4.8.22

Recensione: "The Deer King - Il Re dei Cervi" - AnimE e Core, la grande passione per l'animazione giapponese - 15 - di Enrico C.

 

E dopo la prima puntata della nuova rubrica di Nicola ecco che torna invece Enrico, arrivato invece addirittura al suo quindicesimo appuntamento.
Avrei dovuto mettere questa recensione 40 giorni fa, in occasione dei 3 giorni/evento in cui il film è stato nelle sale.
Ovviamente - non sarei io - non ce l'ho fatta.
Ma pace, sarà sempre bello leggere di quest'opera e sicuramente, chi interessato, saprà come e dove vederla.
Vi lascio alle parole di Enrico di presentazione e poi alla recensione
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Per un evento di tre giorni è sbarcata al cinema l’epopea fantasy dal Giappone: The Deer King, cortesia della solita Anime Factory che quest’anno, dopo Belle, ha praticamente spodestato la Dynit come distributore italiano di fiducia. Se stanno portando il meglio dell’animazione nipponica sul grande schermo però, va detto che questa non è una delle loro migliori cartucce. Un bel filmone di terre magiche, natura e malattie, uomini e guerra, spettacolare, coraggioso. Ma troppo confuso, troppo spiegato, senza quella scintilla che lo elevi davvero o personaggi memorabili. Peccato, le premesse per uno dei migliori prodotti dell’anno c’erano davvero tutte.

Senza spoiler


RECENSIONE

Ammetto che forse avevo aspettative troppo alte. The Deer King non è uno dei tanti film animati del 2021, giunti da noi dopo il canonico annetto (per inciso: se va bene). Una scorsa ai nomi, e ci si rende conto, per citare The Wolf of Wall Steet, che “stiamo parlando di balene, ragazzi”. Anche evitando trailer e similia, mi arrivava che persino la campagna pubblicitaria italiana batteva molto sull’esordio “dell’animatore dello Studio Ghibli e Your Name”, sul “film dell’assistente regista alla Città Incantata”. Ora posso dire che si vede, e tanto, sia nel bene che nel male.
Prima la storia però. The Deer King fa parte del filone dei film fantastici, attenzione quindi a sciogliere il soggetto dal contesto. Per soggetto s’intende l’ossatura di un film, in questo caso un uomo tormentato dal passato che trova l’occasione di rifarsi una vita come padre di una piccola orfanella, fino a quando non ne viene separato, a causa delle mire politiche di potenti entità, ma anche di alcune forze mistiche. Il contesto invece è quella classica cosa, essenziale ed indubbiamente affascinante, che però nei fantasy fatti male sostituisce la storia, di solito banalissima, cioè la costruzione di un mondo altro, con tutte le sue regole, i suoi costumi, lingue, regimi, classi sociali. In una parola, il worldbuilding. Ora, credo che qui la base di partenza sia stata un libro, forse addirittura una saga, perché il worldbuilding è parecchio complesso. Non darò in merito informazioni che non possiedo, non so nemmeno se la fonte sia occidentale od orientale, adattata fedelmente o meno; so solo che il peso di questo contesto si sente tutto, su un soggettino, guardiamoci in faccia, abbastanza striminzito e già sentito come quello più sopra.




Per carità eh, sulla resa visiva di questo mondo mi tolgo assolutamente il cappello. Palese che i due registi vengano da un lungo rodaggio nelle file dello Studio Ghibli, il design, l’atmosfera, i temi trattati guardano tutti in quella direzione, persino le musiche urlano Joe Hisaishi da ogni pentagramma. Miyaji Masayuki è stato d’altronde collaboratore alla regia di Miyazaki, ma il pezzo grosso è Masashi Ando, ovvero uno dei più grandi animatori di sempre che nessuno conosce. Seriamente, basta guardare il suo curriculum, da Your Name a Napping Princess, dai “fuggiaschi del Ghibli” dello Studio Ponoc a Satoshi Kon, passando per la collaborazione con Production I.G. (rinnovata con questo esordio alla regia) quando Mamoru Oshii fece Ghost in the Shell 2, dite un successo giapponese degli ultimi trent’anni e lui ci ha lavorato. Soprattutto, dai primi anni ’90, faceva parte dello staff Ghibli, impegnato allora nello sforzo per Principessa Mononoke, e proprio questo sembra essere il modello supremo qui. Un mondo feudale dai tratti fantasy, violento, sanguinario, riproposto molto bene nei primi minuti di The Deer King, in cui praticamente non c’è un vero dialogo, solo grugniti, frustate, una lotta animalesca per la sopravvivenza. Poi ci sono i lupi, i destrieri-cervi del protagonista che ricordano il fedele Yakkul di Ashitaka, quel fiume viola che accompagna la malattia dei lupi, impossibile da non paragonare alla lebbra nera che fa impazzire le creature del bosco, la Natura divinizzata e personificata (là dal Dio della Foresta, qui dal Re dei Lupi). E poi ci sono le battaglie per il potere degli umani, dove il film brilla non poco. Il fatto d’essere un fantasy non annacqua affatto la crudezza di questo mondo, anzi trovano spazio pure momenti abbastanza horror (la bambina “posseduta”, l’attacco dei lupi alla miniera, l’agguato sui trampoli stile Mad Max Fury Road), discorsi affatto infantili sulla convivenza politica di popoli diversi, sprazzi d’azione “sporchi”, per nulla imbellettati da coreografie raffinate, come la scaramuccia tra l’Inseguitrice e Van. Si ha l’impressione, poi, di ammirare quelle stesse dinamiche recentemente viste in Dune: anche lì, nonostante la patina fantascientifica, ci si trova chiaramente in una sorta di Medioevo, un’epoca buia (cosa che il nostro Medioevo non era affatto, ma sto divagando) dove non a caso abbiamo delle figure religiose, queste specie di beghine chiamate le Bene Gesserit, che impongono il loro volere politico. In The Deer King è la stessa cosa in salsa fantasy, visto che troviamo le voci ingombranti dei sacerdoti, spesso e volentieri a fare da contraltare a quelle degli studiosi. Il personaggio più interessante della prima parte è infatti il cerusico di corte, un uomo delicato e idealista, che riflette se vogliamo il pensiero dello spettatore, sbigottito e affascinato dal mistero del mittal, la piaga dei lupi neri.




Purtroppo mano a mano che il film va avanti molte occasioni vengono sprecate. Dal secondo atto in poi è come se si perdesse il controllo dell’adattamento: la fonte libraria, certamente più corposa e dettagliata, ma gestita gradevolmente all’inizio, straborda nei monologhi interiori del medico, sempre più ripetitivi e pesanti, mentre il personaggio viene ridotto ad un compagno di viaggio senza una chiara utilità nelle meccaniche del gruppo. Molti altri invece, come il Re dei ribelli e il suo machiavellico Ministro, la donna ranger, il figlio dell’Imperatore, rimangono interessanti sulla carta ma tragicamente sottosviluppati, fino ad arrivare al disastro assoluto di sceneggiatura del capo villaggio del Cavallo Rosso: un jolly di conclamata importanza tra le fazioni belligeranti, che si fa mezzo film senza fare NIENTE, scompare per tutto il secondo atto, ricompare al terzo quando ormai te lo sei dimenticato, e dieci minuti dopo che le sue motivazioni sono state un minimo affrontate esce a gamba tesa dalla storia. Veramente complimenti.
L’unico miglioramento apportato riguarda la bambina adottata da Van. Francamente insopportabile, quando viene rapita dai lupi, è a dir poco un sollievo togliersela di torno per buona parte del finale. Lo so, può suonare duro, ma questo prova ancora una volta quanto sia difficile scrivere dei bambini che non risultino leziosi e antipatici, e quella di The Deer King tristemente cade in pieno nella trappola. Aggiungo, ad onor del vero, che il film si riscatta con una relazione padre e figlia niente male, costruita con poche pennellate. Vedasi il bellissimo montaggio musicale al villaggio degli allevatori, forse la parte migliore di tutte, dove vediamo la coppia ambientarsi: tanti risultati con poco sforzo. Però seriamente, se andate su Prime oggi stesso potete vedere The Head Hunter, un film poverissimo, col cui budget probabilmente quelli di Production I.G. non ci avrebbero animato nemmeno un cervo; eppure, che riesce a costruire un fantasy coerente ed eccitante, nonché una credibile relazione padre-figlia. E lo fa con letteralmente due attori e qualche oggetto di scena, senza mostrare praticamente nulla. Quindi scusate, ma mi sento un po’ scorretto a complimentarmi per il minimo sindacale, visto tutti i mezzi e le virtuose maestranze del disegno riunite.




E qui ci si rende conto che The Deer King non è un brutto film di per sé, ma impallidisce di fronte alle sue palesi ispirazioni. Dicevamo prima delle radici di Ando come animatore per Miyazaki. A mio parere, la genialità del celebrato maestro non sta tanto nella bellezza del tratto, e nemmeno nelle storie, tanto appassionanti quanto ripetitive (ci si potrebbe fare un libro intero sulla “arte del riciclo” di Hayao Miyazaki). No, anche la sceneggiatura migliore non potrebbe funzionare senza buoni personaggi. Pensiamo al fantasy feudale ravvivato da San, la Principessa Spettro, da Ashitaka, Eboshi, ma anche la più piccola comparsa che sparirà la scena dopo, quanto sono coloriti, empatici, valorizzati l’uno dagli altri. Il confronto purtroppo è schiacciante, e lo sarà specie quando Mononoke farà un gradito ritorno al cinema, il 14 luglio (segnatevi la data ed evitate possibilmente la versione doppiata in cannarsese). So che è un paragone ingiusto, ma l’ambizione di confrontarsi con certi modelli d’altronde non può che portare a dei paragoni. Non voglio fare il passatista, quando Ayumu Watanabe ha sfidato 2001: Odissea nello Spazio con I Figli del Mare sono stato pronto a parlare di capolavoro - tra l’altro anche lui mi ha deluso quest’anno, con La fortuna di Nikuko, confermando purtroppo come il 2022 sia un pallido anno per il cinema rispetto al 2021, e persino dal Giappone arriva poco di entusiasmante – ma se i rischi non pagano giustamente bisogna essere onesti a riguardo.Spero di non suonare più duro di quello che vorrei, The Deer King è a suo modo un esperimento con i suoi buoni risultati, specie in campo visivo, immaginifico, metaforico. So che Masashi Ando può fare grandi cose. L’ho letto nella passione, che trasuda dai colori di quelle montagne, di quei lupi feroci, di quei popoli del regno della fantasia, sopra ogni segno di matita. La prossima volta però, una sistemata alla sceneggiatura, eh?

2 commenti:

  1. Non ero a conoscenza di questo film, che parrebbe davvero interessante ;)

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    1. Interessante di sicuro, sull'essere effettivamente un grande film... beh, se ne può discutere ;)

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due cose

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3 ciao