30.1.17

Recensione "Stake Land"

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Il mio secondo Mickle è, ancora una volta, un "ni".
Grande mano alla regia ma una sceneggiatura che, come mi successe anche con We are what we are, mi ha fatto storcere più volte il naso, confusa e con troppe intenzioni inverosimili.
Se lo si prende solo come un post apocalittico leggero è ottimo.
Ma Stake Land mira decisamente più in alto e, tranne nel finale, secondo me non raggiunge quell'empatia che ricercava nello spettatore.

presenti spoiler

Dopo la parziale delusione di We are what we are ho dato una seconda chance a quello che viene considerato uno dei più promettenti registi "horror" della nuova generazione, Jim Mickle.
Ho messo horror tra virgolette perchè in realtà il suo ultimo film, che è anche il suo film più "grande", dovrebbe essere un thriller, anche un bel thriller dice qualcuno, Cold in July.
Beh, se per Ti West passai repentinamente dalla delusione di The Innkeepers all'entusiasmo per The Sacrament e The House of the Devil, con Mickle non è accaduta la stessa cosa e, lo ammetto, rimango con un bel NI ne suoi confronti.

Ancora una volta non ho potuto non apprezzare la sua regia, il suo stile, che ne fanno al tempo stesso un regista sia raffinato sia abile a costruire e gestire le inquadrature.
I film di Mickle sono film girati benissimo ed è normale secondo me che in qualche modo abbia fatto "carriera", che sia stato adocchiato da qualcuno e che gli sia stato offerto un progetto più grande, il Cold in July di cui dicevo sopra.
Il mio problema è che, ancora una volta, non sono stato preso dal film.
Beh, potreste dire che Stake Land alla fine è un film cazzone, un pò tamarretto e muscolare, e quindi basta divertircisi su e il suo l'ha fatto.
Ed in parte è vero.

28.1.17

Go Dante Go Go Go: un vostro piccolissimo aiuto per un grande progetto. Oddio, grande, non esageriamo, diciamo un progetto alquanto pazzo del nostro mitico Nencioni


I migliori/peggiori lettori del blog non potranno non conoscere due film cult presentati l'anno scorso, ovvero il mitico Possessione Demoniaca e il film maledetto Il Lago nero 3.
Beh, il nostro amatissimo regista Alessio Nencioni (fu Trapano), autore anche di un altro film cult, Verso Orione (film di due ore completamente in versi e rima, lo trovate sul tubo) ha adesso in mente un gran bel progetto, forse il suo più grande.
Ma ha bisogno di qualche soldino.
Ha cominciato allora un difficilissimo crowfounding per cercare di raggiungere il suo obbiettivo.
Anche soli 5 euro vanno bene.

Trovo che il soggetto del film sia geniale, lo riporto

"Dante è uno studente fuoricorso di cinema, i cui lavori ermetici fino al grottesco non convincono i professori che anzi tentano di allontanarlo dall’università. A casa la situazione non migliora, l’ossessiva fidanzata non crede nel suo estro ma vuole prepotentemente un figlio da lui.
Messo alle strette, Dante tenta la fuga rifugiandosi dall’amico di sempre, Sandro Sereni. Sarà nel suo appartamento multietnico e in preda ai fumi dell’alcool che il giovane aspirante regista deciderà, sotto suggerimento dell’amico, di cimentarsi in un’impresa filmica ai limiti del possibile: partecipare al Definitive Short Film Festival, concorrendo in ognuna delle dieci categorie divise per genere; dal film di arti marziali fino al documentario. Senza mezzi, né finanze, ma animato da un ardore spregiudicato, organizzata una troupe di fortuna, il nostro si cimenta nell’ardua impresa iniziando dai casting, che inevitabilmente scoperchieranno un vaso di Pandora fatto di casi umani esilaranti.

Go Dante Go Go Go alterna una cornice animata delle peripezie del giovane regista e il suo improbabile staff, con i cortometraggi che via via vengono realizzati, in un mosaico fatto di imprevisti, errori, problemi tecnici, ed esperimenti. Il corto di arti marziali finirà in rissa, il videoclip in farsa, quello teatrale nello sperimentalismo assoluto, il documentario in una comica poesia.

Alla scadenza del concorso, contro ogni pronostico, il nostro riesce nell’azzardato cimento: dieci corti in un mese, dieci generi cinematografici. Ma c’è un piccolo problema… "

Come fate a non amarlo già?

E non solo, se leggete le "ricompense" per le vostre donazioni lo amerete ancora di più

ve ne riporto solo una

Ora, non vi dico di portarlo a tatuarsi il vostro nome, ma ogni altro aiuto possibile sarà una grande cosa.

questo il teaser





In ogni caso il dettagliatissimo e divertente link dove leggere tutto e poter donare è qui



26.1.17

Recensione: "Arrival"




Per la mia concezione di fantascienza Arrival potrebbe rappresentare un punto di non ritorno.
Film sull'importanza del linguaggio, del contatto, del capirsi, del reciproco aiutarsi.
In una cornice da guerra dei mondi c'è un film, invece, scarnificato, che racconta solo della lenta, difficile e delicata conoscenza di due specie diverse.
Conoscenza che porterà al possedere un dono che, forse, salverà tutti.
Tra paradossi temporali, paura dell'ignoto e mani che si toccano Villeneuve filma uno dei vertici della fantascienza moderna

presenti spoiler

Per sdrammatizzare e avere un approccio più soft faccio entrare un secondo il mio Senso Pratico

"Buongiorno"
"Buongiorno"
"Perchè mi hai fatto venire?"
"Perchè ho bisogno che tu mi faccia qualche domanda"
"Che domande?"
"Ho bisogno che tu mi chieda, senza altre implicazioni -come solo tu sai fare- i voti ai film di Villeneuve"
"E perchè dovrei farlo, stavo dormendo"
"Perchè ad un certo punto per formulare giudizi e dare responsi c'è anche bisogno di un certo senso pratico e matematico, voglio dire, quando hai paura a dire certe cose a volte magari basta far vedere le prove, ecco, e in quelle prove si nasconde già tutto"
"Mah, sinceramente non c'ho capito una fava, ma va bene, Però veloce eh, che lo sai che io vado spiccio, non aggiungere niente, solo voto"
"E' per questo che ti ho chiamato"
"Vai, Polytechnique?"
"8"
"9"
"8"
"8"
"Enemy?"
"8"
"Mi scoccia uscire dalla mia natura di solo Senso Pratico ma ricordo una recensione non troppo entusiastica di Enemy"
"Avevo cannato il film, quasi completamente. M'aveva fregato l'amore pel libro. Il film è diverso, è un'altra storia. E Villeneuve l'ha modificata in modo straordinario, solo dopo l'ho capito"
"E Arrival?"
"9"
"O.k, e tutto questo a cosa ti serviva?"
"A poter dire con senso pratico e matematico che Villeneuve è, prove alla mano, uno dei miei registi preferiti. Con Nolan, Haneke e Von Trier probabilmente"
"O.k, posso andare adesso?"
"Sì, grazie mille"
"Io torno a dormire, te tornatene in fabbrica alle tue fave di cacao..."

Fave di cacao che diventano grandi, sempre più grandi, immense, altissime.
Fave di cacao che diventano astronavi alte 450 metri.
Arrivate da noi, ferme, sospese, al tempo stesso innocue ma cariche di minaccia come solo astronavi identiche a fave di cacao di 450 metri possono essere.

25.1.17

Recensione "Allegro non troppo"

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Esistono film unici ed altri irripetibili.
Non so se "Allegro non troppo" appartenga ai primi (credo di sì) ma ai secondi certamente, senza dubbio.
Un'opera geniale, anarchica, cupa e divertente, un'unione tra musica classica, disegni animati e riprese dal vivo senza precedenti.
Il capolavoro di un artista incredibile, Bruno Bozzetto

E' il 1977, anno infausto per via della nascita di chi scrive.
Esce finalmente in Italia "Allegro non troppo", talmente poco considerato da noi da esser stato addirittura prima distribuito negli Stati Uniti.
Ecco, a me se dite "animazione italiana" la prima cosa che viene in mente è Bozzetto.
E se mi dite "Bozzetto" la prima cosa che penso è "Allegro non troppo".
Credo, molto sinceramente, che questo film sia la vetta più alta di sempre della nostra animazione.
Che poi chiamarlo film d'animazione non sarebbe esaustivo visto le tante, tantissime cose che questo film è.
Talmente tante che credo fermamente che questo sia uno di quei film non tanto unici, ma irripetibili.
Pensare ad un progetto cinematografico di questo tipo adesso è una cosa folle, un fallimento già in partenza.
Ma tanto, di cose folli, fallimenti, non riconoscimenti, Bozzetto ne sa qualcosa.
Perchè se è vero che di premi ne ha vinti tanti, se è vero che nel settore da molti è venerato come un Dio, è anche vero che il dimenticatoio nel quale è finito è di imbarazzante miopia e ingratitudine.

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Bianco e nero.
Un teatro vuoto.
Un presentatore ci annuncia che vedremo un film magnifico, qualcosa di mai visto.
In poche righe il progetto di "Allegro non troppo" è enunciato.

"Illustrare la musica, dare corpo e colore alle note"
"Vedere la musica, ascoltare i disegni"

Vedere la musica, ascoltare i disegni, che meraviglia.
E questo è "Allegro non troppo", un incredibile, pazzo, anarchico, vorticoso, serio e faceto esperimento.
Prendere la musica classica più grande e "disegnarla", crearci storie attorno (Bozzetto dirà che lui, a differenza di Fantasia -cui esplicitamente si ispira- non si limitò ad usare la musica per liberare un estro grafico, ma scrisse vere e proprie mini storie per ogni brano).
E così quasi ogni tratto, quasi ogni movimento, va perfettamente a ritmo di musica, una cosa pazzesca.
E non solo in questo Bozzetto, il piccolo Bozzetto (che poi, che buffo sto cognome per un vignettista) provò a superare il gigante Disney, ma lo fece anche in un impegno, in un buttar dentro delle tematiche che il capolavoro disneyano non aveva nè, diciamocelo, poteva avere, con sè.
Ne nasce così un film per adulti, cupo, malinconico, sferzante, irriverente, politico, rivoluzionario, accusatorio.
Un film nero, forse nerissimo, di completa sfiducia nell'uomo e nel progresso.
Ma del resto l'atmosfera tutt'altro che leggera (anche se rimane tutto molto divertente eh, parliamo di "sotto le righe") la si vede sin dalle prime inquadrature.
La banda di vecchiette presa da una specie di macello e portata in teatro.
Il disegnatore (il grande Maurizio Nichetti) liberato dalla segreta dove era incatenato da anni e portato anch'esso in teatro.

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Insomma, Bozzetto ce lo dice da subito, gli artisti sono carne da macello, reclusi, nascosti, li tirano fuori solo quando gli fa più comodo. E questa metafora degli artisti trattati peggio che cani continuerà per tutta la parte "vera" del film (quella con attori, la cornice in bianco e nero). Alcuni uccisi, altri trattati malissimo.
 E poi il rancio e poi il fare dittatoriale del direttore d'orchestra...
Bozzetto ci aveva visto lungo, lunghissimo, quel Nichetti è lui, è stato lui, sarà lui negli anni successivi.
Comunque l'artista, il disegnatore, è pronto.
L'orchestra di vecchiette e il loro terribile direttore stanno per partire.
Verranno suonati sei brani, il disegnatore dovrà dargli vita.

DEBUSSY

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C'è una specie di Eden che pare un raduno hippie.
Tutti i fauni hanno intorno belle ragazze, c'è vino e sesso.
Un vecchio, piccoletto e brutto fauno invece è solo.
Cortometraggio molto malinconico all'inizio che poi diventa un'accusa alla superbia, una critica ante litteram al voler apparire per quello che non si è.
E anche un omaggio alla bellezza infartuante della Donna

DVORAK

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Come tutti i corti anche questo è profondamente accusatorio.
Stavolta ad esser presi di mira sono quei popoli che, come marionette, imitano e fanno tutto quello che un leader, un dittatore, dice di fare.
Un corto sul Potere, sulla manipolazione, una ballata vorticosa disegnata in toto dallo stesso Bozzetto (perchè, non l'avevo detto, "Allegro non troppo" nelle parti animate ha avuto moltissime mani dietro).
Il popolo tende a seguire chi, almeno apparentemente, sembra poter fargli migliorare le proprie condizioni (il leader infatti inventa e costruisce sempre nuove abitazioni).
Ma anche il popolo, ad un certo punto, non è così stupido come lo si crede...

RAVEL

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Il cortometraggio simbolo di "Allegro non troppo", probabilmente il vero capolavoro del film.
Già la partenza è fulminante.
Nella cornice dal vero viene scagliata una bottiglietta di Coca Cola. L'artista disegnatore ne vede la traiettoria e, simbolo dell'ispirazione momentanea se ce n'è uno, comincia il suo disegno proprio con l'atterraggio di questa enorme bottiglia nella Terra.
Dalla bottiglia di Coca Cola (simbolo di consumismo) esce una goccia.
E, insomma, quella goccia diventerà l'Origine di tutti noi.
Difficile raccontare una cosa così bella (con un brano così bello sotto poi)
L'origine, l'evoluzione della specie, i dinosauri, tutte le altre forme di vita vivente, e poi la scimmia, e poi il fuoco, e poi la religione, e poi la guerra e poi il consumo e poi il progresso che tutto sotterrerà sotto di se.
E quel Dio distruttore chi cela dentro di sè?
L'Uomo, un uomo scimmia malvagissimo.
Una cosa da pelle d'oca, da una goccia di Coca Cola a tutto questo...

SIBELIUS

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L'episodio più triste e malinconico ma del resto gli fa da colonna il Valzer Triste di Sibelius.
Un rudere di casa in mezzo alla città.
Un gatto che ci vive dentro e che, con l'immaginazione, ripensa ai momenti felici in cui quella casa era viva e colorata.
Momenti che saranno poi sempre annientati dalle nuda realtà.
E' forse l'unico corto in cui, almeno in alcuni frangenti, c'è un'immagine positiva dell'uomo, uomo visto come presenza amorevole, calorosa e giocosa dal gatto.
Tra l'altro la tecnica usata è davvero sorprendente con questi disegni che si mischiano ad immagini reali, ma nascoste e tremendamente filtrate, di vere persone.
Persone poi... Sono Bozzetto e la sua famiglia.

VIVALDI

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Il Direttore d'orchestra è stufo che l'artista disegni cose tristi.
Lo costringe quindi ad un amplesso dentro un pianoforte con una prostituta, così, per fargli venir voglia di cose divertenti.
E in effetti il corto che disegnerà è più leggero degli altri.
Un'apetta vuole fare un pic nic.
Ma nel suo pratino vengono a farlo anche una coppia di fidanzati umani.
E quei due corpi diventano montagne per lei, pericolosissime.
Magnifici i giochi di ombra

STRAVINSKIJ

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Adamo ed Eva rifiutano la mela del serpente tentatore.
E allora sarà lo stesso serpente a darle un mosco.
E piomberà così in un Inferno di demoni che altro non è che la nostra società consumistica.
Il corto più psichedelico e vorticoso. Il serpente sarà invado da televisori, pubblicità, lavatrici, automobili, abiti su misura, tentazioni, progresso.
Una vera e propria Cura Ludovico.
Tornerà nell'Eden schifato

Allegro non troppo sarà anche tante altre piccole cose.
Come la meravigliosa sequenza del Signor Rossi e del suo foglio bruciato.
Come la tenera storia di primo amore tra il disegnatore e la ragazza delle pulizie (sequenze che richiamano Chaplin).
Come quel finale da trovare in quei palcoscenici che tiene il mostro in casa.
Ci si diverte e si rimane a bocca aperta.
In realtà questo è un film cupissimo di un uomo che ha un'immagine del genere cui appartiene di devastante negatività.
Un uomo, un artista, che in maniera geniale, colorata, irripetibile, lanciò un grido d'allarme.
Un fortissimo grido d'allarme.
Chissà se un disegno animato può bastare per portare a così tante riflessioni.
Forse il suo destino è quello di venire bruciato.
E non potersi salvare, chiuso com'è nei limiti di un foglio.





23.1.17

Recensione "The Room" - Gli Abomini di serie Z - 26 -


Definito come "Il Quarto Potere dei film Brutti" "The Room", in effetti, può tranquillamente ambire a tale primato.
Con un attore/regista/sceneggiatore insopportabile ed orrendo, un mix mal riuscito tra Dafoe e Povia.
E con sole due scene ripetute all'infinito, lei che tromba con qualcuno e lei che dopo se confida con qualcun altro.
Una perla lucentissima per gli amanti dell'abominio

Questo film fa parte della Promessa 2017  (1/15)

"Mezza pancetta affumicata canadese con ananas, mezzo carciofo con pesto, e poco formaggio"

ordina al telefono, in una scena, ad un certo punto, il puttanone del film, Lisa.
Di solito in un film si ricercano le scene madri, anzi, La Scena Madre (e qui di scene madri, anzi, con la madre, ce ne sono 25) ma invece questa volta siamo davanti ad un raro esempio di Frase Madre, ovvero della frase che, estrapolata dalla non sceneggiatura del film, può tranquillamente simboleggiare l'opera stessa

"Mezza pancetta affumicata canadese con ananas, mezzo carciofo con pesto e poco formaggio"

Questo è l'Abominio "The Room", un qualcosa di improponibile, un qualcosa senza senso, un qualcosa che fa vomitare solo al pensiero, un pasticciaccio brutto senza capo nè coda.
Definito dalla critica come il "Quarto Potere dei film Brutti" "The Room", in realtà, non è il film più brutto che abbia mai visto in vita mia, che qui se ne è visti di peggio, ma probabilmente è, tra i film "normali" o con ambizioni, quello sì, quello peggio de tutti, il Ground Zero.


E di meriti in tal senso, di prove da addurre per formulare questo giudizio, The Room ne offre tante ma, diciamoce la verità, The Room è The Room perchè dentro c'è quello che, da oggi in poi, diventerà una specie di punto di riferimento dell'orrido per me, ovvero Tommy Wiesau, un uomo bruttissimo che è la crasi vivente perfetta, ma proprio perfetta, tra Willem Dafoe e Povia, il viso de uno, i capelli (anche se molto più unti) dell'altro.
Un uomo orribile, un attore orribile, uno che quando lo vedi invaderesti la Polonia il giorno dopo, e mai battuta fu più centrata visto che, a quanto pare, proprio dalla Polonia sembra arrivare questo strano essere che, però, del suo passato nulla dice tanto da risultare, probabilmente, come l'unico attore presente nei database senza data di nascita.
The Room è un film privo di sceneggiatura che ripete all'infinito per la pantagruelica durata di un'oraequaranta le stesse due scene.
E queste due scene sono

Lisa che tromba

Lisa che se confida

La prima scena paradigma, Lisa che tromba, è ripetuta 6 volte.
In due casi è Wiesau che tromba con Lisa.
In altri due casi è l'amico Mark che tromba con Lisa.
In un caso sono due amici de Lisa che, forse per osmosi, trombano tra loro.
La sesta scena è una trombata interrotta secondo me volutamente dal regista Wiesau (che lui fa tutto, dal nonsoggetto alla nonsceneggiatura alla nonregia alla nonrecitazione) che mai avrebbe permesso che il personaggio di Mark trombasse una volta più de lui.
Quindi gli concede cavallerescamente un 2 1/2 a 2, ma non più.
Ma, c'è da dire, quando ci sono le scene in cui tromba Wiesau la suddetta trombata è ben più profonda ed esplicita anche se è quasi comico come Wiesau si metta sempre storto e sghembo per permettere all'inquadratura di cogliere (l'ottimo) seno di Lisa.
In ogni caso, birillo o baralla, Lisa tromba sempre.
Sì, Lisa che Johnny (il nome de Tommy, de Wiesau insomma) dovrebbe sposarlo di lì a breve.


E quindi il film affronta una grande crisi de coscienza, crisi de coscienza che è esaltata nella seconda scena paradigma del film, ricordiamo

Lisa che se confida

che avverrà anch'essa, forse con qualche diabolico e demoniaco significato sotto, 6 volte, nella fattispecie

4 volte in cui Lisa se confida con la mamma (le eventuali piccole scene madri di cui sopra)
2 volte in cui se confida con la sua amica, discreta topa

Posso affermare senza paura di poter essere smentito che almeno 4 scene su 6 contengano gli stessi dialoghi, ovvero la madre, o l'amica topa, che glie dicono che Johnny (o Tommy? già me so dimenticato) è un bravissimo uomo, che la mantiene, che non può fargli questo, che, insomma, ha da smette de fa la zoccola.
Ma lei se ne fotte (fotte tutto insomma) e pensa solo al bellimbusto Mark, effettivamente un bel ragazzo, anche perchè in paragone a Dafoe/Povia in milioni lo sarebbero.
The Room è un film della stessa efficacia che potrebbe avere una scoreggia fatta nell'oceano per provocare uno tsunami.
Un film inutile, morto dentro, inesistente, inqualificabile, un cortometraggio di 4 minuti moltiplicato a ennesime ed ennesime potenze.
Un film in cui per 4 volte fanno passare la palla da football americano tra le mani di protagonisti semplicemente con la logica del "non sapevamo che cazzo girà".
Un film in cui c'è una scena gangsta de "soldi da ridà e pistole" risolta come se risolvono gli applausi a fine spettacolo teatrale, andate tutti in scena, via, de corsa, tutti dentro!
C'è sto tetto, sto regazzino uguale a Shannon da giovane e sto criminale, e niente, ad un certo punto irrompono tutti gli altri personaggi.
Su sto tetto con un effetto sfondo ridicolo che è la seconda location presente nel film, dopo la casa dove Lisa tromba e se confida (ma del resto il film si chiama The Room!").

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Ed è così radicale la presenza di sole queste due location che quando abbiamo la sequenza della caffetteria lo spettatore ha un effetto tipo fantascienza d'antan, quella di vedere nuovi mondi non ancora conosciuti.
C'è poi l'indimenticabile Racconto della Mutanda, un racconto talmente triste e innocuo che in confronto i vecchietti che a Capodanno hanno il cappellino rosa in testa e la stella filante in mano sembrano più vivi ed incisivi.
E a proposito di tristezza, che dire del famigerato Party, una festa che nel film aspettano come l'impatto del pianeta in Melancholia e che invece se rivela un piatto de salatini e una torta del Lidl.
Lisa tenta anche la settima trombata ma questa è talmente solo accennata che ho preferito non metterla in conto.
Ma la tristezza infinita che questo film genera non finisce qui, no, abbiamo ancora il tempo di assistere alla rissa più improbabile vista al cinema, Johnny e Mark che fanno a botte come farebbero Signorini e Malgioglio dopo 8 lattine de Red Bull.
E ancora non basta perchè c'è la sequenza della cassetta registrata, una sequenza che il grande sceneggiatore Wiesau ci aveva preparato a metà film (chi diceva che se nel film vedi una pistola alla fine quella pistola sparerà? Hitchcock?).
Anche qui siamo alla pena infinita.
Ma alla fine proprio con una pistola (quella della scena gangsta) il film finirà, dando ragione a Hitchcock o Chiperlui.
E Povia, recitando una disperazione fantozziana e distruggendo, probabilmente con molto suo scorno, l'unica location del film, esclama

"Perchè sta succedendo a me?"

buffo, la stessa cosa che stavo urlando io

lo invidio, lui almeno ha una pistola per farla finita

21.1.17

Recensione: "La Bocca del Lupo" - BuioDoc - 32 -

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Vedo il film precedente del regista dello splendido Bella e Perduta.
E ci ritrovo tutto, la stessa sensibilità, lo stesso volteggiare tra documentario e fiction, realtà e favola, lo stesso montaggio pazzo, originale e poetico.
Se non conoscete Pietro Marcello provate ad andarlo a cercare perchè ne vale tremendamente la pena


Se già con lo splendido Bella e Perduta (rece), quel film così strano, assurdo, rattoppato qua e là -giocoforza rattoppato qua e là- ma al tempo stesso così affascinante, dolce, poetico e onirico, se già con Bella e Perduta avevo avuto la sensazione di trovarmi davanti ad un regista in qualche modo unico, capace di essiccare al massimo la macchina cinema ma al tempo stesso anche di abbellirla, dargli un colore suo, dare anima all'inanimato, beh, se già con quel film avevo avuto quella sensazione adesso, con il suo precedente La Bocca del Lupo ne ho la certezza, Pietro Marcello è un poeta del nostro cinema.
Uno di quei poeti primitivi, contadini, che osservano e si innamorano delle cose semplici e poi provano a restituirne la magia nascosta.

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La Bocca del Lupo è in tutto e per tutto il film dello stesso regista che vidi in Bella e Perduta, lo si riconoscerebbe lontano km.
Stessa splendida commistione tra documentario e fiction (non quella orribile di Sacro... vabbeh, basta a parlar male di quel film), stessa sensazione di ipnosi, stesso modo di raccontare una storia umana dandogli una sensazione di fiaba (più esplicita in Bella e Perduta ma presente anche qui), stessa dolcezza, stessa umiltà, stessa urgenza di raccontar luoghi e persone, stessa sensibilità.
Ancora una volta il giovane Pietro Marcello prende una storia vera, verissima, e la racconta a modo suo, con un montaggio che, ancora una volta, diventa vero e proprio protagonista del film.
E' la storia di Enzo, 27 anni passati in carcere, e della sua amata, Mary, un trans che per almeno 10 anni l'ha aspettato fuori, nel mondo libero, benchè anch'essa, per problemi di droga, abbia conosciuto le mura della galera (è là che ha incontrato Enzo).
E' una storia raccontata nell'oggi, nel dopo, con Enzo già fuori. E' un ripercorrere una vita, un'amore.
Ma è un ripercorrere non lineare, arbitrario, jazz, che nei racconti dei due protagonisti va avanti e indietro senza tanto filo logico.
Ma il vero punto di forza di questa piccola, piccolissima pellicola (un'ora) è un montaggio straordinario che alterna sequenze della vita di adesso di Enzo ad immagini d'archivio, di repertorio, sulla città in cui vive, Genova.

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Ed è così che questa splendida città diventa terzo personaggio del film, con questi vecchissimi filmati di cantieri navali, di industrie, di gente che si butta in mare, di vicoli debordanti di umanità, di vecchie locandine di film, di locali, di lavoro in miniera, di demolizioni, di navi che partono e fazzoletti che sventolano davanti volti lacrimanti.
Si resta ipnotizzati da questo montaggio che pare così tanto arbitrario, casuale, quando in realtà crea un effetto tremendamente omogeneo, sinuoso, poetico.
Forse l'unico piccolo difetto è in quegli ultimi 20 minuti con quella bellissima intervista ai due sì, ma che inserisce in due binari paralleli un film che andava meravigliosamente a zig zag, anarchico, come anarchica, tremendamente anarchica, è la straniante scena del bar, così vera, così confusa ma anche così strana, con lui che dice che a lei i bacetti li ha dati "per il film, per la scena".
Dirò una cosa che pare veramente insensata ma io in parecchie parti di questo film c'ho visto quello che apparentemente è il regista più lontano sulla faccia della terra da Pietro Marcello, Paolo Sorrentino.
C'ho rivisto quella stessa capacità di raccontare luoghi e personaggi dandogli una dimensione "altra" quasi onirica. Sarà l'uso di colonne sonore in parte simili, sarà quella voce fuori campo così importante e sentenziosa, sarà questa atmosfera onirica, ma a me in alcune parti, lo ripeto, Marcello mi è sembrato un Sorrentino senza ego e senza macchina cinema, un suo abbozzo, un suo distillato, quasi uno story board del cinema grande e incontinente del maestro napoletano.
Ma oltre Genova, oltre il montaggio, oltre questa atmosfera umana e "mitica" allo stesso tempo, La Bocca del Lupo racconta più che altro una storia d'amore d'altri tempi, d'altri luoghi e d'altri modi, la storia d'amore tra un lui violento e geloso ma che si commuove vedendo Bambi ed una lei/lui di una sensibilità pazzesca, di una bontà d'animo e umiltà da farci sentire piccoli piccoli.

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Una coppia impossibile che ha reso possibile una storia impossibile dai tempi impossibili.
E un solo sogno, una casa in campagna dove poter stare coi propri cani e con sè stessi, nessun altro.
E quella casa sarà, una casa spoglia, un giardino incolto, un piccolo fuoco, un cane che ti salta in braccio.
Piccole istantanee di una felicità.
E poi si torna a Genova e ai suoi filmati.
E la storia finisce

20.1.17

Recensione "Le Conseguenze dell'Amore" - Scritti da Voi - 97 - di Antonio Niola

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Torna dopo parecchi mesi l'amico e lettore del blog Antonio Niola.
Ci parla di quello che, probabilmente, è ancora considerato il capolavoro di Sorrentino o, quanto meno, l'unico suo film quasi del tutto esente da critiche.
Per anni avevo pensato di rivederlo e scriverne (lo amo moltissimo), Antonio mi ha tolto il pensiero e l'impiccio ;)

Film del 2004, regia di un ispirato Sorrentino e attore principale un maestoso Servillo.
Di solito non amo iniziare da date e nomi, in questo caso lo faccio perché è così che la voglia di rivederlo mi è venuta.
Infatti il film lo avevo già visto ma senza coscienza, diversi anni fa girando tra i canali mi ritrovai di fronte a questa maschera, inespressiva eppure così profonda, portata in scena da Toni Servillo.
Rimasi istantaneamente incollato al televisore, del film non sapevo nulla: era già iniziato, non ne conoscevo il regista, Servillo mi era nuovo, ne ignoravo il titolo.
Eppure Titta Di Girolamo (il personaggio di Servillo) è sempre rimasto lì, dentro di me, indimenticato ed indimenticabile.
Oggi scorro tra i titoli di on demand e leggo "Sorrentino-Servillo-2004", tre elementi che da soli già catturano la mia attenzione e fanno sorgere il sospetto di qualcosa di già conosciuto.
Poi appare la copertina...appare lui, Il dott. Titta, l'indimenticabile...è proprio il film che da anni fa capolino tra i miei ricordi.
Non c'è dubbio. Devo rivederlo.


Toni Servillo interpreta il Dott. Titta Di Girolamo, protagonista di questa pellicola.  Comprimario del film è però un luogo, non una persona, ovvero l'albergo nel quale si svolge quasi l'intera vicenda.

18.1.17

Recensione: "Silence"

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al cinema (2)

Un grandissimo film, capace per tutta la sua durata di portare lo spettatore a continue e sempre più difficili e combattute riflessioni.
Un film probabilmente profondamente cristiano ma che sa fa venir fuori tutte le contraddizioni, i dubbi, i conflitti e le ipocrisie di quella cosa così grande e pazza chiamata Fede

Ammetto che avevo un pò di timore ad andare in sala a vedermi Silence.
Il fatto è che io sono un talebano e ho delle mie regole ferree, indistruttibili.
E quella principale è non leggere nulla del film che andrò a vedere. E non mi riferisco solo a recensioni, commenti o critiche ma anche a semplici informazioni utili.
Voglio essere tabula rasa sia nella visione che nella scrittura.
Ecco quindi che ignorante come una capra come sono su certi argomenti (tutti quelli che tratta Silence) ero convinto di non poter essere in grado nè di vederlo nè di parlarne poi.
E invece mi sono ritrovato davanti un film splendido che alla fine se ne può fregare del contesto storico, politico e religioso del mondo che racconta.
Perchè questo è un film che trascende tutto, che parla dell'Uomo, della Fede e di mille altre cose usando quel contesto "solo" come sfondo.
Certo, nelle vicende narrate è importantissimo sapere quello che accadeva nel Giappone della prima metà del 600, delle persecuzioni, torture e caccia a quei cristiani che provavano, da decenni, ad evangelizzare quella "nuova" terra. sradicandola all'egemone religione buddista.


Ma questo contesto è ben spiegato nel film e non servono tante conoscenze in più per poter godere appieno di questa grande opera.
Ecco, ho scritto "grande opera".
E ci tengo, in tal senso, a dire due cose su quello che per me è un paradosso.
Scorsese è sempre considerato come uno di quei registi del tanto e troppo, della magniloquenza, della grandiosità, dell'esagerazione, un formidabile autista della macchina cinema.

15.1.17

Il Collezionista, il grande cinema da vedere e portare a casa (4): La Vita è Meravigliosa, Ti amerò sempre, Io sono Li




Ed eccoci finalmente arrivati alla quarta puntata della rubrica di Daniele.
Pescando nella sua incredibile collezione di dvd questa volta ci parla di un immortale capolavoro del cinema americano, La vita è meravigliosa, dell'esordio alla regia dello scrittore francese Philippe Claudel e di un piccolo ma molto stimato film italiano, Io sono Li

LA VITA E' MERAVIGLIOSA

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Classico capolavoro assoluto di uno dei grandi maestri e icone del cinema americano che corrisponde al nome di Frank Capra. Un evergreen che anche con il passare degli anni (è del 1947!) non perde un grammo del suo smalto, con uno stile e una profondità di contenuto che dovrebbe portare tutti alla visione, cinefili e non. Clarence, un angelo di seconda classe, pasticcione, per conquistare le ali deve salvare la vita a George Bailey che, dopo una vita spesa per gli altri, sta per suicidarsi a causa della bancarotta della propria Società di Mutui e Prestiti, fondata da suo padre per aiutare le persone disagiate. Le vicissitudini di  George sono raccontate in flashback, dall'infanzia fino all'arrivo di Clarence che, per dissuaderlo dal tragico proposito, gli mostrerà un mondo alternativo orrorifico, in cui lui non esiste, tutte le persone che ha aiutato sono in disgrazia e la società che lui ha contribuito a migliorare è un inferno. Capra è uno dei padri fondatori del cinema americano, ha saputo rivoluzionare le favole contestualizzandole nella società rendendole immortali, come questa opera che rimane nell'olimpo di Hollywood. Perfetta tra l'altro da vedere in questo periodo di feste natalizie appena concluse.

Etichetta: DNA
Supporto: Blu-Ray
Formato Video: 1,33:1 1080p
Formato Audio: 2.0 Mono Dolby Digital: Italiano Inglese
Sottotitoli: Italiano NU
Extra: Memorie personali di Frank Capra Jr., L'ultima intervista a Frank Capra.

Commento: Edizioni buona per una pellicola del 1946, Video discreto, audio sufficiente anche se migliorabile, negli extra interessante l'ultima intervista a Frank Capra.

TI AMERO' SEMPRE

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Dopo 15 anni di reclusione per aver ucciso suo figlio, Juliette esce di carcere e viene accolta in casa da sua sorella Lèa, che vive con due figlie piccole adottive, suo marito e il cognato che ha perso la parola. 
Il reinserimento nella società non sarà facile. 
L'opera prima come regista di Philippe Claudel, scrittore di successo, è un esordio coraggioso ed intenso, basato su un tema -quello del reinserimento nella società dopo il carcere- per nulla facile e di solito soggetto a patetismi e ad alto rischio di retorica.
 Il coraggio viene però premiato perchè ne esce un film esempio di drammaticità unico. Insieme ad atmosfere rarefatte e bergmaniane il ritmo al quale assistiamo è lento ma non noioso, funzionale alla storia che va in parallelo al lento reinserimento di Juliette, ripudiata da tutti e mal vista dalla società. Altra nota di merito è la presenza e la bravura di una Kristin Scott-Thomas perfetta nel ruolo, il suo viso scavato e svuotato vale più di mille parole, parole che, in effetti, spesso infatti non sono presenti, come se la protagonista avesse eretto un muro intorno a se che nessuno può frantumare. Col tempo però, mattone dopo mattone, il muro viene divelto, grazie anche a molti personaggi comprimari che faranno riflettere Juliette, oltre alla famiglia di sua sorella e a sua sorella stessa, tutte persone che riusciranno a reinserirla non solo nella società ma anche a reintegrarla psicologicamente in una realtà della quale lei era completamente avulsa. Il finale poi della pellicola cambia completamente il tono della stessa elevando il tutto ad un'opera più che riuscita di uno scrittore che sa come si fa il lavoro di raccontare storie che toccano la sensibilità di ognuno di noi.

Etichetta: Dolmen
Supporto: DVD
Formato Video: 1,85:1 Anamorfico
Formato Audio: 2.0 Stereo Dolby Digital: Italiano Francese - 5.1 Dolby Digital: Italiano Francese
Sottotitoli: Italiano
Extra: Trailer, Spot, Intervista al regista, Scene tagliate con commento regista

Commento: Video più che sufficiente, audio discreto, extra discreto dove troviamo un'ora di intervista al regista, spot, trailer, scene tagliate.

IO SONO LI

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Shun Li (Zhao Tao) lavoro in un laboratorio tessile nella periferia di Roma.
 Venuta dalla Cina ha lo scopo di pagare un debito e ottenere i documenti per far venire in Italia suo figlio rimasto in patria. Un giorno viene trasferita a lavorare in un'osteria a Chioggia, una città-isola della laguna veneta, dove cercherà di adattarsi al posto, alla lingua e al dialetto, ma con non poche difficoltà nei confronti degli abitanti del luogo ad eccezione di Bepi (Rade Sherbedgia), slavo di origine, che vive da 30 anni in Italia, poeta pescatore. Al suo esordio nel cinema di finzione Andrea Segre (all'attivo molti documentari) sceglie un tema delicato come l'immigrazione e la difficoltà di integrarsi nel nostro paese, e lo fa in modo sincero e molto intimo, raccontando la storia e la quotidianità di una comunità, come quella di Chioggia, immersa d'acqua, formata da pescatori e lavoratori umili. Con quel tocco documentaristico, senza essere invadente, Segre delinea con sguardi e poche parole una storia di integrazione con tutte le difficoltà che comporta, preconcetti e diffidenze di un paese che ha radici malate e poco incline al cambiamento. Probabilmente in terra straniera l'unica persona che può capire uno straniero fino in fondo è un'altra straniero, come lo è Bepi, slavo venuto in Italia 30 anni fa, l'unico che realmente comprende le difficoltà di Shun Li e veramente l'unico che riesce a starle accanto, probabilmente rivedendo sè stesso nella cinese. Ma nel film non solo l'italiano vede di malocchio lo straniero, anche la comunità cinese che offre lavoro a Shun Li ha delle perplessità nei confronti degli italiani, fino al punto di arrivare a proibire i rapporti interpersonali tra la cinese e il pescatore/poeta Bepi. Una storia toccante, che mette in luce molti aspetti dell'essere umano, il bigottismo e l'incapacità di vedere oltre la differenza razziale e la paura di essere sopraffatti dal "diverso".
 In questo sono bravi sia la protagonista ma anche soprattutto Rade Sherbedgia, che fornisce un'interpretazione intima e sofferta, sensibile e calamita, oltre ai bravi comprimari come Giuseppe Battiston, Roberto Citran e Marco Paolini. Tecnicamente da sottolineare la fotografia di Luca Bigazzi, sempre all'altezza, che rappresenta il luogo in modo esemplare, con il porto, l'acqua, le barche e l'atmosfera del mare. Una pellicola che è lontana dall'essere un capolavoro, che ha delle pecche, che a tratti cade nel didascalismo, ma è un'opera molto intima, che esalta le piccole cose, che va a sondare l'animo più sensibile fino a scavare nel profondo con poesia e lirismo. Una storia quotidiana di amicizia, compassione, amore, una storia di nostalgia e di quanto due anime solitarie possano fare l'una per l'altra, molto più di un paese intero.

Etichetta: 01 Distribution
Supporto: DVD
Formato Video: 2,35:1 Anamorfico
Formato Audio: 5.1 Dolby Digital: Italiano
Sottotitoli: Italiano
Extra: Assenti

Commento: Video discreto con buoni colori, audio più che sufficiente, extra assenti.

14.1.17

Recensione: "Shine"

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Dopo 20 anni vedo finalmente Shine, un film di cui tutti mi parlavano.
Francamente, mi aspettavo di meglio.
Biografico troppo prevedibile, troppo confezionato, privo di sporcizia e asciuttezza, Shine è comunque un bel film, ma figlio di certi meccanismi con i quali io faccio sempre una tremenda fatica.
Un Rush in un personaggio un pò stereotipato e sopra le righe, ma sempre grande

Da tempo incalcolabile, probabilmente dalla sua uscita, 20 anni fa, il nome di Shine mi è stato sbattuto contro non so quante volte.
Nella vita normale, in videoteca, in rete, questo era uno di quei grandi cult che, per vari motivi, non ero riuscito mai a vedermi.
Lo passavano oggi in tv, finito appena un'ora fa, e ho deciso, finalmente, di colmare questa lacuna.
In realtà se prima del film mi fossi soffermato sulla filmografia di Hicks avrei capito che questo qua non era un tipo di cinema nelle mie corde.

La Neve cade sui cedri
Sapori e Dissapori
Ragazzi miei
Le parole che non ti ho detto

ecco, leggendo i titoli avrei capito sin da subito che tipo di approccio stilistico e contenutistico poteva avere questo regista.