29.7.22

"Class Enemy /Ultima Notte a Soho /Chernobyl" - A luci accese (divagazioni illuminate) - 1 - di Nicola C.




 Proprio nel momento più "fermo" del blog (ma si spera in una grande ripresa) ecco che forse una nuova rubrica esterna può arrivare a dare slancio.
Nicola è un lettore/commentatore del blog.
I suoi commenti sono sempre bellissimi, interessanti, stimolanti.
Gli ho detto che sarebbe stato bello fare il passo successivo, ovvero non limitarsi a stare lì in fondo, nei commenti, ma, magari, creare una rubrica "emersa".
Ha accettato, ed eccoci qua alla prima puntata.
Troverete sempre pensieri su 2/3 film, sono sicuro davvero interessanti per molti di voi.
Vi lascio alla sua presentazione della rubrica e poi ai suoi primi 3 film.
E approfitto per scusarmi con Roberto ed Enrico (i due amici che hanno ancora rubriche super aperte qua) per il mio ritardo nel pubblicare i loro nuovi pezzi ;)
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"A luci accese" e' uno spazio che raccoglie i momenti in cui, cessata la penombra della visione, torna a illuminarsi la sala e siamo noi a essere nuovamente proiettati al mondo, restituiti ai lumi della dimensione razionale, a quanto nostro malgrado ci porterá a riflettere su quel sogno cullato qualche ora in chiaroscuro. Nulla sara' esattamente come prima, e' stato per sempre aggiunto qualcosa al nostro sguardo sulle cose e alla sua inevitabile condivisione.

N° 1 CLASS ENEMY - LA SCUOLA DELL'ISOLAMENTO


Class enemy di Rok Biček è il miglior film che abbia visto sul tema “scuola”; insieme a Non uno di meno di Zhang Yimou esprime il meglio sull’universalità dell’insegnamento, quale momento chiave della continuità dell’ “essere umano”. Nella pellicola cinese ne vengono percorsi in crescendo i valori positivi, qui invece troviamo tutto quanto li opprime nel nostro mondo e, riguardandoci così da vicino, rimane una pellicola di cui a maggior ragione far tesoro. Ciò che mi pare si imponga all’attenzione (a monte di qualunque lettura) è l’incomunicabilità quale ratio di un sistema, in un insieme sovraordinato di relazioni che talvolta trascende persino le intenzioni dei suoi attori nella propria incapacità di vedere oltre quelle; e il primo effetto (e anche il più grave)  è il fallimento delle possibilità del protagonista “prof”, che diversamente avrebbero tutto per essere elevate ad arte. La profondità della persona (che pur apprezziamo cristallina) mostra di fatto la sua impotenza di fronte all’apparato scuola – rimanendo ingessata nel proprio ruolo – e uscirà sconfitta proprio dal rapporto con i ragazzi. Interessante è capire le origini di questo fallimento, che personalmente rintraccio nel non aver compreso che la prima relazione efficace è il proprio rapporto con l’insegnamento stesso, nella consapevolezza che nulla viene prima dell’incontro quotidiano con ogni singolo studente. E non può che essere un momento creativo perché ogni volta nulla può essere omologato a quanto già vissuto. Egli invece non solo quel momento irreggimenta (e quindi omologa) ma fa del suo patrimonio umano e intellettuale un bagaglio retorico da impartire con altero distacco, piuttosto che da condividere accogliendo le diffidenze che deve affrontare; a noi appare sempre incapace di vedersi negli occhi o nei gesti di quell’adolescenza che, nell’atto di insegnare, diventa semplicemente parte di sé.

L’atteggiamento del docente sempre contribuisce a strutturare quello dell’istituzione in cui agisce e con esso quello dei suoi discenti, ma fuori da questo percorso l’impermeabilità alza barriere che si impongono in controcampo. Già la semplice distanza da egli imposta - con una tempestività che anticipa in sé gran parte dei contenuti  –  suscita nei ragazzi soltanto ostilità verso chi avrebbe avuto invece molto da dire su ciascuno di loro; ma – con tali premesse - ciò non provoca la minima scintilla, nessuna benevola o impertinente curiosità: regna un clima nel migliore dei casi di anaffettiva diffidenza.


Gli studenti – da canto loro - non posseggono alcuna attitudine all’altro da sé fosse anche da irridere, ma intanto da accogliere nella sua genuina rivelazione. Conta invece l’aspettativa di venir assecondati alle proprie condizioni (così come l’istituzione stessa ha stabilito), su una strada che si pretende sempre e comunque in discesa avendo perso il gusto di ammirare il paesaggio dalla cima del pendio, forse perché il “sistema” ha già tradito quella promessa a partire da se stesso. Ma il sistema qui è tutti loro, anche l’insegnante colpevole di mancare proprio di questa consapevolezza e cavalcarla (che è materia sua). La classe raccontata da Biček non si cimenta neanche davvero nello scontro (che sarebbe tale solo alla luce di un confronto realmente vissuto) ma piuttosto nella difesa a oltranza delle rassicurazioni (elevate a status di diritto) elargite a proprio favore da una scuola in apparenza strutturata per esigere ma sempre ammiccante all’indulgenza (estremi dello stesso rovinoso equivoco). E’ un mondo adulto che in fondo vuol sentirsi per primo al sicuro, cristallizzando i propri paradigmi per mettersi al riparo dal futuro; quel mondo al quale noi tutti per altro abbiamo imparato piuttosto ad abituarci (diversamente declinato anche nella nostra esperienza): omologato dal puntiglio prolisso e formale della norma, in cui si omologano persone e scopi; mentre il cuore della sua missione è ridotto a ragioneria del profitto e burocrazia didattica all’insegna del dovere, che è coazione all’apprendimento e mortificazione della curiosità (sempre motore della conoscenza). Ogni atto è finalizzato alla mera sopravvivenza dell’apparato scuola, disinteressato e comunque impreparato a spingersi oltre se stesso. In questo scenario l’impotenza elevata ad atto estremo, il suicidio di un’alunna che paga (anche) quest’ennesimo abbandono, è quel momento di rottura che pone gli uni di fronte agli altri elementi sostanzialmente ripiegati su sé stessi (il “sistema”, il prof e la classe), svelandone le contraddizioni una volta rimossa la coltre di conformismo che le nascondeva o peggio che le facesse sembrare normali parti del gioco; che è una critica forse più ampia e rivelatrice di un modello di umanità di cui la scuola è modello in erba e che retroalimenta la propria crisi anche laddove ci sarebbero le risorse (se non per uscirne facilmente) almeno per affrontarla. 


Un appello volutamente crudo in cui si individuano molte assenze e troppi discorsi colmi di silenzio. Ogni elemento in sé positivo (il rigore intellettuale del prof, la “migliore amica” quale immagine genuina del candore adolescente e la direttrice dell’Istituto armata a modo suo delle migliori intenzioni) rimane chiuso nel suo isolamento e destinato a dissolversi senza lasciar traccia; quell’assenza di volto in locandina che è sintesi dell’intera vicenda, quando alle maschere è affidata l’espressione più audace della protesta.


N°2: ULTIMA NOTTE A SOHO (E BARTON FINK) –  LA GESTAZIONE GROTTESCA DELL’AMBIZIONE



Ultima notte a Soho è un film che ho visto dopo aver ammirato Anya Taylor-Joy nella Regina degli scacchi e, al contempo, attratto dalla recensione di Giuseppe sul Blog che mi serviva su un vassoio d’argento quest’occasione. E anche a titolo di gratitudine volevo (per quel che vale) agganciarmi alla perplessità che ho rilevato (perché dopo il film, è quella che mi ha colpito) per un finale che disinnesca i piani raffinatamente visionari del racconto per virare – diciamo così – su ritmi sorprendentemente dissonanti: si passa da un’avvolgente armonia classica alle distorsioni del metal senza neanche cambiar spartito.

27.7.22

Recensione: "Veleno" - Le Serie tv de Il Buio in Sala - Su Prime

 

A fine anni 90 in due paesini emiliani scoppiò il caso dei "Diavoli della Bassa Modenese".
Abusi in famiglia, messe nere, omicidi rituali.
Tutto questo raccontato da dei bimbi presi da famiglie in grossa difficoltà economica.
Decine di persone arrestate, 16 bambini portati via ai loro genitori, una vicenda terribile, inumana, vergognosa, che solo tanto tempo dopo ha rivelato la sua verità, peraltro palese.
Tutto, o quasi tutti, era stato inventato. Assistenti sociali e inquirenti senza scrupoli che, senza uno straccio di prova, hanno ucciso o fatto uccidere (in alcuni casi non solo metaforicamente)  tante famiglie che avevano solo la colpa di vivere un grande degrado.
Pablo Trincia ho ha voluto portare allo scoperto questa incredibile e vergognosa pagina di storia italiania.
Lo ha fatto nello splendido podcast Veleno.
Da qui questa bellissima miniserie tv.
Che vi farà incazzare.
Che vi farà piangere.
Che vi farà pensare.

Più di un mese dall'ultima recensione.
E 14 giorni da quando ho visto questa splendida miniserie. Ero gasato, emozionato, pieno di cose in testa, convinto che c'avrei scritto tantissimo sopra.
Poi, però, oltre al mood davvero basso per quello che mi è successo in famiglia, si è aggiunto un covid davvero pesantissimo.
E l'umore è andato ancora più in basso.
E' il momento di reagire e ricominciare.
Peccato scrivere solo adesso di una cosa così complessa come Veleno.
Perchè oltre al rischio di scrivere meno della metà di quello che avrei scritto potrei anche commettere errori, essere impreciso.
Mi scuso preventivamente per questo, non solo coi lettori, ma anche con le persone eventualmente interessate alla vicenda.

Veleno è una miniserie di Amazon Prime "figlia" di un podcast omonimo andato in onda  - in 8 puntate - negli anni precedenti.
Il podcast è di Pablo Trincia, ex Le Iene.
E' un'inchiesta su un oscuro, terribile e doloroso fatto di nera italiana, ovvero la vicenda dei Diavoli della Bassa Modenese, questo il nome che venne dato ad un manipolo di persone accusate di uno dei più terribili dei crimini, ovvero quello di tremendi abusi verso i propri figli.
L'appellativo "Diavoli", in realtà, non fu casuale, riguardava accuse ancora più pesanti e specifiche.
Messe nere, sacrifici, bambini uccisi da altri bambini, violenze sessuali nei cimiteri.
Di tutto e di più.
Una vicenda incredibile che, in realtà, nasconde una vergognosa pagina italiana.




Emozione, rabbia, dolore, profonde riflessioni.
Durante le 5 puntate della miniserie non c'è stato un solo momento in cui non mi sono sentito profondamente coinvolto.
Quello degli abusi ai minori è un argomento che mi ha sempre interessato molto.
Se poi, come in questo caso, è associato al tema della manipolazione mentale ancora di più.

Alla fine degli anni 90, nella bassa modenese, precisamente nei paesi di Mirandola e Massa Finalese, fu scoperchiato un tremendo vaso di Pandora.
Più famiglie si ritrovarono accusate di abusi contro i propri figli, messe nere sataniche con tanto di sacrifici e altre terribili cose.
Tutto è partito dal disagio di un bambino ("il bambino 0" come si dice in questi casi), figlio di una famiglia con gravissimi problemi finanziari, "adottato" dai vicini di casa, costretto a raccontare cose terribili che poi, tra un'accusa e l'altra, porteranno al coinvolgimento di sempre più bambini, di sempre più famiglie.
Tutto "per colpa" degli assistenti sociali, in particolare quello di Valeria Donati (di cui, ahimè, dovrò dire quel che penso), probabilmente donna in buona fede ma con evidenti problemi d'esperienza nel campo e, se posso permettermi, personali.
Vero, la situazione del bambino 0 era di forte degrado.
Famiglia poverissima, al limite della sopravvivenza.
Probabilmente anche anaffettività, vero.
Probabilmente anche qualche esperienza traumatizzante (ma quanti bambini ne hanno avute?).
Fatto sta che quel bambino ha dei problemi e che la Donati si convince che ci siano state delle molestie. Da lì partirà uno tsunami incredibile che travolgerà tutto e tutti.

Degrado, ecco, forse la parola che meglio racconta Veleno è questa.
Degrado morale, degrado fisico, degrado strutturale, degrado statale.
Una storia di persone poverissime uccise dalle istituzioni.
Tutto viene raccontato nella serie in più modi, sostanzialmente tre.
Attraverso degli agghiaccianti filmati dell'epoca, specie quelli delle registrazioni degli "interrogatori" (colloqui) ai bambini.
Delle ricostruzioni di fiction (quelle tipiche dei docufilm per capirsi) che raccontano - tramite attori - come andarono le vicende al tempo, sia quelle reali (come ad esempio le perquisizioni) che quelle immaginarie (come i racconti delle messe nere).
E poi l'oggi, ovvero l'inchiesta fatta da Trincia e dalla sua collega Rafanelli.

Se devo trovare un piccolo difetto a Veleno è solo in questa parte.
Trincia mostra sì cose che ha fatto realmente (le indagini, lo studio del materiale, i contatti e gli incontri coi protagonisti) ma, non avendo filmati di tutti quei momenti, li "reinterpreta" adesso.
Una piccola opera di finzione che avrei evitato.
Vero che dà ritmo alla serie, vero che "vedere" le cose che una voce solo può raccontare è sempre preferibile, ma immaginarsi Trincia che "rifà sè stesso" un pochino fa storcere il naso.

Madonna, mi accorgo adesso che pur ricordandomi poco della visione le cose da dire sono un'infinità, e non ho nemmeno cominciato (meno male il block notes...).
E siccome non ho ormai la forza mentale per fare un discorso ampio e strutturato credo che l'unico modo per scrivere questo post siano delle considerazioni sparse

- I filmati degli incontri coi bambini fanno veramente male. Sarà la grana dell'immagine, sarà aver visto qualche film sull'argomento, sarà quell'atmosfera da found footage ma, davvero, sembra quasi di ritrovarsi in un film del terrore. Ma, immagini e contesto a parte, fa veramente specie e sconcerto il contenuto degli incontri.
Qualsiasi persona senziente, oggettiva e in buonafede avrebbe capito che quelle dichiarazioni non fossero spontanee nè veritiere.
Quando un bambino di 6-7 anni ti dice che "uccideva altri 5 bambini a settimana" hai la prova provata di come quel povero ragazzino sia ormai entrato in un mondo immaginario di mostri completamente inventato. E' incredibile come delle dichiarazioni così dolorosamente fantozziane abbiano potuto portare all'arresto e alla rovina di decine di persone




- Veleno ha il merito di porre l'attenzione in un mondo che, diavoli inventati a parte, è purtroppo diffusissimo e quasi sempre nascosto. Mi riferisco a quello della povertà, etica, morale o monetaria, di tantissime famiglie italiane. A quanti bambini crescano senza agi, con poco affetto e in situazioni di grande indigenza. Bambini magari insospettabili di famiglie insospettabili. Sono migliaia, milioni. 
Ma queste povere famiglie raccontate in Veleno, oltre a tutti i problemi che già avevano, sono state pugnalate ovunque, nell'affetto, nella dignità, nella speranza. Vedere questi genitori adesso 40enni/50enni, vedere i loro occhi, ti mette una grandissima tristezza. E forse la sensazione più forte che ti lascia questa miniserie è che c'erano persone meravigliose considerate invece dei mostri e persone considerate meravigliose per quello che stavano facendo comportarsi invece in modo mostruoso.
Sì, i mostri, semmai, erano dalla parte dei presunti buoni

- Questa vicenda non ha solo seminato dolore, rabbia, ingiustizia.
Ma ha portato via più d'una vita.
Quella splendida madre suicida per aver perso la figlia ti distrugge.
L'ha cresciuta da sola, era un tutt'uno con lei, una viveva per l'altra.
E quei farabutti si sono permessi di portargliela via, senza un grammo di prova.
Capisco il suo dolore, capisco il suo suicidio.
Fa male, tanto
Non parliamo del parroco, un parroco amato da tutti, anticonformista, buono, intraprendente.
Anche lui, dal nulla, accusato di cose che definirle ridicole è poco.
Un intero paese a difenderlo, nessuno che crede a quelle voci.
Nemmeno questo basta, anche senza una prova, anche con centinaia di persone che testimoniano il contrario, basta un racconto messo in bocca a un bambino per far di quel prete un mostro.
Anche lui pagherà con la vita tutto questo.
E poi ancora un altro brav'uomo, anche lui morto di infarto per le accuse infamanti.
E' vero, tutti i protagonisti di Veleno in qualche modo sono stati uccisi.
Alcuni, però, non solo metaforicamente

9.7.22

Al mio babbo, agli imbecilli e alla vita puttana

 

Il mio amato babbo se ne è andato.
Scrivo questo post intorno ai miei amici, a casa mia, col babbo in mezzo tra noi.
Sembrerà inopportuno ma questo è il momento per scrivere, queste ultime ore insieme a lui e con amici fantastici, non avrei un'altra occasione e non me ne frega niente di quello che pensa la gente.
Il mio babbo è morto per un tumore al polmone.
Una coincidenza incredibile!
Sì perchè da 40 anni gli dicevo che sarebbe morto così, e incredibilmente c'ho preso.
Ma la realtà è un'altra.
Mio padre fumava da 60 anni milioni di sigarette.
Un imbecille.
Era ovvio finisse così.
Perchè chi fuma così tanto è un imbecille.
Imbecille perchè si uccide lentamente, perchè mette la sua vita in mano alla sorte.
Ma non imbecille per questo, perchè tutti abbiamo delle dipendenze.
Imbecille perchè fumare sigarette non serve a NIENTE, se non a uccidersi.
E' un gesto bruttissimo da vedere (non siamo più dentro ai film americani degli anni 50), puzzate sia dentro che fuori, non vi serve a nulla e in più vi uccidete.
E siete talmente imbecilli che mi dite "Mia zia ha 95 anni e fuma da 80. E sta benissimo"
O altre cazzate così.
Ridicoli.
Prendete per esempio chi non si è ammalato e dite che il fumo non fa male, se deve succedere succede.
No, fumando migliaia di sigarette vi state mettendo in una fune con sotto un abisso.
E stigrancazzi se in fondo alla fune ci arrivano in tanti, e anche sani.
Perchè salirci?
Perchè aumentare di decine di volte il rischio di morire in un modo così inumano, terribile e devastante come il babbo?
Ma perchè piuttosto non vi drogate pesante, eroina, cocaina.
Almeno tutto avrebbe un senso, la disperazione e lo sballo che sia.
O perchè non vi alcoolizzate?
Almeno anche qua un senso ci sarebbe, il gusto della birra, del superalcoolico, del vino.
O la disperazione, anche qua.
Ma fumando vi uccidete per nulla, per un vizio subdolo, inutile, che vi rilassa, che fate per status quo. Per una dipendenza da una cosa con un sapore terribile che decide di preferire alla vostra vita.
Porca puttana non vi capirò mai, morite di continuo per una cosa così imbecille.
E la rabbia, e il dolore che ho addosso adesso col mi babbo qui freddo vicino a me è troppo forte, e ste cose devo dirle.

Babbo, abbiamo litigato così tante volte.
Così tante volte mi hai fatto sentire inadatto a fare le cose, anche le più sceme.
Per questo errore comune dei genitori che pensano di far bene il loro ruolo se ti dicono come fare le cose, facendoti sentire sempre sbagliato te a farle.
Non è questo fare il genitore.
O il tuo essere tremendamente antisportivo.
O il tuo voler sempre cercare di fregare le compagnie telefoniche o televisive, la tua furbizia.
Tanti difetti, che ho sempre odiato.
Sembravi arrogante a volte ma in realtà eri una persona profondamente insicura di sè, umile, consapevole di alcune sue mancanze, culturali o genitoriali.
Perchè, diciamocelo, non hai potuto fare del tutto il padre, eri quasi usurpato.
E chissà quanto t'ha fatto male sta cosa babbo.
Eppure hai cresciuto insieme a quell'altro essere umano assurdo che è la mamma quattro figli profondamente buoni, stimati quasi da tutti.
E la nostra casa, la tua casa, è diventata la casa di tutto il paese.
Ho sempre temuto che te ne saresti andato e io non avrei fatto in tempo a dirti quanto ti voglio bene.
E invece sta notizia del tumore ci ha fatto vivere dei mesi bellissimi, spesso insieme, a mangiare, a scherzare, ad abbracciarci continuamente.
Abbiamo fatto in tempo a dimostrarci tutto quello che non avevamo mai avuto il coraggio di fare.
Fino a questi ultimi devastanti ultimi 10 giorni.
Devastanti.
Potrei scrivere cose fortissime che ho vissuto con te in ospedale ma questo è un post di rabbia verso chi fuma e di ricordo di te, non voglio dare un peso così grande a chi legge.
Perchè se dicessi alcune cose sono convinto che tutta la gente sensibilissima che legge qua dentro si farebbe male.
E allora le tengo per me.
Sono intime, eppure gigantesche.
Il gigantesco è spesso nell'intimo.
Le due cose più gigantesche che ho vissuto sono state in un ospedale.
La nascita della mia Ginevra, un momento assoluto, perfetto, sovrumano che mi ha annichilito.
E ora questi 10 giorni con te.
Ospedale e ospedale.
La nascita della vita e il lento accompagnamento, cosciente e inesorabile, alla morte.
Ma del resto come possono esserci cose più gigantesche della vita e della morte?
Sti 10 giorni non me li toglierò mai dalla testa, quei 4-5 momenti che abbiamo vissuto (e che hai vissuto probabilmente insieme ai miei splendidi fratelli) non se ne andranno più via.
Non mi faranno dormire la notte.
Ma questo accompagnamento alla morte è la cosa più colma di vita che ho mai vissuto, quella che più me ne ha fatto capire la grandezza.
E chiudo questo post di dolore e rabbia mentre nel frattempo qualche amico se ne è andato via.
Un abbraccio, un "Peppe, che scrivi?", e via.
Domani sarà il primo giorno senza di te.
Sopravvivremo, assolutamente.
E visto quello che stavi vivendo questi giorni saremo anche sollevati.
E ora andrò a letto senza probabilmente avere il coraggio di riguardarti ancora, volgendo lo sguardo altrove.
E sai babbo, se 10, 100, 1000 o 10000 persone leggeranno queste righe, e se solo una smetterà di fumare per questo, ecco, è merito tuo.
Un imbecille in meno, una persona in più che ha possibilità di non finire come sei finito tu.
Tu che hai avuto un comportamento perfetto quando hai saputo cosa ti ha colpito. Hai pianto, ti sei disperato, ma lo hai accettato, con una dignità e una onestà intellettuale straordinaria.
Che tutti dovrebbero copiarti.
Ti voglio bene.