E così è successo, per la prima volta in vita mia mi son visto 4 film in un giorno (ma il record fuori dai festival rimane di soli 2).
Abbiamo la clamorosa conferma del regista dello splendido Baskin, uno strano film iraniano dal soggetto geniale ma poi troppo debole ed esplicito nel trattarlo, un horror psicologico purtroppo tanto già visto e uno spettacolare comedy-zombie che porta il livello di metacinema su lidi mai visti prima
possibili spoiler in qualche film
HOUSEWIFE (fuori concorso)
E così dopo la grande opera prima Baskin abbiamo la conferma di avere un autore horror con i controcazzi (e, attenzione, le opere seconde son quelle che di solito fregan tutti).
Stiamo parlando di Can Evrenol, turco.
Housewife parte con un prologo folgorante, derivativo sì ma talmente ben girato, fotografato e montato che ce ne freghiamo.
Sentiamo la parola "visitatori", strane figure viste solo dalla madre. La mente mi è andata subito a The Others ma poi in realtà i due film sono cose completamente diverse.
Semmai il punto di riferimento più vicino nel cinema recente direi che potrebbe essere Amer. Stesse due temporalità, sempre una bambina nel prologo che subisce un trauma fortissimo (davvero potente e drammatica quella scena), stessi colori (il blu e il rosso la faranno da padroni per tutto il film, forti richiami ai grandi classici dell'horror-giallo italiano) e, come in Amer, la chiave "sessuale" usata per sublimare quel trauma infantile.
Sì, il sesso la farà da padrone in questo splendido film, molto complesso. Dal primo mestruo nel prologo alla "nascita" dell'epilogo quasi ogni scena ha una forte componente sessuale-erotica, quasi sempre giocata sul simbolico però.
Film elegantissimo, colonna sonora perfetta, 3-4 stacchi di montaggio bellissimi, atmosfera che gioca sempre tra realtà e sogno, presente e passato, verità inconfutabili che poi diventano nuove verità, commistione tra mondo-altro e convegni stile Scientology.
E, a differenza di tanti, troppi film, di questo festival rovinati da troppi dialoghi (almeno 4) qua si parla il meno possibile, qua di spiegoni o metafore svelate non ce ne sono, qua è lo spettatore a dover mettere del suo per interpretare.
Housewife è un horror psicologico giocato sui meccanismi del sogno, dalla rimozione alla sostituzione, anche se questi viaggi temporali e metaforici non incidono in una narrazione degli eventi ricostruibile linearmente.
La fotografia è magnifica (ma del resto anche in Baskin lo era), la classe di Evrenol indubbia, semmai potremmo storcere il naso per un eccessivo simbolismo e per un finale di grandissimo impatto e di pari difficoltà interpretativa ma, insomma, ce ne freghiamo quando abbiamo atmosfere così.
Ritroverete Argento, Fulci, Lynch, De Palma, Polanski in un film che però non scimmiotta nessuno. E poi ancora collassi temporali, oggetti simbolo (bellissima la paura del w.c), deja vu, fino ad un finale delirante (anche in Baskin ad un certo punto arrivava il delirio) in cui pare che Rosemary,s Baby ed Eraserhead si siano fusi insieme.
Il film a questo punto mette dentro concetti superiori, trascendentali, con richiami lovecraftiani inconfutabili.
E una storia "semplice" di trauma famigliare diventa qualcosa di molto più grande, una specie di terribile racconto di ereditarietà di poteri superiori all'uomo.
Che dire, film complesso che potrebbe anche allontanare lo spettatore ma io davanti a tanta classe e capacità di suggestioni mi sciolgo sempre
7.5/8
PIG ( in concorso )
Ah, ma che peccato...
Il soggetto di Pig è, ad adesso, il più originale e accattivante del festival.
In Iran ad un certo punto tutti i registi cominciano ad essere uccisi da un serial killer.
Solo uno di loro sembra salvarsi. E a lui sta cosa non sta bene, gli sembra di non essere considerato. E, alla fine, viene anche sospettato di essere lui lo stesso killer.
Grande idea e gran prologo.
Ma se ci sono scene veramente riuscite è anche vero che Pig commette una marea di errori.
Uno è da matita blu.
Il film è una chiarissima metafora sulla censura in Iran, sull'impossibilità di far arte, sui registi avversi al regime.
Il problema è che questa cosa viene esplicitamente detta e non solo una volta ma una decina.
Ed ecco che non possiamo più parlare di metafora (che, si sa, la metafora è figura retorica giocata sull'ellisse e sulla semplice sostituzione) ma di vero e proprio film di esplicita denuncia.
E siccome il film ha assolutamente la costruzione di una metafora sentirsi poi infiniti dialoghi che ce la spiegano diventa estenuante.
Come se non bastasse in almeno 5 scene Pig diventa una specie di Natale in Iran, con momenti di comicità che definir di grana grossa e privi di guizzi è poco.
Per non dimenticare dei surreali inserti musicali alla Austin Powers abbastanza irritanti per me.
Peccato, peccato perchè l'idea era formidabile, l'attore principale quello giusto, la parte del serial killer convincente e qualche accenno al metacinema interessante.
Poi nel finale il film cambia radicalmente tematica, andando a parare su quella del successo virale, dell'importanza di You Tube, del "esisti solo se hai like", dell'esser disposti a tutto a costo di avere successo.
Il tutto anche ben rappresentato eh, ma dimostra ancora una volta una scarsa capacità del regista di mostrare senza spiegare.
Ho adorato invece che, alla fine, non si sappia chi fosse il serial killer, questa sì una grandissima metafora lasciata tale (il killer è un'entità sconosciuta - Lo Stato? - che non ha volto).
6
ST. AGATHA ( in concorso )
Madò quanto me dispiace che fosse presente in sala proprio la sceneggiatrice (tra l'altro bellissima ragazza, italiana ma che lavora negli Usa) perchè è proprio la scrittura del film quella che, insieme alla tremenda colonna sonora, è forse la parte più debole del film.
La sceneggiatrice ci ha esplicitato il suo (legittimo) pensiero anticlericale ma poi è evidente come questo suo astio abbia portato ad un film che non ha saputo restare dentro un limite credibile ma abbia portato quegli assunti a derive talmente esagerate da raggiungere risultati a volte pacchiani.
Perchè se è vero che un film sulle suore cattive è sempre ben accetto poi metterci dentro anche la loro avidità, mostrarcele torturatrici, con i fucili in mano, traditrici, picchiatrici e tanto altro è il tipico esempio di quanto si voglian dire troppe cose avendo troppo poco tempo per dirle.
E, purtroppo, come con Pig e altri film del festival, si parla tremendamente troppo, si spiega tutto, si mostra tutto, si gioca veramente poco coi silenzi.
Ci sono poi dei flash back con una fotografia assassina, piena di filtri, non si regge.
E una colonna sonora opprimente che sottolinea ogni passaggio.
Ma che il regista o il direttore della fotografia abbian problemi lo dimostra anche la scena di lei che si aggira la notte. Lo fa con una candela accesa quando, in realtà, la luce che arriva a noi è fortissima (tra l'altro quella candela non la spegne mai quando è l'elemento più forte - se fosse buio DAVVERO - per farsi scoprire).
Si riesce poi a peggiorare una scena già di per sè terribile mostrandoci lei che legge il libro senza bisogno della candela. Insomma, un paradosso.
Ma forse la scena più incomprensibile è quella della ragazza disposta a fari torturare solo per non rispondere "Agatha" alla domanda "Chi sei?".
Insomma, io gli dicevo Agatha sulla fiducia.
Però, incredibilmente, il film regge, non è un disastro, ti tiene lì, ha talmente tante cose dentro che alla fine tutto st'insieme qua e là qualcosa ti lascia.
Anche qua ad un certo punto viene messa dentro una setta (l'idea dei "compratori" mi ricorda Get Out o uno degli Hostel, anche se lì le merci eran diverse) e anche qua (e direi agli organizzatori che invece della strega questa poteva essere la tematica comune del festival) abbiamo grandi accenni di schizofrenia (come in Is that you?, Housewife, Derelicts e in parte anche Climax).
Quando alla fine le suore diventano una specie di ghetto-gang però ci cadono le braccia.
Un applauso comunque a questa sceneggiatrice. E il consiglio di usare il suo talento più sul non detto e sul poco e non sull'ossessione di voler dire tutto quello che ha da dire o che pensa di alcuni aspetti del mondo.
Less is more, in bocca al lupo
6
ONE CUT OF THE DEAD ( in concorso )
Ed eccola la vera perla del concorso (anche se per adesso come film migliore in assoluto del festival se la lotta col film cubano).
One cut of the dead è probabilmente il film più metacinematografico della storia del cinema.
Come abbiamo detto ieri è meta-meta-meta-meta cinematografico, ovvero parla del cinema che parla del cinema in almeno 4 diversi modi.
Si sta girando uno zombie movie.
Ad un certo punto sentiamo "cut", era solo un film nel film. Solo che quando gli attori sono in pausa vengono attaccati da veri zombie.
Insomma, film nel film.
O almeno questo si pensava.
No, andremo molto molto oltre.
Perla comica, geniale, capace di far ridere in maniera fragorosa tantissime volte, specialmente nel quarto segmento metacinematografico (ovvero quello del "vi mostriamo realmente come sono andate le cose").
Le trovate sono infinite e avviene una cosa incredibile, ovvero quella di provare "empatia" per una troupe, pazzesco.
L'idea di girare un film live, in diretta televisiva, con un unico piano sequenza non solo è straordinaria ma è l'unica "scusa" che si poteva pensare per poi realizzare tutto il resto, ovvero un film che "non si poteva fermare" in nessun modo.
Tra l'altro carinissimo che all'inizio si dica che quella scena fosse al 42imo ciak, paradosso di un film che poi sarà quasi solo one take.
Ma funziona maledettamente tutto, compresi tutti i personaggi, dal regista disperato e invasato a sua moglie (la migliore) - attrice che prende tutto troppo sul serio -, dall'ubriaco al fonico che deve cacà.
E funziona incredibilmente anche la piccolissima parte emotiva, con quel padre e quella figlia che si ritrovano in questo casino dove tutti devono aiutare tutti.
Come se non bastasse avremo nei titoli finali un quinto metacinema e, se vogliamo, un sesto nel titolo stesso del film, che è lo stesso titolo del film nel film.
Insomma, non fatemi dire niente di più, imperdibile
8