25.6.22

Recensione: "Hatching - La forma del Male"

 

Hatching è un gran bel film finlandese, metaforicamente eccezionale, che si spera arriverà presto anche nelle nostre sale.
Una famiglia perfetta in un quartiere perfetto.
Una perfezione ostentata, ipocrita, mostrata su tutti i social.
In realtà abbiamo una madre terribile, un padre inetto, un figlio già incattivito e una meravigliosa 12enne, la nostra protagonista, costretta a subire tutti i traumi possibili che una madre può causare ai propri figli.
Un giorno, però, Alli trova un uovo, un uovo nato da un corvo morto (la madre glielo aveva ucciso davanti).
Inizia a custodirlo, a "covarlo".
Quell'uovo genera una creatura apparentemente mostruosa ma che, forse, rappresenta quealcos'altro.
Hatching non è un capolavoro, la sua parte horror e di effetti speciali lo depotenzia.
Ma sotto ha tanto, davvero tanto.
E può diventare un film metafora dell'adolescenza come ne ho visti pochi questi anni

presenti spoiler

 La cinematografia finlandese è piccola ma, a ben cercare, sempre pronta a regalare qualche perla.
Hatching non sarà a livello dei film più belli arrivati da lassù (a memoria direi Sauna ed Euthanizer in questi ultimi anni) ma resta una di quelle pellicole che sicuramente restano impresse e provano, seppur con qualche incertezza, a raccontare qualcosa di importante.
E' buffo come io abbia sempre paragonato l'età dell'adolescenza ad una crisalide, un'età di passaggio e di trasformazione che ti fa passare (normalmente, poi le eccezioni sono duemila) dal bambino che eri all'adulto che sarai.
Ecco che mai come prima questa metafora me la sono ritrovata in questo film, Hatching (il titolo inglese ricorda proprio lo schiudersi delle uova).
Film sicuramente bello da vedere ma che forse, a conti fatti, trovo più importante che bello, più interessante che bello.
Insomma, quello che racconta, e il modo in cui lo fa (simbolicamente e non) secondo me lo elevano.


Le prime inquadrature ci mostrano un quartiere bellissimo, luminoso, colorato, perfetto.
E una famiglia altrettanto bellissima, colorata e perfetta.
Passiamo da un drone a telecamerine casalinghe.
Tutta questa perfezione non solo è manifesta ma anche "voluta" visto che la famiglia in questione tiene una specie di blog/profilo instagram dove racconta la propria invidiabile vita, spazio gestito dall'insopportabile madre.
Non serve uno spettatore membro del Mensa per capire che la realtà che sta sotto è  - e sarà - parecchio diversa.
A dir la verità è lo stesso film ad urlarcelo contro sin da subito sia con la colonna sonora "argentiana" che accompagna i primi minuti sia con una scena inquietante che arriva dopo pochissimo, quella in cui la madre spezza il collo del corvo.
La figlia - una meravigliosa 12enne con la quale empatizzerete tantissimo, o almeno per me è stato così - rimane talmente scioccata da quel gesto da - almeno nella mia lettura - abbandonare l'infanzia da quel momento esatto.
E per sempre.
Ne nascerà un film che - come dicevo prima - diventa molto più bello e importante se letto in chiava metaforica, a prescindere dalle sfumature diverse che ognuno di noi potrà dare.
Prima di addentrarmi nella mia personale lettura analizzo il film più in superficie, tra pregi e difetti.

20.6.22

Recensione: "Black Phone"


Sono mesi che vedo pochissimi film (uno a settimana di media).
E spesso manco ne scrivo.
Recuperiamo qualcosa del tempo perso con l'ultimo film visto, 
un horror adesso nelle sale, Black Phone.
Buono, per tanti molto buono.
Niente per cui impazzire ma la conferma che Derrickson - tra i mestieranti -  è uno dei migliori (certo Eggers, Aster e Peele sono un'altra cosa...).
Il problema, semmai, è che ricorda per tantissimi aspetti un suo vecchio grande successo, Sinister.
La storia della classica cittadina americana dove cominciano a sparire bambini.
La polizia brancola nel buio ma una bambina con sogni premonitori li porta nella strada giusta.
Sono vittime de Il Rapace, un uomo-mostro.
Una prigione, un telefono nero che, forse, rappresenta la speranza.
Un telefono nero grazie al quale combattere tutti insieme


PRESENTI SPOILER

Ora, lo ammetto, non ricordo perfettamente Sinister (gran bel horror, non eccezionale ma tra quelli da multisala di questo ultimo decennio sicuramente tra i migliori) ma più guardavo Black Phone (adesso al cinema) più me dicevo "cazzo, ma sta cosa l'ho già vista!" e ogni volta il "già vista" era riferita a Sinister.
Derrickson è bravo, il suo (quasi) debutto con L'esorcismo di Emily Rose era veramente bello e Sinister, come detto, pure.
Buffo come si barcameni esattamente a metà tra gli horror e i blockbuster sci-fi a conferma che probabilmente non sia un grandissimo autore ma sicuramente uno "solido" che fa il suo dovere al meglio.
Questo Black Phone non ha, preso pezzo per pezzo, un solo aspetto che lo renda originale ma in qualche modo, unendoli tutti sti pezzi, alla fine un proprio carattere lo tira fuori.

Siamo a fine anni 70 e abbiamo la classica cittadina americana dove iniziano a sparire regazzini una settimana sì e una no.
Nessuno, tranne una bambina che ha sogni premonitori, sa che a far questo è un mezzo matto, uno che sembra vestito da Babadook ma va in giro coi palloncini (neri) tipo It.
The Grabber (il Rapace) lo chiamano.

Film horror solido, che se inviti gli amici a venire al cinema o lo consigli non sbagli.
L'ambientazione retrò è sempre ben gradita, la location col quartierino co le case a schiera e coi pratini belli alla Halloween pure, la regia e la fotografie pulite.
In realtà quando uno guarda Black Phone percepisce "soltanto" il film di genere ma, se riflette un attimo, capisce che in realtà l'operazione voleva far di più.
Andando a scavare infatti questo è un film con profonde velleità, ad esempio nel raccontare questo mondo di ragazzini con pessimi genitori o che sembrano vivere in un mondo senza adulti (pensiamo ad una fusione tra Stand by me e It Follows ad esempio).
E proprio in questa cornice di profonda empatia-legame tra adolescenti si instaura la parte sovrannaturale del film, quella legata al telefono nero di cui il titolo.
Quel telefono è come se fosse un portale in cui tutti questi bambini rapiti e poi uccisi riescano a parlare tra loro e, tutti insieme, sconfiggere il mostro.
Sulla carta è un'idea bella, importante e potenzialmente commovente (l'idea che bambini morti comunichino e aiutino quello ancora vivo a sopravvivere poteva essere davvero forte ad emozioni) ma il film purtroppo non riesce a creare la giusta empatia verso questi ragazzi, non riesce a trasmetterci la potenza del messaggio.
Anzi, paradossalmente, tutte le scene del telefono nero, quelle sovrannaturali, ci sembrano pure scene "horror" (lo metto tra virgolette perchè non c'è mai la sensazione di pericolo) che rischiano addirittura di rovinare il film.
Quindi grande idea il telefono nero (metaforico più volte, può essere anche visto come quel telefono che bambini abusati vorrebbero/potrebbero usare per salvarsi) ma gestita non benissimo.
In realtà quel telefono non è l'unico "non-luogo" tra due mondi.
C'è anche quello dei sogni della bambina, sogni in cui vede chiaramente cose realmente successe (però che la polizia americana per risolvere un caso di un serial killer si affidi totalmente ai sogni di una bambini di 10 anni è fantascienza).
Insomma, Derrickson gioca tra realtà e immaginazione in due modi diversi e il risultato è più che discreto.


I problemi sono due.
Intanto alcune cose davvero poco credibili.
Ho già citato quello della polizia che si affida alla bambina ma gli errori più grandi di scrittura sono altrove.
Finney per salvarsi tenterà 3 strade, ognuna delle quali consigliatagli dai 3 bambini morti prima di lui. E se per quella del congelatore ok, vediamo che è finita là e non ci sono speranze, è veramente incredibile come il film "dimentichi" totalmente le altre due quando, in realtà, sembrava stessero andando molto bene.
Per prima la strada della buca in terra alla "Le Ali della libertà", buca che procede molto bene ma che Finney abbandona, non sappiamo perchè (bastava farci vedere che trovava il cemento, che ne so).
Poi l'ancor più incredibile possibilità dalla finestra.
Dopo tanti tentativi e una genialata alla MacGyver (quella del filo attraverso il tappeto) il bambino riesce nella cosa più difficile e decisiva, ovvero scardinare completamente le sbarre di ferro.
Adesso ha solo il vetro a separarlo dalla salvezza.

6.6.22

Recensione: "Shiva Baby" - Rocco's House - 4 - su Mubi

 

Una deliziosa commedia ebraica, diretta da una giovane regista.
La storia di Danielle, universitaria ancora in balia del "che farò nella vita", e della sua partecipazione ad uno shiva, un funerale ebraico.
Danielle adesso ha uno sugar daddy (un uomo più grande che gli fa regalini in cambio di sesso) e nel passato ha avuto una ragazza (femmina).
 Se li ritrova entrambi al funerale.
Ne nasce una commedia dai dialoghi sferzanti e dalle situazioni imbarazzanti.
Ma il miracolo di Shiva Baby è che a tratti l'atmosfera si fa talmente opprimente e psicologicamente difficile da far oscillare questo film tra il divertente e l'angosciante.
Ci ritroverete addirittura sfumature di "madre!" e lo amerà sicuramente chi, come me, ha amato quel gioiello di Krisha.
Da vedere, subito

  Dopo un'infinità di tempo siamo riusciti finalmente a fare una "Rocco's House", ovvero vedere un film a casa de Rocco.
In realtà questi mesi ci siamo visti sempre, anche a casa sua, ma birillo o baralla (umbrismo per "in un modo o nell'altro") alla fine niente film.
Che poi di solito i film a casa de Rocco saltavano sempre per problemi esterni (mancanza cavo hd, internet sconnesso, madonne varie) tanto che crediamo fermamente che quel luogo sia una specie de Fossa delle Marianne della tecnologia.
Ma ora Rocco ha fatto Mubi (bellissimo!) e quindi a meno che la rete non c'abbandona abbiamo risolto.
Ho scelto io il film perchè consigliatomi più volte.
Facevano bene.
A consigliarlo dico.

Shiva Baby è un film delizioso, uno di quelli che ti senti di consigliare veramente a tutti.
A chi vuole un film leggero, a chi ne vuole uno intelligente, a chi uno spensierato, a chi uno autoriale con dentro parecchie tematiche.
Scrittura formidabile nei dialoghi, protagonisti amabili, un'atmosfera incredibilmente a metà tra il divertimento e la tensione, una cornice - quella del mondo ebraico - che regala sempre chicche umoristiche.
Insomma, un piccolo film di una giovane regista donna di cui molto probabilmente vi innamorerete (del film dico, non di lei, anche se pure lei è una bellissima ragazza).


Danielle è una studentessa arrivata a quel bivio nel quale è difficile capire quale sarà il proprio futuro.
Per tirar su qualche soldo accetta di avere uno "sugar daddy", ovvero un uomo più grande di lei che gli dà soldi e regalini in cambio di sesso (bellissimo - e quasi inquietante nei primi secondi con lei che gli dice "daddy" -  l'incipit).
Pochi minuti dopo un loro incontro sessuale Danielle va con i suoi genitori ad uno shiva (funerale ebraico) .
Destino vuole che arrivi là (con moglie e figlioletto) lo stesso sugar daddy e pure la vecchia ragazza di Danielle, Maya (la nostra protagonista è bisessuale).
L'aria si fa pesantissima.

Film quindi in unità di tempo e - praticamente - anche di luogo, una di quelle tipologie di soggetto che adoro davvero.
Shiva Baby ha dalla sua una protagonista eccezionale, Rachel Sennott, un vero viso da cinema. Sensuale quanto basta senza essere bellissima, intelligente, divertente, ironica, stronza, vendicativa.
Un personaggio perfetto.
Le commedie di ambientazione ebraica sono sempre un passo avanti e, se ci fate caso, di solito a girarle - prendendo per primi in giro gli ebrei - sono registi anch'essi ebrei.
Questo perchè questi film raccontano usanze, convenzioni, modi di fare e peculiarità talmente particolari che solo uno che conosce benissimo quel mondo può raccontare.
Quasi sempre c'è tantissima (auto)ironia, quasi sempre ci ritroviamo questi personaggi "imprigionati" in tradizioni secolari che, però, nel mondo moderno, sembrano così superate ed anacronistiche.

4.6.22

La buffa storia della partita tra Passaro e Rune, quando traiettorie (quasi) impossibili della vita si incrociano

 

Sono passati meno di due mesi.
Era il 9 Aprile e nel bel challenger di SanRemo (i challenger sono tornei di tennis di un circuito minore, diciamo giocati perlopiù dai giocatori tra il numero 100 e il 200) si ritrovano in finale due giocatori che già all'epoca, ma adesso con ancor maggior clamore, non "c'entravano niente l'uno con l'altro".
Da una parte Rune, giovanotto danese all'epoca nemmeno 19enne, dall'altra "un frego de Perugia", uno sconosciuto ragazzo della mia città, Francesco Passaro.
Non si sa come i due possano essere lì, in quella partita.
Uno è un giovane molto rampante (all'epoca 90 del mondo), l'altro un perfetto signor nessuno, 500 del mondo.
La finale in quel Challenger è per Rune il minimo sindacale, è già strano che un giocatore così lanciato e forte si sia iscritto a un piccolo challenger italiano.
Passaro, invece, ha compiuto un autentico miracolo sportivo per arrivarci a quella finale.
Viene dalle qualificazioni (per capirsi non aveva la classifica nemmeno per entrare nel tabellone di quel torneo) dove ha fatto fuori, tra gli altri, un ex top ten mondiale, giocatore magnifico ma pazzo, talentuosissimo ma senza testa per il tennis, il lettone Gulbis, uno nato coi miliardi sotto il culo (suo padre è un milionario) e che quasi per divertimento è arrivato quasi al top del mondo.
Passaro arriva alla finale massacrando tutti, in semifinale addirittura 6-1 6-1 a Mager, uno che da ormai tanti anni è tra i più forti giocatori italiani (in questo momento è il numero 6 d'Italia).
Ok, Passaro ha devastato ma adesso incontra uno, Rune, che dovrebbe batterlo con la sinistra in 45 minuti.
Però accade una cosa stranissima, quasi unica nel tennis.
La settimana successiva inizia il Master 1000 di Montecarlo, uno dei tornei sulla terra più importanti di tutti.
Rune è iscritto.
Deve fare le qualificazioni (ai Master 1000 sono in tabellone i primi 60, circa, e lui in quel momento era 90).
E c'è poco da fare, le qualificazioni cominciano di sabato.
Ma Rune il sabato ha la finale a Sanremo con Passaro.
Mi accorgo di questa cosa il giorno prima e dico ai miei amici "lo so, vi sembro folle ma scommettere la vittoria del 500 del mondo contro il 90, perchè quello dopo 5 ore ha un'altra partita in un altro torneo".
Io, in ogni caso, scommetto (mai più di 5 euro).
Per andargli incontro gli organizzatori decidono di anticipare la finale di Sanremo alle 11 di mattina.
Poi, Rune, dovrà essere alle 17 a Montecarlo a giocarsi una partita ben più importante di quella finale.
Sta di fatto che sono libero e quella partita posso vederla.
Giocare a tennis sapendo che dopo 4-5 ore devi prendere una macchina o un treno per fare un'altra partita da un'altra parte è quasi impossibile.
Rune ha una sola possibilità, sparare tutto, fare in fretta.
E così fa.
Bum, bum, bum, bum e Rune fa suo il primo set 6-1.
Sapevo che sarebbe successo questo ma sapevo anche che quando spari tutto o vinci presto o perdi presto (per questo la mia scommessa, anche con gli amici).
E infatti il secondo set, con un Rune che stava solo pensando al viaggio per Montecarlo, succede l'opposto.
Il danese ha fretta, è nervoso, ma le palle entrano poco.
6-2 per Passaro.
Ormai è andata, mi dico.
E infatti il terzo decisivo set stessa cosa, Rune non può perder tempo a lottare.
Passaro si ritrova 4-2.
Alla sua prima finale.
Da numero 500 del mondo contro il numero 90 che, spoiler (ci arrivo tra poco), nei due mesi successivi dimostrerà di essere già un campione.
Ma ecco che arriva quelle cosa che ogni tennista conosce benissimo, la paura di vincere.
E niente, a Passaro non entra più una palla. Ha davanti un avversario che vuole solo andare a fare la doccia e andarsene via da quel torneino e invece niente, Passaro sbaglia tutto.
Da 4-2 e servizio a 4-6.
Rune vince (e adesso visto quello che è diventato ricordarselo vincitore due mesi fa al torneo di Sanremo fa ridere), prende una macchina al volo e arriva - presumo - un'ora prima del match a Montecarlo.
E che fa?
Batte facilmente Albot, poi il giorno dopo ancora un altro giocatore e poi arriva pure al secondo turno dove perde una partita lottatissima (7-6 7-5) con Ruud, sì, il giocatore che domani sfida Nadal nella finale del Roland Garros.
Tre giorni prima Rune era lì a perdere con "un frego di Perugia" e ora era lì, al top, a sfiorare di battere il numero 8 del mondo.
Ma se ho voluto riportare qua questa minima e buffa storia è perchè quella partita "impossibile" per certi versi è stato il momento in cui sono veramente cominciate le carriere di entrambi i nostri due protagonisti.
Rune, che rischiò di perdere col numero 500 del mondo, da lì in poi esploderà.
Vince tantissimo, pure un torneo grande (Monaco), batte il numero 3 del mondo Zverev, batte al Roland Garros il numero 4 del mondo Tsitsipas e il numero 13 Shapovalov.
Lunedì sarà 28 del mondo, tra due lunedì addirittura nei 25.
Ma Passaro, molti piani più in basso, farà la stessa cosa.
Di lì in poi anche lui esplode (quando giochi alla pari del numero 90 del mondo - che sarà addirittura 28 un mese dopo - capisci che allora sei un giocatore vero) vincendo il torneo di prequalifiche al Master di Roma e facendo anche una gran figura al primo turno col 20 del mondo Garin.
Ma se ho deciso di fare questo post è perchè un'ora fa Francesco, mio concittadino, giocatore di un circolo a 5 minuti da casa mia, ha battuto e quasi preso a pallate Munar, 90 del mondo (ex 50), uno che solo 7 giorni fa portava, addirittura al terzo turno, al quinto set del Roland Garros Schwartzman.
E Passaro è arrivato così alla sua seconda finale dove incontrerà domani (molto probabilmente) nientepopodimeno che Musetti, ovvero uno dei 5 ventenni più forti del mondo e già piccola star (ma attenzione, gioca la semifinale con lo sconosciuto Gigante, un altro ventenne italiano che meriterebbe un capitolo a parte, uno forte davvero).
Ho visto la partita di Francesco e ho capito che sto ragazzo che il 9 aprile si ritrovò in quell'assurdo match forse non c'era arrivato per caso.
Dritto pazzesco, continue discese a rete, palle corte ogni 3 colpi (tanto che oggi l'ho sentito in perugino stretto lamentarsi di farne troppe), un gioco davvero vario con un servizio e un rovescio da migliorare.
Siccome è forse destino che le partite di Passaro diventino piccole e strane storie è successa anche una cosa che io non avevo mai visto in 30 anni che guardo tennis.
Sul 40 pari del 6-5 per Passaro, il tennista perugino colpisce il net con un dritto atomico.
La palla cambia completamente direzione, in senso orizzontale, di metri.
Non bastasse va sulla riga di fondo, match point per Passaro.
L'avversario spagnolo si infuria, giustamente quella traiettoria è impossibile, se la palla devia così tanto orizzontalmente vuol dire che ha preso "sotto" il nastro ed è passata attraverso.
La regia fa vedere alcuni replay e la sensazione è che invece sia tutto regolare.
E che il dritto di Passaro sia così forte da trapassare il nastro, passandogli comunque sopra.
A niente servono le proteste di Munar.
Passaro serve il match point e vince la partita.
E io mi sono ritrovato una piccola lacrima per questa coincidenza assurda.
A pochi minuti dalla fine del match mi ero detto "Giusè, ora te racconti la storia di Passaro e metti come titolo "traiettorie impossibili".
E poi 10 minuti dopo, all'ultimo punto, ecco quella reale traiettoria impossibile, mai vista prima.
Mi sono emozionato per la coincidenza.
E son venuto qua a raccontare questa piccola cosa