26.7.10

Recensione: "Lourdes"



Se c'è qualcosa di impossibile per i film che affrontano argomenti religiosi è riuscire a non far capire allo spettatore quale sia il pensiero del regista, Credere o no. La Hausner riesce invece nell'intento attraverso due piccoli e geniali accorgimenti. Per chi non lo sapesse Lourdes racconta la vicenda di una ragazza affetta da sclerosi multipla guarita (?) per miracolo (?) nella città di pellegrinaggio francese.

Il primo accorgimento della regista è far sì che a guarire sia proprio la ragazza sprovvista di fede, o comunque con un credo molto inferiore ai suoi compagni di sventura. Questo piccolo particolare ha una straordinaria ambivalenza: se da un lato può essere la testimonianza che la fede non serva a niente nè porti a nulla, dall'altro è invece la dimostrazione di quanto Dio possa intercedere per chiunque, fedele o no. A seconda di come si legge l'episodio, credenti o non possono portarlo a loro "favore". Perchè ho messo i punti interrogativi nel precedente paragrafo alle parole "guarita" e "miracolo"? Perchè lì sta il secondo capolavoro di sceneggiatura. In un finale straordinario, nel quale per 10 minuti il film diventa quasi un thriller, un thriller della guarigione e della speranza, la regista ci dà piccolissimi ma forse decisivi segnali di qualcosa: la caduta, l'angosciante attesa sulla parete ( e qui il livello recitativo della Testud è incredibile) e il mettersi sulla sedia a rotelle. C'è stata davvero una guarigione definitiva o è cominciato un peggioramento? In caso di guarigione, è dovuta a Dio o a qualcos'altro? Anche qui, a seconda di "convenienza" o di semplici sensazioni si può scegliere l'ipotesi preferita.
E' indubbio che il film non sia tenero nei confronti di Lourdes (il merchandising, la frivolezza delle volontarie, l'invidia tra i malati, il prete stereotipato) ma non fa che raccontare un'oggettività, una realtà che esiste e che ci viene mostrata in una maniera quasi documentaristica ( tranne le scene di dialoghi, quindi di obbligata fiction,non è "Lourdes" quasi un documentario?).


In questo senso la regia è in perfetta simbiosi con la materia trattata: abbiamo una staticità incredibile della macchina da presa che compie al massimo qualche panoramica orizzontale o verticale senza mai muoversi dalla sede (nè carrelli, nè riprese dirette dell'operatore). Anche i dialoghi non hanno mai campi o controcampi ma avvengono in inquadratura fissa.
Parlavo di simbiosi con la materia perchè tale regia rappresenta e rispetta la staticità della liturgia e ( non la si consideri una battuta ma una considerazione ponderata) sembra quasi affetta da una paraplegia al pari della sua protagonista. Liturgia e malattia invalidante = regia statica. Una regia dinamica, mossa, avrebbe portato a tutt'altro film.
Insomma, un gioiellino sia per icontenuti che per la bravura della Hausner, girato tutto in un'atmosfera sommessa, sotto le righe, come del resto sotto le righe è l'ottima interpretazione della Testud (che mi ricorda molto fisicamente la nostra Rohrwacher).
Una considerazione finale che esula leggermente dal film è che, a mio parere, per chi è credente (come me) non dovrebbero esistere luoghi della fede. Se crediamo in Dio dobbiamo pensarlo in ogni luogo e in ogni cosa. Lourdes non è in Francia, Lourdes è anche qui, a casa mia. Dio non è nei luoghi di pellegrinaggio, ma qua intorno a noi; se davvero esiste non ha senso andare a cercarlo, è quasi un paradosso.

( voto 8,5 )

17.7.10

Recensione: "Toy Story 3"


Non so se nella storia del cinema ci sia mai stato un omaggio così grande e profondo al giocattolo (e non al gioco tout court, concetto molto più ampio). Eppure l'argomento è molto più importante di quello che potrebbe sembrare. Non importa in quale nazione, epoca, condizione economica o di vita, contesto felice o infelice si sia nati; tutti i bambini del mondo crescono con la propria immaginazione e nel 90% dei casi il giocattolo è la reificazione di quest'ultima, che sia un robot hi-tech di un bimbo di Los Angeles o un sasso dalla forma umana in un villaggio africano. In alcuni casi il giocattolo è addirittura l'unica oasi felice in un'infanzia rubata o negata.
L'immaginazione, il gioco, il giocattolo. In questo senso la straordinaria sequenza "western" di apertura non è semplicemente uno spettacolo e uno spasso, ma la dimostrazione di quanto sia potente e libera la mente di un bambino, quanto con poco possa creare il massimo, un altro mondo, un altro universo. Fidatevi, la Pixar lo sa, conosce il sentimento e a volte lo antepone alla sicurezza commerciale e Wall-e ne è l'esempio lampante.



Toy Story è un insegnamento sotto tanti punti di vista. E' anche uno straordinario spettacolo, un piacere per gli occhi, una carrellata infinita di personaggi. A questo proposito meravigliosi i "nuovi": il riccio amante del teatro di posa, la scimmia urlatrice, ken e soprattutto l'indimenticabile clown doppiato da Faletti. E come dimenticare alcune sequenze mozzafiato come l'arrivo dei bambini assatanati all'asilo, il volo di Woody nel cielo e l'incredibile scena nella discarica, tutta la scena, dal cassonetto alla fornace, visivamente magnifica. MI piace però, come sempre, prendere l'anima di un film e Toy Story ne ha da vendere. Se vogliamo è forte anche la tematica della sopraggiunta inutilità, che sia quella di un giocattolo che il bambino non vuole più, quella di un comico che non fa più ridere (Luci della ribalta), quella, semplicemente, di un vecchio di cui nessuno si interessa più. In questi 3 casi i bambini, il pubblico o i familiari sono facilmente assimilabili, la loro indifferenza uccide l'altro. E' qui che "l'antropoformizzazione" dei giocattoli acquisisce più valenza. Per vivere ognuno di noi ha bisogno della presenza o dell'affetto di un altro. Checchè se ne dica.

( voto 9 )

9.7.10

Recensione: "Moon"




presenti spoiler


Una dolce volèe di McEnroe e un brutale servizio di Roddick. Lo sport è lo stesso, ma la classe neanche paragonabile. E mentre la prima può essere effettuata anche con una racchetta di legno, il servizio a 230 ha bisogno di un telaio in titanio. Questa è la differenza tra Moon, straordinario piccolo film indipendente, e colossi come Avatar: l'ottener un grande risultato con classe e povertà di mezzi.

Autentico gioiello, purissimo. Un film perfetto deve riuscir ad accontentare Cuore, Testa e Occhi. Deve saper emozionare, deve saper interessare e far pensare, deve essere bello da vedere. Moon eccelle in ogni campo.
Non si può non partire sa Sam Rockwell. Ci sono attori che ti entrano nel cuore. Io vidi Sam nel sottovalutatissimo "Confessioni di una mente pericolosa" e rimasi folgorato. E' l'unico attore, insieme a Seymour Hoffmann ad emozionarmi a prescindere, non è una sensazione facilmente spiegabile, ma tant'è.

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In Moon, Rockwell è semplicemente monumentale. Il film è totalmente incentrato su di lui, e non è un caso che il regista (Duncan Jones, figlio di David Bowie) l'abbia scritto APPOSITAMENTE per lui, e non parlo della parte del protagonista ma dell'intero film. Solo la recitazione doppia è qualcosa di quasi impossibile (vedi commenti) ma quello che sorprende è la sua assoluta simbiosi col personaggio e la sua capacità di trasmettere qualcosa anche non parlando.
Il comparto tecnico è di primissimo livello. Le riprese e la fotografia degli esterni sono bellissime, malgrado il semplice utilizzo di modellini (la racchetta di legno). L'atmosfera straniante, iperreale, claustrofobica della base è resa alla perfezione, fa sì che anche noi è come se ci trovassimo  là, sulla Luna, assolutamente fuori dal nostro mondo abituale, lontanissimi. Dall'inizio alla fine siamo parte di quell'atmosfera, completamente coinvolti, meravigliosamente immedesimati.
Sceneggiatura fantastica che affronta un tale numero di tematiche che si fa fatica ad elencare: la Solitudine, quella forzata, coatta, che ti priva e allontana dagli affetti;
il Progresso e la Tecnologia, il primo praticamente cornice del film (energia del futuro), la seconda impersonificata più che altro dalla decisiva figura del robot Gerty, robot predisposto ad aiutare l'astronauta che a differenza dei suoi predecessori (Hal, AUTO di Wall-e) non si ribella all'uomo ma sarà suo salvatore;
la Vita e la Morte, una vita moltiplicata, innaturale e una morte annunciata, programmata. In questo senso è incredibile l'empatia che riusciamo ad avere con i cloni, che sono sì essere umani ma creati ad hoc. E il fatto che abbiano una "scadenza", 3 anni, che sappiano di morire (almeno il N° 1) è un affrontare in maniera delicatissima il tema della malattia mortale e della sua ineluttabilità.



L' Amore. In questo caso è straordinaria la scena nella quale i 2 cloni dentro il rover raccontano contemporaneamente uno degli incontri con la propria moglie. In realtà nessuno dei 2 ha vissuto quel momento, ma questo è un amore messo come Imprinting, che se da un lato disumanizza tale sentimento, dall'altro lo esalta, Sam Bell ama Tess, l'amore è vero e verrà tramandato all'infinito e non cancellato.
Il Capitalismo, la disumanità della grandissima azienda, disposta a tutto, anche all'aberrazione di creare e uccidere uomini (non sono robot, sono uomini) per portare avanti i propri affari. In questo caso il finale (se avete ascoltato le ultime sconnesse frasi) sa di giustizia.
Ultimo la Solidarietà, un tipo di solidarietà poche volte raccontata. Il voler aiutare a tutti i costi una persona che sei te, ma in realtà non lo sei. A questo proposito la scena nella quale prima di lanciarsi verso la Terra il secondo clone scende e immette le coordinate per far distruggere le torri, colpevoli di non far arrivare direttamente il segnale per comunicare dalla terra, è emblematica. Lui pensa ai prossimi Sam Bell, vuole che almeno loro possano sapere, possano salvarsi. E magicamente possiamo amare noi stessi amando il nostro prossimo.

( voto 9 )

5.7.10

Recensione: "Old Boy"



Il "non sapere perchè" kafkiano. Il castigo superiore al delitto. L' urlo di disperazione di Munch.

E uomini dalla coscienza morta che mangiano animali vivi.
Uomini come Oh dae-soo che devono capir perchè, perchè.
Uomini che 15 anni di prigionia hanno fatto diventare belve affamate: di vendetta, di violenza, di conoscenza. Perchè mi liberi Woo Jin? Perchè vuoi che vada, che torni al mondo? Cosa devo capire? Quale segreto?
Drammi famigliari. Inumani, terribili, drammi famigliari. Sei padre Oh dae-soo, non dimenticarlo mai.
Denti staccati, lingua tagliate, anime dilaniate.
E il ricordo. Il ricordo radicato, terribile di Woo Jin. Il ricordo che non c'è, lontano, irraggiungibile di Oh dae-soo. Cerca di ricordare vecchio ragazzo, cerca di ricordare.
L'emozione della musica, l'emozione di una mano che, mortalmente, lascia l'altra, l'emozione di un regalo arrivato troppo tardi, l'emozione di aver visto qualcosa di straordinario, violentemente poetico.
L' orrore della scoperta, della verità. Sangue del mio sangue.
Sangue del mio sangue.
Sangue del mio sangue, questo è Old Boy per me.
La consapevolezza di esser bestie ma voler ugualmente vivere.
Non ci sono vittime, non ci sono carnefici. Tutti sono l'uno e l'altro.
Oh dae-soo siamo tutti noi. Tutti noi sbagliamo, e ogni piccolo errore può in realtà rivelarsi gigantesco.
Fa paura Old Boy, fa paura perchè questo è il suo insegnamento.

Ma io sono Oh dae-soo e non volevo far male a nesuno. Ero solo un ragazzo. Come te Woo Jin. Solo un ragazzo.
Io sono Oh dae-soo, io sono innocente.
Non meritavo questo, non lo meritavo.

Io
sono
Oh dae-soo

e volevo solo mettere un paio d'ali a mia figlia.


Quando rideremo tutto il mondo riderà con noi. Quando piangeremo, saremo da soli.

( voto 10 )