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22.6.18

Paolo e le traiettorie dello sguardo

Risultati immagini per gente alla fermata del bus

Paolo era fermo, in piedi, all'entrata del ristorante.
Non riusciva a fare alcun passo in avanti.
Il suo sguardo si era come cristallizzato.
Paolo guardava una ragazza ad un tavolo, appena dentro al locale, intenta a pranzare con qualcuno, un uomo, forse un amico, forse il compagno.
La ragazza tagliava nervosamente qualcosa, sorrideva, a volte rideva pure, ma tutto con fare distratto, di finto compiacimento.
Paolo si fissò sul suo viso, delicato e tenero, e su quel modo di fare allo stesso tempo impacciato e nervoso.
La ragazza si limitava ad annuire e a volte, tradendo la sua distrazione, a chiedere al suo interlocutore di ripeterle le cose.
Paolo non riusciva a smettere di guardarla, avrebbe dato qualsiasi cosa per essere lui al posto di quell'uomo, ad esser lui a poterla guardare da così vicino, a poterci mangiare insieme, a poterci scherzare.
Poi, Paolo, capì perchè la ragazza aveva quell'atteggiamento, perchè era così distratta.
La ragazza guardava di continuo fuori dal ristorante, oltre la gigantesca vetrata.
L'uomo davanti a lei - troppo preso da sè stesso e da quello che diceva- non se ne accorgeva, ma Paolo sì.
E Paolo allora seguì la traiettoria dello sguardo della ragazza. E quella traiettoria lo portò, ne era certo, ad un ragazzo seduto sul ciglio della strada, una chitarra tra le mani, una custodia davanti a sè.
Era il classico bel musicista, selvaggio e libero, e cantava qualcosa di molto malinconico -pensò Paolo- perchè i movimenti delle mani sulle corde erano pochi e lenti e gli occhi, ogni tanto, gli si chiudevano.
Quel ragazzo non si era minimamente accorto di quanto la ragazza del ristorante lo guardasse. E non se ne era accorto perchè era lui stesso, quando quegli occhi gli si aprivano, a fissarli costantemente in un'unica direzione.
Paolo si chiese se la ragazza che l'aveva folgorato se ne fosse accorta, se anche lei, con dispiacere, avesse notato che il suo bel musicista aveva occhi solo per qualcos'altro, alla sua destra, quando gli sarebbe bastato guardare davanti a sè per vedere una ragazza dietro una vetrata di un ristorante che si stava forse innamorando.
Paolo seguì la traiettoria dello sguardo del musicista e la traiettoria lo portò su una bambina.
Paolo era sicuro che quel giovane musicista guardasse lei non solo perchè non c'era altro di interessante alla sua destra ma anche perchè, quella bambina, era incredibilmente sola.
Se ne stava lì, appoggiata a un palo della luce, e girava le sue dita in una delle trecce che aveva.
La bambina non sembrava preoccupata d'esser sola, anzi, pareva piuttosto serena e più di una volta Paolo, e sicuramente anche il musicista, la vide ridere, anche di gusto, ma sempre con quel fare un pochino imbarazzato e trattenuto che ha chi ride da solo.
Come la ragazza del ristorante non sapeva di quanto Paolo l'avesse fissata (e, anche adesso, malgrado tutte le traiettorie, molte volte il suo sguardo tornava a lei), come il musicista non sapeva che era fissato dalla ragazza del ristorante così la bambina non sapeva di esser fissata da quel musicista.
La bimba non aveva giochi con sè, non aveva un cellulare, non aveva niente. Eppure giocava coi suoi capelli e ridacchiava.
Paolo allora seguì la traiettoria dello sguardo della bambina e la traiettoria lo portò su una coppia seduta in una panchina.
La coppia se ne stava a mezzo metro di distanza. Lei era seduta di tre quarti, quasi dava le spalle a lui. Aveva le braccia incrociate, sbuffava. Lui se ne stava seduto a gambe larghe e si limitava a dire no con la testa. Ogni tanto la ragazza, con quel fare delizioso che solo loro hanno, si girava verso quel ragazzo e gliene diceva quattro, con ampi gesti della mani. Lui la guardava giusto un secondo, faceva la faccia mezza sbalordita, quella faccia di uno che sta per controbattere ma poi niente, se ne tornava dritto a scuotere la testa.
Era una scena effettivamente molto divertente e quella bimba non riusciva a smettere di fissarli, ridendo quasi di nascosto e pensando, che so, che magari tra 8 anni anche lei avrebbe trattato il suo ragazzo così.
La coppia, come tutti i personaggi di questa storia, che in realtà storia non è, ma un sogno fatto da chi scrive, non si accorgeva minimamente della bimba che li stava guardando, come la bimba non si accorgeva del musicista, come il musicista non si accorgeva della ragazza del ristorante, come la ragazza del ristorante non si accorgeva, (come del resto nessuno se ne accorse), di Paolo che tutto vedeva.
In realtà quel'uomo seduto sulla panchina, mentre scuoteva la testa, guardava fisso davanti a sè.
Paolo seguì la traiettoria del suo sguardo e stavolta fu più difficile capire a chi portasse, perchè davanti quell'uomo, dall'altra parte della strada, praticamente molto vicino allo stesso Paolo, c'era solo una fermata del bus, piena di persone.
Era ovvio che quell'uomo ne guardasse solo una, difficile fissarsi su un gruppo, a meno che in quel gruppo non stia succedendo qualcosa di interessante.
Ma niente, era impossibile capire chi fosse.
Poi il bus arrivò, e poi ripartì.
Ma Paolo vide che quell'uomo non solo non smise di fissare in quella direzione ma, anzi, nel suo viso si formò una sorta di stupore.
Paolo si accorse allora che di tutto quel gruppo solo una ragazza non era salita sul bus, piccola e dai lunghi capelli neri. Era rimasta così, in piedi, senza salire. Magari, semplicemente, quello non era il suo bus e ne aspettava un altro.
Ma Paolo era sicuro che fosse lei che l'uomo sulla panchina stesse guardando perchè il suo sguardo non si era mai minimamente spostato e, dopo che il bus ripartì, vederla ancora lì l'aveva così strabiliato.
Proprio lei -pensò magari quell'uomo- proprio la ragazza che fissavo è l'unica a non esser salita.
Paolo si accorse però che probabilmente la ragazza non era salita per un motivo ben preciso.
E questo motivo era il fatto di come fosse completamente assorta, distratta, attratta da qualcosa. Un qualcosa che probabilmente non le aveva nemmeno fatto notare che il suo bus si fosse fermato davanti a lei.
Paolo allora seguì la traiettoria del suo sguardo.
E si accorse che quella traiettoria portava a lui.
Paolo non seguiva più una traiettoria, Paolo era il fine ultimo della stessa.
La guardò, i due sguardi si incrociarono, i primi due sguardi che si incrociano in questa strana storia.
Paolo sorrise, anche lei sorrise e le si arrossarono un pò le gote.
Paolo uscì dal ristorante e si incamminò verso la fermata del bus.
Verso lo sguardo di lei, quello sguardo che aveva trovato seguendo lo sguardo del mondo.



5.10.17

Un, due, tre, stella

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"Un, due, tre... Stella!"
Martina, 14 anni, vestito rosa confetto e lunghe trecce bionde si girò di scatto dall'albero in cui era appoggiata, con quel viso un pò divertito, un pò minaccioso e un pò autoritario che hanno tutti i "contatori" di unduetrestella quando si voltano.
Ben presto però l'espressione del suo viso cambiò completamente.
Sconcerto, incredulità, paura.
Nel grande prato del collegio non c'era nessuno.
Solo 5 secondi prima c'erano là tutti i suoi amici, fermi all'immaginaria linea di partenza, con le ginocchia piegate pronte a scattare, in questo buffo gioco che è una specie di gara di corsa sincopata.
Adesso, nessuno.
Martina entrò in panico, guardò a destra e sinistra, aguzzò gli occhi per vedere là in fondo, vicino all'entrata del refettorio.
Ma niente, solo verde su verde, nessuno.
"Dove siete?"
urlò
"Vi prego, dove siete?"
urlò ancora
"Lucia, dove sei, ti prego, uscite fuori, ho paura"
Nessuna risposta.
A Martina cedettero le gambe, si lasciò buttare a terra e si appoggiò all'albero.
Cominciò a piangere.
Ripensò a gran parte della sua ancora brevissima vita, ripensò agli ultimi giorni, si chiese se aveva fatto qualcosa di male a qualcuno, si chiese se meritava uno scherzo così tremendo.
Si chiese persino se Dio, se quel Dio di cui le parlavano sempre in collegio, non l'avesse voluta punire per qualcosa facendogli scomparire tutti i suoi amici, lasciandola sola, vestito rosa confetto, trecce bionde e lacrime nel viso.
Poi Martina sentì delle risa, dapprima di quelle trattenute malamente, poi sempre più fragorose.
Erano dietro di lei.
Martina si girò dietro l'albero e i suoi amici erano tutti lì, tutti e 7.
Alcuni si rotolavano a terra dal ridere, altri si tenevano la pancia, Lucia invece, forse perchè l'urlo che la invocava l'aveva colpita, era quasi dispiaciuta, imbarazzata, emozionata.
Martina non riuscì a ridere, era ancora sotto shock. E si chiese come fosse possibile tutto questo.
Giorgio, ginocchia sbucciate e ciuffo nero si fece avanti e, non riuscendo a smettere di ridere, parlò
"Hai contato fino a 30 Martì"
"Non ho capito"
"Hai contato fino a 30 Martì"
e giù risate
"Quando eri arrivata a 10 eravamo già tutti qua dietro, ti abbiamo pure toccato e manco te ne sei accorta, hai continuato fino a 30.  E poi -risate- e poi ti abbiamo visto guardare intorno, urlare, ma noi eravamo qua, dietro di te"
Martina scappò via, rossa in viso.

"Nonna! Nonnaaaaaaaaaaa!"
si sentiva urlare dall'altra stanza.
Martina si alzò dalla sedia sulle sue gambe malferme, leggermente stordita da quel sogno, da quel ricordo appena avuto.
"Arrivo, e che diamine"
disse
Martina arrivò nell'altra stanza, non fece in tempo ad entrare che partì il tantiauguri.
Erano tutti là, intorno alla tavola, festeggianti.
Al centro una torta, nessuna candelina, solo i due numeri, 8 e 0 a troneggiare al centro.
"Meno male non hanno comprato tutte le candeline -pensò ridendo Martina- gli sarebbero costate più della torta"
Nonna Martina si sedette davanti alla torta, ancora un pò confusa ma, tutto sommato, felice.
La canzoncina finì
"Soffiaaa!!!" 
le urlarono tutti
Martina chiuse gli occhi prima di farlo.
E in quell'istante ripensò al sogno-ricordo ad occhi aperti avuto poco prima nella sua stanza.
Ripensò a quella volta, a quell'estate di 66 anni fa, in cui aveva contato fino a 30 invece che fino a 3.
Ricordò adesso perchè successe.
Successe perchè, appoggiata all'albero, a occhi chiusi, Martina non pensava a uno, due, tre, stella, ma pensava a Luca, ginocchia sbucciate e ciuffo nero.
Martina capì che quello era il giorno in cui scoprì l'amore.
E scoprì che l'amore era quella cosa che ti confonde tutto, anche la matematica contata su 5 dita.

Soffiò.
(unduetrestella, unduetrestella)
"Hai espresso il desiderio nonna?"
le chiese il nipote più piccolo.
"Sì amore"
"Dimmelo nonna, dai"
"Ma no che non te lo dico birbante!"
(unduetrestella)

8.1.17

Dialogo tra una pallottola e l'uomo che di lì a pochissimo colpirà a morte

Risultati immagini per pallottola

Solo il mio vizio di fare sogni strani e poi riportarli nero su bianco.

(trovate tutti gli altri dialoghi e altri raccontini vari nell'etichetta "racconti" e "racconti di vita")

"Nooooooo!!!!!!!"

"Tranquillo, non sei ancora morto"

"Oddio, cosa sta succedendo? Dio mio cosa sta succedendo?"

"Niente, stai per morire, mi hai visto, hai urlato, ma adesso siamo qua, fermi"

"Chi parla? Cazzo chi parla? E perchè siete tutti fermi, perchè non mi muovo? Oddio, che succede?? Aiutooooo!!!!"

"Smettila di urlare, smettila di guardarti in giro, smettila di far tutto e calmati"

"Chi cazzo parla??? Dove sei? Chi sei?"

"Guarda qui davanti a te. Sono la pallottola che sta a 10 cm dalla tua testa, quella per cui hai urlato"

"Oddio, che cazzo succede, perchè è tutto fermo? Come faccio a crederti?"

"Adesso stai calmo e ti spiego tutto"

"Ma come posso cred..."

"Ti ho detto di star calmo!

"..."

"Siamo in questa piazza, hanno sparato, io non dovevo finire su di te ma così, ormai, è stato, te ne devi fare una ragione."

"Cosa vuoi dire, perchè non posso muovermi, perchè non posso salvarmi?"

"Tutto è già stato, io finirò nella tua testa, morirai sul colpo. Non sentirai nulla, tranquillo. Ma hai avuto questo privilegio"

"Quale privilegio se morirò? Quale??"

"Quello di poter stare ancora un pò qua, quello di poter pensare, ricordare, parlare con me"

"E lo chiami privilegio? Avrei preferito morire subito allora"

"Nessun problema, se vuoi sblocchiamo tutto e morirai all'istante, e io con te"

"No, ti prego, ferma! Ti ascolto, stiamo qua, ti prego, ti prego"

"Vedi, ci sono tantissimi modi per arrivare alla morte, consapevoli e inconsapevoli. Li chiamerei vari stadi.
C'è lo stadio esistenziale, quello per cui un essere umano vive sapendo che la sua esistenza è solo un avvicinarsi alla morte. Che siano 5 anni o 90 poco cambia, chi crede in questo è perduto e ha buttato la propria vita.
Poi c'è chi sa di dover morire per un dato motivo, chi ha la scadenza quasi segnata, facciamo l'esempio di chi ha un male incurabile. Questo stadio è probabilmente il più terribile ma ti dà anche il tempo di sublimare il dolore in gioia di vivere, è uno stadio molto molto eclettico.
Poi, saltando qualche stadio intermedio, c'è chi sa che morirà di lì a brevissimo. Pensa a chi si è buttato dalla Torri Gemelle o chi sta precipitando dentro un aereo.
E' terribile, sì, ma non si ha nemmeno il tempo ci concepire fino in fondo la cosa.
E poi c'è chi muore inconsapevolmente, potrebbe essere anche un passeggero dello stesso aereo qua sopra, uno che stava dormendo."

"Perchè mi dici questo?"

"...E poi ci sei tu, uno stadio stranissimo, inconsueto, quello di qualcuno che sa che sta per morire a brevissimo, pochi centesimi di secondo, ma ha tutto il tempo di capirlo e metabolizzarlo. Questo stadio, ovviamente, lo conoscono in pochissimi. Tu sei uno dei fortunati"

"Ma perchè io?"

"Non lo so, non lo so. Vedi, altre mie colleghe pallottole mi avevano raccontato di questa situazione ma io non l'avevo mai vissuta.
In realtà, come tutte le pallottole, io sono stata sparata adesso per la prima volta.
Tu maledici questa sfortuna incredibile di essere stato nel posto sbagliato al momento sbagliato, di morire senza nessuna colpa, qui, su questa piazza dove 3 secondi fa scattavi una fotografia.
Ma pensa alla mia vita, giorni, mesi o anni ferma senza far nulla e poi, pum, per pochi secondi ci sentiamo finalmente utili e vivi, sentiamo l'aria nei nostri finti polmoni, e poi moriamo subito, che sia a terra o dentro uno dei vostri corpi"

"Se tu credi che io possa provar pena per voi pallottole sei pazza"

"Vedi, ovvio che tu puoi non provar pena per un piccolo oggetto apparentemente inanimato come sono io. Però questo piccolo oggetto sta mettendo fine alla tua vita, è mille volte più importante di tanti essere umani che ti gravitano intorno, con cui tu passi le tue giornate, che ami o che odi. Come minimo, fossi in te, avrei rispetto per chi è oggettivamente così importante per te"

"Ma te lo chiedo ancora, perchè io?"

"E io ti ripeto che non lo so. Come puoi notare anche noi pallottole abbiamo pensieri, una testa. Ma non abbiamo alcun libero arbitrio a differenza vostra, alcuno.
Per noi il concetto di forza di volontà, di coraggio, di paura e di speranza sono aria fritta.
Possiamo possederne sì di forza di volontà, coraggio o paura, ma questo non cambia nemmeno di un solo millimetro il nostro destino o, se posso usare una parola calzante in questo caso, la nostra traiettoria."

"Ma allora pechè prima hai detto che avresti fatto ripartire tutto, che avresti interrotto il blocco?"

"Perchè quello, in effetti, posso farlo. Il destino non cambia, quello che accadrà accadrà, ma i tempi sì, ci è dato dominarli. Una volta che mi è stato concesso il blocco, anzi, che a te è stato concesso -perchè a me, credimi, non è che cambi nulla- io posso poi decidere quando terminarlo"

"Questo significa che potremmo star così per sempre?"

"Sì, anche se il tempo è un concetto relativo, tu sarai sempre a pochi millesimi di secondo dalla morte. E sarai sempre bloccato. E tutti lo saranno intorno a te, quella donna col passeggino, quella ragazza che sta per esplodere un sorriso, quei due vecchietti che si tengono per mano e quell'assassino laggiù in fondo, lo vedi?, dietro al monumento, è lui che ti ha sparato per sbaglio. Dipende da te quanto puoi e vuoi reggere una situazione al tempo stesso così privilegiata ma priva della più minima speranza"

"Io non ce la faccio più, sto solo sperando che sia tutto un incubo, solo questo"

"No, non lo è"

"Quello che mi rispondi non conta, se è un incubo a maggior ragione è ovvio sentire queste risposte"

"Ti ripeto per l'ultima volta che secondo me dovresti avere più rispetto di me e di quello che ti è stato dato vivere, di questa esperienza"

"Proverò dolore?"

"No, nessuno, morirai subito. Però, lo ammetto, mi dispiace che tu abbia potuto accorgerti di me, quell'urlo mi ha straziato il mio inesistente cuore. Sai cosa credo? Che sia stato quello a formare il blocco, quel tuo girarti e vedermi un attimo prima che finissi nella tua testa. Devi aver causato un corto circuito. O forse è solo che chi manovra i fili della morte, sentito il tuo non preventivato urlo, ha deciso di concederti questo"

"Ti prego, facciamola finita. Adesso"

"No, fermo, non chiudere gli occhi. In realtà questo blocco dovrebbe servire a farti rivivere la tua vita, a farti riassaporare per l'ultima volta i ricordi. Dovrebbe servire a quello che alcuni raccontano succeda, rivedere tutta la propria vita in un pochi attimi di secondo. Tu puoi provare che questa leggenda metropolitana è, almeno nel tuo caso, vera, anche se questo secondo, come vedi, è molto più di un secondo"

"E' quello che sto facendo da quando ti sei fermata. Tu, incredibilmente, puoi parlare ma non puoi entrarmi nella testa vedo"

"Beh, in realtà è quello che sto facendo, sto per entrarti nella testa"

"Non scherzare per favore, voglio dire che non sei onnipotente, non puoi sapere cosa penso. Da quando ti sei fermata, da quando hai iniziato a parlare, solo questo sto facendo, ricordare tutta la mia vita"

"Ecco cosa erano quelle lacrime allora"

"Sono le lacrime che verserebbe qualsiasi essere umano nella mia situazione"

"Non lo so, non posso saperlo, scusami. Conosco la vostra vita, me ne sono stata ferma non so quanto tempo ad osservarvi ed ascoltarvi. Ma quello che provate non lo conosco. Come ti dicevo prima conosco i nomi astratti delle cose ma non mi ci sono mai soffermata troppo sopra a cercare di capirli, figuriamoci provarli, perchè so quanto, per me, per noi pallottole, siano inutili"

"Perchè non ci provi allora adesso? Per me?"

"A far cosa?"

"A provare le cose, le emozioni. Prima mi hai detto che il mio urlo ti aveva straziato"

"..."

"Non è così?"

"Sì..."

"E come te lo spieghi?"

"Non lo so, è successo, non ci ho nemmeno pensato"

"Fallo allora, fallo adesso, provaci"

"A fare che, non capisco"

"A provar paura per quello che sta accadendo, a provar disgusto, a sentire il dolore per quello che mi stai per fare e stai per fare a te stessa. A volerti sentir viva. A credere che anche per te non finisca tutto tra pochi millesimi di secondo."

"Io qualcosa sento, sento tutto quello che dici, hai ragione. Ma non servirà a niente"

"Non pensare che non servirà a niente, non pensarci. Altrimenti sei in quello stadio esistenziale, il primo, quello che tanto deploravi, quello della vita concepibile solo come avvicinamento alla morte"

"Sì, hai ragione..."

"E quando ti sentirai finalmente bene, quando ti sentirai finalmente viva, sblocca tutto. Potrò dire che ho aiutato una pallottola a morire felice"

"Ti prego però, fallo anche te"

"Lo sto facendo"

"Addio"

"Addio"

l'uomo chiuse gli occhi. Passò un tempo interminabile. Serrava gli occhi, aspettava che il nulla assoluto lo travolgesse ma il tempo sembrava non passare mai.
Pensò che la pallottola non aveva ancora sbloccato nulla, forse voleva prolungare quella appena conosciuta sensazione di sentirsi viva.
Aspettò ancora.
Ma qualcosa non tornava.
Sentì la fragorosa risata di una ragazza, sentì una madre passare vicino a lui con il suo piccolo, sentì le grida di molte persone che urlavano contro qualcuno.
Laggiù, in fondo al monumento.
Aprì gli occhi.
La piazza era luminosissima.
Sembrava accaduto qualcosa, tutti urlavano, anche la ragazza che aveva riso pochi secondi prima.
Deve essere successo qualcosa, pensò.

"Laggiù, c'è qualcuno che ha sparato, con la pistola!"
gli disse qualcuno.

Lui chiuse di nuovo gli occhi assaporando come non mai l'aria che respirava.
Poi guardò giù.
Una pallottola dorata giaceva a terra, appena davanti ai suoi piedi.
L'uomo cominciò a tremare e si piegò per raccoglierla.
La prese in mano, l'avvicinò ai suoi occhi, nella stessa posizione nella quale, a mezz'aria, se ne stava prima.
Poi sentì una voce.

"Avevi ragione"
L'uomo la riconobbe subito quella voce, la gente era viva, il mondo era vivo, ma la pallottola parlava ancora, come nel blocco.

"Avevi ragione"
ripetè

"Di cosa, amica mia, di cosa?"
chiese l'uomo in lacrime

"Che anche noi, che anche una pallottola, può avere forza di volontà. Ti prego, non lo dimenticare mai.
Mi sono fermata. 
Io mi sono fermata."

disse, per poi non parlare più

10.1.16

Il Vecchio, Il Matto e il Bambino, ovvero le storie di una calda estate italiana del 1990

L'immagine simbolo del "mio" Mondiale


"Forse non sarà una canzone 
a cambiare le regole del gioco
ma voglio viverla così quest'avventura
senza frontiere e con il cuore in gola"

E il cuore in gola è anche quello di un bambino di 13 anni malato di calcio che si ritrova il Mondiale nel proprio paese, un'Italia lussureggiante e goduriosa, ancora ignara delle mani pulite che la governano e soltanto incuriosita dai primi barconi colmi di disperazione che arrivano sulle coste.
E quel cuore in gola del bambino che fui non è tanto quello di chi non vede l'ora di tifare la propria nazionale, quella nazionale di Azeglio Vicini così piena di talento, dar Principe de Roma al siciliano dagli occhi sgranati, dal giovane codino buddhista toccato dalla Grazia alla punta che elevò le rovesciate ad arte, ma è l'emozione, l'attesa, l'adrenalina e la voglia di vivere e godersi ogni singola partita, di scoprire i nomi dei calciatori degli Emirati Arabi Uniti o quelli impossibili e tutti uguali dei Coreani del sud.
Perchè quel bambino già da anni riempe quaderni di nomi, statistiche e storie di calcio, e più le longitudini son lontane da Greenwich più il bambino si emoziona.
E' il Paese delle meraviglie di Alice, è la Fabbrica di Cioccolato del bambino goloso, è il Paese dei Balocchi di Pinocchio.
E' il Mondiale di calcio. Ed è a casa mia. E io partirò per Roma.

Totò Schillaci
Totò Schillaci

"E il mondo è una giostre di colori
e il vento accarezza le bandiere
arriva un brivido e ti trascina via
e sciogli in un abbraccio la follia"



Edoardo e Gianna continuano a cantare.
E parlano di colori e bandiere.
E il bambino quelle bandiere le adora, e non solo per il calcio ma anche per la geografia, altra grande passione.
L'Italia è coloratissima. l'arancione dell'Olanda, lo stesso arancione che molti anni dopo, ormai uomo, lo abbaglieranno in un'Olimpiade invernale torinese vista dal vivo, i ritmi tribali dei tifosi camerunensi, l'esoticità della Costa Rica, le orrende tute acetate dei russi, gli scozzesi in kilt, gli inglesi che bevono e menano, gli Stati Uniti che iniziano a scoprire veramente il soccer, l'incredibile entusiasmo misto alla religione di brasiliani e argentini, gli jugoslavi ancora tutti insieme ma pieni di fratture, e soprattutto una santabarbara di tricolori italiani che ammantano il suolo patrio tanto da coprirlo completamente.
E non so se l'abbraccio possa sciogliere questa follia.
Ma sì, sembra veramente di essere in un gigantesco abbraccio.


"Notti magiche
inseguendo un goal
sotto il cielo di un'estate italiana

e negli occhi tuoi
voglia di vincere
un'estate
un'avventura in più"

Sotto quel cielo che anche se piovesse te vedresti solo il sole il Mondiale comincia.
E quell'espressione "inseguendo un goal" non ha senso, ma sembra così bella.
Ed è bellissima, storica, la prima partita.
L'Argentina campione in carica affronta degli africani neri come la pece, i camerunensi.
L'Africa non è praticamente nessuno nel calcio, ha solo due squadre.
Davide nero sfida Golia bianco.
E lo mette a terra, tra gli sguardi attoniti di uno stadio stracolmo.
E la pietra che usa Davide è quella di una punta che sale in cielo e colpisce di testa. Sembra un tiro innocuo ma Pumpido, come scrisse De Gregori parlando di Nino e della sua maglia numero 7, lo lasciò passare.
L'Italia si innamora di questi africani, impara a memoria la formazione, scopre nuovi colori.
Ancora però il Vecchio Leone di cui poi parleremo non viene fuori, lo farà, in modo dirompente, solo poi.
L'Italia comincia bene e vince grazie a quello che, dal nulla, diventerà l'uomo simbolo dei Mondiali, un brutto nanerottolo con la faccia da associazione criminale.
Schillaci si chiamava. E il suo nome divenne leggenda.
Ma questo non è il post del resoconto sportivo di un mondiale.
Questo è il post di un bambino e delle storie che lo affascinarono.

Lo storico goal di Oman Biyck nella partita d'esordio


Quella degli Stati Uniti, un crogiolo di razze e di nomi. In porta Tony Meola, un portiere d'albergo che ha la sfortuna di esser venuto fuori 15 anni troppo in anticipo altrimenti, ne son sicuro, l'avremmo visto ne I Soprano.

C'è la Cecoslovacchia con una punta gigantesca che sembra una star del rock. Si chiama Skuhravy, ed è un grandissimo calciatore.

C'è la Romania più forte di sempre, quella di Hagi, Lacatus, Dumitrescu, Popescu, Munteanu.

C'è in'Inghilterra pragmatica, bruttina, anche se là in mezzo ha giocatori di una classe infinita. Si chiamano Beardsley, Barnes, Waddle, Platt. Davanti un serpente velenoso straordinario, Lineker.
Ma quello che ruba gli occhi è uno che col calcio apparentemente non c'entra niente. E' tracagnotto, ha la faccia da cazzo, fa le smorfie, sembra giocare solo per divertirsi un pò. Ma ha due piedi che un feticista del calcio starebbe lì a guardare fino alla fine dei suoi giorni.
E' Gazza Gascoigne, un atleta che dell'atleta non ha nulla. Probabilmente si farà 5 birre anche prima di giocare. Adesso, 25 anni dopo, è un uomo distrutto da almeno 15 di anni. Solo che sia ancora vivo è qualcosa di miracoloso. Quanto ti ho amato Gazza

il Genio: Paul Gascoigne

Ci sono gli Emirati che ne beccano 11 in 3 partite, il Costa Rica che passa il turno, l'Egitto che se la gioca con tutti. il Belgio che sembra grande, Matthaus che insegna calcio.

Ci sono decine di storie che se avessi la pazienza di voler raccontare e voi di voler sentire starei qua a farlo.
Ma, almeno io, quella pazienza non ce l'ho.

E allora torniamo al titolo, al Vecchio, il Matto e Il Bambino.
Il Bambino l'avete già conosciuto.
Ma non sapete che si trova a Roma, allo stadio.
C'è Italia - Cecoslovacchia.
E Baggio decide che quello non è il giorno giusto per giocare a calcio, preferisce lo sci.
E slalomeggia come in quegli anni faceva solo l'Albertone nazionale.
Dribbling di una leggerezza infinita, un ballerino.
E segna un goal pazzesco.
Il Bambino è basso, non ricorda quasi nulla, solo tante persone che sembrano travolgerlo.

Baggio e la fine del suo capolavoro. Visto dal vivo

Il Vecchio è nero, ha 38 anni, un'età impressionante per giocare a pallone.
Nel suo continente, l'Africa, è una specie di personaggio che trovi nei libri di Storia.
Ma qui non lo conosce nessuno, nessuno.
Segna due goal nella stessa partita alla forte Romania.
E' una pantera. Dopo il goal va alla bandierina e inizia a danzare in un modo che nessuno si dimenticherà. Lo farà ancora nel Mondiale. E ancora.
Si chiama Roger di nome, Milla di cognome.

La danza del Vecchio Campione

Il Matto è uno che se Soderbergh fosse passato di là avrebbe sicuramente chiamato per Traffic.
E' colombiano, capellone, una faccia e un atteggiamento da bullo e delinquente.
Il suo mondo, diresti, è quello dei cartelli della droga, non il calcio.
Dovrebbe essere un portiere ma in realtà lui se ne gironzola per tutto il campo. Lo trovi al limite dell'area, anche fuori, Lo vedi partire palla la piede scartando gli avversari.
E nessuno gli può dire niente sia perchè questo magari poi gli avrebbe piazzato una pallottola in testa sia perchè se c'è sto un leader nel calcio questo è lui.
Un giorno deciderà che è venuto il momento di far vedere al mondo qualcosa che il mondo su un campo da calcio non ha mai visto.
Si chiama Scorpione quel qualcosa.
Qualcosa che solo un Matto poteva fare e inventarsi.
Lui, invece, si chiama Higuita.
Potremmo anche parlare di un altro personaggio indimenticabile di quella nazionale, uno che lo vedi e cominci a ridere, "Dai, non può giocare a pallone uno coi capelli così, non scherziamo".
E invece questo non solo gioca ma gioca anche da Dio. Forse ci troviamo davanti addirittura ai due migliori piedi della storia del calcio colombiano.
Valderrama Carlos.

Carlos Valderrama

Il Vecchio e Il Matto si incontrano negli ottavi di finale.
L'occasione per entrambe le nazionali è unica. un posto ai quarti.
La partita va ai supplementari.
Il Vecchio prende la palla e con un'azione formidabile firma un goal meraviglioso.
A 38 anni agile come nessuno.
Va alla bandierina, la mano sinistra sul ventre e quella destra volteggia in aria, la sua danza.
La partita è ancora in bilico.
E vedi Il Matto quasi a metà campo con la palla la piede. E' un'immagine strana, di solito quelli vestiti in maniera diversa da tutti gli altri li trovi in porta.
Ha così tanto carisma ed ascendente sui suoi compagni che questi non solo non gli dicono di tornare indietro, ma gli passano la palla di continuo.
Come adesso.
Il Matto la stoppa, decide di non restituirla ai difensori e prova a dribblare con classe la punta avversaria.
Ma la punta avversaria è Il Vecchio.
La palla è rubata, la porta è vuota, Higuita prova da dietro ad abbattere Milla ma non può raggiungerlo.
Giuseppe è commosso alla tv mentre vede il quasi 40enne africano ballare ancora sulla bandierina.
Decide che quei 5 secondi sono i 5 secondi del suo Mondiale, quelli in cui i due personaggi più incredibili dello stesso sembrano quasi essersi messi d'accordo per regalargli la sceneggiatura, a lui che di sceneggiatura ancora non capisce niente, più bella che potesse esistere.

La disperata rincorsa di Higuita


Il Mondiale va avanti, Caniggia anticipa le farfalle di Zenga, i rigori ci buttano fuori.

Maradona in diretta tv ci dà dei figli di puttana durante l'inno.

E tante tante altre cose.

Notti magiche cantavano Edoardo e Gianna.
Un'iperbole apparentemente.
Eppure solo di magia posso parlare.
Se è vero che nessuna delle nostre estati potrà mai ritornare possiamo avere ancora il privilegio di ricordarle.
E se chiudo gli occhi sento un boato della folla in uno stadio, vedo quaderni riempirsi di tabellini, ricordo pomeriggi passati con gli occhi sgranati a vedere coreani correre a casaccio per il campo.
Mi verrebbe quasi voglia di ballare solo a pensarci.
Mano sinistra sul ventre, destra che volteggia nell'aria.

9.12.15

Catarsi



A 20 anni scrissi molti racconti.
Tutta robaccia.
Questo forse è uno dei due/tre che possono salvarsi in corner.
In ogni caso uno di quelli a cui sono più legato.


La pioggia battente.
Proseguo a velocità bassissima, il collo in avanti per cercare inutilmente di veder meglio.
La strada è dissestata ma è la strada di campagna che mi porta a casa, impossibile evitarla.
Con la pioggia poi questa strada è veramente un disastro, che ti sembra quasi che il fango arrivi fino a te, che se trovassi il coraggio di aprire il finestrino potresti allungare la mano e toccarlo.
Ad un certo punto mi sembra di scorgere qualcosa sulla destra, un colore anomalo nella monocromia di una notte in campagna di pioggia battente.
Ho due macchine davanti a me, proseguiamo a passo d'uomo, letteralmente a passo d'uomo.
La prima passa vicino alla macchia gialla.
La seconda pure.
Non rallentano nemmeno, sempre che rallentare a quella velocità possa avere un senso.
Ma se non rallentano probabilmente quella macchia gialla non sarà niente di che, niente di così interessante  da cercar di vedere meglio.
Sono ormai a pochi metri, cinque forse.
Quella macchia gialla è un impermeabile.
Giallo, di uno di quei gialli che ti sembrano più vicini ad una luce che ad un colore.
Ad un certo punto da sotto l'impermeabile sbuca una mano, appena un metro prima che lo affiancassi.
Braccio teso, pugno chiuso e pollice alzato, inequivocabile, qualsiasi persona si celi sotto quell'impermeabile mi sta chiedendo un passaggio.
E' notte, piove in un modo che in vita mia non avevo mai visto e non so minimamente chi possa avermi chiesto un passaggio, nemmeno se sia una donna o un uomo.
Eppure mi fermo.
Entra dallo sportello di dietro.
Guardo dallo specchietto, sono tesissimo ma al tempo stesso mi sembra di star vivendo un sogno in cui io non ho alcun potere decisionale.
Il mio passeggero si toglie il cappuccio e mi guarda attraverso lo specchietto.
E' maschio, e giovanissimo, non può arrivare a 18 anni.
"Ciao" gli faccio io.
Nessuna risposta.
"Che facevi da queste parti sotto la pioggia, ti sei perso?"
Nessuna risposta.
"Ascolta, dimmi qualcosa per favore, almeno dove devi andare, che devo fare, se hai una casa, dimmi qualcosa"
Nessuna risposta.
Il ragazzino intanto si toglie l'impermeabile, lo ripiega con cura e ad ogni mia domanda si limita a guardarmi, senza cambiare mai espressione.
Resto 5 minuti fermo, con le due mani sul volante.
Una macchina mi supera lentamente nel fango suonando clacson e maledizioni.
Continuo a guardare lo specchietto, a volte mi giro direttamente verso di lui ma ho la fermissima convinzione che quel bambino non mi parlerà mai.
In ogni caso non sento alcun senso di minaccia, non posso far altro che andare a casa e portarlo con me.
Faccio i 10 minuti che mi separano da casa con la sensazione fortissima che quella notte sarà infinita.
Arrivo, arriviamo.
Scendo lentamente dall'automobile e faccio per andare ad aprire al ragazzo ma lui è già fuori e si sta avviando verso casa.
Rimango pietrificato, aspetto di vedere se veramente sta entrando così, senza dir nulla, davanti a me.
Quando è inequivocabile che sia così lo raggiungo, apro la porta ed entriamo.
Si siede sul divano, l'impermeabile gocciolante sulle ginocchia.
Vado in cucina, appoggio i gomiti sul tavolo e cerco di calmarmi, decidere cosa fare, cosa dire.
Trovo il coraggio, prendo una sedia e mi metto seduto davanti a lui.
"Sei muto vero?"
"---"
"Hai fame? Sete?"
"---"
"Hai almeno qualche numero che posso chiamare, hai genitori?"
"---"
Mi alzo, vado in cucina a bere qualcosa, verso un thè freddo anche per lui, torno di là e glielo metto davanti.
Niente, il ragazzo continua a non mutare mai espressione. E continua a fissarmi. Non fissa me, no, fissa i miei occhi, soltanto quelli.
Poi comincia.
Piange.
Piange sempre più forte, fino ad arrivare a vere e proprie urla di disperazione.
Riesce negli spasmi a non smettere mai comunque di guardarmi.
E io non riesco a smettere di guardare lui.
Quello che successe poi non riuscirò mai a descriverlo a parole.
Sta di fatto che ho sentito qualcosa dentro di me che si muoveva, che cercava disperatamente di uscire.
Il bambino piangeva sempre più forte e qualcosa dentro di me se ne andava via.
Catarsi, questa è l'unica parola che mi viene in mente adesso per raccontare.
Catarsi.
Smise di piangere, si avvicinò a me, mi sorrise e mi abbracciò.
E la sensazione che provai in quell'abbraccio è qualcosa di talmente grande che non è trasferibile a parole.
Quel bambino stava abbracciando un uomo nuovo, quello che sono tutt'ora, quello che sono da quella notte.
Senza dire nulla se ne andò.
Mi avvicinai alla finestra, lo vidi allontanarsi rimettendo l'impermeabile e piantarsi sotto la pioggia al bordo della strada.
Passarono almeno una decina di automobili senza che successe niente.
Poi vidi una mano uscire dall'impermeabile.
Aveva scelto.
Quella notte un altro uomo sarebbe stato salvato.
Uscii in strada e vidi la macchina allontanarsi.
Tornai dentro casa con il viso fradicio.
Lo sarebbe stato anche senza pioggia.

11.8.15

Dialogo tra una comparsa e un assistente addetto all'entrata in scena

"Devo entrare adesso?"
"No"
"Ma sento i rumori della battaglia, non dovevo entrare quando sparavano?"
"Chi ti ha dato queste informazioni scusa?"
"No, nessuno, sentivo che dicevano così le altre comparse, quelle che stanno entrando adesso"
"E tu credi che usiamo comparse soltanto in una scena? No, non è la tua scena questa. E stai pure contento perchè questi che sono entrati adesso nemmeno si vedranno poi nel film montato"
"In che senso scusa?"
"E' una scena di guerra con centinaia di comparse, non hai visto quante sono entrate?"
"Sì"
"E allora in queste scene di massa chi riesce a riconoscersi è molto fortunato"
"Ah, capisco, ha ragione"
"Quando sarà il tuo momento te lo dico io. E ti dirò anche cosa devi fare, o.k?"
"O.k"

"Devo entrare adesso vero?"
"Ancora lei? No"
"Ma stanno entrando quasi tutti gli altri, c'è la scena della cena militare di gala, sento il rumore delle posate"
"Sì, bravo, lei è molto intuitivo, stiamo girando quella scena. Ma non è la sua scena"
"Ma io pensavo..."
"Ma poi, non l'ha visto come è vestito? Secondo lei poteva partecipare ad una cena di gala?"
"No, in effetti no, ha ragione"
"Allora per favore mi faccia fare il mio lavoro e se ne stia buono e calmo senza farmi più domande"
"Mi scuso di nuovo"

"Vado?"
"Dove scusi?"
"Entro dico?"
"Ancora?"
"No, guardi, stavolta ne ero proprio sicuro, sento dal rumore delle grida festose che è la scena di fine guerra e vedendo come sono vestito, così, da tutti i giorni, credevo fosse questa, per quello le ho chiesto se potevo andare"
"L'unico posto dove lui può andare è...non mi faccia essere volgare per favore."
"Le prometto che non la disturbo più, aspetto"
"Faccia che sia vero"

"Scusi, lei che scena ha?"
"Non lo so, me lo dicono loro quando devo entrare"
"Ah, quindi funziona così"
"E certo, come credeva funzionasse?"
"No, ha ragione, sono io che pensavo ce lo dicessero prima. Pensi che ho rotto le scatole non sa quante volte a quell'assistente là chiedendogli se potevo entrare o no"
"Ma perchè, vuole decidere lei quando entrare?
"No, assolutamente, ma pensavo..."
"Lei non deve pensare a nulla, probabilmente è un ansioso, probabilmente pensa che fare la comparsa in questo film sia la svolta della sua vita, pensa questo?"
"No no"
"E allora aspetti il suo turno, come tutti noi. E non si faccia illusioni, già sarà fortunato se riuscirà a vedersi nel film montato, poi, anche se si vedrà, oltre i suoi familiari non lo ricorderà nessuno. Ma lei è la prima volta che fa la comparsa in un film?"
"Sì"
"Ah, ecco, allora si spiega tutto, anche io la prima volta credevo che fosse chissàche. Invece niente, nulla, lo faccio solo perchè mi prendo i miei 100 euro e stop. Pensi che non sto nemmeno più a controllare se sono entrato nell'inquadratura o meno"
"Ma lei l'ha fatto molte volte?"
"Decine, forse un centinaio. Aspettando sempre il mio turno, entrando senza fare praticamente nulla, ritirando i miei bei soldini e stop, è una specie di catena di montaggio, nient'altro"
"E si ricorda però se almeno la prima volta era emozionato?"
"Guardi, le devo dire la ver..., no, scusi, devo entrare, mi stanno chiamando, arrivederci!"
"Arrivederci!"

"Scusi, lei lavora per il film?"
"Sì"
"Posso farle una domanda?"
"Brevissima, ho da fare"
"Sa mica quante scene mancano ancora oggi? No, così, per sapere quanto semmai devo ancora aspettare"
"Ne manca solo una, quella che sta cominciando adesso"
"Oddio, ma quindi lei vuole dirmi che sono stato qua tutto il gior..."
"Ehi!!! Lei!!!!! Si muova, deve entrare!!"
"Ah, meno male, mi hanno chiamato, devo entrare, arrivederci"
"Si muova!! Con chi sta chiacchierando? Si muova!!"
"Eccomi eccomi, che devo fare?"
"Entri, non deve far nulla, si muova che non c'è tempo"
"Ma com..."
"Si muova!!"

"Scusi!! Scusi!! Ma qui dentro non c'è più nessuno!!!"
"Non ho capito, cosa vuole?"
"Sono qui da solo, non c'è più nessuno! Mi apra per favore!"
"Ascolti, ora lei mi fa veramente arrabbiare, faccia la sua scena e si muova! Sono rimasto solo io di qua, la sto aspettando, si muova!"
"Ma le ripeto, non c'è più nessuno! Di cosa devo fare la comparsa se non c'è più nessuno???"
"Comparsa?"
"Sì!"
"Scusi, ma chi le ha detto che lei deve fare la comparsa?"
"Nessuno"
"E allora si muova a girare quest'ultima scena, la telecamera è là, già piazzata. Il film finisce con lei, può fare e dire quello che vuole, la stiamo aspettando. E, per favore, la prossima volta che le viene offerto un ruolo così importante, quello principale, eviti tutte le manfrine che ha fatto oggi, mi stava innervosendo. Se ne avrà per molto io vado a casa. Quando ha finito spenga la telecamera e chiuda la porta. Può fare quello che vuole, è tutto suo"