31.10.19

Recensione: "Scary Stories (to tell in the dark)


Che c'è de meglio ad Halloween che andà al cinema a vedè un film horror ambientato proprio ad Halloween???
Niente!
No, spetta, parecchie cose ce sono meglio se il film è brutto come Scary Stories.

Noi assidui frequentatori delle sale erano mesi che prima della visione del film al cinema ce sorbivamo i mini trailer di SCARY STORIES TO TELL IN THE DARK.
Lo scrivo in maiuscolo perchè è questo l'effetto che facevano, trailer di 10 secondi l'uno in cui poi senza alcuna spiegazione c'era sto vocione che diceva "SCARY STORIES TO TELL IN THE DARK".
Voglio dire, grande promozione, quelle miniclip erano davvero buone e gettavano un alone di mistero e di fascino su sto titolo.
Per 4,5 mesi noi in sala abbiamo visto sti trailer, poi il film è uscito e manco me ne ero (ce ne eravamo) accorto (i).
La spiegazione l'ho avuta dopo che l'ho visto.
Il film è brutto, quasi parecchio brutto.
Capisco perchè tutta quella pubblicità e poi nessuno ne ha parlato all'uscita.
Perchè è brutto.
Intendiamoci, è il film perfetto per vedere ad Halloween, visto che ad Halloween è ambientato e ha come target, spero, quello dei ragazzini.
Però visti i trailer e visto che alla regia c'è quell'Ovredal che girò il cultissimo The Troll Hunter e il sottovalutatissimo (per me grande film) The Autopsy ofa Jane Doe, ecco, ce speravo anche io.
E invece niente, Scary Stories è la fiera, il mercato, il festival e la sagra del già visto, tutte messe insieme.

La mi espressione durante il film

L'idea non è nuova ma sempre carina, quella di un film antologico, di piccole storie incastonate in una cornice (uno come me cresciuto con i Creepshow non può non amarle).
((Ah, a proposito, se volete un bel film antologico halloweenesco allora guardatevi Trick 'r Treat (RECE).))
Anzi, se possibile qui l'idea era ancora più carina nel senso che le storielle dentro al film (le scary stories del titolo) erano completamente inserite nel film stesso.
Questo grazie all'espediente per il quale i protagonisti del film trovano un libro de storie horror ma quelle stesse storie si scrivono al momento sotto i loro occhi perchè sono storie che riguardano loro stessi e insomma quello che scriverà il libro accadrà loro cosicche questo diventa quasi un film sul destino, se quello - il libro intendo - scrive sono cazzi, una cosa del genere, però è carina l'idea dai, nel senso che quelle che vediamo come scene raccontate e staccate una dall'altra in realtà non è niente di diverso che il progredire del film e insomma ho provato a scrive tutto sto periodo senza staccà mai le dita e senza usà la punteggiatura e nemmeno ricontrollo chissà che cazzo è venuto fori.

Siamo nel 1968, anni decisivi per gli Usa per la faccenda Vietnam e le elezioni.
E il film fa il GRAVISSIMO errore de provà a esse impegnato, tanto che sti riferimenti politici e le metafore (sulla paura) che crea ci vengono sbattuti in faccia ogni 5 minuti.
Ora, se fai un film brutto e stupido non provà a rendelo intelligente, risulterà ancora più stupido.
Non parliamo poi della protagonista, della storia col su babbo e co la su mamma, roba trita e ritrita che non ci emoziona - in questo film - manco mezza volta.
E niente, l'unico piccolo divertimento pe lo spettatore è vedè ste miniscene, ste STORIES, che cazzo saranno, una dopo l'altra.
E c'è da dire una cosa, i mostri sono belli, almeno sotto l'aspetto dell'outfit mostruofico il film funziona.
E' bello lo spaventapasseri iniziale, il morto dell'alluce, la grassona dell'ospedale (che pare una creatura inquietante uscita dalla matita de Miyazaki), l'omo col corpo a pezzi che attacca il messicano.
Ogni mostro rappresenta una paura (vedi It...) e La Paura (vedi anche sottotesto del film) ma tutto è completamente innocuo, non c'è profondità, empatia, pathos.
Tra l'altro - incredibile - in TUTTE le storie c'è la stessa tecnica, la creatura che si vede da lontano e piano piano se avvicina, pazzesco come siano una la copia carbone dell'altra.
Bella la trasformazione del bulletto in spaventapasseri, bella la scena del letto col jumpscare (il film ne è ovviamente pieno), belle le luci rosse all'ospedale e, davvero, poco altro.
Questo invece sempre io a fine film

Per il resto un film che abbiamo visto mille volte, con personaggi insignificanti, enfio di tematiche importanti ma non sviluppate, con almeno un paio di errori evidenti (quando salvano la bionda dalla sua storia perchè non ci fanno menzione di quello che il libro ha scritto sulla cosa?? ) , con un finale che poteva esse interessante (la nostra protagonista che diventa Sara) ma che invece no, non è così, hanno solo mischiato i piani temporali.
E con un finalissimo sconcertante, pensato per un capitolo due (li riporteremo indietro, ce la faremo!).
Basta, non c'ho più voglia de scrive, questa è una recensione alimentare, tipo i film che fa da 10 anni Nicholas Cage.
Ah, è vero, a me mica me pagano però.
Allora che cazzo l'ho scritta a fa?

5

28.10.19

Recensioni: "The Entity - Kuwaresma " - "The Odd Family: Zombie on Sale" - "The Furies" - "Knives ad Skin" ToHorror 2019 - Giorno 4 -


Purtroppo per vari motivi gli ultimi due giorni non sono riuscito a scrivere le recensioni del Festival.
Siccome (1) avevo ancora 4 film da fare (una ghost story filippina, un horror comedy coreano, un pazzo e assurdo survival australiano e un film indefinibile - ma niente horror - americano), siccome (2) sono passati alcuni giorni e siccome (3) averli tutti in testa mi manda in tilt ho pensato di fare un unico post con recensioni molto più brevi e agili delle altre.
Ho deciso di mettere i film in ordine di gusto personale, dal peggiore al migliore, anche se alla fine il livello dei 4 è simile, nessun disastro nessun capolavoro.
A fine post metto anche la mia classifica del concorso dalla quale mancherà solo Knives and Skin, l'unico film fuori concorso che ho visto.


Per chi è appassionato di Masterchef direi che il termine "mappazzone", ovvero quello che usa Barbieri quando gli presentano un piatto troppo pieno di cose indefinite, è perfetto.
The Entity è un horror filippino che è un insieme arruffatissimo di tutto, di altri horror, di sottogeneri, di metafore, di colpi di scena. Ogni volta che ti sembra di aver individuato la "mission" del film poi lo stesso diventa altro o si sputtana da solo.
Peccato perchè se fosse stato molto più secco sarebbe stato anche molto interessante, specie per la - nemmeno troppo velata - metafora tra quello che accade sullo schermo e la situazione politica filippina, paese praticamente sotto la dittatura di un padre padrone misogino e omofobo, praticamente identico al personaggio principale del film.
Trovo che le cose migliori del film stiano proprio in questa denuncia. Non a caso la scena di quando il padre inizia a parlar di sesso con il figlio è forse la più horror del film (non che non manchino scene del terrore ben fatte eh).
Il colpo di scena finale poi (già visto in un paio di film ma comunque buono ed inaspettato) rende la metafora ancora più forte perchè pensare ad una bambina che per "difendersi" da un'autorità che odia le donne si immagina uomo per una vita intera è roba d'autore.
Il problema è che tutto è inserito in un contesto caciarone, prolisso (la scena dell'esorcismo e quella del dialogo finale sul fuoco offendono, per lunghezza, l'intelligenza e la pazienza dello spettatore), tanto da rendere innocuo o diluito quel messaggio (a cui aggiungerei "il loro errore più grande è pensare che siamo deboli" in riferimento ai misogini che sottovalutano la forza delle donne o il concetto di sapere delle atrocità ma far finta di non vedere).
Tra l'altro il colpo di scena DOVEVA portare a sostituire il giovane attore del film con un'attrice, magari la stessa della sorella morta (erano gemelli omozigoti). Che resti ragazzo dopo che è uscito dall' "ipnosi" in cui era caduto non ha alcun senso.
Per il resto è un film anche piacevole a volte, che gioca con i trucchi del j-horror.
Il fatto è che, come dicevo, ogni volta sembra un film diverso, dalla ghost story al thriller, dall'horror impegnato al film di possessioni, con addirittura sortite nel torture movie.
Un trailer alla Profondo Rosso, spruzzate di Poltergeist, altre di The Grudge, molto Amytiville, tantissimo Shining per un film sulla malvagità e sull'autorità che, però, si sabota molto spesso da solo.
Quando poi il film diventa una specie di racconto di un luogo posseduto (in cui c'era stato un orfanotrofio di suore cattive e una casa dove i soldati violentavano le donne), ecco, si apre l'ennesima strada laterale che, a quel punto, fa dire allo spettatore "basta sperare qualcosa, vedemose il film e spegnemo il cervello".

6


(vincitore del concorso. Praticamente stesso vincitore dell'anno scorso visto che, come One Cut of the dead, è una commedia horror zombie)

I primi 25 minuti di The Odd Family stentavo a credere ai miei occhi. Mi trovavo davanti una commedia ai confini dell'amatoriale, senza un'idea, quasi triste nel tipo di comicità che presentava. Per venti minuti vediamo un ragazzo zombie che corre qua e là, che è inseguito da cani, che incontra persone, che ricorre di nuovo, che è inseguito da un cane, che incontra persone. Alla quarta volta che si stava presentando la stessa scena volevo urlare.
Poi il film ha un'idea, la prima, ed è una grande idea.
L'uomo morso dallo zombie non solo non diventa a sua volta zombie ma "ringiovanisce".
A quel punto la sua famiglia decide di aprire una nuova attività, ovvero quella di far venire anziani del luogo e farli pagare profumatamente per farsi mordere dallo zombie.
Insomma, un Cocoon in salsa zombesca.
Le conseguenze, però, saranno tragiche...
Che dire, commedia che quando prende il via fila alla grande anche se alterna momenti ottimi ad altri davvero deboli. Che non sia del tutto la "nostra" comicità lo dimostra il fatto che dietro di me c'erano 3 ragazze orientali che ridevano a TUTTE le scene che a me non facevano ridere e viceversa (insomma, tipo la scena del Joker).
Personaggi molto riusciti, altri meno, idee molto carine (il cavolo, il ketchup) ma ripetute troppe volte (il cavolo, il ketchup...), due rimandi molto belli al magnifico Train to Busan (compreso il finale nella galleria), un accenno molto marcato a Warm Bodies e un altro - alla festa di matrimonio - a Rec 3 (o era 0?).
Molto carino il ribaltamento finale, l'idea del vaccino che, ancora una volta, lancia la famiglia nel business.
Molto lontano dalla genialità di One Cut, The Odd Family è comunque un film molto carino che tenta anche timide sortite nelle emozioni dello spettatore

6.5


Ecco, questo era un film perfetto, spegnicervello, uno di quegli horror "puri" che fanno benissimo il loro lavoro.
Purtroppo ha due problemi, e non piccoli.
Il primo è il suo tentativo di metter dentro in tutti i modi una tematica - quella dell'amicizia- infarcendo la sceneggiatura di frasi a effetto e scene madri sull'argomento.
Già il prologo (la scena dei murales) mi puzzava di retorica, poi sarà uno stillicidio di "amiche vere - non vere".
Non ce n'era bisogno, se il film restava solo "stupido", banale, era bellissimo.
Il secondo problema è un finale che tenta il colpo grosso e getta le basi per un sequel rovinando in gran parte tutto quello che abbiamo visto in precedenza.
E anche qui è inutile e ridondante la figura dell'amica immaginaria.
Per il resto The Furies è un agile, velocissimo e notevole film di genere, uno di quelli che inizia in media res e poi se ne va spedito senza più fermarsi.
Delle ragazze si ritrovano in una grandissima foresta. Escono da delle scatole nere.
Ben presto si rendono conto di esser braccate da dei "mostri-assassini" in maschera (BELLISSIMI) che le uccidono senza pietà.
Anche se a volte, stranamente, alcuni dei mostri sembrano non voler uccidere alcune delle ragazze...
Film luminosissimo, en plein air, con degli omicidi efferati realizzati con dei veri effetti speciali di livello eccelso.
C'è tanta cattiveria, c'è tensione, c'è un'atmosfera da videogame horror davvero notevole.
Non ce ne frega niente di niente, vogliamo solo vedere questa lotta all'ultimo sangue tra ragazze e mostri.
Ne viene fuori una specie di Utoya in salsa horror.
Un pochino macchinosa e quasi ingiustificabile la faccenda degli "occhi" (evitabile, e poi come possa esser stata fatta un'operazione in quella maniera mi sembra impossibile) anche se il fatto che lei durante gli attacchi epilettici veda con gli occhi di loro (alla Forbidden Siren) è molto carino.
C'è almeno un personaggio insopportabile (la giapponesina, anche lei tutta improntata al discorso amicizia, che palle!!) e un'idea di fondo (non direi colpo di scena, lo sappiamo a metà) pazza e senza senso ma fichissima.
Io non aggiungerei niente, questo è uno di quei film che se becco per sbaglio rivedrei anche più volte.

6.5/7


Boh.
Non so cosa ho visto.
So solo che mi sono emozionato.
La gente intorno a me dormiva (3 su 4) mentre io ero lì, incollato a un film che distrugge ogni regola della narrazione filmica e porta in una dimensione ipnotica che o ti prende o non ti prende.
Una ragazza ha il suo primo appuntamento, in riva al lago, di notte.
Il ragazzo la molla, lei cade e sbatte la testa.
Nessuno la ritroverà più, per giorni.
Per il resto tutto quello che vediamo è quello che accade nei giorni successivi alla scomparsa di Carolyn.
Piccole scene, quasi sempre una staccata dall'altra. Scene forti, scene deboli, scene importanti, altre apparentemente di nulla.
Un corpo che scompare e ricompare, una madre che piange mentre dirige un coro, un paio di occhiali magici che si illuminano, una C nella fronte da coprire, ragazze vestite in modi impensabili, clown che fanno cunnilingus a donne e poi piangono, madri che dormono su cuscini di carta stagnola, polpette lanciate su vetture, ragazzi che si vestono da mascotte, ragazze che vendono biancheria intima a professori, altre ragazze che si innamorano tra loro, la madre della vittima che sente l'odore della figlia nella macchina del ragazzo ma invece di chiedere qualcosa lo bacia per "sentire" ancora di più sua figlia, magnifiche canzoni cantate direttamente dai personaggi del film tra cui una in contemporanea da tutti (come in Magnolia), sms che arrivano dal cellulare di Carolyn, una madre che si fingeva incinta da mesi.
E tanto tanto altro.
Non so cosa ho visto.
Quello che è sicuro è che questo film che racconta l'adolescenza non è altro che l'adolescenza stessa.
Mistero, confusione, tragedia, emozione, scoperta, amore, magia, impossibilità di dare un senso.
Poi la madre mette gli occhiali e la vede.
Lassù

7.5

25.10.19

Recensioni: "Tous le Dieux du ciel" - ToHorror 2019 - giorno 3 -


Per problemi di tempo e perchè questo è un film che merita una recensione tutta per sè oggi scriverò di un solo film del festival, Tous le Dieux du ciel (il bel The Furies lo sposto a domani).
Opera scomoda, controversa, coraggiosa, che racconta il rapporto tra un uomo e la sua sorella gravemente handicappata.
C'è tutto per fuggir via, ma se "crederete" al film e al bisogno che c'è dietro di esser stato girato vi troverete davanti a qualcosa di molto profondo, toccante, reale. In una cornice che si fa anche metaforicamente fantascientifica un film sull'Attesa di qualcosa che arrivi dal cielo (come Melancholia e Take Shelter), un film sull'Attesa di qualcosa che possa salvarci, un film sull'amore sbagliato, sulla dipendenza, sui legami nati nel dolore.
Difficilmente lo dimenticherete.

presenti spoiler

Non so se sarà il più bel film del concorso (forse sì) ma di sicuro Tous le Dieux du ciel sarà il più coraggioso e controverso.
Siamo in un cinema "estremo", al limite dell'etico e del non etico (la sorella handicappata è realmente in quella maniera), un cinema che ha bisogno di un patto con lo spettatore, quello per cui o si crede al regista, al suo bisogno interiore di raccontare una storia così fastidiosa e dolorosa (e io gli credo), oppure no.
Non a caso lo stesso regista Quarxx - presente in sala - ha detto di sperare che il suo film lo si ami o lo si odi. Dopo averlo visto capisco benissimo perchè l'abbia detto.
Quello che è certo è che questo è un film che non può lasciare indifferenti.

Siamo in Francia, in una non meglio precisata comunità rurale. 
Un posto di cieli e grano (e in tal senso ci saranno almeno un paio di god view - mai tecnica poteva come qui avere nome più pertinente - davvero pazzesche).
Lo spettatore vive un prologo che lo lascia atterrito.
Due fratelli giocano con una pistola. La caricano, cercano il modo per premere il grilletto.
Tutto è naturale, talmente naturale che la tensione è pazzesca.
E sì, tragedia ci sarà, anche se non "definitiva".
Forse, sarebbe stato meglio lo fosse.


Anni e anni dopo Simon vive in un casolare semi-abbandonato dove accudisce sua sorella Estelle, gravemente handicappata sia fisicamente che mentalmente.
Le legge racconti la sera, la lava, le parla, fa tutto il possibile.
La tremenda cicatrice sul volto di Estelle può far subito collegare la vicenda al prologo ma, tranquilli, il legame ci verrà esplicitato a metà film per chi ancora non l'avesse colto.
Simon è semidepresso, in fabbrica se ne sono accorti e vogliono farlo smettere di lavorare, e in più lotta con gli assistenti sociali per non farsi "portar via" la sorella.
In realtà in lui è presente, però, una latente euforia perchè è convinto che dai cieli stia arrivando qualcuno o qualcosa che farà finire tutto questo dolore.
Ne nasce un film sull'Attesa come lo furono i meravigliosi Melancholia e Take Shelter.
Come fu per Justine nel film di Trier anche Simon aspetta qualcosa dal cielo in un modo "sereno", febbrile e salvifico.
Ma se nel film del maestro danese non era difficile capire la metafora qua è molto più arduo.
Simon, e lo capiremo sempre di più mentre il film avanza, non ama realmente la sorella, semplicemente pensa di fare il meglio per lei per contrastare il suo tremendo senso di colpa. E' un amore malato, una specie di dipendenza da quel corpo inerme che personifica il suo imperdonabile errore. Probabilmente Simon è al limite della follia e solo il "Cielo" potrà salvarlo. Quegli alieni diventano una specie di Dio (vedi il titolo) cui affidarsi, l'ultima speranza per salvare due esistenze che con la Vita e la felicità non c'entrano più niente.
Non c'è più nessuna cosa nella Terra e nel cuore di Simon per avere un briciolo di speranza, l'unica soluzione è credere che ci sarà qualcosa di sovrumano a risolvere tutto.
Ne nasce un film che sta al confine tra una dimensione reale e dolorosa e una fantascientifica e inquietante.
E, in tutto questo, il regista riesce anche nel miracolo di regalare sequenze comiche, altre surreali (il polpo), personaggi secondari strepitosi e momenti quasi lirici.
Mi riferisco specialmente alla scena in cui Estelle piange, a quella in cui si sente sott'acqua (mentre il fratello la sta strozzando) e a tutte quelle riguardo l'impossibile amicizia tra la giovane bambina ribelle ed Estelle. Praticamente un'amicizia tra coetanei visto che la vita di Estelle finì a 8 anni.
Momenti di incredibile grazia e sensibilità quelli che le vedono coinvolte ma anche aspetto funzionale alla trama visto che è proprio grazie a quella splendida bimba che capiremo che Estelle, in realtà, non è mai stata paralizzata, semplicemente ha raggiunto quella condizione di semi-paralisi per colpa dell'amore morboso e del senso di possesso del fratello, bisognoso di avere quel corpo fermo lì, tutto per lui, per potersi raccontare di essere un uomo migliore di quello che è.
Tous le Dieux du ciel è un film bellissimo da vedere, con una fotografia superba e dei movimenti di macchina di grandissima classe. Il suo punto di forza però è questa sua "morbosità", questo suo far sentire lo spettatore sporco (penso alla scena di sesso) ma al tempo stesso, nemmeno troppo latente, c'è una umanità, una grazia e una sensibilità rare che rendono il film molto emozionante.
Anche molte scene tra Simon e la sorella (vedi quella della vasca) riescono in questo intento, e se pensiamo alla negatività del personaggio di Simon questo rende merito a una sceneggiatura davvero notevole, capace di porci dubbi e non darci mai sensazioni chiare.
Non tutto è perfetto, ci sono sottostorie evitabili (la fabbrica e lo psichiatra potevano anche prendere meno spazio), c'è una parte centrale con ritmo un pò bloccato e c'è sempre quella sensazione di stare assistendo a un film "sbagliato", che non doveva esser girato o che noi non dovevamo vedere.


Tra l'altro quando a fine film il regista ha detto da dove ha preso ispirazione, quel senso di "dolore" e inumanità provato per tutto il film, se possibile, si è ancora più acuito.
Ci saranno molte scene violente (il foglietto nella mano, l'omicidio dell'assistente sociale) e la bellissima sequenza in visore notturno per arrivare a un finale sorprendente che, forse, ci darà la chiave per capire meglio il film.
C'è un'altra tragedia. Ma anche stavolta niente sarà definitivo.
I ruoli sono ora ribaltati. Simon è l'handicappato, Estelle ha ritrovato una parziale indipendenza e autonomia che, a posteriori, rendono ancora più criminali i 20 anni che il fratello le ha fatto passare a letto.
Simon si sveglia. 
Estelle è da sola con lui e in una scena davvero "horror" (anche quando usa il linguaggio dei segni è veramente inquietante) cerca di ucciderlo.
E' una reazione normale, di vendetta, una reazione che addirittura le stesse suore avevano preventivato ("sarà Estelle a decidere la sua fine").
Il tentativo va a vuoto, e poi accade l'impensabile.
Estelle, adesso, accarezza il fratello, dorme con lui, lo bacia, lo accudisce.
Il ribaltamento dei ruoli è davvero da pelle d'oca e, credo, una genialata di sceneggiatura.
Ma tutto quello che stiamo vedendo non è un semplice colpo di scena o il voler chiudere un cerchio attraverso il ribaltamento.
No, quello che stiamo vedendo è probabilmente quello di cui parla il film, ovvero il racconto di un amore malato, di una dipendenza, di un bisogno fisico dell'altro, di un'impossibilità di esistere se non in due, loro due insieme.
E' un insegnamento coraggioso, fastidioso, difficile da comprendere ma che fa parte dell'animo umano e questo film l'ha saputo raccontare con una forza impressionante.
E forse quella stanza finale, quell'Universo, non è altro che questo, una stanza dove vive un sentimento sovrumano, non razionale, che trascende le nostre coscienze.
Estelle e Simon saranno sempre legati e anche se il loro legame è fatto di tremendo dolore e tanto odio quello è il loro mondo.
Il loro Universo

24.10.19

Recensioni: "The Night Shifter" e "The Invisible Mother" - ToHorror 2019 - giornata 2


Ad oggi, e sensibilmente, il miglior film visto in concorso (ok, è anche vero che ne ho visti solo 3 per adesso).
Siamo a San Paolo, Brasile.
Stenio lavora in un obitorio. E non ci potrebbe essere posto migliore per lui visto che ha un potere, quello di parlare con i morti (del tipo di Biutiful).
Appena rimane solo con loro i "corpi" iniziano a confidarsi. Di solito fanno le loro ultime confessioni, chiedono un ultimo desiderio. Poi però capita che un morto confidi a Stenio che sua moglie lo tradisce, perdipiù col gestore del bar che frequenta tutti i giorni.
Poi ne capita un altro, vittima di una faida tra gang.
Stenio coglie la palla al balzo e fa uccidere l'amante della moglie dalla gang che ha perso un fratello, facendo credere loro che sia stato lui l'assassino (aveva tutti i dettagli del delitto, forniti dal morto stesso).
Ma qualcosa va storto, e la vita di Stenio finisce in una spirale dalla quale è impossibile uscire.
Film davvero bello, a un passo dall'esser bellissimo.
Quello che più piace di questo "Morto Nao Fala" (i morti non parlano, terribile invece il titolo inglese) è il suo perfetto equilibrio tra più generi, equilibrio che nel finale si perde troppo a favore dell'horror manifesto (e infatti quella è la parte più debole del film e quella che un pochino lo fa decadere dal "bellissimo" di cui sopra).
Film doloroso, con immagini forti (le autopsie), impegnato (credo sia palese l'accusa ad una città violentissima), un dramma sia sociale che intimo del protagonista.
Il sapore preponderante è quello del thriller psicologico e metaforico.
E, ricordiamolo, il film è un'opera prima e anche per questo c'è da applaudire al regista Ramalho, sia per la scrittura che per l'ottima messinscena.
Attori bravissimi, buon ritmo, intreccio che funziona (a parte il finale secondo me), immagini di degrado sociale.


Ma quello che più piace di questo film è il suo messaggio, ovvero quello che quando commetti un errore troppo grave, "assassino", poi non riuscirai mai più a liberartene.
Stenio è un bravissimo uomo, ma il suo errore è grave, criminale. E, per sfortuna, avrà conseguenze ancora peggiori del previsto.
E non parlo solo del "non voluto" omicidio della moglie ma della sequela di morti che la sua scelta causerà. Tutti morti che poi finiranno nel suo obitorio, ad aumentare ancora di più il suo senso di colpa e a minare un equilibrio psichico che poi crollerà definitivamente.
Peccato però che quello che era un film "perfetto" poi nel finale diventi una ghost story troppo marcata e derivativa, con tanto di oggetti da bruciare, jumpscares e la sensazione che si sia persa un pochino quella mirabile sensibilità e giusta misura nel raccontare.
Notevoli alcune scene, come quella del compleanno "con sorpresa", quella della tv o quella dei fili taglienti.
Un film che diventa una specie di Shining che racconta il progressivo impazzimento del padre di famiglia (e quell"assassino" scritto sullo specchio ricorda tanto Redrum).
E, ultimo pregio, Morto Nao Fala ha la rara capacità di farci creare empatia con davvero tanti personaggi. Alla fine è un film di "buoni", ma anche di errori imperdonabili.
E racconta anche quello che raccontava Cimitero Vivente, mai parlare con la Morte, mai interferire con la Falciatrice, le conseguenze saranno sempre terribili

7.5


Dispiace che fossero presenti in sala i registi, due ragazzotti americani molto simpatici ed emozionati.
Quello che di sicuro va a loro merito è di essere veri appassionati dell'horror, specie del "nostro", tanto che il loro The Invisible Mother è un chiaro omaggio al giallo/horror all'italiana (basta vedere anche la locandina).
Il film comincia anche bene, con titoli iniziali anni 70, con la scena - bellissima - del ragazzo a schiena inarcata (una delle tante cose buttate là a caso di una sceneggiatura tanto tanto debole), con l'arrivo di lei a casa dei nonni, due personaggi amabili come pochi, vera forza del film.
Poi conosciamo anche la vicina di casa, altro personaggio riuscito.
Il problema è che questo il film rimane, un film di personaggi a cui manca quasi tutto il resto.
Non ci sarà mai una sola idea nuova, tutto resterà molto noioso, confusionario, tremendamente già visto.
Il film non riesce mai a decollare anche se nel finale, per fortuna, offrirà un paio di scene davvero buone.
Una - quella sulla tv con persone mascherate - è talmente forte e malata che non sembra appartenere nemmeno allo stesso film. Come del resto quella del ragazzo che si masturba, dell'obesa con la maschera e della seconda apparizione dell'uomo a schiena inarcata. Ecco, le quattro scene più weird, molto arbitrarie, sono nettamente la cosa migliore di un film piccolissimo, ai confini dell'amatoriale, che non sa raccontare una storia e che si perde in mille clichè.
Peccato perchè lo spunto da cui nasce, quello delle foto con le "madri invisibili" coperte da un telo nero, era davvero ottimo, persino inquietante.
Ma i due registi non sanno attaccare una storia a tutto questo, perdendosi in lungaggini (il dialogo sulle tende), sottostorie debolissime (le telefonate con la medium), errori pacchiani ("non ci sono foto nell'album di Archie e di Taffy", cazzo, ma se avete girato solo due pagine!!), scene reiterate (lei che rolla una canna, visto dieci volte, estenuante), simbolismi strani (i peli e gli spilloni), accenni di sviluppi non...sviluppati (i corpi e le presenze sotto terra).
Ad un certo punto c'è anche uno identico al Mago Gabriel!!


Intendiamoci, i registi sono due giovanissimi malati di horror e che hanno una passione incredibile (basta vedere come hanno realizzato tutti gli effetti speciali, alla vecchia maniera). Secondo me avevano troppe cose in testa (o troppo poche?) per scrivere una storia organica e sensata, e il finale, ahimè, dimostra un pò il "mettemola in caciara" già visto nel film.
Per restare nel confine tra la ghost story e il film "allucinato" (magari quasi tutto è dovuto alle droghe di lei) alla fine non riescono a fare nè l'uno nè l'altro, lasciando lo spettatore con un simpatico, dolce ma stentoreo "boh"

5.5

23.10.19

Recensione: "It Comes" - ToHorror 2019 - giornata 1


Il ToHorror 2019 parte discretamente con quel Nakashima che girò il bellissimo Confessions.
Questo suo It Comes è, se possibile, ancora più grande ed ambizioso del precedente ma sicuramente meno convincente e riuscito.
Tutto per colpa di una sceneggiatura che esagera in ogni suo aspetto, debordante di scene, tematiche, personaggi, effetti visivi.
Un film à la The Wailing ma incapace di tenere tutti i pezzi insieme al meglio.
Si parla di non amore, di incapacità d'esser padri, di una forza malvagia, un "mostro", che forse è soltanto dentro di noi

presenti spoiler

Confessions fu un grandissimo film, esteticamente superbo, di una cattiveria rara e, vista la tematica, anche abbastanza "coraggioso".
Dopo anni e anni mi ritrovo un film dello stesso regista, Nakashima e le aspettative, anche non volendo, erano alte.
Devo dire che sono state in parte deluse.
Quello che è certo è che questo It Comes, pur molto interessante, è sensibilmente inferiore a Confessions.
In realtà se andiamo ad analizzare il film, in particolar modo la sceneggiatura, It Comes vola ancora più alto.
Il problema è che quelli che potevano essere i suoi punti di forza, ovvero l'ambizione dell'operazione e l'affrontare tante tematiche (e tutte molto delicate), si rivelano alla lunga anche i limiti di un film troppo confusionario, troppo carico di cose, troppo spiegato (male) e troppo...troppo.
A partire dalla durata del film, infatti, c'è la sensazione che Nakashima non abbia saputo individuare il giusto limite di ogni singolo aspetto filmico, dall'eccesso di tematiche a quello di personaggi principali, da quello dell'uso di effetti - a tratti terribili - digitali a quello di alcune singole scene, a dir poco esagerate o ridondanti.
Per sintetizzare tutto diciamo che gli è scappata leggermente la mano...
In realtà l'intento è evidente e "condivisibile", ovvero quello di creare un horror "grande", uno di quelli che vanno oltre i semplici film di genere, uno di quegli horror d'autore lunghi ed importanti, dalla sceneggiature imponenti.
Un horror alla The Wailing insomma....
E di certo non ho citato quel capolavoro a caso, ma perchè It Comes sembra averlo continuamente come punto di riferimento, dai riti agli esorcismi, dai bambini posseduti ai "mostri" in montagna (lì era il Giapponese) fino ad arrivare a quella che forse è una delle migliori caratteristiche del film di Nakashima (e, appunto, presente anche in The Wailing), ovvero il creare personaggi ambigui come pochi, tanto che dei 7-8 che ci troveremo nel film non ce n'è uno solo di cui riusciamo a farci un'idea precisa.


It Comes è la storia di una giovane coppia e del loro primo bambino.
In quello che sembra un quadretto idilliaco, però, si inserisce una forza mostruosa, indefinibile (l' It del titolo) che non solo rovina la famiglia e miete vittime ma che sembra arrivare da molto lontano.
Che il film non sia il classico horror corto, "a sequenze" di causa ed effetto, lo capiamo sin dall'inizio, specialmente con quel pranzo di famiglia - dopo il prologo in flash back - che si prende dei tempi lunghissimi, "d'autore", neanche fosse Melancholia di Trier.
E' una dichiarazione d'intenti di Nakashima questa, e io l'ho apprezzata. Peccato che poi queste sue lungaggini nel raccontare gli si ritorcano contro.
Parte un film "fastidioso" nelle tematiche, che ci mostra come dietro l'ostentazione dell'esser genitori perfetti si nasconda ben altro.
A tal proposito ho trovato ottima la scelta del blog di lui, emblema non solo di - come detto - ostentazione, ma anche di completo distacco dalla realtà. La scena in cui lui continua a scrivere al pc mentre lei cucina e cambia il pannolino di Chisa è per me la più horror del film.
Una persona immatura che finge di essere il padre perfetto (non è un caso che sin dal prologo da bambino gli si dia del bugiardo).
Questo però lo scopriremo dopo perchè It Comes è un film in cui ogni personaggio di cui pensavamo bene o provavamo compassione rivela solo poi il suo lato oscuro.
E quando dico ogni intendo ogni, tutti.
Da lui, Hideki, a sua moglie Kana, dalle due medium sorelle all'amico di lui, dal "giornalista" alla stessa bambina.
Tutti hanno qualcosa da nascondere, tutti hanno demoni (questo è un film di demoni) che li distruggono, tutti hanno nel passato qualcosa da cui non riescono a scappare.
E questo qualcosa - ed è qui che viene fuori prepotentemente la tematica principale del film- ha sempre a che vedere con la famiglia, col concetto di genitorialità, di padri e figli per dirla alla Turgenev.
Figli non amati (vedi Kana e la madre), genitori non pronti a crescerne e che li rifiutano (vedi il "giornalista" che fece abortire la moglie) e altri che credono di essere in grado di farlo e invece sono solo dannosi ed egoisti (i due protagonisti).
E' un film sul non amore, su quanto specialmente quello non provato per i propri figli possa essere devastante (specialmente per loro).
Ne nasce fuori almeno una figura tragica, quella di Chisa, una bimba magnifica che, nel finale, diventerà apparentemente mostruosa, come stessa causa di tutto il Male che abbiamo visto nel film.
Ma se davvero fosse stata lei la causa di tutto va visto solo come metafora, metafora della potenza che una bambina non amata può suscitare.
Ho trovato molto interessante a tal proposito- anche se porterà a scene al limite del pacchiano - che questa vicenda così intima e piccola scateni conseguenze gigantesche (il quartiere evacuato, il Rito Collettivo, alte presenze del governo in campo), come a dire che quel Male di cui racconta il film sia un problema sociale importantissimo.
(se cercate film, invece, "piccoli" di riti e concetto madre-figlia guardate A Dark Song, un gioiello)
 Non è un caso che all'inizio del film vengano dette alcune frasi, forse le più importanti di tutte, ovvero quelle riguardanti genitori "assassini" che danno colpa ai "mostri" di quello che fanno o non fanno, mostri che in realtà non esistono, siamo noi.
E nemmeno in It Comes, anche se assisteremo a scene apocalittiche (nel finale con una computer grafica terribile) c'è la sensazione che non esista alcun mostro al di fuori di noi.
Prima di analizzare il finale ci tengo a dire che questo rimane comunque un buon film, con alcune scene splatter notevoli, con la "doppia telefonata" della medium davvero inquietante, con la capacità di far morire ogni volta quelli che ritenevamo i nostri personaggi principali e con una "cattiveria" e coraggio che, appunto, ricordano quelli di Confessions (non è facile fare un film che racconta di persone che non amano i propri figli).
La recitazione è buona, mancano, per fortuna, quelle scene a volte ridicole presenti nel cinema dell'Estremo Oriente (ma più Corea che Giappone) e anche a liv
Ma è negli ultimi 5 minuti che forse riusciamo a capire il tutto.


Chi ha avuto figli (i due protagonisti) non possedeva l'amore (Kana anche a causa del suo passato di bambina a sua volta non amata) per crello visivo il film rende, a parte i già citati effetti visivi.escerli.
Chi invece nel passato ha rifiutato di averli (Makoto e il suo amico) adesso, solo adesso, ha scoperto quell'amore.
E questo racconta It Comes, di come questo tipo di sentimento può essere sempre scoperto, anche poi.
Non è un caso che la sorella di Makoto, la medium principale, quando ormai si vede "sconfitta" dica a lui "allora stringila più che puoi adesso".
Perchè se veramente adesso lui prova quelle emozioni deve portarle avanti, fino alla fine.
E non è nemmeno un caso che il film finisca proprio a Natale, il giorno della nascita del Cristo e dell'amore universale, e ci sia questa famiglia creatasi per caso, una famiglia nata semplicemente dall'amore per quella bimba (non partorita da lei, come la Madonna).
E' un messaggio di speranza in un film, fino a quel momento, senza un cuore

21.10.19

Recensione: "Senso Proibito" - Gli Abomini di serie Z - 31 -


In realtà questo film doveva esse uno dei due della "doppietta di Vieri", ovvero la rubrica in cui recensisco due film, uno bello - uno brutto, visti in una serata col mio amico fiorentino.
Il problema è che dopo avè visto Senso Proibito nessuno - c'era anche Roberto Palloncini - aveva più la forza di vedere nulla, tanto era stato lo strazio infinito che Senso Proibito c'aveva lasciato.
La colpa è proprio del suddetto Balloon Man, reo de avemme dato 2-3 anni fa il dvd de Senso Proibito - dvd che avevo sapientemente celato in mezzo ai libri, ancora incellophanato - e de essese ricordato proprio ieri della cosa.
Dico la verità, siccome in questa rubrica spero sempre de vedè film più brutti possibile, e siccome era tanto che non recensivo Gli Abomini de Serie Z, pensà de trovamme davanti un film con protagonista Antonio Zequila era una proposta molto allettante.
Quindi nessuna colpa a Roberto.
Mai però avrei pensato de trovamme praticamente davanti un porno senza cazzi che di allettante aveva solo la capacità de fa dormì, allettante in quel senso.
In realtà già solo il nome del regista, Tani Capa, è roba da mettese l'elmetto per la visione.
Il film comincia bene, nel senso de peggio possibile.
C'è un dialogo tra Zequila e uno dei pezzi di carne femminili che griglierà nel film completamente sovrastato dalla colonna sonora, tra l'altro una terribile colonna sonora.
Questi parlano ma la musica copre tutto e - giuro che non è una battuta - visti i dialoghi del film questo è un espediente che avrebbe solo migliorato la visione.
Il film è doppiato, pure malissimo e già dalla voce dei doppiatori se capisce che finirà a sesso, le riconosci subito quelle voci che poi servono solo per fa i sospiri mentre se ingroppano.
Il film è la storia de un fotografo de moda, pipatore assoluto, che sogna de passà al cinema.
NIENT'ALTRO
NIENT'ALTRO
Non ci sarà più un rigo de trama oltre questo, il nulla assoluto.
E' evidente che la riga de trama era solo una scusa per fa una specie de porno che rispetto ai porno normali ha delle scene de raccordo tra una scopata e l'altra ancora meno credibili e costruite.
Nei porno i due se guardano, se dicono 3 parole e poi trombano.
In Senso Proibito i due trombano.
E quando dico "i due" intendo Zequila e QUALSIASI personaggio femminile presente nel film.
Sto parlando di 7 personaggi femminili presenti, 7 trombate con Zequila.
La compagna, la fotomodella, n'altra fotomodella, una fotomodella che viene dalla Francia, la sua possibile produttrice, LA FIGLIA della su possibile produttrice, una che compare alla fine e non se sa chi cazzo è, 7 donne compaiono, tutte e 7 massimo in 2 minuti e 23 secondi (cronometrati) trombano con Zequila.
Zequila che, ricordiamolo, è famoso in Italia come Er Mutanda e vi giuro che se il soprannome non glielo davano all'Isola dei Famosi gliel'avrebbero dovuto dà uguale per Senso Proibito, visto i terribili boxer "a carcerato" che indossa SEMPRE.
Eppure all'inizio c'era l'impressione che du risate se potevano fa.
Col mio occhio clinico, ad esempio, in una scena terribile al ristorante, avevo notato che quello dietro al tavolo loro era lo stesso che, sempre nella stessa scena, stava sul palco a sonà pe no spettacolo.
Quando non hai una lira e usi uno nella stessa scena in due parti diverse...
Poi durante la trombata 1/7 abbiamo il genio. Mentre Zequila stantuffa vediamo un'immagine di un produttore che gli parla del film che vuole fare.
Insomma, lui mentre fa quello pensa al film.
La cosa diventa geniale quando anche nella trombata 2/7 proprio nel momento dell'esplosione Zequila pensa ad un ALTRO produttore che glie boccia il film.
Insomma, è ossessionato, non se capisce però se quell'ossessione lo disturba oppure lo eccita.
Fatto sta che di sicuro la cosa non lo ferma, mancano 50 minuti e ne impalerà altre 5, tutte diverse.
Tra l'altro complimenti al casting perchè praticamente tutte e 7 le tipe meritano assai, anche se son tutte con le antisesso acconciature degli anni 90.
Zequila le tromba sempre nello stesso modo, ovvero dando timidi bacini ai seni, rigirandole ogni due secondi (non c'è una posizione che dura più di 11 secondi) e preferendo molto spesso le ginocchia delle ragazze agli organi genitali (a meno che non abbia un membro di 75 cm).
Siamo a un passo dal porno vero e proprio ma mai troppo esplicito, anche se di peli pubici ne vediamo continuamente.
Nel frattempo ci rendiamo conto che, come plot, il film era già finito al minuto 7.
E niente, si va avanti con colonne sonore che finiscono e poi vengono riavviate, con uno che crede che Zequila sia gay e allora questo glie tromba sia moglie che figlia (no, non è vero, le avrebbe trombate lo stesso solo perchè partecipanti al film), con un party orribile che è un party per la morte del cinema, con un'ultima trombata (la 7/7) fatta non se capisce dove, con la su ragazza che forse va via, con una scena in discoteca che potrebbero apprezzà solo i non vedenti, con Roberto che intanto ogni 3 minuti chiude gli occhi, con me e Vieri che lo indicamo e ridemo.
Guardate, io me diverto a scrive degli Abomini ma qua, veramente, anche solo 10 righe erano più de quello che meritava, recensì il Nulla è impossibile.
Andate tutti affanculo

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16.10.19

Recensione: "Manta Ray"



Un film difficile, pieno di simboli e metafore.
La storia di un pescatore che trova un uomo morente, lo salva e lo accoglie con sè.
Quell'uomo viene dal mare, non ha un nome, non parla.
Sembra impossibile per lui integrarsi in quella nuova situazione, in quella nuova "casa" ma, piano piano, ci riesce.
Ma chi scappa da qualcosa o da qualcuno non troverà mai una nuova casa, prima o poi dovrà andar via, di nuovo.
Film ostico, "magico", pieno di luci e luccicanze che squarciano il buio.

Questa in 10 anni di recensioni è una delle volte in cui la mia "talebaneria" nel non voler sapere niente dei film nè, tantomeno, leggere altri pareri o commenti, mi rende la vita più dura.
Manta Ray è film difficile, difficilissimo e credo che qualche informazione, per scriverne, dovrebbe esser presa. 
Ma niente da fare, mi conoscete, andrò a mie sensazioni.
A dir la verità un'informazione - una sola - il film la fornisce proprio nei titoli di testa. Ed è una dedica, al popolo Rohingya, popolo che, scopro in rete, è perseguitato nella loro terra, la Birmania, e quindi costretto a fuggire e rifugiarsi altrove.
Difficile senza sapere almeno queste due righe capire un film che avrebbe comunque "vita propria" e che rimane comunque aperto a mille possibili interpretazioni.
Quello che conta è il trovarsi davanti un'opera affascinantissima che, oltre ad esser bella da vedersi, ha quella magia tipica di certo cinema in cui quello che vedi è al tempo stesso reale e simbolico, senza che il confine tra i due universi sia mai netto o facilmente individuabile.
Paradossalmente potremmo vedere Manta Ray anche come "semplice" film verità, al confine del documentaristico. Quello però che lo rende quasi trascendente non sta tanto in quello che accade ma nelle millemila suggestioni e simboli che, qua e là, brillano (verbo non scelto a caso) nel film.
Siamo davanti a uno di quei casi in cui se il film lo raccontiamo difficilmente riusciremo a discostarsi dal reale, se invece lo vediamo - e i film in teoria andrebbero visti - le sensazioni che lascia sono di un mondo-altro, di un qualcosa che con forza e disperazione cerca di venir fuori dall'evidenza delle immagini, quasi come quelle pietre preziose che, in una scena magnifica, escon fuori dalla terra bagnata.
Ecco, credo proprio in quella scena ci sia la - doppia - metafora del film, un film di "terra e realtà" in cui c'è sotto qualcosa di prezioso e magico che deve venir fuori.
Dico doppia perchè ce n'è una più diegetica, più legata all'universo che racconta il film, ovvero che quelle pietre simboleggino altro, forse i corpi senza vita dei Rohingya, uomini che provarono ad attraversare il mare per trovare una nuova casa.
Anche per questo Manta Ray diventa film quanto mai attuale e "universalizzabile" a tutti quei popoli e quelle etnie costrette a scappar da casa propria per salvarsi.
La mente va subito al bellissimo Styx, film diversissimo da questo perchè secco, esplicito, essenziale ma, al contempo, tanto simile a Manta Ray.


Un pescatore un giorno trova nelle mangrovie (o almeno credo siano tali) il corpo apparentemente senza vita di un uomo.
Lo porta a casa sua, lo cura, lo salva da morte certa (ma, attenzione, il dubbio che quell'uomo sia sempre stato effettivamente morto ce l'ho), instaura con lui una bella amicizia.
Quell'uomo non ha un nome e nemmeno parla, e qui la metafora con tutti quei popoli di rifugiati che vengono privati di individualità e diritto di parola è fortissima.
E' molto interessante notare come Thongchai - il nome lo dà il pescatore all'uomo ritrovato morente - in realtà capisca tutto quello che gli viene detto ma non solo non risponda mai a parole, ma nemmeno a gesti. Non lo vedrete mai annuire o negare malgrado le decine di domande che gli vengono poste.
In realtà non lo vedrete mai nemmeno esprimere gratitudine, come se fosse un uomo "morto dentro", che viene da sofferenze troppo grandi e che, forse, non si fida nemmeno della salvezza che ha trovato.
Thongchai ha una ferita nel cuore (forse altra metafora), probabilmente dovuta ad un'arma da fuoco. Eppure riesce a sopravvivere.
Un giorno il suo salvatore - il pescatore - scompare e appena dopo torna a casa la moglie fuggita in passato dello stesso pescatore.
Thongchai prenderà così il posto dell'ex marito.
Fino a che questi non tornerà.