O.k, questo sarà periodo di innamoramenti
per me, su questo non ci piove.
Dopo il devastante falling in love per
Synecdoche ecco infatti che non posso permettermi nemmeno di vedere un piccolo
e bel film italiano in tutta tranquillità che mi scatta qualcosa per una delle
attrici, la meravigliosa Alba Rohrwacher, interprete di cui avevo sempre
sentito parlar benissimo ma che ha saputo letteralmente stregarmi in questo
ottimo, misurato e ben scritto film di Pupi Avati, regista di cui ho apprezzato
tante cose ma che, forse perchè troppo prolifico, non ho mai considerato
grandissimo.
Ma torniamo alla Rohrwacher. Credo che la
sua interpretazione dimessa, ingobbita, sfuggente, malinconica ma allo stesso
tempo semplice, pura, a tratti vitale, dolcissima sia davvero meravigliosa, c'è
una grazia e un sentimento nella sua arte recitativa davvero sorprendente.
Anche nelle scene più esagerate e a rischio di macchietta (come nel manicomio,
sul quale torneremo) la sua tecnica e la sua magia la salvano dal rischio del
ridicolo involontario. Tutte le scene con Orlando sono da incorniciare anche
perchè risiede forse qua il maggior pregio de Il Papà di Giovanna, in una
accuratissima e delicata analisi di certe dinamiche affettive e familiari. La
cornice, l'Italia fascista negli anni della Seconda Guerra, tutte le vicende
narrate, tutti gli snodi narrativi sono e restano, appunto, semplice cornice
per una storia di genitori e figli, di tristezza, di incomunicabilità, di
possesso e di distanza, di amore e della difficoltà di saperlo esprimere.
Il problema del film, l'unico, sono delle
piccole tare che certo cinema, specie quello italiano, non sanno eliminare.
Ad esempio il ricorso al
"pettegolezzo", all'avere informazioni nel film da gente che
cicaleggia alle spalle è di un finto pazzesco. Ho contato almeno 4 scene in cui
dietro i protagonisti la gente commentava la situazione (ad esempio il fatto
che Michele, il padre, sia padre di un'assassina) in un modo veramente
imbarazzante, fuori da qualsiasi realtà. Sembra una cavolata, ma questi son
problemi di sceneggiatura secondo me abbastanza gravi, da fiction televisiva.
Il non plus ultra è la scena dal panettiere.
E sto ancora aspettando un manicomio dove
non ci sia uno che canta da solo, uno che strilla, due che fanno a botte, uno
che ruota la testa, un altro che parla al muro etc,, etc... . Davvero, il
ritratto dei manicomi nel cinema è quasi sempre di un macchiettistico davvero
imbarazzante, e Avati non è da meno, anzi.
Anche se per rischiare di affondare il
film il tentativo più grande lo fa la fucilazione sulla quale preferisco
soprassedere....
Per il resto il film è davvero buono,
perfette le ricostruzioni degli ambienti, ottime le interpretazioni dei 4
protagonisti (bravissimo anche Ezio Greggio, davvero), mentre nei secondari a
volte c'è da mettersi le mani tra i capelli. E davvero sorprendente è la
scrittura di tutti i rapporti reciproci nella famiglia di Michele (il titolo
sembra banale ma secondo me è assolutamente perfetto in questo senso, questo è
semplicemente il film di un padre e di sua figlia). Nello specifico spicca la
bellissima e quasi struggente scena del ballo con l'avvenente madre (Francesca
Neri, scusa eh) che si diverte, la figlia bruttina che la guarda rapita e il
padre che goffamente cerca di farla volteggiare. Magistrale.
"I figli belli li fanno i genitori
che si vogliono bene", in questa malinconica frase che Giovanna dice al
padre c' dentro tutto il film, l'assoluta inadeguatezza che si sente addosso
Giovanna, il dolore per sè e per i suoi genitori, la consapevolezza
dell'assenza d'amore, il motivo originario di tutta la sua tristezza, il ruolo
di Michele, uomo che sa ma che vuol far finta di non sapere.
Son persone semplici sto padre e sta
figlia, persone che si bastano l'un l'altra ma che vorrebbero, come tutti,
poter non essere soltanto in due.
Quando due solitudini si incontrano,
quando due anime semplici si trovano, quello che ne può venir fuori è qualcosa
di incredibile, straordinario.
Però sono e restano due solitudini che si
sono fatte una.
Sono e restano una solitudine con due
facce.
( voto 7,5 )