A 20 anni scrissi molti racconti.
Tutta robaccia.
Questo forse è uno dei due/tre che possono salvarsi in corner.
In ogni caso uno di quelli a cui sono più legato.
La pioggia battente.
Proseguo a velocità bassissima, il collo in avanti per cercare inutilmente di veder meglio.
La strada è dissestata ma è la strada di campagna che mi porta a casa, impossibile evitarla.
Con la pioggia poi questa strada è veramente un disastro, che ti sembra quasi che il fango arrivi fino a te, che se trovassi il coraggio di aprire il finestrino potresti allungare la mano e toccarlo.
Ad un certo punto mi sembra di scorgere qualcosa sulla destra, un colore anomalo nella monocromia di una notte in campagna di pioggia battente.
Ho due macchine davanti a me, proseguiamo a passo d'uomo, letteralmente a passo d'uomo.
La prima passa vicino alla macchia gialla.
La seconda pure.
Non rallentano nemmeno, sempre che rallentare a quella velocità possa avere un senso.
Ma se non rallentano probabilmente quella macchia gialla non sarà niente di che, niente di così interessante da cercar di vedere meglio.
Sono ormai a pochi metri, cinque forse.
Quella macchia gialla è un impermeabile.
Giallo, di uno di quei gialli che ti sembrano più vicini ad una luce che ad un colore.
Ad un certo punto da sotto l'impermeabile sbuca una mano, appena un metro prima che lo affiancassi.
Braccio teso, pugno chiuso e pollice alzato, inequivocabile, qualsiasi persona si celi sotto quell'impermeabile mi sta chiedendo un passaggio.
E' notte, piove in un modo che in vita mia non avevo mai visto e non so minimamente chi possa avermi chiesto un passaggio, nemmeno se sia una donna o un uomo.
Eppure mi fermo.
Entra dallo sportello di dietro.
Guardo dallo specchietto, sono tesissimo ma al tempo stesso mi sembra di star vivendo un sogno in cui io non ho alcun potere decisionale.
Il mio passeggero si toglie il cappuccio e mi guarda attraverso lo specchietto.
E' maschio, e giovanissimo, non può arrivare a 18 anni.
"Ciao" gli faccio io.
Nessuna risposta.
"Che facevi da queste parti sotto la pioggia, ti sei perso?"
Nessuna risposta.
"Ascolta, dimmi qualcosa per favore, almeno dove devi andare, che devo fare, se hai una casa, dimmi qualcosa"
Nessuna risposta.
Il ragazzino intanto si toglie l'impermeabile, lo ripiega con cura e ad ogni mia domanda si limita a guardarmi, senza cambiare mai espressione.
Resto 5 minuti fermo, con le due mani sul volante.
Una macchina mi supera lentamente nel fango suonando clacson e maledizioni.
Continuo a guardare lo specchietto, a volte mi giro direttamente verso di lui ma ho la fermissima convinzione che quel bambino non mi parlerà mai.
In ogni caso non sento alcun senso di minaccia, non posso far altro che andare a casa e portarlo con me.
Faccio i 10 minuti che mi separano da casa con la sensazione fortissima che quella notte sarà infinita.
Arrivo, arriviamo.
Scendo lentamente dall'automobile e faccio per andare ad aprire al ragazzo ma lui è già fuori e si sta avviando verso casa.
Rimango pietrificato, aspetto di vedere se veramente sta entrando così, senza dir nulla, davanti a me.
Quando è inequivocabile che sia così lo raggiungo, apro la porta ed entriamo.
Si siede sul divano, l'impermeabile gocciolante sulle ginocchia.
Vado in cucina, appoggio i gomiti sul tavolo e cerco di calmarmi, decidere cosa fare, cosa dire.
Trovo il coraggio, prendo una sedia e mi metto seduto davanti a lui.
"Sei muto vero?"
"---"
"Hai fame? Sete?"
"---"
"Hai almeno qualche numero che posso chiamare, hai genitori?"
"---"
Mi alzo, vado in cucina a bere qualcosa, verso un thè freddo anche per lui, torno di là e glielo metto davanti.
Niente, il ragazzo continua a non mutare mai espressione. E continua a fissarmi. Non fissa me, no, fissa i miei occhi, soltanto quelli.
Poi comincia.
Piange.
Piange sempre più forte, fino ad arrivare a vere e proprie urla di disperazione.
Riesce negli spasmi a non smettere mai comunque di guardarmi.
E io non riesco a smettere di guardare lui.
Quello che successe poi non riuscirò mai a descriverlo a parole.
Sta di fatto che ho sentito qualcosa dentro di me che si muoveva, che cercava disperatamente di uscire.
Il bambino piangeva sempre più forte e qualcosa dentro di me se ne andava via.
Catarsi, questa è l'unica parola che mi viene in mente adesso per raccontare.
Catarsi.
Smise di piangere, si avvicinò a me, mi sorrise e mi abbracciò.
E la sensazione che provai in quell'abbraccio è qualcosa di talmente grande che non è trasferibile a parole.
Quel bambino stava abbracciando un uomo nuovo, quello che sono tutt'ora, quello che sono da quella notte.
Senza dire nulla se ne andò.
Mi avvicinai alla finestra, lo vidi allontanarsi rimettendo l'impermeabile e piantarsi sotto la pioggia al bordo della strada.
Passarono almeno una decina di automobili senza che successe niente.
Poi vidi una mano uscire dall'impermeabile.
Aveva scelto.
Quella notte un altro uomo sarebbe stato salvato.
Uscii in strada e vidi la macchina allontanarsi.
Tornai dentro casa con il viso fradicio.
Lo sarebbe stato anche senza pioggia.