28.11.24

Recensione: "The Beast" - Al Cinema 2024

 

The Beast è uno dei film più complessi, "importanti" e belli di quest'anno.
Siamo nel 2044 e Gabrielle, per trovare lavoro, affronta un colloquio in cui un'intelligenza artificiale (io la chiamerò Il Sistema) le dice che deve purificare la propria anima.
E questo significa eliminare tutte le emozioni, una specie di Atarassia del futuro che è condizione necessaria per fare sempre la cosa giusta, senza farsi condizionare dal proprio stato d'animo.
Per farlo Gabrielle deve "rivivere" le sue vite precedenti ed eliminare ogni fonte d'emozione.
In qualche modo, disconoscere quindi la sua stessa capacità di amare.
Gabrielle che ha vissuto tutte le sue vite sentendo sottotraccia la presenza di una Bestia, di un qualcosa o qualcuno che l'avrebbe portata alla tragedia.
Film che analizza tantissime cose, le possibili derive della nostra società, la spersonalizzazione, la realtà vera e quelle virtuale che ci costruiscono intorno.
E la forza  - che a volte è anche necessità - di difendere il proprio amore e la propria possibilità di emozionarsi ancora contro tutto e tutti, contro il Tempo, contro il Sistema, contro il non amore.


Tra le tante, tantissime, cose e suggestioni che ti lascia The Beast credo che la più interessante - e sulla quale non avevo mai riflettuto prima d'ora - sia lo "stato" in cui il Sistema vigente nel 2044 ti vuole portare, ossia quello di poter vivere sentimenti ma non emozioni.
Cristo, io che di sentimenti ed emozioni provo a interrogarmi e viverne da una vita non c'avevo mai pensato, non sono alla fine la stessa cosa?
Oddio, no, ovviamente no, ma, voglio dire, se è vero che un'emozione non nasconde per forza dentro di sè un sentimento (anzi, ce ne sono millemila staccate da esso) può esser vero il contrario?
Può il Louis del 2044 rispondere al "ti amo" di Gabrielle - un "ti amo" che era probabilmente in punta di labbra da 134 anni - può rispondergli "Anch'io" senza provare emozioni?
Perchè di film e libri distopici in cui le emozioni e/o i sentimenti vengono banditi o ripudiati nel futuro ne esiston tanti (voglio citare uno dei film in questo caso più sottovalutati, lo straordinario Non Lasciarmi) ma è la prima volta che mi ritrovo in questa situazione, sentimenti sì ma emozioni no.
Ecco, ovviamente quella di "The Beast" è una provocazione (come si fa ad amare senza che il cuore ti batta all'impazzata? senza che il solo pensiero di lei/lui non ti faccia sussultare? senza un occhio lucido, una mano che trema, un abbraccio che coccola?) ma - anche se forse non è il tema principale - potrebbe rappresentare una nemmeno troppo velata critica alla piega che sta prendendo il mondo, ovvero quella dove le emozioni "reali" sono sempre più rare o bypassate da quelle virtuali, dove ci si ama ma con poche lacrime e poco sudore, dove tante coppie vanno avanti in un modo non tanto "finto" (che di amori finti ne esistono dall'alba dei tempi) ma freddo, superficiale, calcolato, come freddo, superficiale e calcolato è il mondo dei computer e della rete che, per nostra fortuna e sfortuna, stiamo vivendo.
E questa lettura non è qualcosa di buttato là o metafora forzata eh, chè The Beast ha veramente dentro tutto il nuovo mondo, le intelligenze artificiali, le realtà virtuali e alternative, you tube, i vlog, i green screen, la rete, qualsiasi cosa.

Proprio con un green screen comincia il film, con Gabrielle (una sontuosa Lea Seydoux) che viene "istruita" su una scena da recitare, una scena che racconta di coltelli e bestie, qualcosa che ovviamente non possiamo per ora capire e che solo poi, ma tanto poi, potremo provare a darne un significato.
Eppure già in quei primi due minuti abbiamo un "motivo forte" del film, ovvero quello del concettò di realtà "vera" e virtuale.


Non è un caso che, a pensarci, possiamo immaginarci The Beast come un intero film in green screen, ovvero con una protagonista reale, Gabrielle, e tutto quello che le succede una realtà aggiunta in post produzione o, con tecnologia ancor più avanzata, come realtà "live" aumentata (ovvero vissuta in "diretta" da lei), virtuale.
Ma alla fine ci sono almeno altri due tipi di realtà virtuale nella nostra vita, i sogni e l'ipnosi, non a caso presenti entrambi nel film.
(ci sono un paio di scene stupende in voice off sotto una specie di ipnosi, mi hanno ricordato da morire Europa di Lars Von Trier o il finale di Oldboy).

E, attenzione, non sto mettendo tutti questi elementi a caso tipo a dire "inserisco tutto almeno qualcosa la prendo sicuro" ma The Beast è realmente un film sul collasso e sulla compresenza di tantissimi elementi tra loro.
E quindi se quello che Gabrielle vive sia una ipnosi regressiva, un sogno, una tecnologia avanzatissima che le permette di rivivere le sue varie incarnazioni o un visore di realtà aumentata, tutte restano in ogni caso, ognuna a suo modo, ipotesi valide.

Ovviamente la diegesi del film è abbastanza esplicitamente quella della sci-fi (sci fi che è quasi soltanto nel contesto e nell'ambientazione, The Beast è un film che si sradica dal genere o che comunque usa quello soltanto come mezzo) ma questo è un film talmente stratificato che qualsiasi lettura è possibile.
E, ripeto, non è un non riuscire a prendere una posizione chiara, è così.

La Gabrielle del 2044, un 2044 molto simile al nostro presente ma con - ovviamente - tecnologie avanzatissime, molti automi al posto degli esseri umani e una straziante e quasi imposta solitudine (le persone girano per strada sempre sole e con un visore che gli preclude qualsiasi interazione con gli altri) sta cercando un lavoro, mi pare non specificato.
Viene richiesto un solo requisito, ovvero quello di non essere sopraffatti dalle emozioni, non provarne più, perchè solo il nostro distacco da quelle (potremmo azzardare una specie di Atarassia) ci può permettere di rendere al meglio, di compiere sempre le scelte giuste, di affrontare le cose con la perfetta serenità.
Concetti in realtà "pericolosi" ma anche inquietantemente giusti potremmo dire, senza emozioni, passioni, paure ed entusiasmi le nostre scelte, come un freddo calcolatore, saranno sempre quelle giuste.
Per arrivare a questo stato bisogna ripercorrere le nostre vite precedenti (ovviamente il film mette alla base di tutto l'esistenza e veridicità di questo concetto) e "ripulire" la nostra anima, eliminando tutte le cose che in tutto il suo percorso l'hanno resa "viva", fragile, "umana".
Non è un caso che la primissima scena che vediamo della vita di Gabrielle (nella Parigi del 1910 che, di lì a poco, verrà sommersa dalla storica alluvione della Senna), primissima scena che per tecnica (piano sequenza) e ambientazione (palazzo signorile e tutti in costume) non può non rimandarci ad Arca Russa, dicevo non è un caso che una delle prime frasi che dirà Gabrielle sia "Io tengo alla mia anima".
Come se, in qualche modo, la Gabrielle che si sta sottoponendo a quel trattamento fosse già in "protezione" e in conflitto con il procedimento stesso.
"Sto facendo questo processo ma tengo alla mia anima, non voglio che scompaia"
(e il film poi confermerà quanto quella frase fosse sentita e profonda).

Ma c'è subito un altro caposaldo del film che viene fuori sin dalle primissime battute, ovvero quello che dà titolo al film, La Bestia.
Gabrielle vive la propria vita con la costante sensazione che stia succedendo qualcosa di terribile, una tragedia, una sciagura, un qualcosa che può annientarla.
Questo qualcosa è reificato in questa Bestia che però, a sua volta, sempre astratta rimane, (alla faccia della reificazione...), reificazione che, in qualche modo, è quindi soltanto semantica.
Ora...
Questa Bestia pare tanto, alla fine, un altissimo concetto alla Babadook, ovvero un "mostrificare" qualcosa di cui abbiamo paura, o un nostro trauma, o una nostra fobia, o una nostra condizione esistenziale.
Probabilmente nel film La Bestia è l'amore (mi pare venga anche esplicitato), quell'amore che, lo sappiamo, ci ucciderà.
La Bestia potrebbe quindi diventare Louis, ma ci torneremo.
Eppure pensateci, zoomiamo indietro, tanto indietro, allarghiamo più che possiamo questo concetto e ci renderemmo conto che forse The Beast altro non parla che della condizione esistenziale di ogni essere umano, ovvero quella di vivere costantemente nel terrore di morire.
La Bestia è la Morte e molto spesso non riusciamo a vivere completamente le nostre vite, o a non godere appieno delle cose belle che facciamo o che potremmo fare, perchè tanto quel velo nero di tristezza e di fine ineluttabile ci copre gli occhi, quella bestia è sempre lì dietro l'angolo, possiamo restare nella nostra stanza (vita) quanto tempo vogliamo ma prima o poi in quell'angolo dobbiamo passare.
Tornando invece a zoomare avanti questo terrore atavico potrebbe anche riguardare gli altri, ovvero vivere costantemente con la paura che possa perdere la vita qualcuno vicino a noi.
In ogni caso questa bestia è un terrore cieco (perchè ciechi siamo in qualche modo noi nel cercare di indentificarlo) che ci condiziona la vita, perchè qualcosa di brutto sta per accadere.



Non è un caso che Bonello inserisca nel film anche due disastri naturali, un'alluvione (reale, Parigi 1910) e un forte terremoto, come a dare una conseguenza e una deriva "non umana" ad una paura fottutamente umana.
Ricorda un pò le cose che accadevano intorno alla protagonista a causa delle sue emozioni nello splendido Thelma.
E, se ci pensate, le "due" Gabrielle moriranno proprio a causa dell'alluvione e, implicitamente, del terremoto (torneremo su queste morti/non morti).
In ogni caso il "Sistema" del 2044 molto probabilmente identifica la bestia che Gabrielle deve eliminare in Louis.

21.11.24

Recensione: "Anora" - Al Cinema 2024

 

L'ultimo film di Sean Baker è, se possibile, il suo migliore (anche se io che ho come sfondo del blog The Florida Project sono combattuto).
L'ennesimo suo film con protagonista femminile.
L'ennesimo suo film sul mondo del sesso o della prostituzione.
L'ennesimo suo film con una protagonista "sbagliata", immatura, piena di contraddizioni, moralmente discutibile eppure, e qui sta gran parte della magia dei personaggi di Baker, amabile, umana, vera.
I suoi film pur raccontando spesso tematiche serie e importanti sono "leggeri", dolci, ironici, eppur non meno emozionanti.
Anora, se possibile, vira proprio nel comico tout court per gran parte della sua durata.
La storia di una spogliarellista che si innamora (finge di innamorarsi) del ricchissimo (e immaturissimo e superficialissimo) figlio di un oligarca russo.
Feste, sesso, soldi, un matrimonio a Las Vegas.
Un matrimonio che non s'ha da fare però, dicono i russi.
Si ride, tanto.
Eppure negli ultimi minuti il film diventa altro.
E lo fa attraverso un personaggio sempre rimasto sullo sfondo ma, in realtà, l'unico che c'è sempre stato.
Igor è la personificazione dell'amore, dell'affetto, della presenza, della protezione, dell'esserci.
E un finale da pelle d'oca ci darà le chiavi per raccogliere tutti i pezzi.
Stupendo.


A volte nel cinema ci sono dei finali non solo bellissimi, ma anche capaci, in pochi secondi, di far "rileggere" un film.
O dargli infinita più profondità.
O fargli quasi cambiare genere.
Ecco, tutto questo accade nel meraviglioso finale di Anora, ennesima perla di Sean Baker, qui FORSE al suo film migliore (e che lo dica uno che ha come sfondo del blog The Florida Project è tutto dire).
Baker è un regista unico, quasi una mosca bianca.
Perchè fa un "non genere" quasi solo suo, ovvero quello di film dolcissimi, teneri, a tratti anche divertenti (Anora in questo senso per buona parte è addirittura un film comico) ma che affrontano comunque temi molto drammatici, importanti, in un modo tutto loro però, senza mai sfociare nel drammatico tout court ma dandoti le stesse emozioni e la stessa efficacia.

E, ormai dopo la visione di 4 suoi film, possiamo notare due "ossessioni" di Baker, o comunque due suoi punti fermi quasi insostituibili.
Il primo è che i suoi personaggi, in qualche modo, sono sempre nel mondo del sesso.

Le prostitute trans di Tangerine.
Starlet che fa la pornostar.
Halley che in The Florida Project faceva la ballerina sexy per poi cominciare a prostituirsi in casa.
Anora che fa la spogliarellista (e poi pure la escort).
E per curiosità sono andato a vedere anche il soggetto di Red Rocket (che non ho visto) e, bingo, anche lì siamo dentro al mondo del sesso.

E questo rende anche più magico Baker, perchè i suoi film sono SEMPRE dentro contesti promiscui, laidi, di sfruttamento sessuale o di sesso visto come unica possibile fonte di guadagno.
Eppure è incredibile come riesca sempre a "mantenerli" dolci, leggeri, emozionanti, umani, con quei degradi di vita e di ambienti che diventano invece color pastello, ma non un pastello "finto" e macchiettistico come Wes Anderson ma realistico.
Come se quella di Baker più che una cifra stilistica sia piuttosto esistenziale, ovvero saper sempre descrivere e accogliere la vita col sorriso e la leggerezza, senza mai per questo sottovalutarne le brutture o sminuendone le difficoltà, anzi.

E il secondo must di Baker è che le sue protagoniste, oltre che sempre ragazze, sono anche esseri umani "tutti sbagliati", spessissimo immaturi, quasi sempre con pochi valori, arroganti, superficiali, maldestri, furbi, un disastro.
Ma anche qua abbiamo la magia, perchè in questo loro essere sbagliati e pieni di qualità negative noi li amiamo tutti, li "capiamo" tutti, riusciamo sempre a percepirne la bellezza che c'è sotto e un amore che hanno bisogno di scoprire, o di ricevere, o di dare.
E Anora, in questo, è un mezzo capolavoro.

Sì perchè - e finalmente arriviamo al film - Anora è il racconto di una ragazza di cui non conosciamo alcun passato (genitori assenti, solo un piccolo accenno alla nonna riguardo il nome russo) e che scopriamo essere arrivata a 23 anni senza alcun valore, immatura, sfrontata, arrogante, superficiale, una bellissima ragazza che sfrutta il proprio corpo (stupendo) e la sua bellezza per raggiungere tutti i suoi obiettivi.
E se nel lavoro Anora "deve" fare così (circuire chiunque sessualmente per guadagnare) sembra applicare la stessa forma mentis anche di fuori, cominciando una storia con il giovane rampollo figlio di oligarca russo Ivan.
Anora conosce solo questo format, io sono bella, io flirto, io conquisto, io faccio sesso, io guadagno e l'occasione di diventare la "cliente fissa" di Ivan è troppo grande, il ragazzo ha miliardi su miliardi.
Eppure accade un piccolo "click" nella testa di Anora, ovvero quello di iniziare - forse - a credere che dietro questo rapporto, stavolta, ci sia qualcosa in più.
Non è un innamoramento eh, chè Anora - ci torneremo - l'amore non sa nemmeno cosa sia, ma è la "sensazione" che ci sia qualcosa di diverso. Come se nella sua testa fosse stata inserita un'informazione nuova che rimane sottotraccia.
 Ma l'innesto c'è stato.

Per questo è difficile per lo spettatore capire se tutto quello che sta facendo Anora sia puro opportunismo o, ad un certo punto, frutto di un sentimento verso Ivan.
La verità, e ne sono abbastanza sicuro, sta nel mezzo, ovvero che lei compia sì tutte le sue azioni sempre con finalità strumentali (mi sposo con lui e lotto per non annullare il matrimonio perchè questa vita folle e miliardaria mi piace) ma, al tempo stesso, come un bambino che impara le cose piano piano, scoprire nuove sensazioni, anche molto belle, come quelle di appoggiare la testa nel petto del tuo ragazzo.
Sono informazioni gigantesche che Anora sta scoprendo ma che non riguardano lei e Ivan, no, riguardano solo lei (non è un caso che in queste scene potenzialmente così tenere lui giochi alla play).
Ivan, senza alcun merito se non quello di essere ricco (ma spesso capita che le persone sbagliate, anche involontariamente, ti portano a scoprire le cose belle) rappresenterà l'inizio del suo cambiamento, l'imboccatura del suo turning point che poi avverrà, però, e in maniera bella, intensa, "vera", profonda, solo con Igor.
Ivan è un ragazzino viziato, immaturo e strafottente, tremendamente superficiale, che ha permesso però ad Anora di avvertire quel click di cui sopra, ovvero il percepire che oltre ad ammaliare gli uomini, scopare e guadagnare ci possa essere dell'altro.
E adesso in quella fessura che si è aperta può entrare piano piano un altro essere umano meraviglioso, Igor, che quella fessura, in un magnifico finale - abbacinante per bellezza - senza fare quasi niente ma in realtà facendo una cosa gigantesca, ovvero "esserci", dicevo quella fessura la farà diventare una frana, una frana travolgente sulla quale torneremo dopo.



Ho faticato all'inizio, nella prima mezz'ora.
O meglio, più che faticato non riuscivo a trovare niente di così bello in Anora.
Non voglio dire che fosse una commedia come se ne vedono tante, ma poco ci manca.
Le tante scene al night (tra The Substance e Anora ho fatto il pieno per un anno di nudi femminili al cinema), loro che si conoscono, le mega feste, il sesso ogni 5 minuti, fatto in qualsiasi momento e in tutte le posizioni, il mega lusso della casa e delle vacanze e poi il matrimonio a Las Vegas.

19.11.24

Recensione: "Terrifier 3" - Al Cinema 2024

 

1 BAMBINO PROLOGO A LETTO 
Fatto a pezzi con accetta.
Decollato.
Inizialmente muore fuori campo poi per fortuna ne vedremo i pezzi in seguito

2 BABBO PROLOGO
Fatto a pezzi e decollato.

3 MAMMA PROLOGO
Morte a colpi di accetta.

4 POLIZIOTTO NERO
Decollato.

(scusate, so che sembra il tabellone di Malpensa, non fateci caso)

5 INFERMIERA OSPEDALE
Morte imprecisata ma poi necrofagitata dalla sola testa di Art

6 INFERMIERE OSPEDALE
Scarnificato con l'imposizione delle sole mani.

7 CLOWN SOSIA DI ART NEL BUS
Morte imprecisata e fuori campo. Si presume dolorosa.

8 OPERAIO NELLA VECCHIA CASA
Faccia strappata via dalla testa.
Tutto mentre la "mostra", vedendo la scena, si masturba con un vetro tagliente

9 TOPOLINO (il count è sugli esseri viventi)
Freezato e fatto a pezzi.

10 BARISTA
Banalmente sparato.

11 AVVENTORE DEL BAR
Banalmente sparato.

12 BABBO NATALE
Farà la fine del topo, ovvero freezato e poi fatto a pezzi.
A differenza del topo vedrà apposto nel suo orifizio nasale una carota

13 - 17 BAMBINI E GENITORI AL CENTRO COMMECIALE
Esplosi o bruciati vivi con ordigni esplosivi costruiti da un Art improvvisatosi Unabomber.
Grazie al tg della sera abbiamo il numero esatto di decessi (5).
In realtà ci sono anche 6 feriti gravissimi, aspettiamo aggiornamenti

18 - 19 COPPIA CHE FA SESSO NELLA DOCCIA
Morti per leggere ferite da motosega.
Lei semplicemente sfregiata e scarnificata (le vengono apposti degli occhiali simpatici), lui tagliato in due prima a partire dal sedere (seguendo il taglio perfetto delle chiappe) poi, una volta girato, tagliato dal pene in su, qui con meno precisione (non c'era il solco, ecco).
Successivamente fatto anche a pezzi più piccoli.

20 ZIO PROTAGONISTA
Crocifisso ed eviscerato, a metà tra Cristo e Prometeo

21 SORELLA PROTAGONISTA
Il caso più incerto.
Perchè solo l'autopsia potrà dimostrare se morta a causa dell'ingerimento di topi vivi o per il taglio della carotide successivo.
Nel primo caso la morte è ascrivibile ad Art, nel secondo alla mostra.

22 FRATELLO PROTAGONISTA
Morte imprecisata, di lui abbiamo il solo cranio scarnificato.
Anche qui solo l'autopsia potrà, forse, darci più certezze.

Seguono poi altre 5 morti che non possono essere ascrivibili ad Art o che possiamo ritenere solo presunte.

1 BAMBINA DEL PROLOGO
E' nascosta in un armadietto.
Non abbiamo notizie

2 OPERAIO NERO
Viene ucciso dalla mostra dopo che questa si alza dalla vasca

3 NIPOTINA DELLA PROTAGONISTA
Verrebbe da dire che è sicuramente morta essendo caduta nell'Inferno ma dalla frase di Sienna "Io ti troverò" abbiamo dei dubbi.
In ogni caso l'eventuale morte, tecnicamente, non è ascrivibile ad Art ma all'improvvisa apertura del pavimento del salotto.

4 - 5 AUTISTA E PASSEGGERA DEL BUS
Destino incerto, presumibile la morte.

Proprio quando stavamo quindi facendo il conto finale, ovvero di 21 morti accertate, una cui verificare la paternità e 3 molto presumibili (bambina prologo, le 2 persone del bus nell'epilogo) ci arriva la notizia che sono morte nella notte 3 delle 6 persone coinvolte nell'esplosione al centro commerciale.

Questo ufficio può quindi ratificare il numero delle vittime di Art tra le 25 e le 28.

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MORTI CERTE PER MANO DI ART

MORTI PRESUNTE O COMPIUTE DA ALTRO SOGGETTO


12.11.24

Recensione: "The Substance" - Al Cinema 2024

 

Il cinema della Fargeat è esagerato, esteticamente incredibile, sguaiato e pop.
Un piacere per gli occhi, come fu già per Revenge.
The Substance è un body horror dal grande soggetto e, a tratti, veramente magnifico.
La paura di invecchiare, di non piacere più, di essere diventati inutili.
E la possibilità di tornare ad essere desiderati, amati, importanti.
Un conflitto interiore che la Fargeat trasforma magistralmente in un body horror.
Eppure in uno scheletro di sceneggiatura davvero notevole si aggiunge della polpa a tratti terribile, sbagliata, senza alcun senso.
E un film potenzialmente immenso (almeno nel suo genere) finisce per autosabotarsi.

"Were"
"Are going to"
In queste due forme verbali scritte nei biglietti di auguri delle due "diverse" Elizabeth c'è gran parte del film, o almeno gran parte della sua tematica.
Il passato, ciò che eravamo e ormai non siamo più.
Il futuro radioso.
Se Revenge, il primo (bellissimo) film della Fargeat era un grido femminile d'accusa e di dolore (film sul femminicidio, sull'amore malato e su come il salvarsi da certi uomini sia o impossibile o debba comunque passare prima da una propria "morte") The Substance, a mio parere, è più trasversale.
Questo perchè qualsiasi essere umano, chi più chi meno e di qualsiasi genere, ha una terribile paura di invecchiare, di non piacere più, di guardarsi allo specchio e andare in tremenda crisi.
Il dolore, la paura, l'angoscia che prova Elizabeth è quella di tutti noi, esseri umani che più che essere angosciati dal proprio futuro lo siamo del proprio passato, arrivando quasi ad odiare quella versione di noi che eravamo e che adesso, ahimè, non possiamo essere più.
Trovo infatti che la parte più bella, interessante, profonda e vera di questo film - a tratti bellissimo ma che fa di tutto per sabotarsi - sia l'odio che prova Elizabeth per Sue, la sua versione giovane.
E' un meccanismo psicologico pazzesco, quello di "amare" quel nostro passato esser stati giovani e odiarlo allo stesso tempo, perchè non più reversibile.
L' Elizabeth che potrebbe da un momento all'altro "eliminare" Sue ma, pur odiandola, non riesce a farlo è veramente specchio di questo conflitto dentro noi stessi, ovvero quello di avere l'illusione di poter rivivere la nostra giovinezza ma, in realtà, essere quelli di adesso (non a caso Sue viene percepita come "altro da sè" ma psicologicamente e subdolamente è invece legatissimo a sè).
Davvero concetti molto molto interessanti.
In più, in questa cornice esistenziale "generale" dalla quale tra poco è comunque giusto uscire (perchè The Substance rimane principalmente un body horror visivo, plastico ed estetico) non possiamo dimenticare come per le donne ci sia (generalmente) un ulteriore aspetto, ovvero quello che la perdita di bellezza (o giovinezza in senso lato) sia a volte un problema sociale e molto spesso anche lavorativo.
Se è vero infatti che anche noi maschi siamo travolti dalla tematica principale del film (l'angoscia dell'invecchiare e il sentirci sempre meno attraenti) è anche vero che però poi noi, invecchiando, perdiamo generalmente molto poco (anzi, in alcuni campi quasi guadagniamo) mentre le donne, in tanti contesti, diventano sempre più penalizzate.

Figuriamoci nell'aerobica, il contesto del film.
Elizabeth da decenni cerca di mantenersi "bella" e seducente, perchè quello gli viene richiesto.
Ma inevitabilmente si arriva ad un punto in cui non sei più il "prodotto" giusto.
E quel corridoio pieno dei tuoi manifesti sarà smantellato degli stessi, per far posto al nuovo che avanza (ma che nel film sei te stesso, indubbiamente la perla di sceneggiatura del film).
Ora, The Substance ha un grande soggetto e persino un grande scheletro di sceneggiatura (i vari passaggi principali del film, le vicende portanti) quasi del tutto distrutto, ahimè, dalla "ciccia" che, a questo scheletro, viene aggiunta.
Ritorneremo sulle grandi problematicità del film (ovviamente problematicità per me, inutile dirlo), non prima però di averne decantato alcune meraviglie.
Innanzitutto è incredibile come la Fargeat con soli due film sia riconoscibile, qualcosa di rarissimo nel cinema.
Vedi 10 minuti di The Substance e capisci di trovarti davanti alla regista di Revenge.
Stessa mano, stesse ossessioni, stesse inquadrature.



Già il dettaglio iniziale dell'uovo che si duplica, così "nitido", perfetto, instagrammoso, richiama il film precedente, in cui più di una volta la Fargeat mostrava, in primissimo piano, del cibo (ad esempio quella mela che marciva sempre di più, tra l'altro anche in quel caso con una mosca mi pare).
Restando al cibo l'inquietante e quasi rivoltante scena del manager che mangia i gamberetti (qui oltre alla ristrettezza del campo visivo abbiamo anche un effetto sonoro quasi simile a un disturbante Asmr) è identica a quella, altrettanto impattante, di quello che si mangiava il Mars guardando lo stupro in Revenge.
Per non parlare dell'ossessione della Fargeat per il fondoschiena delle sue protagoniste che se in Revenge era già notevole (sia l'ossessione che il fondoschiena intendo) qui arriva a livelli di parossismo (ci torneremo)

 ( per inciso negli ultimi 5 anni la Fargeat occupa due posti sul podio nella classifica di sederi al cinema. Poi magari nella vita reale il primo per me è un altro ma qui si parla di film.

Comunque:
1 Il Sabba
2 Revenge
3 The Substance )

Addirittura ad un certo punto ho visto che Sue indossa gli stessi identici - ed iconici - orecchini che aveva la Lutz.
Per non parlare delle scene di lotta e sangue, anche qui identiche in entrambi i film sia visivamente che come movimenti.
E mi sto limitando solo agli aspetti più evidenti.
Insomma, la Fargeat è riconoscibile, e questo è un grandissimo merito perchè fa già di lei un'autrice.
Direi addirittura che a livello di dettagli, intesi proprio come inquadrature, nessuno arrivi alla sua perfezione e ossessione.
Peccato che sia talmente eccezionale nei dettagli visivi quanto debole in quelli di scrittura.

L'incipit è eccezionale, con quegli operai che costruiscono la stella di Elizabeth nella Walk of fame.
Una costruzione che celebra sì un traguardo gigantesco ma che, in modo subdolo ed implicito, suggella anche un punto di arrivo "finale", come se quell'artista ormai debba solo essere ricordato e non vissuto.
E quelle persone che passando dicono "ti ricordi di lei?" o fanno cadere il loro unto hamburger sopra la stella sono una metafora plastica e spietata del tempo che passa, un Tempo che a volte più che eternizzare (come "una stella" dovrebbe teoricamente fare) sembra piuttosto ammantare tutto dalla nerissima nuvola dell'oblio.
Andiamo avanti e il film continua a confermare il suo folgorante avvio.
Prima la scena del bagno, bagno praticamente identico a quello di Shining in cui si incontrarono Jack e Mr Grady (e che buffo, i due riferimenti più grandi a Shining che penso di aver notato sono entrambi riferibili ad un bagno, questo qua e quello del ragazzo palestrato che vede la sua bellissima ragazza diventare un mostro, scena quasi spiccicata a quella indimenticabile della Room 237 - ad un certo punto la Fargeat mostra i fianchi della donna-mostro, veramente identici).
Dicevamo la scena del bagno e poi quella, leggermente sopracitata prima, del pranzo col manager, una sequenza che mostra la capacità della Fargeat di giocare col grottesco e con il fastidioso. E non parlo solo dei dettagli della masticazione e dell'audio "sovraesposto" cacofonico, ma anche di inquadrature estreme, con primissimi piani ai limiti della distorsione, con angolature particolarissime.
In questo tipo di inquadrature (e anche in altre, vedi quella del manager con tutti i vecchi dietro di lui e con davanti Sue che non può sorridere) c'ho visto tanto di Lynch, ovvero quel tipo di estetica inquietante, deformante ed onirica.



E niente, il livello non si abbassa mai.
L'incidente, perfetto.
La visita dal dottore misteriosa.
Lei che cede a sè stessa e decide di chiamare quel numero.
La location dove riceve il suo kit, con quel contrasto, che io amo da morire, della tecnologia più avanzata nascosta in ambientazioni terribili, vecchie e malmesse (e lei che per entrare dentro all'edificio deve abbassarsi, quasi simbolica come scena).
E poi tutte le istruzioni, così essenziali, nitide, grafiche.
E quel "ricordati che sei una", frase potente che nasconde tutto il conflitto di cui abbiamo parlato abbondantemente a inizio recensione.
E poi la straordinaria scena della trasformazione (aka "nascita di Sue"), una delle più belle nel body horror che io ricordi (anche se nessuna per riuscita, emozione e "dolore" fisico batterà mai quella di "Un lupo mannaro americano a Londra").
I due occhi, la schiena che si apre, Sue che esce, tanta tanta roba.
Comincia praticamente adesso The Substance, dopo questo lungo, perfetto e notevolissimo incipit.
E cominciano anche i problemi.

4.11.24

Recensione" "Longlegs" - Al Cinema 2024

 

Il quarto film di Perkins è la sua ennesima conferma.
Quattro film uno completamente diverso dall'altro per plot e appartenenza a sottogeneri differenti ma in realtà tutti accomunati da più di un elemento, elementi che non spoilero in questa piccola introduzione.
Longlegs sembra un thriller "classico" che somiglia a quelli anni 90 ma poi si rivela prima psicologico e poi beep, non posso dirlo.
Un villain straordinario interpretato da un Cage quasi irriconoscibile.
Una cura estetica eccezionale, un'atmosfera malata e malefica.
Forse non perfetto nella narrazione e con troppi up and down.
Ma questo è uno di quei film che firmerei per vedere ogni singolo giorno.

C'è la neve, c'è una casa e c'è una bambina.
Non è la didascalia della locandina appena qua sopra, ma l'incipit del film.
Ora, a parte le vicende che accadono in questo incipit accade un'altra cosa, ovvero la bellezza della regia di Perkins.
C'è gente che non sa fare campi e controcampi durante un dialogo, Perkins in questi primi 2 minuti li maneggia con un'ampiezza di campo di circa 30 metri, perfetti.
Poi arriva Longlegs, e noi non ne vediamo il volto (ci sarà precluso, con inquadrature ad hoc, per gran parte del film).
O meglio, ne vediamo solo metà, tagliato dall'inquadratura.
"Scusa, ho montato le mie gambe lunghe (longlegs), forse è meglio così"
E dicendo questo il "mostro" si abbassa per entrare (nemmeno mezzo secondo) nel nostro campo visivo.
Folgorante, geniale, inquietante.



Longlegs è il quarto film di quello che ormai posso considerare uno dei fuoriclasse del genere, Oz Perkins.
Li ho visti tutti e amati tutti.
Cominciai con quella ghost story (una di quelle dove "non succede niente") che risponde allo stranissimo titolo di "Sono la bella creatura che vive in questa casa" (non preparate i forconi per i nostri titolisti, è solo traduzione dell'originale).
Rimasi folgorato.
Non tanto dal film - che è bello - e nemmeno dalla storia - che è abbastanza già vista - ma da un'eleganza di regia rara e da una grande capacità di introspezione psicologica.
Poi recuperai February (opera prima di Perkins), ancora più bello dell'altro.
Un thriller psicologico con sfumature demoniache, doloroso e cattivo.
E poi il film che l'ha lanciato nel cinema emerso, Gretel & Hansel, una superba rappresentazione sulla scoperta di sè e sull'incredibile potenza del femminile o dell'esser donna (già che ci sono su questa scia vi consiglio un altro gran film, Il Sabba).
Non a caso abbiamo questo titolo dove Gretel, rispetto all'originale, si scambia di posto con Hansel.

E ora Longlegs.
La cosa più bella di Perkins è l'aver fatto 4 film uno completamente diverso dall'altro ma che si toccano comunque in tantissimi punti.
Innanzitutto sono TUTTI film al femminile, non solo per quanto riguarda la protagonista principale ma anche nelle coprotagoniste (solo in Longlegs abbiamo un personaggio maschile forte).
Poi tutti, chi più chi meno e chi in maniera diretta chi laterale, raccontano di disturbi mentali, di cose che "accadono nella testa".
Oppure il tema della "luccicanza" (alla Shining), ossia la capacità di vedere oltre, presente almeno in G&H e Longlegs (ma anche negli altri le protagoniste percepiscono qualcosa in maniera sovrumana).
Ma la cosa più emozionante che lega i film è, per quanto mi riguarda, l'elemento in cui Perkins è veramente superbo, ovvero saper raccontare il Male, un Male quasi sempre nascosto, o i modo assoluto o dentro oggetti comuni (in February nella caldaia - qualcuno ha detto Shining anche se, in questo caso, libro? - in Longlegs nelle bambole).
Un Male veramente infido, serpeggiante e manipolatorio (la strega in G&H, il Diavolo in February e Longlegs, uno spirito senza pace in SLBCCVIQC (non è un numero romano ma l'acronimo del primo film che vi ho citato).
Ecco, io adoro nei film di Perkins, oltre l'eccezionale cura della regia, l'eleganza, la componente psicologica e la violenza poi efferata, questa sensazione che ci sia sempre il Male da qualche parte, mai manifesto o grossolano come gli horror da jumpscares che tanti di voi amano, ma "nascosto".
E capace di manipolare chiunque.

Longlegs è riuscito poi in due "miracoli", ovvero lo sconfessare due mie leggi non scritte.
La prima è quella del "se possibile, vi prego, no paranormale", avendo quasi sempre poco sopportato nei film "verosimili" o comunque con possibile spiegazioni solo realistiche l'andare poi nel sovrumano e nel paranormale, elemento che quasi sempre li indebolisce.

La seconda legge è "vi prego, niente spiegoni", adorando quei film che lasciano tanti dubbi e pochissime risposte. O comunque, anche nel caso le risposte ci siano, non spiattellarle.

In Longlegs mi è successo esattamente l'opposto.
Lo spiegone finale l'ho trovato perfetto perchè benissimo raccontato, evocativo, inquietante e persino necessario visto che di cose che si faceva fatica a mettere in fila ce n'erano parecchie.
E lo scoprire che no, non c'era un "semplice" serial killer e le cose avvenute non potevano essere spiegate in maniera solo razionale e/o scientifica rende il film ancora più bello.
Proprio per il discorso di cui sopra, ovvero quello che Perkins sa raccontare il malefico, il soprannaturale in maniera perfetta. L'atmosfera dei suoi film ha "bisogno" di questa componente per cui c'è sempre un qualcosa più grande di noi, un Male assoluto, che ci rende semplicemente suoi manichini.
E quindi sì, che ci sia stato il "Signore del piano di sotto" l'ho adorato, specie perchè noi non lo vediamo mai (come in tutti gli horror standard) o in "persona" o attraverso i mostri (fisici) che genera, ma soltanto per le azioni che questo ci costringe a compiere.


In questo senso ne approfitto per dire che se è vero che Longlegs non è sicuramente uno di quegli horror "da tematiche" io - sarà colpa della mia trentennale esperienza col true crime e coi massacri famigliari - ho trovato davvero suggestiva questa lettura (metafora?) per cui ogni strage in famiglia abbia dietro una "possessione", come se l'autore della strage, in quei momenti, non sia più un essere umano cosciente ma uno che compie atrocità per conto o in nome di Qualcuno (se ci pensate l'assurda strage di Altavilla ha questa matrice).
In realtà no, l'essere umano uccide perchè è imperfetto, cattivo, guasto, non per cause sovrumane.
Ma, ecco, è una bella suggestione.