Un thriller psicologico visivamente straordinario, con una grande location, un grande soggetto iniziale, delle tematiche molto interessanti.
Il problema è che più si va avanti più tutto sprofonda in una confusione, un non sense, un appiattimento delle tematiche iniziali, che quasi non ci si crede.
Fino a un finale di raggelante bruttezza
spoiler più grandi dopo ultima immagine
Mica mi capita molto spesso una cosa del genere.
Vedere un film che parte formidabile, visivamente eccezionale, con un soggetto interessantissimo, pieno di simboli, pieno di possibili deviazioni o sviluppi, psicologicamente pregno, con una location da favola, con un bravo attore principale, con tutto tutto tutto ma che poi, più va avanti, più fa crollare tutte le premesse che aveva costruito, le idee si ingarbugliano, si fanno confusissime, i possibili sviluppi si appiattiscono, le tematiche perdono così tanta profondità da tornare a galla morte e il finale, beh, uff, boh, mah, ne parliamo dopo.
In realtà di una delle tante magagne de La Cura dal Benessere ci si accorge sin da subito, ovvero il livello appena sufficiente della recitazione (protagonista e pochi altri a parte).
Ma poco male.
Perchè per il resto l'inizio non solo è promettente ma davvero notevole.
E ci accorgiamo sin da subito dell'importanza dei dettagli in una regia che quasi di soli dettagli vivrà. Si sa che per creare film psicologicamente potenti uno dei mezzi più efficaci è proprio questa attenzione al dettaglio, questo senso di realtà sovraesposta, in cui ogni piccolo oggetto o spazio diventa importante. E sin da subito vediamo questo indugiare nella macchina da presa in elementi d'acqua, bicchieri, il bottiglione rovesciato post infarto. Non solo, anche nel sonoro questa realtà sovraesposta, sensorialmente acuita, viene fuori, come nel sentire continuamente deglutire i protagonisti mentre bevono.
Insomma, che l'acqua sarà elemento importantissimo lo si capisce anche da queste piccole cose.
E niente, il protagonista è abbastanza ben caratterizzato, a volte bastano due occhiaie per fare un personaggio.
Giovane rampante all work no funny, Lockhart (assonanza con la sua chiusura? la sua freddezza?) viene mandato in Svizzera a cercare di riportare indietro un importatissimo dirigente senza il quale, negli Usa, non si può firmare un importantissimo contratto.
Sto dirigente del resto ha mandato una lettera molto inquietante in cui fa capire che lui in quella Spa ha trovato la sua vera dimensione, la cura dal benessere del titolo.
Tutto è GIA' abbastanza confuso ma tra soggetto in qualche modo originale, regia e costruzione psicologica, ci dimentichiamo presto di queste prime confusioni di sceneggiatura.
Non potremo farlo dopo.
E niente, in una sequenza identica al prologo di Shining arriviamo in questa splendida location nelle Alpi Svizzere. E ci sembra di essere catapultati in Shutter Island.
Luogo quasi identico, stessi movimenti dei pazienti, dottori ambigui e, se non bastasse, l'attore probabilmente più simile a Di Caprio sulla piazza, Dane DeHaan.
Insomma, Shining e Shutter Island citati in maniera evidentissima.
Ma del resto Verbinski è maestro delle citazioni, basti Rango per tutti.
Purtroppo in questo inizio molto interessante notiamo ancora di più un basso livello recitativo. Ma l'ho detto già due volte e non lo ripeto più.
Il film ha quindi mostrato tutte le sue carte iniziali.
E sono ottime.
Oltre alla splendida regia infatti anche le tematiche iniziano a fare capolino.
E sembrano interessantissime, una su tutti quella che pare una profonda riflessione sulla fuga dal successo, sulla guarigione da una vita basata tutta su soldi e lusso, su queste persone che in quella clinica, non si sa in che modo, sembrano finalmente trovare un senso della propria vita e vedere tutto il resto come una specie di tenebra nella quale avevano sempre vissuto fino a quel momento.
In ogni caso Lockhart non può ancora vedere il dirigente, deve dormire una notte a Zurigo, torna indietro.
E abbiamo così l'impressionante sequenza dell'incidente col cervo, magnifica.
E ce lo ritroviamo con una gamba rotta (in faccia e altrove nulla, con un incidente di quel tipo...).
E parte il vero La cura del benessere, ovvero quello in cui lo stesso Lockhart si ritrova, suo malgrado, ad essere paziente di quella inquietante clinica.
E se già prima la componente psicologica, minacciosa, quasi onirica del film aveva fatto capolino adesso ci troviamo veramente in una di quelle pellicole perfettamente lynchiane in cui tutto diventa inafferrabile, ogni personaggio si fa ambiguo, ogni vicenda insidiosa, ogni passaggio un enigma.
Ma se in Lynch tutto questo affascina, sempre, anche a discapito della comprensione, qui ci troviamo davanti un film che in mezzo a queste nebulose un filo logico, un plot, ce lo mette, e anche parecchio definito.
Il problema è che lo fa in una maniera quasi disastrosa, piena di buchi, di scene senza senso, di passaggi al limite del ridicolo.
Non si riesce nemmeno a provar tensione tanto è lo sconcerto per alcune sequenze.
Ma quello che più dispiace è che tutte le interessanti tematiche che il film sembrava affrontare alla fine non solo non hanno seguito, ma vengono letteralmente fagocitate e annullate dalla arzigogolata trama del film.
Tutto il discorso dei vecchi ricchi e di quello che trovavano in quella clinica, ad esempio, che cazzo c'entra con tutto quello che scopriremo?
Niente.
E quei discorsi sul senso di colpa, quelle immagini di Lockhart e del padre, quello che lui vede nel momento dell'annegamento?
Niente, alla luce degli sviluppi rimangono anch'essi lettera morta.
Ma si va oltre, si assiste a scene ai limiti del trash come quella dentro lo spartano pub del paese.
All'inizio sembra di essere in Un Lupo Mannaro Americano a Londra, poi boh, vedete voi stessi.
Nel frattempo il giovane arrivista era andato da una specie di veterinario-macellaio (???) solo per regalarci un'altra (s)perla di sceneggiatura.
Ma di lì in poi è un continuo scendere, una confusione terribile, degli spiegoni ancora più terribili.
Anche quando capisci il senso di tutto, quando sai le cose, allora tutto, paradossalmente, diventa più insensato.
Perchè creare tutta quella cosa così gigantesca solo per avere, se ho capito bene, quel siero in fialetta che rende immortali?
Ma il Barone non cercava una cura per l'infertilità?
Dite che son due cose in una?
E perchè non utilizzare direttamente queste anguille magiche anzichè passare da tutti quei millemila processi con i corpi umani?
E perchè lei ha 18 anni in 200 anni?
Cresce 5 anni ogni 50 anni? (vedere la foto in cui sta per mano al padre bendato, è più piccola).
E poi alla fine che succedeva a sti anziani? Perchè erano così contenti?
E la scena della cena con quei vecchi zombie che lo assalgono?
Ma da cosa deriva tutto questo?
Perchè????
Glisserei sulla scena del dente trapanato, evidente segno di uno stato psicofisico dello sceneggiatore abbastanza alterato.
Un casino assurdo.
E c'era tutto diomio per fare un gran film, avevi azzeccato soggetto,regia, location, tematiche.
Il film diventa talmente tanto assurdo che ad un certo punto dico ai miei compagni di visione
"A sto punto, perso per perso, auspico una svolta horror"
E, incredibile, la svolta horror c'è davvero, ma così brutta ed insensata che dico ai miei amici:
"Scusate se l'avevo auspicata"
Terribile, nemmeno nei peggio horror amatoriali italiani degli anni 70, quasi offensiva una svolta del genere per un thriller psicologico che sembrava tremendamente d'autore all'inizio.
E' come se questo film fosse un continuo climax discendente, dalle stelle agli inferi.
Già, proprio gli inferi... Perchè avremo anche il mezzo demone e le fiamme.
E niente, se possibile il finale finale è anche peggio, con quei capi di Lockhart che arrivano, con quella domanda "Ma che cosa hai fatto??" vedendo l'incendio.
Insomma, a un sopravvissuto si dà subito la colpa.
E il suo sorriso finale, quel "Ora sto veramente bene" è la firma di una sceneggiatura disastrosa, quasi offensiva per l'intelligenza dello spettatore.
Mamma mia che peccato
6