24.2.19

Recensione: "Il Primo Re"


Straordinario.
Un film ambiziosissimo ma realizzato con una cura pazzesca in ogni suo aspetto.
Un vero atto d'amore per il cinema.
Italiano.
Regia, effetti, attori, sceneggiatura, c'è tantissimo - e tutto al meglio - in questo film che aveva tutte le caratteristiche per poter essere massacrato da chiunque, per non risultar credibile, per prestare il fianco alle lance di chi, secondo me, il cinema non lo ama poi così tanto.
La storia di Romolo e Remo, vero, ma - fuor dalla Storia - il racconto archetipico di qualcos'altro, di un qualcosa che stava nascendo, di un'Origine.
Quelli lì siamo noi, nati nella violenza, nella paura degli Dei e dei nostri simili.
Noi che aiutiamo nostro fratello ma poi possiamo sentirci traditi da lui.
Noi che abbiamo scelto di avere una religione, che abbiamo scelto di credere che dentro quel fuoco ci sia qualcosa più grande di noi.
Oppure noi che invece, dentro quel fuoco, non vogliamo entrarci.

Una meraviglia.
Un miracolo tecnico e umano.
Uno di quei film che ha un solo tremendo difetto, l'esser italiano.
Sì perchè NON è un luogo comune quello per cui se un film è nostro, allora, naturalmente, non è al livello di quelli degli altri.
Avete rotto il cazzo, ve lo dico col cuore in mano.
Il Primo Re è, per me, il Valhalla Rising italiano.
E non parlo solo di punto di riferimento ma anche di risultato raggiunto.
Lo dico da subito, almeno chi vuole essere accompagnato nelle meraviglie che scriverò sul film di Rovere può restar qua, chi invece pensa che io sia un emerito coglione che spara cazzate - oltre ad aver ragione - può fermarsi qua.
In realtà c'è un grosso punto di differenza col filmissimo di Refn, ovvero quella differenza che c'è tra le cose dette e quelle non dette, tra i testi e i sottotesti, tra la brutale violenza delle evidenze e la brutale evidenza delle metafore.
Entrambi i film parlano di religione, entrambi i film parlano di qualcosa che sta nascendo -una civiltà e un culto-, entrambi i film narrano di come le cose grandi siano partite da cose piccole, tremendamente umane ed intime.
Ma se il film di Rovere ha un approccio storico che poi porta a riflessioni altissime anche sulla religione, quello di Refn è un film spirituale.
Ecco, è come se dicessimo una preghiera.
Il film di Rovere siamo noi che diciamo la preghiera e l'argomento della preghiera.
Valhalla Rising è la preghiera.

Lo sapete, io adoro il non detto, adoro l'etereo, adoro i film o le opere che mi riempiono di significanti senza sbattermi mai in faccia i significati.
E il film di Refn questo era, era uomini nudi, violenza, sangue e viaggio senza che mai ci venisse detto questa violenza, questo sangue e questi viaggi cosa rappresentassero veramente.
Invece qui, nel Primo Re, tutto è lineare, tutto è maledettamente causa ed effetto, evoluzione, costruzione.
Eppure è un film mai didascalico, mai freddo, mai meccanico.
Ma il miracolo è un altro.
Il Primo Re è un film ambizioso, grande, difficile.
E si sa che in Italia fare queste produzioni è quasi impossibile.
Eppure per tutte le due ore del film non c'è mai stato un momento, uno solo, in cui quello che vedevo non mi sembrava (anche cinematograficamente) credibile, in cui ho avvertito un pizzico di approssimazione o minor cura.
Il Primo Re è un atto d'amore, un qualcosa che meglio di così non poteva esser fatto, è la dimostrazione che si può tentare l'impossibile se dietro quel tentativo ci si mette tutto sè stessi.
Io sono orgoglioso, punto.

E non mi frega nemmeno niente se il film possa presentare errori storici o riletture azzardate, non sono uno storico e io ho preso questo film da un'altra prospettiva, quello della favola, quello del racconto morale.
Cristo, nemmeno so se tutti i passaggi di plot che vediamo siano documentati, nemmeno so se il rapporto tra Romolo e Remo fosse veramente stato quello, se il primo fosse diventato il primo Re di Roma soltanto grazie alla mostruosa forza e volontà del secondo nel volerlo tenere in vita e difendere.
Dirò di più.
Se alcune cose sono state inventate di sana pianta questa sceneggiatura la reputo ancora più grande, perchè ha saputo parlare di tutto, di potere, violenza, religione e umanità, anche mettendoci qualcosa di solo suo.
La storia del Primo Re è una storia archetipica, è un paradigma di mille nostre declinazioni, è una specie di culla comune dove tanti noi sono poi nati insieme.
E io questa sensazione di qualcosa di primordiale l'ho vissuta in maniera empatica, emozionante.
Più il film andava avanti più avevo la sensazione di stare assistendo all'origine di noi, di quello che siamo, di quello che pensiamo, delle nostre paure e delle nostre vane speranze.
Rovere è riuscito a creare un'atmosfera magica in cui il nostro mondo è stato completamente spazzato via per lasciare spazio ad un vecchissimo mondo in cui esistono solo corpi e dei, solo violenza e spiritualità.
E io ero lì, per due ore sono stato lì, in quel mondo in cui un fiume o un fuoco possono esser Dio, in cui sembra non esserci Ragione se non quella della violenza.
Mors Tua Vita Mea, questo l'unico mantra del film, questa l'unica possibilità di morire o sopravvivere , esser dominati o dominare.
Uomini sporchi di sangue e fango con lo sguardo perennemente rivolto verso l'Alto, verso quel Dio padrone del mondo e delle manifestazioni dello stesso.
E l'incipit - meraviglia - questo racconta, in uno tsunami splendido (mi ha ricordato il The Impossibile di Bayona) che per quei tempi era solo un segno divino.
Bastano quei primi 10 minuti per vedere la cura tecnica messa nel film, per capire gli sforzi che si sono fatti, per rendersi conto che per Rovere e la sua troupe la scusa "non avevamo budget, non potevamo fare molto di più" non esisteva, bisognava semplicemente andare oltre il possibile.
E ci sono riusciti.

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E splendida è anche la seconda, lunghissima, scena, quella in cui questo manipolo di schiavi sta per essere sacrificato a un non precisato Dio, un Dio reificato nel fuoco.
E qui il film di Rovere mostra subito quella che sarà la chiave di tutto, quella che non sarà solo il "modo" di rappresentare ma proprio la tematica alla base di qualsiasi cosa, ovvero la violenza.
Quelli non erano tempi da sale da thè e partite a Scarabeo, ma di uomini erranti, approvvigionamento di cibo, morte e spiritualità.
E la violenza, brutale, definitiva, era il solo modo di difendere le proprie cose o conquistarne altre.
Quindi chi avrà contestato il parossismo di questo aspetto sbaglia, e alla grande.
Tra l'altro Il Primo Re eccelle in queste scene, anche qui la cura che sta dietro a tutto è mirabile.
Ottimi effetti speciali, buone "coreografie", brutalità, grandissima varietà di morti, grande credibilità anche qua.
Certo, c'è sempre l'effetto "i nostri vincono sempre, gli altri son sempre scarsi e carne da macello" ma questo problema esiste da sempre nel cinema.
Ricordo capolavori come I Guerrieri della Notte in cui questo effetto, e questa incongruenza, erano ancora più marcati.
In ogni caso tra corpi mozzati, gambe spezzate, teste portate in giro come trofei e millemila ferite e traumi Il Primo Re appagherà i palati di tutti gli amanti della violenza.

Eppure il "mio" Primo Re è altrove.
Ed è nei suo aspetti primordiali, quelli del legame di sangue dei due fratelli e nei massimi sistemi intorno alla Religione.
Il legame tra Romolo e Remo è magnifico, vero, ancestrale.
Il personaggio di Remo è straordinario (grazie anche al solito immenso Alessandro Borghi. Ah, già, siccome è italiano succede come con i film, non possiamo paragonarlo ai grandissimi attori stranieri. Cioè, voi semmai, io lo faccio).
E' un personaggio che ha dentro tutto, umanità, ambizione, carisma, comprensione, violenza, maturità e intelligenza.
Il modo in cui difende il fratello è commovente (in questo il film ricorda anche The Revenant, ma per me più emozionante), la sua forza affascina, il suo carisma convince.
Ma, a differenza di quasi tutti gli altri, è un personaggio che sembra poter pensare "oltre", qualcuno che in un'epoca di Uomini e Dei può avere l'ardire e, ripeto, l'intelligenza di pensare che quest'ultimi, gli Dei, non siano necessariamente qualcosa più grande di noi.

"Il Potere e il Dominio si basano sulla Paura.
Gli Dei dominano gli Uomini perchè gli Uomini hanno paura di loro"

Questo è il mantra di Remo, uno che invece degli Dei non ha paura e che pensa che un uomo può ergersi sopra di loro.

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E nella splendida scena del vaticinio delle viscere lui mostrerà a tutti questa sua superiorità, uccidendo il vecchio del villaggio e non suo fratello, come profezia richiedeva.

"Questo è il segno della mia vittoria contro gli Dei", dirà

Sembra una cosa piccola, eppure è immensa.
Perchè un conto è già avere l'ardire di "contraddire" un vaticinio, un'altra riuscire addirittura a sconfiggerlo.
Provate ad entrare nella mentalità di allora, e capirete l'Apocalisse dietro quel gesto e quel personaggio.
Del resto nell'emozionantissimo finale (oh, io quasi piangevo) Remo lo dice al fratello

"Quel Fuoco è la nostra Distruzione.
Non c'è niente dentro quel Fuoco"

un grande momento di cinema e di scrittura che, in solo una frase, racchiude dentro secoli di discorsi, secoli di Storia.
Ed è da brividi pensare che quel cerchio di fuoco in cui tutti, tranne Remo, si rifugiano, sarà un giorno Roma, la città simbolo della religione nel mondo.
Remo ha perso la sua battaglia, quegli uomini sono restati dentro al cerchio di Fuoco, e da quegli uomini nascerà il luogo simbolo di quel Fuoco.
Io sono rimasto sbalordito da come questo film, anche nei suoi momenti più epici e retorici, mi abbia dato queste magnifiche sensazioni di stare assistendo alla nostra origine e all'origine di tutto quello che abbiamo dentro.
In questo senso considero Il Primo Re alla stregua di un Mito Greco, ovvero uno di quei "luoghi" dove possiamo ritrovare tutto quello che siamo.
Prima di arrivare al finale di questa mia esagerata recensione non posso non uscire un attimo dalle tematiche e dire due cose degli aspetti più tecnici.
Il Primo Re non ha difetti per me.
Non ha difetti di scrittura, ha attori formidabili (e personaggi secondari che restano in testa, complimenti per il casting, specie nella sua parte più freak), ha una colonna sonora sontuosa ed emozionantissima, ha una regia impeccabile e mai banale.
In più è parlato in latino e solo questo aspetto -e il risultato raggiunto- dovrebbero farvi capire che razza di dedizione e impegno c'è sotto.
(mi permetto una battuta.
Mi spiegate come persone così rozze, stupide, violente e "animali" potessero sapere il latino???").

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Un film di sangue, fango, acqua (e che bello quel Tevere che diventa quasi un Dio nel finale, un qualcosa di immenso finalmente raggiunto), tutto restituito in una fotografia eccezionale.
E mi scuso per questa recensione in cui, nemmeno provandoci, sono riuscito a trovare un difetto.
Ma l'amore che ha generato questo film mi ha abbagliato.

Chiudo con un momento straordinario.
La sacerdotessa è legata all'albero.
Remo torna da lei.
Lei è maciullata dagli animali, quella che era una semidea adesso è solo una donna quasi nuda e morente.
Quello che dice mi ha stravolto.

"Tutti ne siamo stati parte.
Abbiamo salvato l'assassino"

E sì, lei si riferisce al fatto che alla fine quello che è stato salvato, Romolo, sarà quello che poi sarà l'assassino finale, sarà il fratello carnefice di cui parlava il vaticinio, non la vittima.

Ma è quel

"Tutti ne siamo stati parte"

che è grandioso.
Tutto quello che siamo lo siamo perchè noi l'abbiamo creato.
L'Uomo discende dall'Uomo.
Tutti ne siamo stati parte.
Tutti ne siamo parte.

8,5

15 commenti:

  1. E come te lo dico, dopo sta recensione così passionale, che il film, a me, non è piaciuto? Ahahha

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  2. "Io sono orgoglioso, punto."

    Siamo in due.


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  3. Io, in parte, come Rachele.
    Per carità, tocca riconoscerne i meriti, le prodezze del lato tecnico sono imprescindibili dal resto, però ho trovato che la sceneggiatura non fosse all'altezza del grande impiego di mezzi e di attori. Insomma, il cinefilo che è in me ha apprezzato, l'ex classicista rompipalle meno: il mondo ha dei cronisti d'eccezione, e non troppo ho condiviso la scelte di restare basici e selvaggi, senza sfumature sostanziali o personaggi facilmente distinguibili nella massa. Insomma, l'ho trovato bellissimo ma poco godibile. Però Rovere è sulla strada buona e crescendo voglio diventare Alessandro Borghi.

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    1. non sono d'accordo sulla sceneggiatura. Secondo me vista l'epoca e le vicende era quasi impossibile far di meglio

      plot a parte credo che l'atmosfera spirituale e umana che pervade il film sia davvero una gran cosa di scrittura

      ripeto, per me è superiore a The Revenant

      riguardo la seconda cosa che dici non so, io credo che di base il materiale umano fosse quello. E comunque il personaggio di Remo, la sacerdotessa e anche un altro paio spiccano alla grande

      per il resto solito commento equilibrato e assolutamente condivisibile :)

      voglio recuperare almeno un altro Rovere...

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    2. Teofilatto dei Leonzi28 febbraio 2019 alle ore 11:29

      Una sera che stavo scoglionato ho visto Veloce come il vento, pronto a farlo a pezzi per l'insieme che lo componeva, attore, attrice, film italiano sulle corse, mondo de disperati de conserva, classica poverata da fondo de magazzino…
      E gniende, alla fine il film funzionava e pure Accorsi non mi faceva schifo.
      Ce so' rimasto male. :-D

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    3. ahah, me l'hanno detto tutti ;)

      a sto punto devo provare...

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  4. Presente il terzo orgoglioso! E soprattutto mi unisco al sonoro vaffanculo nei confronti di chi dileggia il cinema italiano (o il cinema francese, o quello nordico e via dicendo) in quanto tale, senza fare distinzioni. Il cinema italiano è vivo più che mai però annaspa nella melma insignificante dei film che vengono pubblicizzati, distribuiti ovunque e visti dal grande pubblico con l’approccio di chi va al cinema solo per intrattenimento; quando un film come Il Primo Re arriva in sala e se ne parla diffusamente poi mancano gli strumenti per ragionarci sopra a causa della disabitudine all’analisi (da cui derivano giudizi come “merda”), grande anatema dei nostri tempi.

    Per l'ennesima volta condivido tutto quello dici. Nel suo essere tecnicamente maniacale, nella realtà dei corpi e gesti, nel senso profondo della lotta tra disincanto e trascendenza, è un film pesante proprio perché ha un peso specifico che si avverte durante la visione e soprattutto dopo: si rimodella nel tempo all’interno dello spettatore come tutte le grandi opere.

    Secondo me sono due i punti cardine della sceneggiatura: religione e appartenenza (che poi sono legati, guardacaso). Della prima hai già detto molto tu: l’inganno della religione è riassunto nella frase sul Potere e sulla Paura che peraltro rappresenta il Tutto della storia dell’Uomo. La dicotomia essenziale tra i due fratelli da questo punto di vista è magnifica e ci sono tantissime scene in cui essa si rivela (ne cito una che non mi pare di aver letto, quella in cui Remo va da Romolo con il coltello sguainato e il secondo è pronto ad accettare il suo destino).
    Tuttavia superstizione e il timore reverenziale degli dei non sono le uniche pulsioni a muovere quel gruppo di uomini. In precedenza hanno perso tutto ciò che avevano a causa di un evento naturale e con la stessa forza dirompente avvertono la necessità di trovare un senso di appartenenza: uomini persi, resi schiavi sacrificali, cercano una comunità pur assoggettata ad un re se in quel re vedono un futuro e ne sono spaventati.

    La conclusione della recensione è perfetta. Tutti abbiamo un ruolo nella storia, nessuno escluso.

    Mi sono dilungato un po’ più solito, scusa ma non ho frenato le dita :)

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    1. grandissimo Marco, appena finito col post assurdo di Trier vengo a risponderti ;)

      tanto anche con te facciamo sempre con calma ;)

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    2. Vai tranquillo! Anche perché prima o poi dovrò trovare il mood giusto per commentare proprio il post su Jack :)

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    3. perfettamente d'accordo

      non è il cinema italiano ad esser morto ma la distribuzione italiana. I film belli, interessanti o bellissimi li fanno sempre (specie i giovani) poi però non si vedono

      per fortuna ci sono cinema come il PostModernissimo di Perugia che li fa veder tutti, spesso anche coi registi. Anche sta settimana ne ha un paio

      ed è vero poi che quando qualcuno va in sala a volte incontra un pubblico che non è abituato alla qualità o a cose diverse da quelle ridicole e rassicuranti che vedono ;)

      sì, ha tutte le caratteristiche che dici. Direi che è anche un film pe(n)sante

      ma io quello che ho trovato più grandioso è quando fosse credibile e quanto mi abbia portato in due ore in quel mondo, in quel mondo senza società e progrsso dove oltre violenza e fede nel soprannaturale non esiste altro

      sì, c'è di base un grandissimo bisogno di guide, di riconoscersi in qualcuno, dio o uomo che sia. Sono uomini che si muovono in branchi, che conquistano terre e che hanno bisogno che qualcuno dica loro cosa fare.

      Dei e Re, i primi sono universali, i secondi sono, come dici, simbolo di appartenenza

      e in questo senso è anche molto interessante vedere come l'unico che ragiona, che va oltre è quello che poi è stato riconosciuto come Re. Ma Remo ha dimostrato anche con la forza il suo predominio. Senza quella credo che la sua parte pensante non sarebbe servita a nulla

      ahha, io sono pronto, se vorrai commentare vedrò ;)

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  5. Recensione magnifica. Ho appena rivisto il film per la terza volta.
    Mi resta nella mente, più di ogni altra scena quella dove un prigioniero, legato inerme e conscio della sua fine imminente vede il fuoco e mormora 'il dio!'
    Siamo appena un milionesimo di secondo dopo il big bang, siamo all'inizio del viaggio e l'unico elemento della Natura che dominiamo è il fuoco, che illumina, ferisce, salva e uccide. Film di una forza visiva sconvolgente che ti risucchia in un liquido amniotico primordiale da cui può scaturire l'angelo o il mostro.

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    1. Grazie...

      e il tuo commento è davvero splendido

      (come il film)

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due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

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3 ciao