28.4.19

Recensione: "Mug - Un'altra vita"

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Un film polacco che sembra raccontare la tragedia di un ragazzo a cui cambia la vita da un giorno all'altro.
Ma, in realtà, Mug è una spietata condanna di una comunità, e forse di un Paese intero, un Paese che costruisce la statua del Cristo più alta del mondo (tutto vero, è in Polonia) ma che non sa mostrare affetto per un loro figlio, un ragazzo meraviglioso la cui tragedia, fosse per lui, non l'avrebbe cambiato.
Ma senza amore degli altri niente ha più senso.
Vi innamorerete di Jacek, della sua forza, del suo sguardo


è al cinema!

presenti spoiler

Ancora un film diretto da una donna.
Siamo in Polonia, in una piccola comunità rurale.
Jacek è un ragazzo dal cuore grandissimo, lunghi capelli al vento, giacchetto di jeans, musica heavy metal, un lavoro da operaio (oltre a quello da contadino a casa) e l'amore per una bella ragazza.
Jacek ha lo sguardo buono, ha progetti, ha tanta voglia di vivere addosso.
Nel suo paesotto stanno costruendo la statua del Cristo più alta del mondo, ancora più di quella di Rio de Janeiro (e, attenzione, è tutto VERO).
Anche lui partecipa alla costruzione, lavora al cantiere.

Questo gran bel film polacco comincia con un prologo bellissimo, apparentemente scollegato dal resto del film ma, invece, assolutamente coerente.
Iniziano i saldi natalizi, una moltitudine di persone si apposta fuori dal negozio.
Già la cosa è deprimente di suo ma lo diventa ancora di più perchè questo saldo ha una regola, ovvero entrare nel negozio in intimo, quasi nudi.
Vedi questi uomini in mutande e queste donne in mutande e reggiseno lottare per dei televisori al Led.
La scena è grottesca, girata benissimo.
Poi vediamo il nostro protagonista, col suo bel televisore, tornarsene a casa, prima con l'automobile, poi con il traghetto.
Per buona metà del film ti ricordi questo prologo e non capisci cosa voglia dire.
Poi, man mano che il film prosegue, ti accorgi che più che la storia intima di Jacek questo film racconta un paese, la Polonia, e lo fa in un modo spietatissimo.
Questa corsa umiliante, nudi per un televisore, questa corsa alla futilità, sarà solo la prima pennellata della regista ad un quadro fosco, foschissimo, di un popolo senza umanità.

Ma torniamo a Jacek.
E' buffo come dopo solo una decina di secondi che l'abbiamo visto con la sua ragazza io abbia provato più empatia per questa coppia che nelle due ore intere di quel pezzo di ghiaccio di Cold War (sempre polacco).
A questi due ragazzi così strani, buoni e spensierati vuoi bene da subito, anche perchè Mug è un film dalla magistrale delicatezza, mai retorica.
Poi avviene l'incidente e comincia il vero film.
E lo fa con una serie di soggettive di Jacek veramente ansiogene e forti (che bella ad esempio quella telefonata della sorella da dietro quel vetro).
Fatto sta che, lo scopriremo poco dopo, Jacek ha avuto danni giganteschi al volto (solo lì, nel resto del corpo niente, molto strano, ma il film è abbastanza metaforico, sempre), talmente gravi che ha dovuto subire un trapianto di faccia.
Jacek è un ragazzo magnifico, uno che anche davanti a questa cosa devastante sa reagire con forza, speranza e serenità.
Fosse per lui la vita, anche se con un viso non suo e pure deturpato, andrebbe avanti lo stesso come sempre, lui e la sua famiglia, lui e la sua ragazza, lui e le sue cose.
Il problema di Jacek, però, non è Jacek e la sua anima, ma gli altri.

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Ed ecco che Mug diventa qualcos'altro, apparentemente un film che racconta una storia privata ma, in verità, è una storia privata che racconta un paese.
In questo senso la costruzione della statua del Cristo diventa decisiva.
Ci troviamo in un povero paesino che spenderà un milione e mezzo di euro (mi pare) per questo progetto megalomane.
Cosa racconta quindi il film?
Questo, ovvero una comunità che costruisce il Cristo più alto del mondo ma che poi non ha la minima umanità verso il prossimo.
Più la statua sta per essere completata più Jacek viene scansato dai suoi concittadini.
Jacek, tra l'altro, che proprio al Cristo somigliava, lui e i suoi lunghi capelli biondi.
La ragazza lo va a trovare una sola volta all'ospedale e poi non vuole vederlo più, il paese lo guarda come fosse un alieno, la tv di Stato lo usa come fenomeno da baraccone per fare ascolti, la pubblicità lo sfrutta per vendere prodotti, e la sua stessa famiglia, a parte la magnifica sorella, lo tratta come un estraneo.
Anzi, nella terribile scena della confessione, la madre confida al padre che secondo lei suo figlio non c'è più, che adesso è diventato "quell'altro" (ovvero il ragazzo morto di cui Jacek ha preso il viso) e che è quindi indemoniato.
Un popolo che corre nudo per i saldi, che sfrutta i deboli, che scansa gli emarginati ma che intanto se ne va sulla sua bella chiesa, segue ridicoli precetti (vedere la scena del sesso orale visto come peccato) e costruisce la statua del Cristo di 40 metri.
Mug, come pochi altri film, racconta l'ipocrisia di tanta cristianità, quell'ipocrisia in cui l'immagine che gli altri hanno di te è più forte dei valori che quella confessione dovrebbe donarti.
Quella comunità diventerebbe veramente cristiana se stesse vicino a Jacek (ovviamente, a parole, fa finta di farlo, si fa bella) mentre invece tutti lo vedono come una specie di mostro.
Ed è in questa cornice che la figura del ragazzo diventa ancora più grande, in questa sua indefessa bontà, in questa sua continua ricerca di umanità, in questo suo non cambiare mai anche se la sua vita è stata stravolta e l'affetto che aveva prima da parte di tutti non c'è più.
In questo senso Jacek diventa ancora di più una figura assimilabile al Cristo.

Il film è veramente bello, con tante sequenze emozionanti e una mano alla regia davvero delicata. Non è il classico film freddo dell'Est anche se più di una volta avremo inquadrature fisse e uno sguardo distaccato sul mondo.
Non mancano i difetti, specialmente in alcune figure davvero esagerate e macchietta (come il prete) e nel raccontarci un mondo troppo spietato (solo la sorella e il nonno si salvano).
E ho trovato il finale molto coerente ma leggermente affrettato.
Ma ci si emoziona, specie perchè la figura del protagonista è veramente magnifica.
Quando alla festa paesana si immagina che lei torni da lui, e che lo veda com'era prima, ecco, è stato struggente.
Così come la scena in cui lui se ne va in giro con la testa sotto il giacchetto, urlando "non mi vedi!".

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Il concetto di immagine, di viso, è fortissimo nel film.
Come se i cristiani possano amare solo il bello, il rassicurante.
L'incidente di Jacek dovrebbe essere un dono per loro, e invece lo vivono come una maledizione.
La figura della ragazza, però, rimane profondamente tragica e complessa. E' vero che lo ha abbandonato ma, chissà perchè, nei suoi occhi percepiamo solo una ragazza impaurita che non riconosce più il proprio ragazzo.
Al solito, facile giudicare, io non non lo faccio. 
Di sicuro attenuanti non hanno tutti gli altri, la comunità, lo Stato, il mondo della pubblicità, la televisione, tutti gli sciacalli e i Giuda con cui dovrà avere a che fare Jacek.

Il ragazzo capisce che in quella comunità non c'è più niente per cui valga restare.
Se ne va via senza aver mai avuto un moto vero di rabbia, sempre cercando di far vivere al meglio agli altri  la sua condizione.
Un personaggio magnifico che ti si appiccica al cuore.
Ma intorno a lui ci sono solo bestie, persone spregevoli che però vogliono mostrare al mondo di essere cristiani perfetti.
Con una statua gigantesca.
Ma quel Cristo di pietra preferisce non guardarli.
E la sua testa si gira altrove.

7.5

6 commenti:

  1. condivido la recensione (e stavolta ne ho detto pure io) meno il voto parimerito con "us" che a questo punto trovo decisamente più debole.

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    1. i voti sono una cosa strana, a volte uno stesso voto nasconde percorsi diversissimi e anche giudizi diversissimi, uno magari è una delusione, uno una sorpresa

      cerco di metterli mettendo sulla bilancia pregi e difetti ma uno stesso voto non presuppone stesse sensazioni

      vengo a cercarti e appena posso leggo!

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  2. Mentre guardavo questo delizioso piccolo film, pensavo che non poter riconoscere il viso della persona amata (sia essa figlio, amico o amante) deve essere davvero un'esperienza devastante. Credo però che l'essenza di una persona si manifesti principalmente attraverso la parola: l'impossibilità di comunicare (se non attraverso suoni penosi e pressoché incomprensibili - e qui mi viene in mente la commovente scena finale di "Figli di un Dio minore"-) allontana sicuramente anche chi cerca disperatamente di riconoscerti.
    Tutto questo per dire che probabilmente se su quel ponte i due ragazzi avessero avuto la possibilità di parlarsi, lei l'avrebbe riconosciuto. Quasi sicuramente lo avrebbe lasciato ma non lo avrebbe trattato come un ripugnante estraneo perché non ne avrebbe avuto più paura. Forse.

    L'unico appunto che muovo alla regista è l'abuso dell'effetto "sfocamento" del quale tu non fai menzione. L'ho trovato molto fastidioso ... In qualità di spettatrice pagante rivendico il mio diritto di scegliere quale parte della scena guardare !!! :-) :-) :-)

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    1. è un film molto interessante sotto il punto di vista che dici

      se cambia l'immagine, se cambia la parola, la destabilizzazione è incredibile

      tu dici che la seconda, la parola, è anche più destabilizzante

      non so, dovrei pensarci

      certo due cose restano sempre immutate, lo sguardo e l'anima, e non è un caso che la seconda spesso si possa leggere dentro il primo

      io non giudico alcune reazioni viste nel film, di certo trovo quella della madre inumana

      ma sai che non c'ho fatto caso a sti sfocamenti? mi sembra incrediile, di solito sto molto attento a ste cose
      quindi o non le ho viste o non mi hanno dato nessun fastidio, boh...

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  3. Hai raccontato talmente bene il film che mi basta così.
    Ne sono sazio e non ho più bisogno di vederlo.
    Il che mi libera tempo per altro.
    Grazie.

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    1. beh, uno dei complimenti più originali e belli capitati ultimamente

      peccato però che ci rimetta il film :)

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