recenti che dovreste vedere - Parte 1 di 2


Dopo il "successo" della prima lista per nazione, quella riguardo la Grecia (la trovate qua) oggi mi sono presi 5 minuti buoni e ho provato a metterne giù un'altra.
E andiamo da chi il cinema l'ha inventato, la Francia.
Il loro è grande, grandissimo cinema, pieno di chicche.
Come al solito le mie liste hanno moltissime limitazioni
Nessun film stra-famoso (famoso sì, ma non film che tutti hanno visto).
Un solo film per regista (di alcuni ne avrei messi 4-5).
Nessun regista "ibrido" (Villeneuve, Dolan etc...).
Nessun film francese ma di regia non francese. Ad esempio anche alcuni Haneke e Fahradi sono quasi del tutto produzioni francesi.

Di sicuro ci saranno "errori" ma io, vi giuro, faccio queste liste in un quarto d'ora, come un automa, è già un miracolo così.

Cominciamo con la prima parte :)

I TITOLI PORTANO ALLE RECENSIONI




Partiamo dal più recente, ancora inedito in Italia.
High Life è un film ambiziosissimo (uno dei più ambiziosi visti questi anni nello sci-fi) che trasla nella cornice fantascientifica concetti primordiali e assoluti come quello della maternità (vita) e del senso dell'esistenza.
Ambientazione alla Moon, richiami di The Martian (vedi l'orto), pennellate di Wall-E (con quelle immagini malinconiche della Terra e di quello che eravamo) e, come detto, un sottotesto autoriale fortissimo. Non scomoderei Kubrick ma il tentativo (nelle intenzioni) è simile.
Grande incipit in cui vediamo un astronauta (grandissimo Pattinson) vivere in un'astronave con la sola compagnia di una neonata. I gesti di Monte (il personaggio) sono quelli di un padre. Solo poi (il film è quasi tutto flash back) capiremo se è veramente figlia sua.






Ecco un grande esponente di quel cinema piccolo e delicato che i francesi sanno far benissimo.
Film misurato come pochi in cui niente è esagerato, nè la violenza nè l'amore, nè la condanna nè la retorica. Sono i bambini, le loro emozioni, le loro paure, le loro speranze ad essere protagoniste, a ricordarci che mai, mai, un bambino può essere segregato o inibito nelle proprie passioni o potenzialità. E qui viene in soccorso la musica, l' altra grande protagonista del film.



Chi non ha mai visto i polar (poliziesco + noir) francesi si è perso uno dei filoni più belli della cinematografia europea.
Ce ne sarebbero tanti da citare ma ne ho scelti due (il secondo nella lista di domani)
Che dire, questo è un film disperato, fosco, cupo, che al tempo stesso ti tiene incollato e ti colpisce al cuore.
In una Marsiglia sporca e peccaminosa si mischiano almeno tre vicende. Quella privata di Louis Schneider, poliziotto investigativo la cui vita è stata letteralmente devastata da un terribile incidente stradale, quella di Justine terrorizzata dalla possibile uscita di galera del killer che sterminò in maniera quasi inumana la sua famiglia, e quella generale, colonna portante del film, sulle indagini di nuovi atroci delitti di un serial killer che violenta e uccide senza la minima pietà le sue vittime.
Auteil è il mostro di sempre



Un'autentica perla dell'animazione.
Un film -dolcissimo ma non melenso, forte ma non necessariamente un j'accuse- su quel sacro, delicatissimo e meraviglioso mondo che è l'infanzia.
Quell'infanzia privata delle due figure cardine, i genitori.
Zucchina, gli altri 6 amici bambini e i loro 14 occhi dove, in nemmeno un'ora di tempo, potete perdervi e riflettere.
Girato poi nella tecnica che è atto d'amore per eccellenza, la stop motion.



Seraphine ha le mani tozze e profondamente segnate.
Segnate da anni di lavoro duro ed umiliante.
Seraphine ha lo sguardo quasi inebetito, senza alcun barlume di intelligenza.
Seraphine si arrampica sugli alberi.
Seraphine è grassa e sgraziata.
Seraphine pare quasi un animale, è brutta, sporca, stupida e l'unico habitat nel quale si sente a suo agio è quello della natura libera e incontaminata.
Però Seraphine dipinge.
E lo fa meravigliosamente.

Con una Yolande Moreau mostruosa



Uno dei film visivamente più impressionanti che abbia mai visto.
Affascinante, onirico, sensuale, insidioso, destrutturato, Amer è un film che stimola e racconta tutti i nostri sensi.
Vi troverete scombussolati in un'opera senza centro di gravità, divisa in tre atti, profondamente perturbante.
Un capolavoro




Purtroppo l'unico Ozon che abbia mai visto.
Film dal soggetto e dal primo tempo formidabile, una delle più interessanti riflessioni sulla scrittura viste al cinema di recente (insieme a Ruby Sparks credo).
Peccato che poi il film diventi sempre di più uno strano oggetto che un pochino tradisce e banalizza l'eccezionale assunto.
Uno studente, attraverso dei temi scritti, racconta al suo professore di lettere la sua morbosa ossessione verso la casa di un suo amico, quella casa grande e bella come quelle di una normale famiglia borghese. Inizialmente l'interesse sembra solo per la casa ma più i temi (e le visite dall'amico) aumentano più il ragazzo sembra entrare in intimità con gli abitanti della stessa, il suo compagno di classe e i suoi genitori.
Il professore, affascinato dalla scrittura del giovane e anch'esso oramai morbosamente attratto da quella famiglia costringe il ragazzo a proseguire, andare sempre più avanti, entrare sempre più spesso nel cuore di quella casa e di quella famiglia.




E così Melanie Laurent sa fare anche la regista...
Uno di quei film in cui le cose che accadono non sono tanto fatti reali, ma moti dell'animo.
Una di quelle opere di impressionante perfezione psicologica.
Un rapporto morboso, sbilanciato, dove qualcuno vuole e sogna cose che l'altro non pensa nemmeno.
Un film su una splendida ragazza che come un palloncino inizia a gonfiarsi di dolore, speranze disilluse, amori indefiniti, scherno, rabbia e delusioni.
Un film sulla manipolazione.
E sul tentativo di riscatto, di dimostrare che puoi correre anche senza l'altra, anche più forte di lei.
Ma un animo come quello di Charlie non è abituato a questo.
E il respiro si fa sempre più affannato



Come non mettere almeno un horror in questa prima lista?
E come poter lasciar fuori quello che, ormai, è considerato da quasi tutti uno dei più grandi esponenti del genere degli anni 2000?
Laugier firma il suo capolavoro, un film spiazzante, a più livelli, terribile e definitivo



E dopo Martyrs c'è bisogno di rilassarsi un pochino...
Potrei mettere in questa lista almeno 3 film di quel genio di Dupieux.
Metto Wrong perchè... boh, non so perchè.
Film geniale, divertentissimo e anche straordinario in come riesca a mascherare un raffinato esistenzialismo sotto vesti quasi spudoratamente comiche.
Una specie di assurdo, surreale e comico Synecdoche New York

24.5.19

Recensione: "Dolor y Gloria"


Un film apparentemente normale, con personaggi abbastanza stereotipati, una costruzione delle scene basica, una colonna sonora ridondante e nessuna sequenza tecnicamente da ricordare.
E allora ecco che per una volta bisogna andare fuori dal film e vedere chi l'ha girato.
Ed è così che Dolor y Gloria diventa un film bellissimo perchè vero, autentico, generato da un bisogno e da un'urgenza di dirsi e raccontarsi.
Un Banderas mostruoso dà vita a chi tanti anni fa ha dato vita a lui, il regista che l'ha scoperto e fatto diventar grande, Almodovar.
E in questo film che racconta di glorie passate e di dolori fisici e psicologici presenti impossibile non essere profondamente emozionati e debitori per un racconto così rispettoso e genuino, e questo avere la percezione di non stare vedendo solo un film di Almodovar, ma quello di Pedro

Recensire l'ultimo Almodovar è una bella occasione per parlare di un qualcosa abbastanza nuovo per questo blog, ovvero il constatare come, tra le tante variabili che si hanno nel giudicare un film, ce n'è una per certi versi "sbagliata" ma in alcuni casi ineludibile.
Un film, tendenzialmente, dovrebbe essere giudicato per quello che è, rimarcandone pregi e difetti.
Avviene però a volte una cosa strana, ovvero che l'analisi "oggettiva" di un film (e per oggettiva intendo quella che non comprende aspetti extrafilmici) non può prescindere, invece, dal non considerarli questi aspetti extrafilmici che ho cercato di sequestrare nella parentesi precedente.
Ed è grazie a questo che posso dire che Dolor y Gloria è un grande film.
Mi spiego meglio.
Se io avessi visto questo film una sera in tvnon sapendo chi fosse l'autore non solo l'avrei trovato poco più che buono ma, probabilmente, rischiavo anche di cambiar canale.
Perchè Dolor y Gloria è un'opera che a livello puramente cinematografico dà pochissimo, con questo stile tremendamente televisivo fatto di campi medi, campi e controcampi, pochissimi movimenti di macchina, una colonna sonora strappacoglioni che sottolinea quasi ogni scena, dei personaggi stereotipati e questo sentore di melò sempre dietro l'angolo.
Non è il mio cinema questo, sia a livello tecnico che contenutistico.
Ma ecco che arriva la variabile di cui sopra.
Questo è un film di Almodovar.
E non è che perchè sia un suo film debba allora esser bello (io poi Almodovar frequentato sempre pochissimo, questo è solo il mio terzo/quarto suo) ma perchè mentre guardi Dolor y Gloria ti rendi conto di quanta verità, di quanta onestà, di quanto quella che io chiamo "urgenza di dirsi", sia presente.
In ogni personaggio, in ogni vicenda, in ogni rapporto umano, in ogni dolore, in ogni speranza recisa, in ogni desiderio inconfessabile io riuscivo a vedere Almodovar che raccontava sè stesso.
Lo stesso film girato da un regista che non metteva dentro la propria vita io lo avrei trovato poco più che sufficiente.
Lo stesso identico film, frame per frame.
E invece no, e invece questo è quasi un film testamento, un delicatissimo, misurato e vero - verissimo - racconto di sè, della propria vita, dei propri dolori fisici ed esistenziali, del proprio pazzesco, sconfinato, amore per il cinema.
Non è un caso che io abbia scelto la locandina francese del film, bellissima, con quell'ombra di Banderas che forma, hitchcockianamente, il profilo di Almodovar.
E pensare che io, come sempre, ero arrivato alla visione completamente vuoto di notizie, senza sapere nemmeno quanto questo film fosse biografico.
Poi, però, vedo che il personaggio di Banderas è un autore/regista, poi vedo i suoi capelli schizzati all'insù e capisco tutto.
E da quel momento vivrò il film in due modi, quello cinematografico (che non riesco quasi mai ad eliminare) e quello più intimo, quel poter conoscere il Pedro dietro l'Almodovar.

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Ad un certo punto Salvador parla del suo film più famoso, quel "Sabor" girato 32 anni prima.
E allora mi è venuto in mente di andare a vedere la filmografia di Almodovar.
E cosa c'è 32 anni fa?
Un film che si chiama "La legge del desiderio", titolo praticamente identico a quello che, nel finale, sarà il "film nel film" dentro Dolor y Gloria, il film in cui Salvador racconta la propria vita
E di cosa parla quel film di Almodovar di 32 anni fa ?
Di un regista, della sua vita e dell'omosessualità.
Bingo.
E chi recita in quel film? 
Banderas.
Ribingo.

22.5.19

Recensioni: "Pet Sematary" (2019) e "Cimitero Vivente" (1989)

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Ho visto il nuovo Pet Sematary.
Non mi è piaciuto.
E in più mi dava la strana sensazione di aver messo dentro tante cose nuove, e praticamente tutte sbagliate.
Allora mi sono rivisto subito il Cimitero Vivente del 1989 e sì, avevo ragione, i due film divergono per così tante cose che non parlerei nemmeno di remake.
Paradossalmente questa cosa dava ancora più senso alla nuova operazione.
Il problema è il risultato, peggiore del primo film in ogni aspetto, recitativo, di scrittura, fotografico.
Per non saper nè leggere nè scrivere ho preferito fare una recensione doppia, di confronto quasi autoptico tra i due.
In realtà ogni film dovrebbe essere giudicato di per sè ma molte volte è interessante vedere come da un medesimo soggetto si possa fare una cosa più buona e una meno buona.
Questo è tutto quello che sono riuscito a scovare

 "E' per l'uccello?"
Chiede ad un certo punto lui a lei che se ne sta appoggiata al muro a piangere.
Ci mettiamo a ridere in sala.
Ci immaginiamo questa donna in lacrime per colpa del pisello del marito. 
Che so, troppo piccolo?
Non lo so.
Fa ancora più ridere che lui le abbia fatto questa domanda dal nulla, non dopo aver fatto sesso. 
Sembra che probabilmente abbia questo senso di colpa così forte da imputare al suo uccello ogni pianto della moglie.
Poi, però, ripensiamo che forse si riferiva all'uccello ucciso dal loro gatto.
E, una volta che ci rendiamo conto di questo, ci rendiamo anche conto che forse la nostra ipotesi era migliore.
Ecco, questo è un esempio di quello che mi è sembrato un film mal scritto.
Fosse solo quello il problema, il nuovo Pet Sematary è mal scritto, mal recitato, malissimo fotografato.
Durante la visione vedevo cose che non mi piacevano per niente e mi chiedevo "mah, magari era così anche nel primo film o nel libro di King".
Sto tarlo non mi abbandonava e allora all'una de notte me so messo a rivedè Cimitero Vivente, quello del 1989.
E sì, avevo ragione, il nuovo film cambia moltissime cose (per questo non lo chiamerei remake ma nuova trasposizione del romanzo) e, ahimè, lo fa in peggio praticamente su tutte.
Del resto nel 1989 la sceneggiatura la curò lo stesso King...
Il paradosso è che proprio avere il coraggio e la forza di cambiare erano probabilmente l'elemento più bello e più importante per giustificare questo nuovo film.
Insomma, onore al coraggio.
Però, cristo, se riscrivi le cose e fai un mezzo disastro allora le buone intenzioni restano solo questo, buone intenzioni.
Ora, intendiamoci.

17.5.19

Recensione della serie: "Si no t'hagues conegut" ( If i hadn't met you ) - Scritti da voi - 133 - Max

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Torna uno dei lettori storici ( e più matti ) del blog, il mitico Max.
Torna con la recensione di una serie tv spagnola (forse catalana) presente sul catalogo di Netflix.
Io, al solito, non posso leggere nulla quindi lascio tutto a voi.
Ma solo le due righe di trama e le ottime valutazioni dei maggiori portali internettari ne fanno una serie a cui dare minimo una possibilità

Se non ti avessi conosciuto forse non starei qui a scrivere questa recensione.
Se non ti avessi conosciuto forse non saprei nemmeno cos’è un blog .
Se non avessi fatto questo , se non avessi fatto quello ...quante volte poniamo davanti all’evidenza dei fatti il condizionale.
Come giustificare le tante direzioni diverse che ha preso la nostra vita, credendo di essere solo noi con le nostre scelte gli unici artefici del nostro destino.
Ma questo non è vero .
Ci siamo mai posti la domanda sela nostra esistenza sia veramente unica o se qualche altro noi stesso invece stia vivendo la nostra vita in qualche altra parte dell’universo proprio come lo stiamo facendo noi in questo preciso momento?

Abbiamo mai pensato alla possibilità dell’esistenza di universi paralleli dove noi esistiamo e replichiamo per lo più le nostre solite azioni solo con piccole differenze che però possono portare ad esiti e conseguenze diverse nel nostro futuro.
In qualsiasi universo sia vissuto questo futuro.
Questa è SI NO T’HAGUES CONEGUT
La serie catalana autoconclusiva in dieci puntate di Netflix del 2018 che abbraccia la fantascienza senza troppo esagerare.
Se vogliamo non è manco tanto originale per il tema che tratta cioè i viaggi temporali , espediente abbastanza inflazionato nella storia del cinema ..direi.
Ma è lo svilupparsi della vicenda, lo snodo che prendono le vite dei protagonisti in base alle varie possibilità che visi presentano davanti che mi ha conquistato di questa serie di Netflix.

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È come vedere lo stesso film ripetutamente ma ogni volta con una storia uguale ma sempre diversa e con un finale mai conclusivo .
Almeno fino all’ultima puntata .

15.5.19

Recensione "5 cm al secondo" - Anime e Core, un ragazzo e la sua grande passione per l'animazione giapponese - 1 - di Enrico G.



Enrico è un ragazzo di appena vent'anni, il primo ad aver risposto al post dove vi invitavo a scrivere di serie tv per il blog.
Enrico in realtà è appassionato di Storia e studia quella all'Università.
Ma, come tantissimi giovani, ha una passione insana per le anime giapponesi, mondo che io ho sempre poco frequentato (lungometraggi a parte) ma che ho sempre tanto stimato.
In realtà aveva già scritto (e mi aveva mandato) la recensione di una serie ma visto che proprio questi giorni c'era questo film - 5 cm al secondo - al cinema abbiamo pensato ad una recensione lampo, anche se oggi, ahimè, è ufficialmente l'ultimo giorno di programmazione.
Un film di Makoto Shintai, uno dei più acclamati animatori e registi giapponesi (Your Name, Il Giardino delle Parole).
In ogni caso se qualcuno di voi è appassionato di anime potrà seguire questo giovane ragazzo, credo se lo meriti.
Vi lascio a lui

Io odio i film romantici. Quelli dove l'amore è causa e fine di tutto, dove sembra l'unica cosa importante, dove la scrittura si tesse attorno alle relazioni.
Per questo dovrei essere l'ultimo a difendere un cinema parecchio odiato da molti, quello di Makoto Shinkai, ma lo farò. 
Per un paio di giorni, in onore del passaggio dei diritti da Kaze a Dynit, avremo un suo film al cinema, 5 centimetri al secondo. Siccome non succede abbastanza spesso, direi che non c'è occasione migliore per difenderlo. 
Qualche anno fa, tanto per cominciare, non c'era nemmeno bisogno di farlo, pochi appassionati di anime lo seguivano, alcuni suoi lavori c’erano addirittura integrali su youtube. Io ci sono inciampato addosso senza nemmeno accorgermene, lui che sarebbe diventato uno dei miei preferiti. Vedo questo corto animato, sarà stato cinque minuti, chiamato Lei e il suo gatto. Ecco, penso che quest'opera dovrebbero vederla tutti coloro che liquidano Shinkai come regista commerciale, e i suoi film come opere dalla bellezza gonfiata dai soldi. La verità è che parliamo di un self made man, un signor nessuno venuto dalla strada, lo conferma anche il suo primo (credo) lungometraggio, La voce delle stelle, recensito anche qui su Il Buio in Sala. 
Lei e il suo gatto è ancora più basilare, bianco e nero, qualche schizzo a matita animato, una sola voce che narra (quella del regista stesso). Eppure ti tiene il cuore in mano e te lo scalda, in un modo che non potrà mai fare tutta la computer grafica di questo mondo. Controllo chi è questo tipo, trovo pochissime informazioni, Oltre le nuvole non aveva ancora nemmeno un titolo italiano all'epoca. 
Come passa il tempo…


Torno su youtube, adocchio il video di un altro film, questo. Sarà la prima delle mie tre visioni, contando anche quest'ultima. Per i miei standard sono poche, forse perché 5 cm al secondo è difficile da metabolizzare, di sicuro lo metterei tra quelli che meno preferisco del sensei, assieme a Viaggio verso Agartha. Eppure amo anche quest'ultimi a modo loro, come tessere piccole e imperfette di un mosaico più grande, curato con Amore, questo sì dalla A maiuscola, Amore per l'arte, per la bellezza, per un lavoro meraviglioso costruito negli anni in silenzio, da vero artigiano. 

13.5.19

Recensione: "Salvo"


L'opera prima dei registi di Sicilian Ghost Story è un grande film.
La storia di un sicario di mafia sfuggito ad un agguato e del suo desiderio di vendetta che lo porterà a conoscere Rita, giovanissima ragazza cieca sorella del mandante dello stesso agguato.
Ne nascerà un film di silenzi, miracoli, sangue e catarsi.
Con una nuova dea della recitazione italiana, Sara Serraiocco, una cura nella scrittura maniacale e un notevole comparto tecnico, specie nell'uso straordinario del sonoro.
La conferma di due autori/registi di cui andare fieri

PRESENTI SPOILER

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Sul regista (che poi in realtà son due eh, c'è anche Fabio Grassadonia).

Ho avuto l'onore di conoscere Antonio Piazza e l'onore ancora più grande di presentare ad un festival il suo secondo film, lo splendido Sicilian Ghost Story.
Ricordo un bel pomeriggio con lui e una bella serata. 
Persona umilissima, una di quelle a cui si arrossano ancora le gote.
Mi bacchettò di non avere ancora visto la sua opera prima, Salvo.
Rimedio dopo quasi un anno.

Su di lei.

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Sempre in quel pomeriggio ricordo che Piazza mi nominò la Serraiocco.
Io con baldanza gli dissi che la conoscevo già, che l'avevo vista al suo debutto cinematografico, nel (bel) film Cloro.
Lui mi bacchettò per la seconda volta dicendomi che no, che la Serraiocco aveva debuttato al cinema con lui, proprio con Salvo.
Ovviamente aveva ragione lui.
E niente, figuraccia.
E me la ritrovo qua che sale le scale, che entra in camera a prendere i panni, e percepisce che c'è qualcuno dietro di lei, e inizia quasi a tremare, e prova a far finta di niente, e comincia a cantare i Modà sia per esorcizzare la paura che per dire a chi sta dietro di lei "Ti prego, vai via, sono una povera ragazza cieca, nient'altro", e continua ad aggirarsi tra le stanze, e la macchina da presa la segue, in piano sequenza, in una scena magistrale per emozione, recitazione e perizia tecnica, 2,3 stanze, una rampa di scale e un uso dei movimenti e degli spazi magistrale, e la vediamo in primissimo piano, con quegli occhi strabici che ogni tanto strabuzzano, e pensiamo che questa è una giovane attrice favolosa che ha il fuoco dentro, lei e questo viso scavato che mi ricorda la Swank.
La sequenza finisce poi, nel peggiore dei modi, con la seconda scena di sangue in un film che di due cose parla, di sangue e catarsi.

9.5.19

Recensione: "Good Time" - Su Netflix

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Un film bellissimo girato da due fratelli registi (e il senso di fratellanza che viene sviluppato nel film è in effetti straordinario).
Un ritmo incredibile, una concezione di cinema pop, esteticamente bello ma non a discapito di personaggi ed emozioni.
Forse una seconda parte inferiore alla prima ma questo film di rapine, fughe e tentativi di tornare insieme vi conquisterà., anche grazie a una colonna sonora incredibile e ad almeno due attori (Pattinson e uno dei due registi) in stato di grazia

Ritmo.
Ritmo, questa è la prima cosa che viene in mente guardando questo bellissimo film dei fratelli Safdie.
Raramente mi era capitato di essere trasportato in modo così convincente e piacevole per tutta la durata di una pellicola.
E' vero, il soggetto del film - una rapina, un arresto, una fuga - aveva già dentro di sè il germe del ritmo ma una cosa è avere un argomento, un'altra svilupparlo.
Good Time è un film che eccelle ovunque, sembra non inventare niente di nuovo eppure ci dà la sensazione di ritrovarsi davanti ad un film dalla grandissima personalità, quasi unico.
Un pò quello che pensai col Drive di Refn.
Già...
Non è un caso che citi quel film e non è un caso che citi quel regista visto che Good Time, per larghi tratti, mi ha riportato a quelle atmosfere di cinema, atmosfere dove il perfetto connubio tra azione, musica, attori e potenza visiva creano un effetto davvero magistrale.
Intendiamoci, Good Time è più povero di Refn e i fratelli Safdie (anche se ho visto un solo loro film, poco per giudicare) credo siano registi molto meno ambiziosi di Refn (e meno spirituali).
Ma questo è un film che spacca.

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Nick è un ragazzone dagli evidenti problemi cognitivi.
Connie, suo fratello, un giorno lo va a prendere dallo psichiatra e lo porta con sè a fare una rapina (non ci viene detto se per loro è cosa abituale oppure date troppe motivazioni del gesto).
I due prendono i soldi e scappano ma Nick viene catturato.
Connie, in solo un giorno, farà di tutto per andarsi a riprendere il fratello.

La trama di Good Time è al tempo stesso basica quanto improbabile, con questo ragazzo che in un solo giorno fa di tutto (prima pagando la cauzione, poi provando a farlo uscire dall'ospedale) per riprendersi il fratello con sè.
Succedono talmente tante cose in poco tempo che lo spettatore fa fatica a credere che il film duri appena un giorno.
Eppure non c'è nemmeno il tempo di pensare, dalla rapina in poi è come se ci trovassimo in un "piano sequenza percepito" (non reale) in cui accadono cose, una dietro all'altra, senza soluzione di continuità.
E non ho usato il riferimento al piano sequenza così tanto per, ma anche perchè se c'è un film che mi ha ricordato da morire Good Time è il capolavoro Victoria.

6.5.19

Recensioni: "Hill of Freedom" e "Cruel Summer"

Il primo è un film sudocoreano che avrebbe potuto piacermi molto per il soggetto intrigante e la dolcezza ma che, ahimè, a livello di regia, recitazione, scrittura e credibilità è poco sopra l'amatoriale.

L'altro invece è un film inglese molto duro, l'ennesimo film britannico che racconta una cieca e spietata violenza giovanile.
La vera storia di Danny, ragazzo con problemi mentali, e del "branco" che l'ha perseguitato.
Film con dei piccoli difetti ma davvero potente in più punti e tanto tanto triste


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Film (sud)coreano che aveva tutte le caratteristiche per potermi piacere da matti ma che, purtroppo, ha trasformato quella che era la sua qualità più importante - la semplicità- in quello che la semplicità non dovrebbe mai diventare, amatorialità.
Una ragazza di ritorno a casa dopo parecchi giorni riceve alle Poste un mucchio di lettere.
Sono di un giapponese (lei è coreana), suo amico, che è venuta a trovarla in Korea perchè, probabilmente, innamorato di lei.
Il ragazzo non l'ha trovata (come detto lei era via) e allora ha scritto una specie di diario cartaceo dei giorni che l'ha aspettata lì.
La ragazza comincia a leggere le lettere ma, sfortunatamente, le cadono a terra.
Le riprende ma sono tutte mischiate tanto che adesso non sa più quale viene prima e quale dopo.
Comincia quindi a leggere in modo non cronologico mentre noi spettatori vediamo quello che le lettere raccontano (insomma, dei flashback).
Un'idea bellissima, non so se originale ma davvero bella.
Il fatto è che a questa grande idea segue uno svolgimento quasi disastroso.
Innanzitutto Hill of Freedom ha una regia non solo poverissima ma quasi infantile. I suoi zoom avanti e indietro sono tra le peggio cose viste questi anni. Non c'è l'effetto straniante che potrebbe dargli un Trier nè quello di omaggio al passato che fa alle volte Tarantino, no, sono zoom che non portano a niente, solo terribili.

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Come detto l'idea del soggetto è davvero bella ma viene usata in un modo talmente innocuo che non ci si crede. Le vicende a volte sono in ordine cronologico, altre no, ma non c'è mai la sensazione di film rompicapo che un soggetto del genere poteva regalare, ci limitiamo al massimo a un "grazie per aver salvato il mio cane" detto prima che nella scena successiva vediamo effettivamente il salvataggio.
I dialoghi sono banalissimi, ma non di quella banalità mimesi del reale che molte volte mi piace molto, no, semplicemente noiosissimi e banali, anche quelle volte che provano a parlare con semplicità di concetti grandi (come il Tempo non lineare, materia del film).
Il personaggio principale è insopportabile, privo di qualità, spesso ubriaco, senza spina dorsale e polemicissimo, ci viene presentato come ragazzo dolce con cui empatizzare quando poi lo vediamo andare a letto con la prima che capita, dirle ti amo la prima notte di sesso (brividi...), poi mollarla e andare a vivere in Giappone con la ragazza delle lettere quando questa torna (altri brividi...).
I personaggi laterali non sono da meno, per fortuna si salvano la tenutaria della pensione e la ragazza della caffetteria.
Ma, davvero, tra recitazione approssimativa, dialoghi sul nulla per dare minutaggio, regia disastrosa e innocuo uso dell'assunto iniziale, Hill of Freedom diventa un piccolo film delicato e dolce ma di cui, per tutti i problemi appena detti, non riesci nemmeno ad apprezzare dolcezza e delicatezza.
Sembra uno di quei film (e magari lo è, in quel caso complimenti) di fine scuola di cinema, in cui hai una bella idea ma poi sei alle prime armi e quindi la sviluppi male, la giri male e non hai attori professionisti.
E che in una trama così scarna possano accadere comunque cose così inconcepibili (lui che conosce quella, la porta a letto, le dice ti amo, la lascia, va in giappone con l'altra, il tutto in una settimana) resta sbalorditi.
Una grande delusione

5

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presenti spoiler dopo la metà

Inizio davvero a perdere il conto di quanti film britannici raccontino la delinquenza giovanile.

2.5.19

Oltre l'Immagine, viaggio nel significato nascosto dei film (8) - Velluto Blu - di Edoardo Romanella

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Ottavo appuntamento (e sesto o settimo con Lynch) con Edoardo e le sue analisi sui significati nascosti nei film più complessi.
E' il momento di Velluto Blu


David Lynch aveva già realizzato tre lungometraggi prima di questo capolavoro: Eraserhead, The Elephant Man e Dune, i primi due straordinari, il terzo m gran film, ma un po’ meno riuscito, complici anche i tagli imposti dalla distribuzione.
Il termine capolavoro non è usato a caso, questo è un film impeccabile sotto tutti i punti di vista (regia, sceneggiatura, fotografia, costumi, recitazione, colonna sonora), un oscuro thriller perverso oltre il quale si nasconde un vero e proprio weird. Quindi non occorre vi dica che, se non l’avete ancora visto, fermatevi qui nella lettura, perché gli spoiler saranno davvero tanti.

La pellicola inizia con un’allegra canzoncina (Blue Velvet) alla quale si susseguono delle immagini rassicuranti della città di Lumberton: una staccionata con delle rose, un pompiere che saluta, dei bambini che attraversano la strada, un uomo che annaffia il giardino.
Già da qui possiamo intuire l’impronta grottesca che il regista vuole trasmettere, quella di un’immaginaria cittadina “perbene e felice” in un immaginario mondo ideale. E già da qui percepiamo anche che c’è qualcosa di strano: David  Lynch fa trasparire una certa inquietudine da questi primi fotogrammi, alla sua maniera e nello stile tipico che caratterizza la sua filmografia, come se fosse tangibile che quanto mostrato non sia reale, come se appartenesse a un mondo incantato, un mondo immaginario e fittizio che mira a nascondere il male.

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Ed è all’improvviso che il male arriva: l’uomo che annaffia il giardino ha un malore, e si accascia al suolo, mentre la telecamera inquadra una serie di scarafaggi (o formiche) sottoterra, intenti a banchettare con qualcosa. E’ una tematica ripresa diverse volte in letteratura e nel cinema, e molto cara a Lynch: il confronto tra un macrocosmo e un microcosmo, il superamento dei limitati problemi e sentimenti umani per offrire una visione più ampia del mondo.

1.5.19

Recensione: "Au Poste!"

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Il solito divertente e (a tratti) geniale Dupieux.
Se ancora non lo conoscete questo è un ottimo modo per farlo.
Se invece, come me, avete già visto tutto di suo probabilmente Au Poste! vi sembrerà un piccolo passo indietro rispetto ai suoi mezzi capolavori precedenti.
Una stazione di polizia, un commissario imbecille, un sospettato, altri personaggi divertenti per un film da camera, praticamente tutto in una stanza, che ricorda nella struttura Una Pura Formalità di Tornatore.
Come al solito Dupieux si diverte col cinema e con la destrutturazione.
Sicuramente meno ambizioso e complesso di Wrong e Realitè e meno trascinante di Wrong Cops. 
Ma sempre un signor film


Se qualcuno si avvicinerà per la prima volta a quel genio di Dupieux con "Au Poste!" molto probabilmente (sempre se il tipo di comicità del regista francese gli piaccia) troverà questo film davvero notevole e - sempre probabilmente - cercherà di recuperare gli altri film del regista.
Per chi invece, come me, ha visto praticamente tutti i suoi film e considera Wrong, Wrong Cops e Realitè delle vere e proprie perle (con Rubber invece un pò sotto) impossibile non ammettere che quest'ultima opera sia un passo leggermente indietro.
Intendiamoci, un altro film spassosissimo, a tratti formidabile, con i soliti dialoghi surreali di Dupieux, le sue situazioni grottesche e qualche pennellata geniale, ma la sensazione che Au Poste! sia inferiore ai film menzionati è forte.
Del resto rispetto a Wrong e Realitè anche le intenzioni di partenza sono notevolmente inferiori visto che mentre quei due grandissimi film - seppur in una cornice comica - avevano dentro strutture e concetti veramente alti e complessi, qui siamo dalle parti del divertissement, del film con pochi mezzi, da camera, senza tante ambizioni se non quella di divertire e divertirsi.
Certo, Dupieux non è mai stato (nè sarà mai) banale quindi anche in questo film meno complesso degli altri farà di tutto per giocare con lo spettatore e con il (meta)cinema.

Siamo in una stazione di polizia.

Risultati immagini per au poste!

Il commissario Buron (un sempre straordinario Poelvoorde...) sta interrogando un uomo.
L'uomo è il primo ad aver visto un cadavere e, per questo, è in qualche modo sospettato di omicidio.