29.4.11

Recensione: "Oltre le Regole" (The Messenger)



E' veramente strano. Chi mi ha letto anche soltanto una volta sa che cado spesso, forse anche troppo spesso, nelle debolezze delle emozioni suscitate dai film che vedo. A volte forse mi faccio anche "fregare" dalla pellicola, ipnotizzare dalla sua retorica.
In Oltre le regole invece, un film che aveva tutte le caratteristiche per essere una vera bomba emotiva non solo nello script, ma addirittura nello stesso soggetto, non ho provato quasi niente. Probabilmente non c'è spiegazione, è questione di empatia o no. Il film è buono, forse ottimo ed ha la grande qualità di raccontare la guerra da una prospettiva particolarissima, quella degli ufficiali dell'esercito Usa addetti a notificare ai parenti la scomparsa in guerra dei loro cari. E' normale che in una trama del genere la richiesta di forte coinvolgimento emotivo da parte dello spettatore sia quasi obbligatoria, in mancanza di questo qualcosa rimane, ma non troppo.
Will è a 3 mesi dal congedo, è un eroe di guerra che ha rischiato di perdere la vita per salvare i suoi compagni. Come ultimo impegno viene affidato a Tony (un sempre grande Harrelson) per svolgere il ruolo, appunto, di Messenger, addetto alla notificazione vittime. Si innamorerà di una delle vedove di guerra da lui "avvertite".
Sapete cos'è? Non sono riuscito affatto a provar simpatia per Will, il protagonista interpretato da Ben Foster. Ho trovato il suo tentativo di approccio ad Olivia (Samantha Morton, praticamente Jodie Foster ingrassata e un pò imbruttita) insopportabile, fintamente rispettoso. La scena nella cucina di Olivia mi ha dato terribilmente fastidio. Lei, appena perso il marito in guerra, non se la sente di iniziare una nuova storia, lui accetta e dice di capirla ma gli sta per 10 minuti con la bocca a 1 cm aspettando chissache. 

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Anche la scena del matrimonio l'ho trovata troppo forzata, quasi irreale e ancora fastidioso il comportamento di Will. Insomma, malgrado il regista mi abbia offerto tutte le carte per capire il profilo psicologico del protagonista, non ho mai trovato i suoi comportamenti plausibili, condivisibili, lineari. Eppure Will è senz'altro l'eroe della pellicola in tutto per tutto.
Per il resto film abbastanza verboso, troppe e troppo lunghe le parti di dialogo tra i due militari. Non mancano le scene riuscite (a mio parere quella della notifica con interprete su tutte) e sono senza dubbio forti le riflessioni a cui il film può portare. Nel cinema abbiamo sempre visto le morti in guerra, qui, fuori dal teatro bellico, possiamo apprezzare l'effetto devastante che la notizia di tali morti può suscitare in chi, vanamente, aspettava il ritorno a casa dei propri cari. Credo che sia davvero una vita frustrante, non saper nulla di quello che accade a tuo marito, a tuo figlio, e avere il terrore di vedersi presentare davanti casa due ufficiali dell'esercito. E' vero, il tutto è da mettere in conto, ma una cosa è temere per la morte di un proprio caro, un'altra, perdipiù attraverso un gelido discorso di circostanza, venirne a conoscenza.
Anche fosse solo per questo, il film merita una visione.

( voto 6,5 )

27.4.11

Recensione: "Skyline"


Pellicola autobiografica, Skyline nasce dalla reale vicenda che vide coinvolti 7 anni fa i 2 fratelli registi. Dopo una notte di bagordi furono risvegliati da un'intensissima luce blu, talmente bella e ipnotica che non poterono non andarle incontro. Vennero però risucchiati dalla luce e si ritrovarono dentro una specie di organismo-navicella aliena. All'interno, ai due ragazzi furono risucchiati i cervelli ma purtroppo gli alieni si dimenticarono di staccargli la testa e fecero l'ulteriore, grandissimo errore di rimetterli in libertà. La vicenda rimase top secret e solo ora, 7 anni dopo, i due fratelli decerebrati hanno avuto la licenza di raccontarla. La loro esperienza privata è diventata un vero attacco globale, ma per il resto si sono attenuti alla realtà. Il problema è che scrivere e girare un film senza aver con sè un minimo di materia grigia è impresa abbastanza ardua, il solo istinto non basta.
L'incipit è discreto, poi dopo l'apparizione del titolo non si salva più nulla...
Asssistiamo a 20 minuti di pellicola incredibili dove a distanza di pochi secondi l'una dall'altra accade che:
- i ragazzi confondono con l'alba una luce blu accompagnata da un rumore assordante
- vedono luci, navicelle e mostri che vengono giù dal cielo ma ancora non capiscono se sia qualcosa di tanto anormale
- decidono di uscire con tanto di pistola (a fare che????) quando restare nell'appartamento sarebbe stata di gran lunga la cosa più sicura. Eh, l'eroismo americano..., c'è un attacco alieno devastante all'intera città ma son convinti che con una pistola e 2 cazzotti si possa risolvere.
- Dopo 5 minuti (tutti in tempo reale) escono sul tetto del palazzo e si ritrovano in piena luce mattutina. Cinque minuti prima erano le 4 di notte.



Il resto del film è un assurdo survival in cui il gruppo di ragazzi cerca di scamparla a vari tipi di mostri alieni di varie dimensioni, mostri interessati, non si sa perchè, al cervello umano. E in mezzo ad altri errori pacchiani come porte di appartamenti di lusso che vengono giù con mezza spallata, vecchi all'interno del citato appartamento che senza motivo non rispondono, soggettive dal binocolo cinematografiche con tanto di 5,6 inquadrature diverse che vanno dal dettaglio al campo lungo, persone che vogliono fare saltare la stanza con l'accendino e il gas malgrado ci sia la vetrata di 5 metri completamente distrutta (tanto vale provarci all'aperto...), macchine schiacciate da godzilloni ma conducenti che escono completamente incolumi, in mezzo a tutto questo dicevo... non c'è altro. L'unica qualità che riconosco è l'aver realizzato un film indipendente che sembra un blockbuster, questo grazie alla precedente esperienza dei 2 registi con gli effetti visivi. Insomma, un pò la stessa storia di Blomkamp e del suo District 9. Tra l'altro il finale con il mostro che ha ancora sentimenti umani è praticamente identico. I fratelli Strause (cognome particolare perchè in perfetto equilibrio nel poter essere sia quello di un gerarca nazista che quello di un deportato ebreo) nelle interviste sono soddisfattissimi del prodotto, sono sicuri che sarà (sarebbe stato oramai) un suc(cesso) e lo esaltano in tutti i modi. Alieni, un favore, aridateglie er cervello, almeno se rendono conto pure loro.

( voto 4 )

25.4.11

Recensione: "Ember"


Il genere fantasy ha spesso un problema, quello di non riuscire a mantenere il livello delle opere da cui (quasi sempre) è tratto. Non parlo tanto di ambientazioni, mostri ed effetti mal realizzati, quanto dell'impossibilità di far entrare in meno di 2 ore di durata una miriade di personaggi e vicende. Non tutti possono permettersi vari episodi, certo non Ember. Il difetto quindi più grande del film è la disomogenità, la fretta in certi passaggi, la mancanza di informazioni che certamente l'opera letteraria di DuPrau doveva possedere.
Eppure la trama era veramente suggestiva. Il nostro mondo così come lo conosciamo era praticamente agli sgoccioli così dei padri fondatori (chi sono in realtà? boh!) decidono di far proseguire la specie umana costruendo una città nel sottosuolo illuminata soltanto grazie all'elettricità. Si pensa a una durata del "rifugio" di 200 anni, dopodichè il generatore di luce inizierebbe ad aver problemi. Già qua mancano informazioni (Perchè 200 anni? Cosa sperano che sia cambiato nella Terra tra 200 anni? Perchè non 150? Cos'è successo alla Terra di preciso? chi sono gli abitanti di Ember? i discendenti di tutti i sopravvissuti della Terra? Non scherziamo...), informazioni che non sono certo dovute, ma avrebbero reso molto più comprensibili alcune vicende successive. Insomma, dopo 200 anni gli abitanti di Ember avrebbero scoperto dentro una scatola costruita dai Padri Fondatori(apritasi appunto dopo 200 anni) una via d'uscita per tornare al mondo normale. Avrebbero, perchè in realtà la scatola fu persa...




"Fatti non foste per viver come bruti,ma per seguir virtute e canoscenza", l'indimenticabile frase dantesca pronunciata da Ulisse potrebbe essere considerata motore dell'intero film. Due ragazzini infatti (ed anche qui mancano moltissime informazioni, tipo "perchè solo loro due hanno tali pensieri?") sono convinti che fuori ci sia un altro mondo oltre Ember,considerata invece da tutti gli altri abitanti come le colonne d'Ercole della letteratura classica, ossia unico mondo conosciuto, niente al di fuori di essa. E' una situazione simile a The Village ma là la connivenza degli adulti era decisiva, qua veramente tutti (o quasi...) credono che oltre Ember non ci sia niente(come è possibile che non sappiano nulla della vita precedente? la tradizione orale è scomparsa? Anche qua avremmo voluto saperne di più).
Fantasy un pò sui generis, nessuna creatura mostruosa (o meglio una, il talpone, quasi insignificante), nessun Nemico Oscuro (se non un sindaco), niente di epico. Ember è quasi più un cyberpunk che un fantasy. Da rimarcare l'incredibile set (tutto vero, niente CGI, il più grande della storia del cinema secondo alcune fonti) e la prova della giovane attrice, per il resto tutto abbastanza prevedibile e senza sequenze particolari da rimarcare.
Non continuano a mancare errori o mancate spiegazioni come nella scena cult in cui i ragazzini (in fuga da delle guardie) trovano uno strano veicolo costruito anni prima dai propri genitori. 

Sembra la svolta del film, i ragazzi lo usano, percorrono un tunnel, pensiamo che usciranno finalmente da Ember, ma, nella scena successiva, si trovano nella piazza del paese in mezzo a una festa... Nè quindi quel ritrovamento è servito a nulla nè si capisce come siano accostate le 2 scene. O l'importanza che sembra essere data agli insetti giganti, alla fine completamente inutili. Mi fermerei qua, ma potrei andare molto oltre. Salvo comunque il film per la sua originalità di fondo e per la mia solita e incrollabile bontà.

( voto 6 )

22.4.11

Recensione: "Mean Creek"

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spoiler

Ed eccolo qua lo Stand By Me degli anni 2000.
Chiaramente ispirato al capolavoro di Rob Reiner, il piccolo film indipendente inglese Mean Creek riesce a raggiungere quasi lo stesso livello del capolavoro di Rob Reiner, tra l'altro uno dei pochi casi (insieme a Misery, Le Ali della libertà, Il Miglio Verde e pochissimi altri) di pellicole tratte da opere di Stephen King in cui la trasposizione cinematografica supera addirittura quella letteraria. Non è un caso che in tutti e 4 i titoli che ho citato non ci sia nemmeno un horror, genere preferito del Re, ma difficilissimo da portare con grandi risultati in celluloide. Si potrebbe citare Shining ma in quel caso lo script fu letteralmente stravolto. E poi era Kubrick...
Quello che stupisce di quest'opera prima è l'incredibile maturità dello script, assolutamente perfetto nell'analizzare dinamiche, comportamenti, emozioni di quel magico e al contempo pericolosissimo periodo che è l'adolescenza. Film di formazione se ce ne è uno, Mean Creek analizza come un intero gruppo di ragazzini possa veder condizionata la propria vita per colpa di una ragazzata finita male.
George è un bulletto sovrappeso. Un giorno, per futili motivi, picchia il piccolo e dolce Sam (interpretato dal fratello di Macaulay Culkin, davvero bravissimo come del resto straordinario è il livello di tutto il "piccolo" cast). Il fratello maggiore di Sam decide di vendicarsi. Organizza una gita in barca e invita, tra gli altri, George. L'idea iniziale è di umiliarlo ma la vicenda prenderà tutta un'altra direzione.

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Anche Stan By Me aveva al centro della sua vicenda un cadavere. Addirittura, Il Corpo (The Body) era il titolo della novella di King da cui fu tratto. Mentre nel film di Reiner però i quattro ragazzini vanno alla ricerca del cadavere di un ragazzo scomparso (e il loro viaggio diverrà un percorso di formazione incredibile) in Mean Creek sono gli stessi protagonisti a causare la morte del loro coetaneo. Non è quindi il viaggio in barca a far maturare i ragazzi, ma l'affrontare de visu la Morte e il Senso di Colpa, l'avere lì a fianco il freddo cadavere di George ed esser così costretti, anche non volendo, a non essere mai più quelli di prima, a divenire adulti in da un momento all'altro. La scena dei ragazzi in silenzio seduti vicino al corpo è magistrale perchè dà proprio l'idea di come in quel brevissimo tempo, pochi minuti, ognuno di loro stia pensando che niente sarà più come prima, che qualcosa di sbagliato è irrimediabilmente successo, che per tutta la loro vita dovranno fare i conti con un peso e un ricordo insostenibile. Eppure è stato veramente un incidente, eppure è stato lo stesso George a cercarsela. Non esistono colpe, esiste soltanto la morte e di fronte ad essa i come, i perchè, sono insignificanti. Come dicevo, il tratteggio psicologico dei protagonisti è perfetto, sia quello personale di ognuno sia quello delle dinamiche di gruppo. La scena in cui George deride Marty riguardo il suicidio del padre è senza dubbio emotivamente la più forte oltre che vero turning point dell'intera vicenda. Il rapporto tra i due piccoli fidanzatini è raccontato in maniera dolcissima, rappresentano in tutto e per tutto l'innocenza immacolata che d'improvviso si lorda senza che ne abbiano colpa. E anche Marty, l'unico che apparentemente sembra avere molto da perdonarsi, è in realtà la vittima principale, nessuna famiglia a cui appoggiarsi, un dolore immenso dentro di sè e la figura di responsabile principale di una vicenda che è pura e semplice fatalità, anzi, a voler essere sinceri il suo comportamento di fronte al delirio di George è stato quasi irreprensibile. Quello che è successo però ormai è successo, la morte è l'evento irreversibile per antonomasia, nessun rewind, nessuna seconda chance. E' così forte il suo senso di colpa e la paura del futuro che preferisce anticipare quello che aspetta che gli accada. La rapina con le lacrime agli occhi è l'ennesima perla di un film che non avrebbe potuto esser raccontato meglio.

(voto 8)

20.4.11

Recensione: "Adam Resurrected"


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Quando si parla di Olocausto molto spesso vi si abbina un'altra parola: Memoria. L'accezione però con cui si usa tale termine è perlopiù riferito a una memoria collettiva, al dovere di ricordare, al non dimenticare, all'esser tutti consapevoli di quello che è accaduto, perchè la Shoah deve esser parte di noi se vogliamo essere uomini migliori. Come una singola persona impara dai propri errori così l'intera umanità, in senso lato, deve farlo dai suoi. C'è un'altra memoria però, quella dei protagonisti, aguzzini e sopravvissuti, una memoria più intima, più vera, più vissuta, un orrore passato in prima persona che per quanto possa essere tramandato non potrà minimamente restituire in chi non l'ha vissuto ciò che realmente è accaduto.

Adam Resurrected è la storia della memoria privata di Adam Stein, un clown-cabarettista ebreo vissuto a Berlino nei primi anni 20 e poi deportato in un campo di concentramento. Adam sopravviverà al campo perchè un gerarca nazista deciderà di usarlo come suo cane di compagnia, letteralmente, con tanto di camminata a 4 zampe, cibo in scodelle e abbai anzichè parole.
Anni dopo si ritrova a Tel Aviv in un centro recuperi (in pieno deserto) per sopravvissuti ai campi di concentramento colpiti da vari traumi psicologici. Adam è la "star" del centro, vera e propria presenza catalizzatrice grazie al suo carisma, le sue abilità e una sensibilità e sesto senso che sfiorano la veggenza. Il suo problema però è il non aver dimenticato, portare dentro di sè il cancro dell'Olocausto, dell'umiliazione subita e il fatto di esser sopravvissuto alla sua famiglia, sterminata dai nazisti. Ecco però che (non si capisce bene se ciò sia casuale o dovuto a una precisa terapia dei medici) nel centro fa la conoscenza con un ragazzino che crede anch'esso di essere un cane (terribili le scene con il lenzuolo che lo avvolge). Adam prova un sentimento incredibile per lui, come un contrappasso si ritrova, lui che ha vissuto (in maniera coercitiva però) la stessa esperienza, ad avere tutte le conoscenze, abilità e affinità per aiutare il ragazzo.

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Un Goldblum straordinario interpreta Adam in una maniera che restituisce tutte le sfaccettature del personaggio, carismatico, attraente, intelligente ma al tempo stesso debole, martoriato, ossessionato. La narrazione procede in maniera perfetta con l'alternanza di flashback sulla vita di Adam. Ottimo anche tutto il resto del cast e una regia che alterna classicismo e mestiere con leggere punte di visionarietà e di ispirazione.
Adam è come se fosse quel ragazzino che cerca di aiutare e, un'indimenticabile finale (con la camminata storpia sul deserto), capiremo che soltanto quando il piccolo sarà riuscito ad alzarsi in piedi, Adam sconfiggerà i demoni del suo passato. Entrambi erano cani, nel senso meno nobile e più servile che si possa immaginare, entrambi, insieme, si alzeranno in piedi, chi fisicamente chi metaforicamente e si riscopriranno uomini.
Film difficile, intimo, probabilmente colto. Anche se non lo si comprende appieno però, restituisce tutte le emozioni che cercava di raccontare.
E ancora una volta la memoria, quella di Adam, diviene Memoria, quella mia, di chi sta leggendo questo commento e di tutti quelli che sono disposti a tenerla con sè.

(  voto 8 )

17.4.11

Recensione: "Shuttle"




(SPOILER)

E ancora una volta mi trovo a dover dire "peccato". Ultimamente mi capita spesso di trovare film che avrebbero tutte le carte in regola per esser più che buoni ma soffrono del tremendo problema della coperta corta, quello per cui spesso abbiamo una buona trama e una pessima realizzazione, una grande idea e un terribile svolgimento di essa, un ottimo comparto tecnico e terribili interpretazioni. Non si riesce mai a metter insieme tutti i pezzi, vero problema del genere. Shuttle ha il suo punto di forza nell'originalità (uno slasher on the road ambientato in una navetta dell'aeroporto) e nell'idea alla base della struttura di fondo (che scopriremo soltanto alla fine), ma pecca alla grande in tutto quello che sta in mezzo e in una scelta del cast non certo ispiratissima. Troppe volte infatti gli accadimenti ci sembrano assolutamente forzati quando non assurdi o inconcepibili (l'assassino immortale, gente che non scappa o non sa scappare con un'intera città a disposizione, sequenza inutili come quella del supermercato o del bancomat atte solo a metter carne al fuoco, elementi kitsch come le scarpette bianche). 



Il regista riesce a portare a casa 1 ora e 40 di film con uno script quasi da cortometraggio, il che è al contempo pregio e limite del film. Pregio perchè più di una volta lo spettatore si chiede cosa potrà succedere nella scena successiva, limite perchè le scene ripetute non mancano e la noia a volte viene fuori. Il primo colpo di scena (quello di metà film) era facilmente prevedibile, quello finale un pò meno, personalmente l'ho molto apprezzato. I dialoghi sono veramente scadenti, lo scavo psicologico è intrapreso col cucchiaino, la recitazione e il doppiaggio italiano sotto la sufficienza. Però, ripeto, l'architettura esterna, le travi portanti dello script non erano niente male e a fine visione si può provar soddisfazione ed esser pienamente convinti di non aver visto la solita cavolata o quantomeno, anche a voler esser cattivi, una cavolata servita però in un modo diverso dal solito.

( voto 6 )

15.4.11

Recensione: "The Horde"


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Non nego che mi aspettavo di più, molto di più. Il problema di La Horde non è nell'idea o nella realizzazione, nella recitazione o nel ritmo, il problema è l'assoluta mancanza di cambio di passo, l'incapacità di differenziarsi, il seguire un solo, alla lunga noioso, binario. L'inizio è ottimo, niente a che vedere con l'horror, più che altro un incipit crime di guardie e ladri teso, veloce, cattivo e sporco. Quasi quasi dispiace che il film viri di genere... Insomma, non si sa perchè ma arrivano gli zombie, quelli veloci e cattivi. Anche in The Horde il loro arrivo è visto come una specie di apocalisse ( del resto non si parla di Fine del Mondo quando "i morti torneranno a camminare sulla terra"?) a differenza di altre pellicole che puntano più laicamente sul contagio e di conseguenza su una limitata spaziatura del problema. Anche qui lo spazio è limitato, ma solo quello dei protagonisti, intrappolati in un fatiscente palazzo (alla Rec) con un'orda di migliaia di zombie pronti ad aspettarli fuori (ma non mancano quelli dentro, altrochè). Il mondo sembra finito, l'apocalisse, appunto. Ed ecco quel binario di cui parlavo prima. I protagonisti vogliono uscire, ovvio, e il film diventa prevedibilissimo con una serie di scontri armati o fisici con i morti viventi di turno. Una pistolettata qua, due c.azzotti di qua, una fucilata giù, un colpo di mannaia su. Sembra di giocare a Resident Evil... Si tenta la strada della maggior profondità con una gravidanza e un rapporto teso tra fratelli ma il grado di partecipazione dello spettatore è pari allo zero. Non che si cerchi spessore in tali film, anzi!, ma in mancanza di trovate di sceneggiatura si va a cercar tutto. Ottime le scene da massacro, belli gli scontri fisici, suggestivo l'ambiente lordo di sangue, simpatici alcuni personaggi. Un'ottima regia che forse con una scrittura migliore avrebbe fatto il botto. Che dire, forse la colpa è la mia che dopo 30,40 colpi di pistola comincio ad addormentarmi ma se togliamo tali scene resta davvero poco, solo un ottimo potenziale.

( voto 6 )

13.4.11

Recensione: "Fracchia contro Dracula"


Alzi la mano chi non sta antipatico Paolo Villaggio. Ora alzi la mano chi non ama Fantozzi. Tanto antipatico, narciso, autoreferenziale, maleducato e incazzoso il primo quanto tenero, umile, amorevole e irresistibile il secondo. Villaggio, specie negli ultimi anni, ha acquisito una tale coscienza di Sè e un contemporaneo odio per il mondo e per i suoi inferiori abitanti che si fa davvero fatica a reggerlo. Allo stesso momento è impossibile disconoscere però la grandezza del suo alter-ego (eh sì, parecchio alter), il ragionier Ugo Fantozzi, punto più alto a mio parere del cinema comico italiano. La figura di Fracchia nasce contemporaneamente a Fantozzi nella mente di Villaggio, entrambi suoi protagonisti nei monologhi da cabaret in Quelli della Domenica (1968). In realtà i due si somigliano moltissimo, sia nelle movenze quanto nella parlata, nel carattere quanto nel destino di oppressi, striscianti e servili impiegati. Tanta somiglianza da rendere (forse) quasi inutile o quantomeno confusionario portare al cinema anche il secondo e meno famoso personaggio. In questo episodio che lo vede nei panni di un disastroso agente immobiliare, Fracchia tenterà di vendere al compratore Filini (altra evitabile omonimia col personaggio di Fantozzi) nientepopòdimeno che il castello del Conte Dracula. Divertentissimo l'incipit e l'idea di base, un pò banalotto e senza tanti guizzi lo svolgimento. Intendiamoci, siamo sempre in un terreno di ottima comicità ma c'è almeno un problema in più rispetto al ragionier Ugo. Fracchia difficilmente riesce a brillare di luce propria facendo così che tutti i migliori momenti del film siano quelli in coppia con Filini (un sempre meraviglioso Reder), altro che spalla, quanto a mio parere vera forza comica della pellicola. Solo l'abbigliamento vale il prezzo del biglietto. 



Per il resto non c'è straordinario brio nella scrittura dei dialoghi ma è presente ancora quell'incredibile magia che ti porta a ridere dei più banali episodi puramente slapstick, come capocciate sul muro, ruzzoloni sulle scale o maggiordomi che cadono nel vuoto. E' questa la forza dell'universo Villaggio-Fantozzi-Fracchia, quella di riuscire a farci sganasciare anche in mancanza di trovate verbali (galoppanti in Fantozzi) o di grandi gag. Giustamente considerato un cult, Fracchia contro Dracula non è forse un capolavoro del genere ma la sua porca figura la fa ancora specie in questi anni dove si sente non tanto la mancanza di attori e autori comici, quanto quella di grandi Personaggi, come è stato quello del disastroso ragioniere Ugo Fantocci :) e come sarebbe stato anche Fracchia se il primo non fosse mai esistito.

( voto 7,5 )

11.4.11

Recensione: "Imago Mortis"



Come si fa a non volergli bene? O.K, se volessimo massacrarlo ci offre abbastanza il fianco ma come si fa a non prendere Alex Amarilla (il protagonista) e dargli un grosso abbraccione? O andare dal regista Stefano Bessoni e fargli un buffetto sul naso? Ci han provato sti ragazzi, e l'hanno fatto con enorme entusiasmo, amore per il proprio lavoro, passione per il Cinema e, soprattutto, tanta genuinità. Poi è normale che uno si fa prendere la mano, perde un pò il controllo, tende a strafare, aggiunge invece di sottrarre e crea pasticci. Il grosso errore di Bessoni è che malgrado dimostri umiltà, abbia tentato di fare subito il colpaccio, il piccolo capolavoro horror forte in tutte le sue componenti, ma non tutti sono Bayona e possono permettersi The Orphanage al primo colpo (tra l'altro con la Chaplin in entrambi i film). Eppure ha idee, passione, eleganza, ottima mano in regia. Mi sembra Lavezzi, giocatorone che eccelle in tutto ma spesso va fuori fase per troppa generosità. Imago Mortis è un profondo omaggio alla macchina Cinema; ambientato in una scuola di di cinematografia racconta con entusiasmo di bobine, fotografie, pellicole e montaggio. Il protagonista trova un macchinario, il Thanatoscopio, ideato nel 1600 da un certo Fumagalli con il quale lo scienziato estraeva dai bulbi oculari di una vittima l'ultima immagine impressa nella retina prima della morte. Il macchinario è conosciuto dai professori della scuola che, saputone il ritrovamento, vogliono impossessarsene. 

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Il film, come accennato, si perde nella trama, si confonde, e fa perdere il filo, sempre che ne abbia uno, più di una volta. Non mancano poi diversi errori, come il film nel film fatto dai professori anni prima montato con tanto di titoli iniziali senza che fosse stato finito (strano...), i luoghi sempre bui in quella che alla fine è un'università in qualche modo moderna, una cricca di professori che sembra uscita da Harry Potter, la ragazza disposta anche ad uccidere per essere regista, un'università che d'impovviso come fosse normale si ritrova un ammasso di morti e assassini. Insomma, si scavalca la realtà, si hanno sviluppi narrativi funambolici e forzati, c'è tanta, ma tanta ingenuità, ma l'atmosfera è ottima, gli attori son bravi, la passione vien fuori. E il protagonista, lo ripeto, lo vuoi abbracciare con quella faccia.(c'è da vedere se è "piagnone" di suo oppure ha interpretato perfettamente la parte). Io son arrivato in fondo senza problemi e aspetto Bessoni con molto entusiasmo alla prossima. Chi l'ha massacrato non ha cuore nè occhio lungo. Oppure, semplicemente, ha visto poco cinema horror italiano.

( voto 6,5 )

8.4.11

Recensione: "Una vita tranquilla"


(SPOILER)

Padri e figli. Il passato che ritorna. Ricominciare, ogni volta, una vita nuova. Magistrale noir del fin qui mai sbocciato Cupellini, capace di andare (evidentemente) a lezione da Sorrentino per tirar fuori però un'opera non di moltissimo inferiore al film di riferimento, Le Conseguenze dell'amore. Scommetto che l'uso del superlativo Servillo sia dovuto proprio a questo, scelta fatta a tavolino con questo preciso riferimento. Servillo, già. Ogni volta stiamo a tesserne le lodi giudicandolo spesso come vero e proprio valore aggiunto delle pellicole a cui prende parte. Il "problema" è che così stanno le cose, c'è veramente poco da fare. Mi ricorda molto un altro fenomeno, Daniel Auteil, specie quello visto in certe pellicole come L'Avversario o Cachè. Se Una vita tranquilla fosse stato girato in Francia sarebbe stato lui l'attore, c'è da scommetterci. Grazie a Gomorra (altra masterpiece italiana) si è finalmente sdoganato l'uso del dialetto, indispensabile secondo me non solo per dare più verità ma, come in questo caso, anche una maggior tensione. Tale concetto sembra strano ma sentire inteagire i 2 ottimi, veramente ottimi giovani malavitosi nella loro lingua dà tutta un'altra atmosfera. Si repira a volte una tensione che mi ha ricordato moltissimo quella provata ne L'Imbalsamatore. Basta l'incipit con lo zoom indietro nel bosco per farci capire che mano ci sia alla regia, mano poi confermata in tutto il resto della pellicola (con 2,3 virtuosismi, forse inutili?, proprio come il regista de Il Divo). Non bastano però grandi interpretazioni e un'ottima regia a fare un gran film, serve la scrittura e anche qui il livello è lo stesso. Il "climax informativo" (vero e proprio neologismo,orrendo tra l'altro) con il quale sappiamo sempre qualcosa in più del passato di Rosario è gestito in maniera impeccabile e alla luce di quello che scopriremo sono molte le scene che andrebbero riviste (L'arrivo dei ragazzi durante il pranzo, Diego che si confonde sulla data di morte del padre o quando lo stesso Diego dice a Servillo "tu che c.azzo ne sai di quando i figli si fanno grandi?). 



Anche la figura di Rosario, suo malgrado, dovrà far riaffiorare quella che è la sua vera natura. Eppure era riuscito con onestà ed amore a (ri)farsi una vita tranquilla, tagliare definitivamente le marce radici che lo tenevano legato al suo terribile passato. Rosario è sì una persona nuova, capace sotto il pericolo di morte, a riscoprire,forse, la paternità (bellissimo l'abbraccio con Mathias, da brividi) ma dall'altro lato è sempre lo stesso ex malavitoso costretto a scappare, scappare più volte e ogni volta ricominciare da capo. Sinceramente non ho amato moltissimo il finale, molto egoistico per conto mio, ma è senz'altro coerente col resto della pellicola. Non c'è niente che ci fa pensare che Rosario tagli definitivamente i ponti anche con la nuova famiglia ma il sospetto è forte, e forse c'è stata un pò di fretta nel gestire la sequenza. Ce ne fosse di cinema così però, ce ne fosse. E, per fortuna, ce n'è.

( voto 8 )

6.4.11

Recensione: "The Cycle"


(spoiler)

La macchina che finisce la benzina.
La stazione di benzina fatiscente.
La famiglia di matti.
Il bosco.
Il gruppo di ragazzi che muore uno a uno.
Addirittura il luogo di sepoltura indiano.
L'assassino bestione.
La mancanza di emozioni alla morte degli amici.
Comportamenti illogici.
Twist finale sul gioco dell'immaginazione.

Sarà che stasera ho giocato a calcetto con un bravissimo ragazzo di 110 kg che alla domanda se trae la sua fonte di ispirazione da Toni (o da Nordahl se avesse gusti retrò) ha risposto di rivedersi invece in Pato. Tutto ciò non mi fa concentrare per tirar fuori un commento discorsivo. Abbiamo comunque vinto soffrendo 12 a 10 con ben 7 goal su 12 del vostro recensore (pur giocando dietro). Due di punta da 10 metri proprio alla calcetto- gli attori veramente penosi. Due con morbidi tocchi sul portiere in uscita- il doppiaggio è penoso. Due di piatto, palla all'incrocio-la tensione è zero e uno grazie a un mio compagno che ha fatto il velo appena davanti al portiere su un passaggio filtrante- la trama è da ergastolo. Non ha copiato qualcosina qua e là, è il film con più clichè horrorifici che abbia mai visto. Meno male che non c'era la figura del monco o dello storpio altrimenti avremmo il pacchetto completo. Ah, c'era anche quello? Vai a fare in ano. p.s: e se la'ssassino bestione fosse stato il ragazzo del calcetto? Brrrrrr

( voto 4,5 )

4.4.11

Recensione: "Il Maledetto United"



Se qualcuno in questo momento mi chiedesse qual è il miglior film che abbia mai visto sul mondo del calcio risponderei, sine dubio: "Il Maledetto United". Film che rasenta la perfezione, magari non un capolavoro perchè l'argomento non lo consente, ma meglio, davvero, non si poteva fare. Brian Clough, un Mourinho ante litteram, è stato uno dei più grandi allenatori europei di sempre (dopo esser stato un attaccante meraviglioso) capace di vincere il titolo inglese con Il Derby County e il Nottingham Forest, entrambe prese tra l'altro quando erano negli ultimi posti della seconda divisione inglese. Non solo, con il Nottingham vinse poi 2 Coppe Campioni, impresa davvero incredibile. Il film racconta proprio il brevissimo periodo in mezzo a queste 2 imprese, i 44 giorni passati alla guida del Leeds (in quel momento la miglior squadra d'Inghilterra), il club che Clough aveva sempre odiato perchè esempio di anticalcio (molto diffuso all'epoca in England, gomitate e palla alta, "se Dio avesse voluto che si giocasse a calcio tra le nuvole avrebbe messo l'erba lassù" una delle frasi del nostro), antisportività, intimidazione all'avversario. Clough si scava subito la fossa da solo al primo giorno di allenamento ricordando ai suoi nuovi giocatori che tutto quello che avevano vinto era immeritato e raggiunto con le "qualità" appena accennate sopra, rincarando la dose aggiungendo che non le considera persone felici perchè "non avreste giocato quel calcio se foste stati felici". I giocatori gli remeranno contro fino all'inevitabile esonero. 



Interpretazione mimetica di Michael Sheen (attore maiuscolo) che restituisce tutta l'arroganza, l'antipatia, l'egocentrismo ma al tempo stesso l'incredibile magnetismo di Clough. Il film mette moltissimo l'accento tra la rivalità di Clough con Revie, il precedente allenatore del Leeds, capace di portare i bianchi a vincere praticamente tutto. Clough lo vede come sua nemesi e in generale come nemesi del Calcio. Qui la vicenda diventa un pò romanzesca nel mettere in risalto il mancato saluto di Revie a Clough 6 anni prima (fatto probabilmente inventato) , vero vaso di Pandora di tutti i problemi successivi. E bellissimo è anche il racconto dell'amicizia-collaborazione tra Clough e Peter Taylor, direttore sportivo che accompagnerà il primo in tutti i suoi successi, probabilmente anche mettendo molto del suo. Taylor è un'anima buona e mite, l'opposto di Clough, vera e propria sua compensazione. Parlando più a livello tecnico, mirabile l'impianto narrativo con continui salti avanti e indietro temporali gestiti in maniera perfetta. Grandi dialoghi (ma qui il merito è molto del vero Clough), scene superbe come la partita notturna sotto la pioggia o quella nella quale Clough non va in panchina e "sente" il match da uno stanzino adiacente allo stadio. Che dire, starò esagerando, ma per un malato di calcio internazionale come me, specie dell'inarrivabile calcio inglese, il film racconta un'epoca incredibile dove i calciatori andavano al pub coi tifosi e guadagnavano poco più di loro. E personaggi come Clough, simpatico o no, ti entrano nel cuore.

( voto 8 )

2.4.11

Recensione: "Parc"


Attenzione, non siamo davanti al solito trash, non ci troviamo difronte a una boiata di Serie B, a un horror casalingo o a un fantascienza pane e salame. Magari!! Qui siamo (almeno presuntemente) al cospetto di un film autoriale, che travalica i generi, che tocca temi importanti, che vuole insegnare qualcosa, che ha uno stile e un ritmo consoni ai grandi film drammatici. Bene, detto questo, considero Parc come il film più presuntuoso, insulso, arrogante, insopportabile della storia recente del cinema, forse battuto solo dall'indimenticabile (purtroppo) Hans, l'Uomo scarafaggio di quel grande figlio di..., ehm, d'arte di Louis Nero. Ultimamente pensavo di aver raggiunto l'apice con Dante 01, ma qui siamo molto oltre. In confronto un nano che vuole giocare in Nba è meno presuntuoso. Di conseguenza tali aggettivi li dono volentieri a questo pseudo-regista, Arnaud de Pallieres, che almeno nelle prime 4 lettere del cognome, per una sorta di nomen omen, anticipa la sensazione che si prova alla visione del suo film. Sembra aver visto Haneke sto fenomeno e nella prima scena copia spudoratamente il mirabile inizio di Cachè, per inciso bastevole da solo per essere considerato migliore dell'intero Parc. 


Poi il nulla assoluto, tra altre inquadrature fisse, trama senza alcun senso e alcun punto di interesse, musiche istiganti al suicidio, scene (come quella della festa o di sesso) da voler rompere il lettore dvd o l'intera casa in caso di persone non tranquille a prescindere. Non nascondo ogni tanto di aver mandato avanti a velocità doppia o addirittura decuplicata e tanto, lo stesso, l'infinita noia, l'infinita lentezza del nulla, come una possessione demoniaca, non riusciva a togliermisi di dosso. Per giunta tutto è tratto da un romanzo, lo si vede e purtroppo sente benissimo, con sequenze di una verbosità inverosimile, atte a dare sostanza intellettuale al tutto. Ma vai a fare in cu..!!!! Per la prima volta mi sbraco letteralmente ma vi prego, guardatelo, magari mandando avanti i capitoli, ma non lasciateci soli, poveri 4 gatti. Oppure mandatemi via posta qualche pillola giusta per farmi dimenticare. Sono disposto anche a iniziare a drogarmi per tale scopo.


( voto 2,5 )