31.3.21

Recensione: "La Trilogia di Lupin III di Takashi Koike" - Anime e Core, la grande passione per l'animazione giapponese - 12 - di Enrico G - Su Prime



Dodicesimo appuntamento con Enrico che torna per la seconda volta sul mitico Lupin.
Lo fa perchè su Amazon Prime sono disponibili tre mediometraggi (sui 50 minuti l'uno) molto recenti che hanno entusiasmato il nostro giovane appassionato di Anime.
Vi lascio prima alla sua premessa, poi alla sua premessona e poi alle 3 recensioni dei singoli film


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La lapide di Jigen Daisuke, Il getto di sangue di Goemon Ishikawa, La bugia di Fujiko Mine. Tre mini film (da 50 minuti) su Lupin III, o meglio, tre istantanee sulla sua scalcagnata banda. Personaggi assurti ormai al Pantheon degli anime, giustamente meritevoli dell’occhio appassionato e al contempo sfacciato di un regista che nel suo campo è un piccolo maestro.

Disponibili su Prime. Spoiler minimi.



Lupin terzo, dalla nascita nel 1967, non se n’è mai andato. Film televisivi con protagonista il simpatico ladro sono usciti ogni anno, ma ci voleva davvero qualcosa di speciale avvicinandosi al 50esimo anniversario. Le prime avvisaglie sono arrivate con la miniserie dedicata interamente alla compagna/avversaria di Lupin, la Donna chiamata Fujiko Mine. Non l’ho vista, ma sembra che sia nel look che nelle intenzioni dovesse riagganciarsi a quando tutto cominciò, con le tavole schizofreniche, al limite dello scarabocchio, del creatore Monkey Punch. Insomma, pare che parlando di Lupin non ci sia scampo dai paragoni con l’ispirazione James Bond: anche la famosa serie cinematografica, quando perse slancio negli anni ’80, si volse nuovamente ai libri di Ian Fleming per ritrovare carattere. Idealmente questa rivoluzione alla romana (cioè che guarda al passato per rinnovare il presente) dovrebbe essere proseguita dai tre mediometraggi in questione, forniti di tutto il necessario per il fan di Lupin della prima ora: avventura, violenza, tensione, e il giusto pizzico di erotismo.

Questi però sono parte di un’unica creatura, modellata sui tre comprimari classici della saga: Jigen, Goemon e Fujiko (a dirla tutta ci sarebbe anche Zenigata… quarto capitolo in arrivo?). Lo stile varia, da cervellotico e adrenalinico per il pistolero, più cupo per il samurai, più sensuale per la ladra; ma tutto è collegato dalla pennellata di Takeshi Koike, già character designer della citata miniserie. Per chi non sa chi sia, solo l’allievo del mio regista preferito nella storia dell’animazione, nientemeno che Yoshiaki Kawajiri. E il più promettente, a giudicare dal curriculum. Chi non si fida delle raccomandazioni infatti, dovrebbe ammirare il suo meraviglioso World Record, un corto di quella antologia di tesori animati chiamata Animatrix (spin-off del famosissimo film dei Wachowski). Probabilmente è meglio conosciuto per il lungometraggio Redline, arrivato anche in Italia, quindi ci troviamo già davanti ad un talento multiforme, capace di lavorare con qualsiasi tempistica della macchina cinema. Riuscire poi ad incanalarlo in una serie longeva e dai cardini solidi come rocce quale è Lupin, vuol dire essere davvero un genio.

Funziona a meraviglia, diciamolo. Lupin è sempre quello, giacca blu in linea con le ultime due serie, la faccia da schiaffi e la voce, ormai consolidata da più di un decennio, del bravissimo Stefano Onofri. Ma è pure un Lupin straordinariamente retrò, a partire proprio dalla collocazione temporale di metà anni ’70. Tempi in cui Lupin e Jigen erano freschi compari, agli albori di una splendida amicizia (quasi un caposaldo del primo anime) ma formalmente in rapporti di affari. Anche Goemon vive in una specie di versione alternativa di sé stesso, durante la caccia a Lupin ma prima della nascita della loro collaborazione. Fujiko è l’unica con un’avventura tradizionale, non fosse per il suo assoluto protagonismo, che più o meno conferma tutto quel (poco) che sappiamo sulla ladra.

Un restyle impossibile da non amare, che coinvolge anche la colonna sonora jazzissima, un vero capolavoro: per una volta hanno lasciato in pace il decano compositore Yuji Ohno, quindi le musiche sono molto più fresche del solito (ancora una volta, niente di nuovo: per il rinnovo Bond, con Solo per i tuoi occhi, avevano chiamato Bill Conti per svecchiare la saga dalla costante presenza del maestro John Barry). Ma basta con questi dettagli panoramici, direi di passare ai singoli film.


 La Lapide di Jigen Daisuke




Ho sempre sospettato che Jigen fosse il mio personaggio preferito della cumpa. Adoro il personaggio del solitario pistolero, che qui più che mai digrigna quella faccia da James Cogburn e sprofonda lo sguardo nelle tese sconfinate del suo fedora, non ama i lavori di squadra e dà l’impressione di poter persino ficcare una pallottola nella schiena di Lupin per una parola di troppo.

La Lapide di Jigen Daisuke, d’ora in poi mia opera topica per il personaggio, ne è la conferma definitiva.


Ovviamente non cambierà il mondo dell’animazione o del cinema in generale, non è rivoluzionario nella narrativa o tematiche, lo è relativamente al suo ambito, la saga di Lupin. Guardando un prodotto a caso dalla lista ci si aspetta tutto tranne che una trama eccelsa (eccezione, il Castello di Cagliostro) da thriller hitchcockiano o poliziesco coreano. Lapide non fa eccezione, per via di qualche smussatura da operare a livello di sceneggiatura. Ciò che rende un Lupin III meritevole è la scrittura dei personaggi, l’effetto sorpresa, ma soprattutto la capacità di legare il tutto senza strabordare. La ricetta è in fondo sempre quella, sarabande di rapimenti, inseguimenti, tecnologie irreali o anacronistiche, sparatorie, mascherate. Tutte cose che, scollate dai rapporti di causa-effetto, possono annoiare a morte, come succedeva in alcuni special annuali, paradossalmente aggravati dal ritmo indiavolato. Anche con le libertà che concede l’animazione bisogna andarci piano: un personaggio, anche fatto di linee e colori, deve poter morire, altrimenti perché lo spettatore dovrebbe preoccuparsi per lui? Devono essere i simpatici ladruncoli che tutti amiamo a latitare, non la tensione.


Takeshi Koike riesce nell’impresa di tenere tutto assieme. Anzi, scommette con lo spettatore di poter fare molto di più: uccidere Jigen Daisuke, una delle pietre angolari della saga (in un prequel, per di più!). Jigen muore, anzi è già morto, fin dalla prima, bellissima tavolozza, questo cimitero dalle testate spropositate e cielo rosso sangue, dove un uomo posa un fiore s’una tomba, la tomba di Jigen Daisuke. È un po’ la scommessa che faceva un altro franchise da me molto amato, Kuroshitsuji, nel bellissimo OAV Book of Murder: sappiamo che tu, spettatore, conosci a menadito le regole, ma noi ti freghiamo lo stesso.

27.3.21

Recensione: "Personal Shopper"

 

Dopo Sils Maria (sempre con la Stewart, in un ruolo quasi identico) questo è il secondo film di Assayas che vedo.
Ancora una volta trovo un cinema molto sofisticato, colto, complesso (anche nell'interpretazione).
Forse non il "mio" cinema, perchè questo raffinato dramma psicologico, con leggerissime venature di thriller e ghost story, non riesce ad avere quel perturbante che io di solito amo, quello sporco, quel malato. Come se il film avesse un'anima davvero bellissima (e con tematiche che adoro come lo spirituale e il metaforico) ma le raccontasse in una maniera sui generis, tutta in superficie.
In ogni caso un film da vedere, da interpretare, da analizzare.
Forse la storia di una difficilissima elaborazione del lutto, la storia della ricerca di fantasmi reali che in realtà sono solo interiori.

Questo qua, dopo Sils Maria, è solo il mio secondo Assayas.
Intanto è curioso che in entrambi i film la protagonista sia Kristen Stewart (che a me piace sempre più come attrice) ma è ancora più curioso che interpreti praticamente lo stesso personaggio, ovvero l'assistente personale di una star (più segretaria tuttofare in Sils Maria, personal shopper in... Personal Shopper).
Certo dopo soli due film non posso tirar fuori un teorema definitivo ma quello che posso dire è come entrambi mi siano piaciuti molto senza però riuscire del tutto a conquistarmi e, soprattutto, coinvolgermi come speravo.


Probabilmente ciò deriva dal tipo di cinema di Assayas, un cinema sofisticato, colto, complesso, psicologico ma non nell'accezione che amo io, ovvero quella di profonda inquietudine, "sporcizia", malattia.
Personal Shopper, film difficile, quasi inafferrabile, affascinante, ha tutte le caratteristiche (e lo script) che piacciono a me, eppure per tutta la sua durata mi è restato davanti ad un metro di distanza, senza che io riuscissi a farlo mio del tutto.
Un pò perchè umanamente è freddo (come il mondo che racconta del resto) un pò perchè, come dicevo, la sua preponderante parte psicologica arriva a noi in un modo insolito, "superficiale", nel senso che non turba quasi per nulla ma sembra raccontarci una vicenda quasi "normale" che nasconde significati nascosti.
Sì, è vero, c'è la casa stregata, ci sono i rumori, c'è addirittura la presenza fantasmatica (evitabilissima e pacchiana per me), c'è quella sottile inquietudine dovuta allo scambio di sms tra la Stewart e chissachì, c'è un omicidio efferato, insomma, a livello di significanti gli elementi del thriller ci son tutti, eppure l'atmosfera resta fondamentalmente serena per lo spettatore, senza che nè l'inquietudine nè lo scavo psicologico arrivi in profondità.
Attenzione, girare un thriller psicologico barra ghost movie così atipico potrebbe essere anche un pregio eh, ma io ho sentito poche vibrazioni.
Per fortuna in un aspetto il film invece mi ha molto interessato, ed è il cercare di capirlo.
Magari dopo dico due cose al riguardo.

La regia è molto buona ed elegante, la Stewart, che passa dall'esser nascosta in abiti sformati all'esser nuda è davvero grande e l'uso delle location ottimo.
Fermandoci un attimo a questo passaggio che ho scritto riguardo la Stewart è indubbio che quel suo essere "nascosta" dentro orribili abiti sognando continuamente quelli che noleggia alla star che assiste, è un primo tassello della costruzione psicologica del film, ovvero quella di qualcuno che desidererebbe essere qualcun altro. In tal senso credo anche i nudi siano simbolici, in un aspetto che ricorda vagamente le tematiche de Il Cigno Nero.
Iniziano ad esseri inseriti elementi fortemente spirituali e/o spiritistici, come la vicenda della pittrice svedese (molto interessante ma poi lasciata lì), come il manifestarsi definitivo di alcune forze dentro il villone deserto, come lo scambio di sms (troppo lungo, 40 minuti di film).
E' come se il film si riempisse di tantissimi elementi interessanti (sia di per sè sia nell'eventuali ricerca di un significato finale) ma tutta l'unione di essi non porti alla loro somma.
Ed è così che i singoli amanti dei vari aspetti (chi ama la spiritualità, chi lo spiritismo, chi il thriller, chi il dramma psicologico, chi il soft horror) rischiano di avere catturata la loro attenzione e sperare in qualcosa di grande che, invece, nei rispettivi aspetti, li potrà deludere.
Inoltre il film non sa essere essenziale, ma spesso pecca di ridondanza, specie nei dialoghi e negli scambi di sms (troppo didascalici, troppo manifesti).
Che il personaggio della Stewart sia attratta dal proibito, che voglia in qualche modo far venir fuori una sua parte più "nera", che la ecciti (si masturba pure) quel poter vivere un' "altra sè", è tutto davanti ai nostri occhi, senza che avessimo dovuto sorbirci 35 sms inutili che raccontano le cose.
Per fortuna però il film resta molto godibile, vogliamo vedere dove arriva, vogliamo capire chi manda gli sms, vogliamo sapere come si concluderà la ricerca del fratello.
Spesso restiamo spiazzati (la scena in cui lei va nell'hotel, poi vediamo andar via il "fantasma" e poi l'amante della diva è davvero confusa, devo riguardarla) e anche il finale ci toglierà pochissimi dubbi.
Questo però, paradossalmente, è la cosa che più ho amato, l'ho trovato davvero bellissimo pur, probabilmente, non avendolo capito.
E andiamo così alla mia interpretazione.
Per tutto il film ho immaginato che Maureen fosse in qualche modo schizofrenica. L'ho pensato soprattutto per tutte le scene con gli sms, immaginandomi una specie di dialogo inesistente tra lei e sè stessa, tra la parte che "non deve sbagliare" e quella che la esorta a scoprire la sua parte più nascosta.
Il fatto che poi la prenotazione all'albergo fosse a nome suo mi aveva ancora più convinto di questa idea.


E, arrivando al finale con questa convinzione, non potevo non leggerlo in tal senso.
Credo che quindi Personal Shopper racconti di una difficilissima elaborazione del lutto e del tentativo di cercare "fuori di sè" (la presenza del fratello) una via di uscita che, invece, è possibile solo dentro di sè.
Non c'è mai stato lo spirito del fratello, non c'è mai stato un misterioso messaggiatore, non c'è mai stato niente, se non delle "presenze" che Maureen ha creato per reificare, o tentare di farlo, un grandissimo disagio interno. 
Non è un caso che le venga detto, credo frase più emblematica del film, "liberati di lui", perchè solo quello può salvarla, ovvero l'accettare che per trovare la pace lei non deve cercare l'interazione con altri, ma trovarla dentro di sè.
Ed è in questo senso che leggo anche l'ultimo minuto, quel credere dapprima di trovarsi davanti lo spirito del fratello, poi immaginarsi che sia un altro spirito per poi, infine, chiedere "Sono io?" e ricevere un "sì" di risposta.
Come se da sempre tutto quello che abbiamo visto fosse stato un continuo dialogo con sè stessa camuffato da presenze misteriose.
Elaborazione del lutto, paura (di morire come il fratello), malattia, incapacità di andare avanti, sono tante le cose che si mischiano dentro secondo me.
Potremmo addirittura, in una lettura molto ardita, pensare che è invece Maureen ad essere morta (vedendo gli sms come una specie di contatto di qualcuno, magari del fratello in vita, ripensando alla scena in cui vediamo l'ascensore e le porte dell'hotel aprirsi senza vedere esseri umani o quel finale "Sono io?" a significare che è il contrario, la morta è lei) ma resta una suggestiva idea, molto affascinante, che non riesco però a metter sopra all'interpretazione più psicologica.
Quello che è sicuro è che ci troviamo davanti ad un film di fantasmi.
Un film dove la protagonista ricerca quelli reali, quelli che danno segni.
Non capendo però che, forse, gli unici fantasmi, come spesso accade nella vita, sono quelli che ci creiamo da soli.
E che se solo lo vogliamo, se solo lo capiamo, ecco che, puff, possiamo mandarli via in un attimo

22.3.21

Recensione: "I see you" - Su Prime

 

Uno di quei thriller che, se avessi ancora la videoteca (aka "se esistessero ancora le videoteche") mi avrebbe letteralmente salvato (oltre che fatto guadagnare qualcosa) perchè l'avrei potuto consigliare veramente a tutti essendo pure certo del gradimento. 
Un film che gioca con più generi (il thriller, il crime, il soft horror), che ha una costruzione narrativa molto stimolante, una grande atmosfera, una colonna sonora da brividi e un'anima davvero nera.
Inoltre vi farà conoscere cos'è il Phrogging (NON ANDATE A LEGGERE SENZA AVERLO VISTO PRIMA!).
La storia di una famiglia cui succedono cose sempre  più strane ed inquietanti e quella di un serial killer del passato che potrebbe essere tornato a colpire.
Davvero un gioiellino.
Disponibile su Amazon Prime

 PRESENTI SPOILER UCCIDI FILM, SIN DA SUBITO, CONSIGLIO LA LETTURA SOLO DOPO

Quando mi capita di vedere thriller come questi non posso non sospirare ripensando alla videoteca. A quanto fosse faticoso consigliare film a tutti quelli che entravano e che, senza che io li conoscessi, pretendevano che io gli trovassi il film perfetto per loro. Certo, nel tempo, dopo tante chiacchierate e vedendo cosa gli piaceva, mi creavo il profilo di ognuno, manco fossi un profiler dell' F.B.I..
Ma la maggior parte erano comunque clienti poco fidelizzati e che volevano il film perfetto per la serata.
Vedendo film come I see you sospiro perchè sarebbe stato uno dei quei film "salva-consigli", uno di quei thriller che avrei potuto consigliare a TUTTI essendo poi pure sicuro di fare pure bella figura. Oltre a"parecchi" soldini ovviamente.
Sì, impossibile che un amante del thriller non apprezzi sto film, impossibile.
Non che sia un capolavoro e, lo vedremo, nemmeno perfetto.
Ma un thriller che sa dare atmosfera, qualche inquietudine, giocare con più generi (il soft horror e il crime), avere una costruzione narrativa stimolantissima (tanto che pare quasi uno dei quei game movie dove devi ricostruire le cose piano piano), una colonna sonora stupenda, che sa metter dentro 2/3 colpi di scena davvero ben assestati, ecco, è una fortuna.
Un altro merito è quello poi di far conoscere un fenomeno, quello del Phrogging, che almeno io non conoscevo minimamente.

ATTENZIONE, non andate a leggere cosa sia sto Phrogging se non avete visto il film, ve lo rovinereste irrimediabilmente.


L'incipit è molto interessante. 
Drone a parte (più volte verrà usato, molto bello) è sin da subito manifesto della prima parte del film, ovvero del gioco che verrà fatto con lo spettatore, quello di viaggiare costantemente su due possibili binari, il paranormale e il reale. Quel bimbo che viene sbalzato dalla bicicletta e sembra volare via è simbolo di quanto appena detto, ovvero di un film che per 50 minuti terrà nel dubbio lo spettatore. In questo senso vanno lette anche tutte le inquadrature in soggettiva dentro la casa (quelle che praticamente danno titolo al film), inquadrature tipiche degli evil movie ma che solo poi avranno una spiegazione.
Iniziano a succedere tante cose piccole ma inquietanti, posate che spariscono, televisione che parte da sola, criceti usciti fuori dalla gabbia, quadri sulla parete scomparsi, lenzuola tirate via, dischi che partono a suonare.
La famiglia è al tempo stesso impaurita da tutto quello che accade ma - e questa è una buona idea di sceneggiatura - alla fine le risposte possono essere sempre dentro la stessa famiglia, visto che c'è una tensione pazzesca dovuta al fatto che la madre ha un amante. C'è talmente tanto nervosismo e ostilità tra i 3 membri della famiglia che tutti questi strani accadimenti possono esser letti come dispetti o piccole vendette private.
Fino a che, però, non ci scappa un morto e che lo stesso figlio rischi di morire...

Da qui partirà il secondo film, parallelo temporalmente al primo, e scopriremo tutta la verità.
Sarà molto stimolante per lo spettatore ripercorrere tutte le scene già vissute (sia a livello visivo che auditivo) da quest'altro, nuovo, punto di vista. Capiremo che quelle soggettive non erano cinematografiche ma reali e anche ogni singolo strano accadimento successo.
Dico la verità, se questa seconda parte all'inizio è davvero notevole, piano piano inizia a stancare visto che per mezzoretta ci faranno vedere ogni singola cosa successa in precedenza da questa nuova angolatura. Io, in fase di sceneggiatura, avrei fatto rivivere gran parte delle scene, ma non tutte, anche perchè poi la cosa diventa prevedibile e crea un calo d'attenzione.

19.3.21

Recensione: "Rams" - Passeggiate, il cinema della poesia - 15 - di Roberto Flauto

 

E' un caso quasi unico questo.
Mai, o forse solo una volta, ho pubblicato nel Buio in Sala un pezzo esterno (ossia di una rubrica di altri) già recensito in precedenza da me.
La motivazione è molto semplice, le rubriche (o anche i pezzi singoli)  di amici devono colmare tante delle mie lacune, che siano tematiche (generi che non vedo), stilistiche (modo di scrivere diverso) o anche, semplicemente, recensire bei film che io non ho visto.
In questo caso Roberto (al suo sedicesimo appuntamento) ha "per sbaglio" scritto di un film già presente in archivio.
Non posso però non pubblicarlo, per  due motivi.
Il primo è che Rams è un film bellissimo (con uno dei 10 finali più emozionanti che ho visto in questi anni, sicuro), il secondo perchè la recensione di Roberto (finalmente dato che il film l'ho vistoho potuto leggerti!) è molto meglio della mia.
Vi lascio a lui.

P.S. : il film lo trovate su Prime
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 In una valle islandese,
immersa in un tempo sospeso,
due fratelli lottano contro l’estinzione.

Se la nostra pecora è felice,
il sole tutti riscalda e benedice.
Se la nostra pecora è infelice,
la notte è oscura e traditrice.


Il vento accarezza l’erba.
La città è lontana, siamo nell’entroterra, le montagne abbracciano ogni cosa.
Il cielo è così vicino che stordisce. Il respiro della terra è unità di misura dei giorni.
Eternità e attimo si confondono, fino a prendere l’una il significato dell’altro.
Islanda. Terra di ghiaccio e di fuoco.
Ghiaccio: perché siamo a pochi passi dal Circolo Polare Artico, perché la neve appartiene a tutte le stagioni, perché c’è qualcosa di unico nel processo di condensazione dei desideri apparentemente inesprimibili.
Fuoco: i vulcani, i geyser, le sorgenti termali, vene incandescenti che scorrono ovunque, perché il battito di ciglia della natura non conosce pietà, perché c’è qualcosa di unico nel processo di esplosione dei desideri lasciati ad asciugare al sole.
L’erba si piega sotto le carezze del vento. Chilometri e chilometri di pura assenza. Il rumore del silenzio pervade ogni suono, ogni ambiente, ogni colore. Le estati sono tiepidi e brevi, gli inverni sono gelidi e lunghissimi. In una valle immensa e dalla bellezza selvaggia, circondata da vette imperiose, lontana da anni luce dalla luce degli anni di tutti noi, ci sono due case, distanti poche decine di metri l’una dall’altra. Appartengono a due fratelli, entrambi allevatori di pecore, che conducono la stessa vita, hanno gli stessi ritmi, consumano gli stessi cibi, sono della stessa natura, ma si odiano e non si parlano da quarant’anni.
Gummi e Kiddi.
Si odiano, come solo due fratelli possono odiarsi.
Ormai vecchi, entrambi soli, non si sono mai sposati, non hanno figli, non hanno niente, eccetto le loro amate pecore. Il rapporto che hanno con questi animali è davvero unico, speciale, prezioso. Sono due allevatori induriti dal freddo e da una vita di sfiancante e continuo lavoro, condividono la stessa terra, le loro pecore appartengono alla stessa, antichissima, pregiata razza: Bolstad. Sono le migliori, e loro due sono i migliori allevatori di tutta la valle.
Eppure non vanno d’accordo, non si sopportano, non si rivolgono la parola da quaranta, lunghissimi, gelidi anni.
Il vento disegna destini inafferrabili tra i fili d’erba.

Seguiamo la vicenda dalla prospettiva di Gummi.
Un lungo abbraccio carico di un affetto che non si può capire. Gummi abbraccia le sue pecore, le coccola, le stringe a sé, «ti voglio bene» dice a ognuno di loro. Sorride.
Il film si apre così. Con un abbraccio. Sincero, affettuoso, dolce, ma anche (e per questo) primitivo, viscerale, fuori da ogni logica.
Il cielo si colora di ghiaccio.

C’è una staccionata.
Una lunga sequenza di paletti, recinti e sbarre di legno: è il confine tra la terra di Gummi e quella di suo fratello Kiddi.
Sono identici, perché condividono lo stesso stile di vita e conducono la medesima esistenza, eppure profondamente diversi: Gummi è calmo, serafico, attento, mentre Kiddi è più estroverso, più istintivo e impulsivo.
Il film ci dà piccole e disordinate informazioni (le mie preferite), grazie alle quali possiamo capire che i loro defunti genitori aveva preso due decisioni differenti. Il padre, come probabilmente ogni uomo razionale avrebbe fatto, aveva deciso di affidare la sua terra e le sue pecore al suo primogenito Gummi, il più saggio e affidabile. Ma la madre gli strappa una promessa: lasciare che anche suo fratello minore avesse una parte della terra e delle pecore da allevare.
Ma non sappiamo altro. Non sappiamo cosa abbia davvero portato a quarant’anni di silenzio. Le poche comunicazioni che intrattengono avvengono tramite lo scambio di messaggi scritti su fogli di carta, che il fedele cane pastore di Kiddi consegna ogni volta all’uno e all’altro.
Cosa può esserci di più gelido di un cuore che rifiuta di battere e di battersi?
Chissà quante parole sono sepolte nei loro cuori. Chissà quante carezze morte, in quelle mani.
Quanti sospiri trattenuti, quante carezze abortite, quanto freddo, quanti giorni, quanti sbagli.
Quaranta anni. Senza dialogo, senza sorrisi. In completa solitudine, vivendo l’uno accanto all’altro.
Gummi, Kiddi, le loro pecore.
Il cielo in frantumi si disperde nel vento.

Rams: “arieti”.
L’ariete – o montone – è il maschio della pecora. Ma è anche la metafora perfetta per descrivere i nostri protagonisti. E non solo perché sono vecchi, pelosi e con la barba lunga e disordinata, come il vello delle loro pecore, ma anche perché appartengono entrambi a una razza in estinzione, di cui sono gli ultimi due esemplari, almeno in quella valle: allevatori dotati di una sensibilità unica, profondi conoscitori di ogni palpito della natura, amanti appassionati e passionali del proprio mestiere, che in realtà è tutta la loro vita, perché loro amano prendersi cura delle pecore, non sanno fare altro, sono i migliori. E stanno per estinguersi.
Rams è quindi una storia di resistenza, un racconto di ghiaccio e di fuoco.
Ghiaccio: perché siamo a pochi passi dal baratro della fine, perché quarant’anni di silenzioso morire non lasciano scampo, perché lo strato di gelo che avvolge il cuore degli uomini può non sciogliersi mai.
Fuoco: perché malgrado e grazie a ogni sguardo, perché nonostante e a causa di ogni silenzio, perché sebbene l’assenza, benché l’antagonismo, il sangue, la famiglia, l’amore avuto e quello sepolto dentro raffiche su raffiche di entropia, c’è un cuore che pulsa e continua a bruciare.

In una piccola comunità, per quanto sia esteso il territorio che la contiene, ci si conosce praticamente tutti. È una cosa bella, rassicurante, ma che può risultare asfissiante (non è un caso, per esempio, che i rapimenti alieni avvengano sempre in piccole comunità sperdute, ma questo è un altro discorso). A Gummi e Kiddi, però, non interessa nulla, tranne il benessere delle loro pecore.
Arriva il giorno del concorso annuale per il miglior montone. Tutti gli allevatori portano il proprio esemplare migliore. I due fratelli sono tra i partecipanti, come ogni anno. E come ogni anno sono i favoriti. Gummi è secondo, Kiddi è il vincitore. Vince “per un muscolo”. Tutti festeggiano, ridono, brindano, bevono, tranne Gummi.
Rams, film in cui si parla pochissimo, una storia con dialoghi rari ed essenziali, è un racconto fatto di sguardi bellissimi, profondi, significativi. Gli occhi di Gummi persi nel vuoto sono perfetti.
Il suo sguardo e quello di Kiddi non si incrociano mai, eppure pesano l’uno sull’altro. Si guardano senza guardarsi. Come i quarant’anni di silenzio che li separano e li tengono insieme in una danza immobile.
(Alcuni degli sguardi presenti in questo film sono tra i più belli che abbia mai visto, tra i più penetranti e significativi che abbia mai vissuto).

Poi arriva l’imprevedibile.
Gummi si accorge che il montone del fratello ha qualcosa che non va, sembra malato.
Intuisce subito cosa possa essere, e ne resta terrorizzato.
Potrebbe essere la scrapie, un virus micidiale che colpisce gli ovini, una malattia infettiva neurodegenerativa che attacca il cervello e il midollo spinale, è letale e incurabile.
Quando i veterinari andranno a prelevare l’ariete di Kiddi non potranno che confermare il timore di Gummi. Questo significa una sola cosa per i due fratelli, e per tutti gli allevatori della valle: l’apocalisse.
Tutte le pecore della valle devono essere abbattute. Tutti gli attrezzi, i fienili, il cibo e tutto ciò che è entrato in contatto con gli animali deve essere sterilizzato o bruciato. Forse ci vorranno almeno due anni perché alcune pecore possano essere riportate nella valle.
È la fine. Non si sopravvive a una cosa del genere.

15.3.21

Recensione: "Il Sabba" ("Akelarre" - "Coven") - 2020 - Su Netflix

 

Un grande film su Netflix che, ancora una volta, tratta dell'argomento più delicato e urgente di questi nostri ultimi tempi, il femminicidio o, in senso lato, l'autorità dell'uomo sulla donna, il suo farla sentire "strega", sbagliata, colpevole.
Ma Il Sabba diventa visione diversa e necessaria perchè riesce ad usare la Storia e la metafora (la caccia alle streghe appunto, il film è ambientato nel 1600) per parlare indirettamente ma con ugual forza di questi temi.
Lo fa attraverso una fotografia straordinaria (da infarto in alcune scene), una protagonista magnifica, tante scene simboliche, una forza "grezza" e anche una bella dose di coraggio.
Non sarà un capolavoro ma è un piccolo film che scava nel cuore e nella coscienza

"Niente è più pericoloso di una donna che balla"

dice ad un certo punto quella specie di Giudice Inquisitore protagonista del film.
E' davvero incredibile come dentro questa frase ci si possa trovare la tematica di cui parla Il Sabba da qualsiasi angolo la si voglia vedere. Davvero, una piccola frase che ha dentro di tutto.
Inutile nascondere quanto questa frase riguardi molto noi uomini. Io stesso sono stato più volte male pensando alla "mia donna ballare" (senza me presente ovviamente), come se quel gesto così innato ed atavico (e gioioso) di per sè portasse dentro qualcosa di negativo, di minaccioso. La gelosia è la più brutta bestia da gestire che esista, e riguarda tutti noi, uomini e donne, innamorati veramente o no, possessivi o no, intelligenti o no. Se non sei per niente geloso non puoi dire di amare secondo me. Eppure il vero amore dovrebbe essere quello in cui la gelosia, lo star male pensando alla "tua donna che balla", dovrebbe rappresentare semplicemente una istintiva e irrazionale paura, anche profonda magari, ma che non deve nè modificare te nè, soprattutto, invadere la libertà della persona che ami. E' molto difficile, lo so, io stesso mi sono reso conto che più volte quella libertà magari non l'avevo violata ma resa difficile sì. L'avevo "condizionata". E quando la gelosia fa vivere l'altra persona in modo non naturale bisogna intervenire perchè poi si sta male in due, entrambi.
Bisogna accarezzare le paure dell'altro, capirle e fare in modo che, piano piano, svaniscano.
Anche perchè amore è, prima di ogni altra cosa, fiducia.
Ma, come dicevo, quella frase del film ha dentro davvero di tutto. Ha dentro la "bellezza" delle donne (mai diremmo "niente è più pericoloso di un un uomo che balla" ) ha dentro il loro "potere", ha dentro il pensiero distorto dell'Uomo che vede come pericoloso una cosa naturale fatta dall'altro sesso, ha dentro la sfiducia, ha dentro la superiorità autoproclamata del genere maschile, ha dentro l'immagine della libertà (il ballo) che noi fatichiamo ad accettare, ha dentro l'alibi per punirle. E' davvero difficile condensare così tante sfaccettature dell'argomento in una sola frase.
Frase che, ovviamente, considero l'anima di questo bellissimo film basco, l'ennesimo probabilmente sull'argomento ma, in ogni caso, opera che considero "necessaria" perchè riesce, sia attraverso la Storia (la caccia alle streghe) che la metafora (la Strega, appunto), a parlare dell'oggi. Serviva un film così, serviva un film che andasse a ripescare questa inumana barbarie che fu la caccia alle streghe, che la raccontasse in un modo tanto esaustivo quanto "semplice", che ci potesse far riflettere non con una sceneggiatura diretta sull'argomento (ovvero quella in cui la denuncia è palese) ma attraverso un viaggio nel 1600, attraverso un qualcosa che adesso non esiste più solo perchè non esiste più in quelle vesti.
Ma tutto quello che accade ne Il Sabba è, in modo traslato, quello che accade tutti i giorni nel nostro mondo.

Siamo nel 1600. Un manipolo di uomini (un Giudice, un suo segretario, alcuni soldati) gira per la Spagna in cerca di streghe da giustiziare su ordine del Re. Arrivano in un minuscolo paesino costiero dei Paesi Baschi, in un momento della stagione in cui tutti gli uomini sono per mare. Restano qualche vecchia e un gruppetto di giovani ragazze. Tutte verranno prese, portate in cella e, tra interrogatori e torture, dovranno solo aspettare il momento in cui verranno bruciate.


Fate una cosa per favore, vedete i primi 3-4 minuti.
Vedete quella prima inquadratura di fuoco, straordinaria. 
E dopo il dialogo quell'immagine invece di luce e gioia, con le ragazze che corrono nel prato.
Visto?
Ecco, ora rimandate indietro il film e rivedetela.
Poi un'altra volta.
Facciamo che 4 bastano.
Guardate la fotografia della prima scena, guardate quella della seconda e guardate il momento di stacco tra le due.
Una cosa da restarci secchi.
Ma del resto la fotografia de Il Sabba è meravigliosa. Dico la verità, nel mio cervello allo stesso momento dava sia l'idea di "televisiva" (nell'accezione ovviamente negativa del termine) sia una sensazione di bellezza incredibile. Raramente mi è capitato di vedere nella stessa luce, nella stessa grana, queste due sensazioni così contrastanti.
In ogni caso a fugare ogni dubbio ci sarà il sabba finale, un quarto d'ora pazzesco, probabilmente fotografato da qualche divinità, magari da Lucifero stesso.
La fotografia, però, non è l'unico dei grandissimi meriti di questo piccolo film basco.

11.3.21

Recensione: "Il talento del calabrone" - Su Prime

 

Un film italiano "nuovo", coraggioso sia nella struttura che nelle tematiche, scritto da zero (ci lamentiamo sempre dei soggetti dei film italiani e poi una sceneggiatura originale come questa ci sputiamo sopra), capace di creare una grande atmosfera, avere un paio di interpreti eccezionali e con dei 20 minuti finali assolutamente perfetti sia per effetto sorpresa (addirittura 4 colpi di scena, nessuno per me prevedibile) che per intreccio che per capacità di emozionare.
Peccato per degli evidenti problemi di scrittura in alcuni aspetti (un personaggio principale completamente sbagliato e dei dialoghi a volte debolissimi) che, purtroppo, ne minano il risultato finale e danno un "alibi" difficilmente smontabile a chi ha il piacere di stoncarlo.
Io me lo tengo stretto invece.

PRESENTI GRANDI SPOILER DOPO ULTIMA IMMAGINE

Faccio uno stupido outing.
Ho visto questo film perchè mi ero rotto di fare recensioni sempre troppo positive. Allora mi son detto: "Giusè, pe na volta vedi qualcosa de brutto almeno non passi per un esaltatore seriale", e me so ricordato che me parlavano tra il male e il molto male di questo film italiano su Prime, Il talento del calabrone.
E niente, manco quando me riprometto de parlà non troppo bene de qualcosa ce riesco. Posso provà a esse cattivo quanto voglio ma la verità è una e solo una, ho trovato Il talento del calabrone bello, forse bellissimo.
Di sicuro qualcosa di molto molto coraggioso, diverso, quasi unico nel nostro panorama.
E' incredibile di come ci lamentiamo sempre dei soggetti scritti nel cinema italiano e poi ci troviamo davanti un soggetto e sceneggiatura originali (in entrambi i sensi del suo significato) come questo e riusciamo non solo a criticarlo (chè quello è giusto e lecito) ma addirittura a stroncarlo.
No, per me questo film è un piccolo miracolo di regia, atmosfera, tensione e scrittura.
Che purtroppo ha un paio di difetti talmente grandi che rischiano di affondarlo.
E' come se ci trovassimo davanti un bellissimo grattacielo (non parlo a caso di grattacieli...) in cui ci sono 4-5 piani completamente dissestati.
Sì, ma il grattacielo non solo è bello lo stesso, ma sta in piedi alla grande.

Si parte con delle riprese dall'alto di Milano di notte talmente belle da sembrare di stare a Hollywood e che Milano sia una piccola New York, davvero splendide.
Ma, del resto, sia il livello estetico del film che la regia (specie considerando che si svolge praticamente in due sole, ristrettissime, location) sono di ottimo livello, davvero il meglio che si poteva tirar fuori da questa sceneggiatura.
Arriviamo all'ultimo piano di un grattacielo, piano dove si trova la stazione radio di una importante emittente (mi sembra Radio 105). La trasmissione del momento è quella di Steph, un giovane Dj, famosissimo, bello e arrogante, che cura uno spazio abbastanza futile di stupidi concorsi con i radioascoltatori e di richieste di brani.
Ad un certo punto chiama però un uomo.
Quell'uomo ha intenzione di suicidarsi.
Quell'uomo ha intenzione di suicidarsi facendo scoppiare la potentissima bomba che porta con sè in auto. E no, non scherza, appena lo si prende in giro infatti fa esplodere a distanza un altro ordigno in cima ad un palazzo (disabitato, solo a scopo dimostrativo).
La situazione è drammatica, non resta che parlare con lui e provare a farlo desistere.


Parlo subito dei difetti, evidenti, del film.
Il più grande, veramente quasi imperdonabile, è quello della figura del Colonnello donna interpretato dalla Foglietta.
A parte la buona scelta (anche se forse un pò "politica") di scegliere un comandante donna (i due ruoli di comando nel film, sia nella polizia che nella radio, sono entrambi al femminile) per il resto non funziona niente, ma veramente niente.
La Foglietta arriva in abito da sera (era ad una mostra) e, non si sa perchè, appena arrivata alla radio si mette scarponi militari, cinturone e pistola, si "rambizza" per gestire una "crisi" solo telefonica. Non si capisce a cosa serva quella tenuta antisommossa dentro la radio
Ma andiamo avanti.

8.3.21

Recensione: "Limbo" - Konstantina Kotzamani - 2016

 

Ringrazio tantissimo il mio "pusher" greco Kostas per aver portato qui da noi questo mediometraggio (solo 29 minuti) di una giovane regista greca.
Un'opera bellissima, simbolica, ipnotica, che racconta di una strana terra dove ci sono dei bambini che giocano.
Spiaggiata poco distante da loro c'è una grande balena.
Un giorno arriva però un bimbo diverso da tutti, biondo, impaurito, strano.
I bambini inizialmente lo temono, poi, però, vogliono andare a conoscerlo.

LINK PER SCARICARLO NEL PRIMO COMMENTO

Il Limbo è quella strana terra tra due confini, quello con ciò che si era prima e quello con ciò che si sarà dopo.
E' un mondo che quasi sempre viene immaginato dopo la morte e prima della seconda vita che vivremo, quella eterna.
In realtà è una condizione nella quale passiamo gran parte delle nostre vite, quella condizione nata da qualcosa che ci è successo ma che per tanto, troppo tempo, non ci porta ad una condizione nuova.
E stiamo lì, reduci da un'esperienza e senza avere la forza o il coraggio di andare oltre. Stiamo lì ancora attaccati a quello che eravamo fino a ieri e impauriti da quello che possiamo essere da domani, anche se siamo sicuri che quel domani potrà essere bellissimo.
Siamo lì, in questo limbo così umano che se ne frega di Morte e Vita, che se ne frega di Dio e di Dante Alighieri, in questa condizione di mezzo e d'attesa così difficile da scardinare.


Eppure esiste anche un Limbo ultraterreno, quello dove vagano e vivono le anime non ancora battezzate, specialmente i bambini.
Ed in questo fantastico mediometraggio di una giovane regista greca questi bambini stanno in questa terra che è essa stessa un limbo, una terra dove acqua e terra si confondono, dove le case sono palafitte nel mare, dove la spiaggia sembra in qualche modo un luogo di confine e d'approdo (come nel meraviglioso The Crescent).
Ci sono però due figure che turbano i bambini.
Una non la vediamo ma viene continuamente evocata, è quella di una gigantesca balena spiaggiata poco lontano.
La seconda è un bambino così diverso da loro, un bimbo che sembra quasi fatto di luce, capelli biondissimi, quasi bianchi, sopracciglia lo stesso. Loro sono vivi, sporchi, mori, agitati, lui sembra quasi morto, pulito, biondissimo e inerme.
Eppure i bambini hanno paura di lui, ma quella paura infantile che poi ti porta inevitabilmente alla curiosità di andare a conoscerle le cose.
Andranno a parlarci, vorranno portarlo dalla balena per, magari, svelare due misteri in uno.
Un mediometraggio con delle inquadrature straordinarie (basta la prima, nebbiosa, con quella testa di bimbo che appare in basso a sinistra, ma di indicibile bellezza è soprattutto quel campo lungo dei 12 bambini e uno che si avvicina verso di noi), con un ritmo ipnotico, con dei rumori persi nel tempo come quello delle onde, con dei continui sussurri (tutti sussurrano perchè il sussurro è forse la lingua di questa terra di mezzo, una terra dove sarebbe stato fuori luogo il rumore della vita), con un'atmosfera al tempo stesso inquietante ma anche rassicurante, come se tutto quello che stiamo vedendo possa in qualche modo essere salvifico.
E non dico questo a caso perchè "Limbo" forse (è davvero difficile capirlo) proprio di questo ci parla.
Quei bambini sono dodici, ed è impossibile non pensare agli Apostoli.
E quel bimbo biondo apparso non si sa da dove sembra veramente un Cristo.
E forse quella balena è suo padre, è un Dio morente e spiaggiato che ha "formato cuori e polmoni" per incontrare noi uomini. E per farlo ha usato quel bambino così diverso da tutti, per portare tutti gli altri fino a lui.
E sì, arriveremo a lui, in un finale magnifico che, con commozione, mi ha riportato a quello devastante di un film che amo in modo particolare, Il Superstite.
E allora magari nemmeno si parla di bambini non battezzati, ma quella piccolissima parte di terra, quella spiaggia e tre case, siamo noi, tutti gli Uomini, in ogni tempo.
Uomini che hanno bisogno di avere una guida ed essere portati verso un Dio, o una spiritualità, di cui avevano paura e che invece ha avuto l'umiltà di andare verso di loro, nel loro mondo, per dargli una possibilità.
In questo caso l'uscita dal limbo può essere vista in più modi, ma sempre in qualcosa di salvifico.
Non lo so, magari tutto questo che dico è solo una mia interpretazione, ma è questo il bello di queste opere.


Ma c'è un altro aspetto bellissimo secondo me.
Quei bambini hanno paura del bimbo "alieno" forse perchè è così diverso da loro.
L'altro, il visitatore, il diverso, fa sempre paura perchè non lo riconosciamo.
Eppure l'unico ad avere veramente paura è proprio lui, solo, inerme, incapace di capire quel nuovo posto e il ruolo che ha.
Perchè spesso ciò di cui abbiamo paura è qualcosa che ha, essa stessa, paura di noi

6.3.21

Il Tempo della Crisalide, 40 film bellissimi e non troppo conosciuti sul magico ma difficilissimo periodo dell'adolescenza - Post unico con tutti i film


 Per la prima volta in quasi 12 anni ripubblico una cosa già pubblicata.
Non è mancanza di cose da pubblicare o necessità di riproporne altre ma semplicemente un fattore tecnico.
Feci queste liste sui migliori film sull'adolescenza dividendole in 3 appuntamenti (a memoria l'unica lista spezzata in 3 tronconi). La cosa era molto dispersiva, magari non per chi le seguì quei 3 giorni, ma per chiunque ci si fosse imbattuto in seguito.
Ho pensato allora di radunare tutti quei 3 post in uno unico, facilmente consultabile.
A dir la verità potevo approfittare di questo assemblaggio definitivo per ampliare ancora la lista con titoli che ho visto questi ultimi due anni. Ora non ne ho voglia, non credo lo farò ma semmai tra qualche giorno ne aggiungo qualcuno.
Vi lascio alla lista

I TITOLI RIMANDANO ALLE RECENSIONI
LA LISTA, COME QUASI TUTTI I POST, E' "SPEZZATA", PER LEGGERLA TUTTA CLICCARE "CONTINUA A LEGGERE"

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Ormai di film sull'adolescenza ne ho visti e recensiti tantissimi, nemmeno sto a contarli.
E di parole su questo magico e difficilissimo periodo della nostra esistenza ne ho scritte fin troppe, in ogni recensione ho cercato di dirne qualcosa.
Quindi adesso che finalmente provo a fare una lista faccio fatica a scriverne ancora, se mi avete letto in passato saranno solo e soltanto ripetizioni.

Quindi mi limito a dare un'informazione di servizio.
L'adolescenza tendenzialmente va dai 13-14 anni ai 20 e per questo, andando solo a memoria, ho cercato di rientrare nel target (se ho sbagliato perdonatemi, ricordare 1200 film recensiti è dura...).
E' anche vero che a volte più che l'età conta quello che un bambino-ragazzo prova, quello che vive, quello che lo cambia.
Paradossalmente, dando come definizione non empirica ma astratta all'adolescenza quella di "età di passaggio" è anche vero che quel passaggio può avvenire anche in un bambino come non avvenire nemmeno in un adulto.
Mi sono venuti in mente tanti titoli di film con bambini protagonisti che secondo me avevano le stimmate dell' "età crisalide" (o del coming of age) ma alla fine tendenzialmente li ho lasciati tutti fuori.
Di certo dentro troverete film che non vi convinceranno molto (non tanto per il film in sè ma per la pertinenza nella lista) ma, davvero, ho tirato fuori 40 titoli in mezz'ora, fare confusione è un attimo.
A volte alcune forzature derivano dal mio desiderio di raccontare tante cose diverse dell'adolescenza, tante esperienze, tanti stili di vita, tanti turning point, tanti modi diversi di vivere una condizione medesima.



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La vera storia di Aaron Swartz, un genio, un nerd, un hacker, un ragazzo che avrebbe potuto cambiare il mondo (sempre che non abbia contribuito a farlo comunque).
Ma molte volte i geni, specie a quell'età, sono deboli, fragili, soli.
Scopritela la storia di Aaron


Risultati immagini per RAW FILM

Un horror esistenziale che gioca moltissimo sulle metafore.
Cibo, sesso, morte, droga, tante le possibili letture.
Quando l'adolescenza si mischia con i topoi del genere è sempre un bel vedere


Risultati immagini per animal kingdom film

Sei un ragazzo normale.
Poi tua madre muore.
E finisci così a casa di nonna, in mezzo a degli zii criminali e assassini.
Devi crescere subito, devi abituarti alla giungla



Qui siamo al limite dell'esser bambini.
Ma in Inghilterra (e in queste due liste l'Inghilterra la farà da padrone) si diventa grandi in fretta molto spesso.
Arbor e Swifty, una storia di nulla, di piccole violenze, di cavalli e di due mani che si stringono.
Bellissimo


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E poi esistono adolescenza+e diversissime dalle altre.
Come quella di Sara, giovane cresciuta in un ranch dove esistono solo capre, bibbia e rodei.
Un ranch dove il cuore non deve battere, c'è Dio che ti guarda.
Un modo per non poter crescere mai


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In Inghilterra il problema della violenza giovanile è tremendo, non si contano più le morti o gli episodi.
In questo straordinario horror forse andiamo anche un filo oltre la cattiveria e la verosimiglianza.
Ma Eden Lake è anche una profonda riflessione sulla noia del vivere di alcuni 16enni.
E sui modi tremendi di combatterla


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Tore è un ragazzo che cresce credendo che l'unica cosa che conta è l'amore per il prossimo, l'amore che Dio gli ha insegnato.
Qualsiasi cosa gli accada non lo fa crollare, a costo persino di accettare il suo, personalissimo, calvario.
Ancora un adolescente diverso, ancora un modo diverso di crescere.
Forse un modo sbagliato, castrante, un modo che porterà il meraviglioso Tore verso un destino tremendo.
Ma Tore è questo, Tore vuole questo e noi lo amiamo per questo


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E poi capita che nel momento più bello e anche più difficile della nostra vita può arrivare la malattia, una tremenda malattia.
E tutto quello che di lì in poi puoi provare è quel che resta.
Come l'amore


Risultati immagini per MADELINE'S MADELINE

Appena visto.
Un film che racconta l'adolescenza in un modo realistico, non troppo tragico, solo un insieme di piccole cose e piccoli problemi che tanti di noi hanno vissuto.
Ma lo fa in un modo unico, artistico, tra realtà, teatro e sogno



L'ennesimo coming of age sulla disperata ricerca di capire il proprio orientamento sessuale.
Ma Closet Monster è anche qualcosa in più.
Un film dolce, trattenuto, che racconta di un tremendo ricordo che non se ne va più via, che ha dentro criceti parlanti che assomigliano tanto alla propria anima, che sprigiona amore e odio a ogni inquadratura.


Risultati immagini per WHIPLASH

Dai, ogni tanto mettiamo qualche titolo famoso, non c'è niente di male.
Anche perchè il percorso formativo che racconto Whiplash è quasi unico, un percorso di disciplina, sudore, sangue, ambizione, inumana perfezione.
Tutto attraverso la musica e un rapporto insegnante-allievo pazzesco


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Inghilterra, ancora ;)
Una 15enne ribelle, testarda, quasi un maschiaccio.
Una famiglia disastrata.
E poi la madre inizia a frequentare un uomo (Fassbender...) ma anche Mia, forse, ne è invaghita.
Una storia dura, vera, un altro modo ancora di raccontare quell'età e alcune dinamiche che possono accadere


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Siamo in Italia, anzi, in Sardegna (che è sempre una cosa a parte tanto è a sè quel mondo).
Due ragazzine e una loro giornata.
Film imperfetto, strano, una sorta di realismo magico.
Come affrontare la durezza della vita con il sorriso sulle labbra e tanti sogni nel cassetto


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Ho deciso che metterò nella lista di oggi 3 "Ezra Miller".
E se i prossimi due sono molto conosciuti lo è pochissimo questo.
Robert è un ragazzo nella fase più difficile dell'adolescenza, quella del tentativo di accettazione, del cercare di uniformarsi agli altri, delle prime esperienze sessuali, del distacco dagli affetti (sta in un college lontano da casa). Ha una passione irrefrenabile per i video amatoriali, spesso di argomento sessuale o violento. Un giorno per sbaglio si trova a filmare a scuola la morte "in diretta" di due ragazze,da lui (non) soccorse...



E poi ci sono anche film che raccontano un'adolescenza che, vivaddio, pensa solo a divertirsi, agli eccessi, a spegnere il cervello e sballarsi.
Ma questo simpaticissimo film non è stupido come credete.
E quel "Vado a casa, mi faccio un bel pianto e mi cerco un'avvocato" è una piccola frase ma che riesce a dare una morale e un significato a un film


Risultati immagini per MEAN CREEK

Certo non potevo mettere qua dentro Stand by me, troppo grande e troppo conosciuto.
E allora molto volentieri cito un piccolo Stand by me.
Mentre nel film di Reiner però i quattro ragazzini vanno alla ricerca del cadavere di un ragazzo scomparso (e il loro viaggio diverrà un percorso di formazione incredibile) in Mean Creek sono gli stessi protagonisti a causare la morte del loro coetaneo. Non è quindi il viaggio in barca a far maturare i ragazzi, ma l'affrontare de visu la Morte e il Senso di Colpa, l'avere lì a fianco il freddo cadavere di George ed esser così costretti, anche non volendo, a non essere mai più quelli di prima