24.7.24

Recensione: "Dostoevskij" - Al Cinema 2024

 

L'opera quarta dei gemelli D'Innocenzo (una miniserie che uscirà su Sky ma che sta passando adesso nei cinema anche come "film lungo") è, ancora un volta, la conferma di trovarci davanti a dei grandi talenti, a dei veri autori che fanno un cinema in Italia che pochi hanno il coraggio di fare.
Un cinema che racconta violenze sempre più estreme, dolori mai superabili, vite perse mai più recuperabili, un cinema "nero" e pieno di cose orribili ma che, per eleganza e qualità di scrittura, emoziona come le cose belle.
La storia di un serial killer che lascia "lettere letterarie" sui luoghi dei suoi omicidi.
E la storia di un poliziotto, uomo devastato da un senso di colpa insuperabile, che prova a dargli la caccia, in un misto tra odio e fascinazione.
E anche la storia di una figlia anch'essa devastata dalla vita e da una mancanza d'amore e d'affetto ormai croniche e probabilmente mai più guaribili.
Dostoevskij (girato in pellicola) è grande cinema, cinema della disperazione e del dolore.

PRESENTI SPOILER!



"Le bombe delle 6 non fanno male,
è solo il giorno che muore
è solo il giorno che muore"

cantava tanti anni fa Antonello Venditti, tra l'altro romano come i fratelli D'Innocenzo.
Le bombe, a Roma, sono bomboloni dolci che, di solito, come nel brano di Venditti, si mangiano la mattina presto (o la notte tardi, per i festaioli).
E proprio una bomba fritta ripiena di cioccolato sta mangiando adesso Ambra, ragazza problematicissima e tossica, figlia del poliziotto Enzo Vitello.
Ecco, in quella strofa di "Notte prima degli esami" sembra esserci gran parte dell'anima di questa miniserie (ma io l'ho vista come film lungo al cinema) dei gemelli D'Innocenzo, loro opera quarta e - per l'ennesima volta - bellissima.
Perchè quella bomba "che non fa male" rimarrà proprio l'unico momento in cui una ragazza con la disperazione addosso e un padre che addosso ha anche cose più grandi - tipo la voglia di morire e un senso di colpa mai più estirpabile - dicevo quello rimarrà l'unico momento in cui i due, in qualche modo, vivranno un momento di "fottuta vita normale", quella cosa che quasi tutti noi viviamo costantemente ma che loro, insieme, non sanno nemmeno cosa sia.
Lei mangia di gusto, lui la guarda, le consiglia come inzuppare il bombolone e in questa stupida ma incredibilmente magnifica scena ci rendiamo conto di come questo minuto e mezzo sia magico, unico e, forse, irripetibile.
Nemmeno le successive scene alle giostre riusciranno ad avere questa potenza della "condivisione", perchè Ambra - tornata bambina - guiderà un autoscontro e si tufferà dentro palle colorate senza che suo padre trovi la forza di vivere quei momenti insieme a lei.
Anzi, se ne andrà al bagno, lasciandola sola.
E noi ci incazziamo, ci chiediamo come cazzo fa un padre che ha finalmente l'occasione della vita di riavvicinarsi alla figlia a scappare poi in quella maniera, l'unico giorno in cui stanno in qualche modo riuscendo a stare insieme.
Sembra quasi un errore di sceneggiatura, una forzatura.
No, non lo è, ma lo scopriremo solo poi, quando ci verrà rivelato il "segreto".
E allora capiremo perchè quel padre, anche provandoci, non si sentiva "degno" di essere felice con sua figlia, non si sentiva libero nel vivere momenti di svago con lei.
Un senso di colpa troppo forte lo uccideva, un senso di colpa che poi si "raddoppiava" con quello di non averle detto ancora niente.
E allora in 5 ore di film o, se volete, in 12/13 anni di vita di quella ragazza dopo l'abbandono, solo quella "bomba delle 6" resterà l'unico momento di "connessione" e leggerezza tra un padre e una figlia che, una connessione, mai l'hanno avuta e mai più potranno averla.



"E' solo il giorno che muore
è solo il giorno che muore"

prosegue poi Venditti.
Anche questa è un'immagine che racconta tanto della serie.
Non solo perchè si svolge in gran parte di notte ma anche perchè tutto in quest'opera muore o sta morendo.
Le vittime di Dostoevskij muoiono continuamente, tutte in maniera diversa e tutte, in qualche modo, senza alcuna motivazione.
Lo stesso serial killer è una persona che brama la morte, vista come unica salvezza dalla sofferenza della vita.
La morte che "regala" alle proprie vittime è, filosoficamente, una guarigione, guarigione che probabilmente auspica anche per sè stesso ma - e nel finale questa probabile ipocrisia verrà fuori - non riesce a darsi.
Voglia di morire ce l'ha anche lo stesso Enzo Vitello che, anzi, a morire c'aveva pure provato, eppure poi si era alzato e aveva camminato nel fango e nel sole, fino a quella chiamata dei colleghi che, forse, avrà visto come un segno del destino.
Ritardo la mia morte per depressione per inseguire un killer che quella depressione la canta e glorifica.
Con la morte flirta continuamente anche sua figlia Ambra, ragazza tossicodipendente poliedrica (si fa di tutto quello che ci si può fare) che è probabilmente morta già quando era bambina, adesso ridotta a magrissima e distrutta ragazza, potenzialmente bellissima (interpretata in maniera egregia da Carlotta Gamba, la ragazza di Fabio D'Innocenzo) ma completamente spenta, e non solo dalle droghe, ma soprattutto da una cronica e ormai non più recuperabile mancanza d'amore.
E una stanchezza di vita sempre più prossima alla depressione ce l'ha anche Antonio, superiore e amico di Enzo, un uomo che sta vedendo lo stesso amico
sempre più abbracciato alla perdizione - andarsene via, un uomo con una moglie che risponde a domande esistenziali parlando del meteo o a quelle esiziali sul loro rapporto con una faccina che ride e la richiesta di comprare il latte (ho trovato incredibile quella faccina che ride in risposta al messaggio di Antonio, una sola emoticon e hai raccontato una vita intera).

Enzo, sua figlia Ambra, Antonio, Dostoevskij, tutte le vittime di quest'ultimo, ogni personaggio della serie muore, vuole morire, è morto dentro o sta morendo.

E la location per morire è più morta dei morti che raccoglie, una provincia fatta di sterpaglie, cemento, case non finite, altre cadenti e decrepite, altre sporche, una provincia in cui anche quando ti imbatti per caso in qualcosa di bello e lucente (come il bar dell'ottima scena del tramezzino e del ragazzo) quello è comunque perso in non-luoghi bui e deserti.
I D'Innocenzo creano una specie di Gotham City dove è sempre notte, dove le persone sono quasi sempre sporche e cattive, dove si nascondono segreti terribili e inconfessabili dietro ogni essere umano, dove la stessa stazione di polizia è decrepita e malmessa.
E ad accrescere questa sensazione di "irreale realismo" è soprattutto questa stazione di polizia dove è sempre buio e ci sono dentro una decina di poliziotti a non fare un cazzo, a qualsiasi ora, anche di notte, con un effetto veramente straniante.
Se non fossimo in un film che - comunque - racconta fatti realistici, penseremmo di essere nella stazione di polizia di quel capolavoro che fu "Una pura formalità", dove quel luogo era anch'esso decadente, ipnotico e malmesso, ma per ragioni trascendentali che, in teoria, non fanno parte invece di Dostoevskij.
E' come se i D'Innocenzo usando luoghi veri abbiano comunque voluto portare tutto al parossismo (come del resto fanno coi loro personaggi) cercando di raccontare luoghi, fatti e persone sempre attraverso una luce nerissima, incapace di far venir fuori i colori, le speranze, i bagliori.
Ma del resto - vedi Favolacce ad esempio - anche quando usavano un significante opposto (le villette a schiera, i giardini verdi e curati, le famiglie "per bene" e ricche) poi quello che c'era dentro era esattamente quello che c'è dentro Dostoevskij, ovvero il racconto di anime morte (non alla Gogol), di malattie, di perversioni, di violenze, di disamore, di schifo, di voglia di farla finita.
Non c'è niente da fare, il mondo raccontato dai D'Innocenzo sembra dover escludere a priori la serenità, l'amore, la felicità, l'affetto, la speranza.
Questo è sicuramente il loro marchio (e anche uno dei motivi per cui adoro i loro lavori, io persona comunque molto lontana da certi concetti ma terribilmente affascinata da essi) e mai come in Dostoevskij sono arrivati all'estremo di questa "poetica".
Mi auguro che nei loro prossimi lavori qualche volta possa essere visibile una luce perchè sono convinto che due ragazzi di tale sensibilità e "poesia" quella luce ce l'abbiano dentro, la conoscano, possano raccontarla e crederci.
E stavolta, a differenza dei film precedenti, non abbiamo nemmeno donne o madri a provare a fare da contraltare a questi uomini e padri sempre terribili, sempre sbagliati.




La prima parte di Dostoevskij è leggermente più debole o, se vogliamo, più classica.
Un serial killer, gli indizi lasciati, i sopralluoghi, le indagini annacquate, ci sono molti elementi di un crime visto tante volte (del resto obbligatori in un soggetto del genere).
Certo la grana della pellicola (bellissima), la presenza di un personaggio principale così tormentato e complesso, l'idea delle "lettere letterarie" lasciate dal killer, danno comunque a Dostoevskij una sua anima abbastanza riconoscibile che, pur in binari visti e rivisti, fa uscire prepotentemente una propria personalità (che verrà poi completamente fuori nella stupenda seconda parte).

Lo stesso film (perdonate se a volte l'ho chiamato "film" ed altre "serie", questione che alla fine non è affatto di lana caprina in effetti ma, anzi, potrebbe offrire spunti di analisi) parte con una lettera, quella "suicida" di Enzo.
Poco dopo avremo la prima lettera del killer.
Ed ecco così che questi due personaggi, teoricamente uno la nemesi dell'altro, fin dall'inizio - accomunati appunto dalle lettere - cominciano a convergere, e lo faranno così tanto da portare a quel finale che io non ho amato per niente ma che, appunto, ha una sua coerenza.
Chi mi legge da tempo sa che "conosco" un pochino Damiano e per questo mi ha emozionato molto la presenza nel film delle lettere.
 Perchè l'ho "riconosciuto", lui e la sua emozionante vena poetica e il suo essere legato a foglio e penna (ci mandiamo mail ma più di una volta si era scherzato sul mandarci lettere. Tra l'altro scrive sceneggiature così, su fogli volanti). 
Credo che se Damiano mai diventasse un serial killer, ecco, sarebbe come Dostoevskij con in più la fortuna di un fratello gemello da usare come alibi ("Non ero lì! posso provarlo, ero a 500 km!" ma in realtà c'era l'altro)
Scherzi a parte questa "trovata" delle lettere (oddio, dalla notte dei tempi i killer lasciano indizi e scritti ma credo mai così lunghi e letterari) è doppiamente vincente sia per il film stesso (i momenti in cui vengono lette sono tra i più belli) sia perchè ha permesso ai fratelli di usare la loro vena letteraria/poetica non solo nelle tematiche, nella messinscena o nella costruzione dei personaggi, ma proprio in maniera "letterale", potendo scrivere di loro getto dei pezzi veramente belli.
Cinici, terribili, disturbanti, ma tanto belli.
Si racconta la morte, il dolore, la paura, lo strazio delle vittime e la conseguente fascinazione/soddisfazione del killer nell'esatto momento degli omicidi.

Tra l'altro, grande curiosità, mi dice mia figlia che nel suo anime preferito, Bungo Stray Dogs, c'è un personaggio che si chiama anch'esso Dostoevskij, è anch'esso un killer e anche lui vede la morte come una liberazione da tutto, con dei "pezzi" molto simili a quelli visti nel film dei gemelli.
Davvero particolare come cosa.


E' molto interessante che il killer non abbia legami con le vittime, non abbia un modus operandi nè, apparentemente, un motivo per uccidere (alla fine unendo questi elementi è Seven, a pensarci, il film che più lo richiama).
La polizia brancola quindi nel buio (da leggere anche come battuta, come dicevo sta sempre al buio a non fare un cazzo) e, a parte quando Enzo comincerà a farle da solo, sembra non portare avanti alcuna indagine (tanto che la scena - super riuscita- del dileggio dell'altra stazione di polizia mi sembra pure parecchio sensata).
Il punto di svolta sarà quando Enzo, per varie vicissitudini (tremenda la scena del video porno "vendetta" della figlia, tremenda per come racconta per l'ennesima volta di questi personaggi che si sentono già morti e che possono fare qualsiasi cosa, tanto non c'è niente per cui vale la pena vivere), dicevo sarà quando Enzo uscirà dalla polizia e inizierà indagini private. Forse perchè da quel momento non è più il capo della polizia che deve trovare un killer spietato ma un uomo "solo" che cerca una sua ossessione, un altro "uomo" solo - molto simile a lui - che sta sfogando il proprio mal di vivere in gesti così terribili e sanguinari.
La sua indagine quindi - e lo capiremo nel finale - è quella di un uomo che "deve" trovare un altro uomo che ormai è diventato la sua unica ragione di vita.
Deve trovarlo per parlarci, per confrontarsi con lui, per vedere chi è, quasi uno stalker che agisce per fascinazione (tra l'altro se non sbaglio Enzo a casa sua riscrive le lunghissime lettere del killer completamente a memoria, a conferma di quanto le due menti siano così vicine e in connessione).
Non è un caso che il punto di svolta sia quello della lettera trovata per caso e mangiata.
Dostoevskij, a differenza di tutte le altre volte dove le fa trovare facilmente, la lancia dalla finestra, probabilmente sfidando il destino, come a dire "vediamo se verrà trovata". E questo perchè quella è l'unica lettera a presentare un vero indizio (il famoso "passo falso" preventivato dal personaggio di Montesi).
Il killer sa che per la prima volta sta dando un'indicazione e per questo si affida al caso, lasciando la lettera al vento.
E proprio Enzo la troverà, come se il destino voglia che l'unico che meriti di trovarlo sia lui.
Nascerà una parte della serie molto interessante, certo un pochino forzata come accade sempre in queste trame (è improbabile nella vita reale che in un paio di giorni si capisca che l'indizio era un orfanotrofio, si trovi quello giusto e in mezzo ai detriti si trovino altri indizi) ma che ci regala tante belle scene (e un personaggio, quello del cuoco, recitato MAGNIFICAMENTE da un giovane attore di cui ora non ricordo il nome).

A proposito, credo che il materiale umano dentro questa serie sia la sua principale forza.
Non c'è un solo attore, anche quelli con due battute, che fa scendere il livello, sono tutti naturali, perfetti, credibili.
E son contento che il protagonista sia Filippo Timi, attore sempre troppo sottovalutato che, curiosità, abita a 5 minuti da casa mia (Ponte san Giovanni) e che addirittura proposi come tesi di laurea quasi 20 anni fa (la contrapposizione tra il suo libro "Tuttalpiù muoio" e l'opera teatrale derivata "La vita bestia").
Per me è stato molto emozionante ritrovarmi davanti nello stesso progetto due persone (Damiano D'Innocenzo e Filippo Timi) che sicuramente non posso dire di conoscere ma con le quali ho avuto delle piccole e bellissime "connessioni".



In ogni caso, tornando alla indagini, avremo così il primo colpo di scena (arrivato come un'epifania quando la giovane coppia chiede a Timi il nome del futuro bambino "E se fosse femmina?") considerando che il secondo, anche se in qualche modo subodorato dallo spettatore più scafato, sarà quello della scena più bella e tremenda di tutto Dostoevskij, quello della "confessione".
Scena terribile, magnifica, coraggiosa quanto coraggioso fu il finale di Favolacce.

Raramente il tema della pedofilia è raccontato da questa angolazione, da quella di chi ne "soffre" e cerca di combatterla (anche riuscendoci tra l'altro) ma finendo comunque per essere additato come mostro.

(Ah, a proposito, capiamo adesso perchè quel pestaggio al pedofilo.
Timi per tutta la vita ha combattuto contro questo "demone" e allora odia chi, invece, al demone ha ceduto, rovinando la vita di piccole creature).

E' incredibile quanto tutto questo discorso sia delicato.
Potremmo quasi dire che un pedofilo come Enzo che è riuscito a non toccare nè importunare mai nessuno sia, paradossalmente, una grande persona.
Fa strano dirlo perchè molti di noi non hanno la sensibilità di capire quanto quella cosa ignobile sia effettivamente una malattia.
E un malato che la tiene solo per sè senza causare alcun danno ad altre persone è qualcosa di importante che i D'Innocenzo, in quel dialogo incredibile, provano a far capire, con molto coraggio.
Paradossalmente Enzo ha distrutto la vita di Ambra proprio perchè è riuscito a non farsi sopraffare dalla malattia.
Per farlo l'ha allontanata, l'ha salvata.
O meglio, ha provato a salvarla visto che, invece, abbandonandola le ha creato una vita devastante, terribile, probabilmente pari a quella che avrebbe avuto con un abuso.
E' un cul se sac implacabile quello di questi due personaggi, come se ogni scelta fatta, ogni gesto, anche in buona fede, possa portare solo a conseguenze disastrose.
E così lo spettatore si trova incredibilmente a "capire" entrambi, ad avere sia l'empatia per Enzo, uomo malato che è riuscito per tutta la vita a bloccare la propria natura, sia per Ambra, ragazza-bambina ormai persa che non può capire la scelta d'amore di suo padre  perchè "camuffata" e del tutto sovrastata dallo shock di una confessione devastante.
Una scena indimenticabile in cui ogni gesto dei due, ogni parola dei due ci sembra perfetta, sono semplicemente due "verità" che non possono incontrarsi.
Lì, in quella stanza d'albergo, questa coppia di persone che avrebbe sicuramente potuto amarsi (come è successo nei primi anni d'età di Ambra) si perde per sempre.
(tra l'altro Ambra prova ad uccidersi con le pasticche per poi vomitarle. E' una scena identica all'incipit del film dove lo stesso Enzo, per lo stesso motivo, con le stesse modalità e con lo stesso "salvataggio" aveva provato ad uccidersi).
Probabilmente è questa definitiva rottura a portare a quel finale che io, come ho detto, fatico a digerire (e sul quale stiamo arrivando).

Prima di arrivarci voglio ricordare la superba fotografia (sporcata e resa ancora più bella dalla pellicola), la regia come sempre allo stesso tempo elegantissima e spietata dei fratelli e tante tante scene che restano impresse, oltre a dei dialoghi magnifici (o dei testi altrettanto belli, vedi appunto quelli delle lettere).
Tra tutte le notevoli frasi sentite quel "Voglio succhiargli il cancro" credo sia la cosa che mi è rimasta più impressa, raramente con solo 3 parole si può raccontare meglio un personaggio.
C'è anche qualcosa che personalmente non mi torna. Penso alla "visione" che ha Timi durante la colonscopia (credevo fosse importantissima ma o non ha avuto seguito o non l'ho capita), alcuni passaggi di trama poco chiari (probabilmente non per errore ma per voluta reticenza), un paio di scene forse troppo marcate o poco verosimili (penso a quella, seppur riuscitissima, della donna col voodoo o a quella giovane coppia entusiasta per una casa abbastanza oggettivamente mal tenuta e bruttina).
E arrivando al finale ecco che arrivano i miei dubbi più grandi.

Per primo il personaggio del sempre grandissimo Montesi (attore che considero un vero cavallo di razza).
Il suo personaggio è bello, riuscito, ottimo contraltare di Enzo.
La scena dove l'offende brutalmente (gli dice anche di segarsi sul video della figlia, e con la cognizione del dopo sto dialogo mette i brividi) è strepitosa. E in ogni caso il suo personaggio è molto funzionale.
Poi, però, parte un grandioso triplo montaggio alternato che segue in tempo reale e contemporaneo le vicende di Timi, quelle dell'amico Antonio e quelle, appunto, del personaggio di Montesi.
Passiamo da una all'altra con la fortissima sensazione che quelle tre strade separate alla fine convergeranno tra loro, in una notte tremenda.
E se è vero che la linea narrativa di Antonio sì, arriverà a incrociare quella di Enzo, quella del personaggio di Montesi invece sarà brutalmente interrotta (in una scena, ancora una volta, magistrale, quella del devastante pestaggio del cuoco).
E ok, a me che i D'Innocenzo stravolgano le regole piace molto (quando abbiamo un triplo montaggio alternato raramente si interrompe una linea narrativa) ma in questo caso l'uscita di scena di quel personaggio è sembrata strana, perchè non ha alcun seguito (Montesi resterà mezzo sfigurato all'ospedale).
E vi giuro che questa scelta, sommata al finale (Timi che diventa il nuovo killer sulla scia di Dostoevskji), mi è sembrata una scelta "alla Marvel", ovvero il creare dei presupposti per una seconda stagione.
Una seconda stagione con un nuovo cattivo e con un suo "nemico" sfigurato che lo cercherà ovunque.
Probabilmente questa mia idea è completamente sbagliata ma giustificherebbe (unendoli tra loro) entrambi i finali, quello di Montesi e quello di Timi, finali che non mi hanno convinto del tutto.

Ma andiamo, appunto, al finale principale.
Il quarto d'ora tra Enzo e "Dostoevskji" (che ormai sappiamo chi è) è grande cinema.
Cinema psicologico, cinema del dolore.
Enzo ha finalmente tra le mani la sua ossessione, quella donna che al tempo stesso odia così tanto e verso la quale prova così tanta fascinazione ed "empatia".
La tortura che fa pare quasi lo schiudersi di una crisalide, per uccidere quella persona e poter nascere lui stesso in nuove vesti, sostituendola.
Sono minuti molto interessanti specie durante lo straziante e animalesco urlo che fa la donna quando Enzo le distrugge l'occhio.
E' un urlo "ipocrita" perchè quell'essere umano così disturbato aveva sempre esaltato, glorificato, reso "bello", il dolore altrui, specie quello delle sue vittime mentre morivano.
Scrivendo parlava di quei momenti come catartici, come magnifici, come liberatori.
Ora, invece, il dolore gigantesco lo subisce lei stessa e il suo urlo è quello di chi ha avuto vita "facile" stando da un lato delle cose ma solo ora vive lo strazio dell'essere dall'altro lato, come vittima.
Per fortuna poi il suo personaggio torna coerente con sè stesso, togliendosi la vita.
Ma quell'urlo secondo me è straordinario da leggersi.
Tutto perfetto.

Eppure la scelta che fa poi Enzo io non l'ho sopportata.
Non riesco nemmeno a capire quando ha deciso di prenderla (già dall'inizio? quando ha perso definitivamente sua figlia? soltanto adesso mentre uccide Dostoevskji?) e mi rendo perfettamente conto che nella sceneggiatura dei D'Innocenzo (e nel loro essere incredibilmente estremi) tutto quello che vediamo ha senso.
Eppure io ho vissuto per quasi 5 ore quel personaggio in maniera diversa.
Ho capito il suo dolore, la sua disperazione, il suo mal di vivere, il suo senso di colpa, la sua disillusione, il suo sentirsi ormai perso.
Eppure l'avevo anche vissuto come un uomo capace di lottare, di crederci, di provare a riparare, di combattere le ingiustizie, di provare, nonostante tutto, ad essere il meglio che poteva.
E allora mi sono sentito tradito.
Quanto avrei voluto un'ultimissima scena in cui ci veniva lasciato un barlume di luce, un piccolo tassello di speranza in un mosaico così cupo.
Quanto avrei voluto che queste bellissime 5 ore finissero con un "segno" che qualcosa di bello, specie tra Enzo ed Ambra, potesse ancora succedere.
Ma i due gemelli fanno un cinema diverso, non un cinema in cui, in quanto tale, in quanto finzione, anche le cose più brutte possano migliorare o ribaltarsi ma il loro cinema è quello che ci racconta che alle volte nella vita tutto quello che è brutto può diventare ancora più brutto e certe cose non ricomporsi mai.
E avrei accettato anche questo, anzi, l'avrei comunque amato un finale così nero, pur maledicendoli.
Ma un uomo che per 20 anni ha combattuto la propria malattia per non arrecare danno a nessuno (non solo alla figlia, a nessuno), un uomo quindi con dei valori, un uomo quindi con una forza nascosta così grande, che mi diventi poi assassino per fascinazione, per imitazione, per sfogo e liberazione da una vita senza alcuna più speranza, no, non l'ho sopportato.
Probabilmente la colpa è la mia che ho vissuto questo personaggio nel modo sbagliato, vedendoci dentro anche cose molto belle.

Non so, chissà che succederà domani ad Enzo.
Intanto Ambra, perdendo quella persona così importante per lei ma così distruttiva, così asfissiante, innaturalmente potrà stare solo meglio, come se l'origine di tutti i suoi mali ormai non esistesse più.
Però lo cerca lo stesso, con questi stivali da pesca, in questa scena finalmente così luminosa e serena, forse la prima del film.
Non lo troverà, o comunque sicuramente non lo troverà lì.
Un uomo buono, quello che potrebbe essere una figura importante e sana per lei, la sta accompagnando.
Magari passeranno l'intera notte lungo quel fiumiciattolo in cui non può giacere il corpo di nessuno.
E magari all'alba Ambra mangerà un'altra di quelle bombe che non fanno male.
Che ne arrivino tante altre, può ancora farcela.

8.5

18 commenti:

  1. è sempre un piacere leggere le tue impressioni Giuseppe. Lascio qui il commento stilizzato che avevo scritto io a caldo.

    Divido atto I e II e poi mi esprimo in generale

    Atto I

    Parte in cui sono più concentrati i piccoli difetti (tecnici), ma è anche, delle due, la piú riuscita narrativamente. Questo conta poco perché è una serie quindi io non credo in uscita streaming o tv sarà divisa come al cinema ed è normale che sul finale si accumulino le perplessità perché la serie ha lí lo svolgimento.
    Parto dai difetti:
    Il primo, più evidente e certamente insopportabile per molti, è che i D’Innocenzo abbandonano il realismo dialettale dei film, e scrivono dei dialoghi belli ma pesanti. Pesanti per un motivo che io da subito ho pensato quale può essere e credo di aver anche azzeccato, ma faccio un esempio così si capirà meglio. Quando mai in Italia si dice: “cristo Dio, cristo di dio” in quel modo così teatrale? O quando vanno dall’altra squadra in pulmino (i colleghi poliziotti) “avremmo portato una cazzo di torta”. Detto come se fossimo doppiatori di DMAX “fratello la cazzo di torta”.
    Non so se è la recitazione o la scrittura in questi punti ma probabilmente entrambe. Il perché per me è semplice, dato che sembrava una traduzione fatta letterale dall’inglese.. vogliono farsi tradurre e portare la serie su piattaforma o in altri modi in altri paesi. E ci sta, è giusto. In più è andata a Berlino io me la sono immaginata con le traduzioni inglesi sotto e tanti dialoghi non mi sarebbero pesati come hanno fatto.
    Spiace che il velo fittizio di teatralità magari disturba facendo sembrare brutto il dialogo, che invece non lo è mai.

    Poi, sempre da questo punto di vista, alcuni scambi sono un po’ melensi, ma pochi e superabili ad esempio quando va ad interrogare nel primo orfanotrofio il signore gli dice: “carceri con voci di bambini” che un po’ vomito io.

    E qui grossomodo si esauriscono i problemi (tutti piccoli) della parte I

    Pregi:

    Partiamo con l’atmosfera. Strepitosa. Un giallo sporco vecchio e brutto, e quattro stronzi disperati.
    Incipit molto emozionante, Filippo Timi bravissimo e devastato. Tema lampante e fotografia che può accompagnare solo. Lui con quei piedoni giganti che si trascina fuori a camminare davvero indimenticabile.
    La serie è poetica sempre, anche nella scelta del modus operandi del serial killer. Questa è un arma a doppio taglio e qualche volta ci inciampano sulla poesia ma nel complesso è più ok che no.

    Pregio in assoluto migliore e cosa che riesce meglio ai registi per quello che di loro ho visto finora: la figlia.
    Le scene con la figlia in parte I, tutte quante. Non solo la spiaggia non solo la colazione. Sono meravigliose. Loro sono stupendi, dolorosi. Io ho attaccato a frignare quando la va a pescare dagli zingari e lei dice: “non mi sei mai venuto a prendere a scuola” e ho smesso mezz’ora dopo. Carlotta Gamba è la migliore degli attori poi, tolto lui che amo e stimo, un professionista.
    E pensare che la porta al parco giochi (sapendo cosa le dirà poi in parte due) e che non riesce a guardarla quando lei lo chiama. Non la può vedere in quel contesto e con gli altri bambini. Per me è stato struggente. Piangevo come il meme di McConaughey.
    Chi mi conosce sa che da anni speravo in un film con un pedofilo che non agisce, che vive l’orrore della propria condizione. Perché dev’essere devastante.

    Sulla lettura metaforica non ho granché da dire anche perché deve sedimentare e non credo sia una serie da “leggere” come non lo sono gli altri lavori dei D’Innocenzo. È una storia. Però ovviamente sommate le due parti un interpretazione più profonda, o esistenziale, si può fare.

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    1. continuo (fa ridere che per il sito ho dovuto dividerlo come divise erano le parti al cinema)

      Atto II

      Difetti

      Diminuiscono i problemi di “cazzo fratello” negli scambi tra i personaggi, aumenta un po’ la retorica poetica ma a sprazzi. Nel complesso meglio della uno da questo punto di vista.
      Poi c’è una cosa minore dal punto di vista narrativo, che forse è un problema tecnico ma non ho gli strumenti intellettuali per dirlo, ovvero che alcune cose non sono verosimili, e questa è una serie che è verosimile, quindi non capisco perché piazzarle, tipo la maleducazione dell’albergartice, un modo di atteggiarsi davvero quasi impossibile, e il ragazzo che faceva il cuoco che riempie di pugni un militare (ma su questo torno dopo).
      Poi c’è un fatto che succede nell’Atto I, ma che mi ha disturbato solo nel II, ed è il pestaggio al pedofilo. Narrativamente parlando, nella disperazione di Vitello e di tutti gli altri personaggi, era ovvio che qualcosa di tremendo doveva essere accaduto perché lui avesse abbandonato la figlia, e che persistesse nel non riuscire a riavvicinarla, tutti avevamo pensato il peggio. Visto che nella parte II lui si confessa, perché cazzo mi fai vedere il pestaggio? Magari io sono una sensitiva (e non credo proprio, anzi son rincoglionita) ma al dialogo, manco al pestaggio, al dialogo, con il pedofilo io avevo capito tutto di Vitello. Perché se n’era andato, perché si odiava ecc ecc. E allora mi chiedo, ma è più una perplessità che un reale difetto, perché magari altri 10 pareri smentiscono il mio: o mi fai vedere la scena col pedofilo e poi non mi fai vedere cosa lui dice alla figlia (pure tenendo la scena della lotta se si vuole), oppure (meglio questa opzione), levi quella scena del cacchio perché mi fai spoiler su quello che vuoi dirmi dopo e che avrebbe pure avuto più effetto. Ma vabbè.
      Veniamo al dispiacere maggiore. Sto coglione di collega giovane. Fa il fenomeno atto I, ma sembrava anche un poliziotto e una persona seria, tanto che intuisce la pedofilia di Vitello perché gliela sputa sul muso. Atto II, completo imbecille, stronzo e arrivista. Va bene ce lo accolliamo, ma l’evoluzione del personaggio si dispiega malino. Dai ricatti alla figlia al piagnisteo in ospedale. C’era poco tempo per svilupparlo e rischiava anche di essere un tema (del giovane che prende il tuo posto, del talento ma senza quel che di più, come la si vuole pensare la si pensi) trito e ritrito. Per uno spaccato sull’invidia poteva anche essere ok, ma insomma nel complesso è il difetto più evidente della serie. E qui si combina al problema del verosimile. È verosimile che un uomo dia un pugno cosi forte ad un poliziotto (grande e grosso e che mangia bistecche a colazione) da non farlo neanche riuscire a provare a difendersi a terra? Perché il pugno non lo da sulla porta di casa, inaspettato, ma camminando e dopo che il poliziotto aveva chiesto 10 volte “perché camminiamo”? Quindi era allarmato. Mah.
      Le perplessità sono sulla crudezza di alcune scene, mi sono chiesta se servisse davvero. Mi riferisco alla figlia che gli vomita addosso, all’autolesionismo di entrambi e alla tortura di Patrizia Prisco. E sulla decisione di lui di vivere un morire (cit). Su questo devo riflettere nei giorni. Sul finale sembrava volessero lasciare spazio ad una continuazione, forse un’altra serie.

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    2. Pregi

      La I era più vita meno thriller la II è più thriller meno vita, però solo da un punto di vista superficiale, perché il pregio della seconda parte è tenere benissimo, ritmo e profondità della prima, nonostante dovesse darci delle risposte, e si prestasse con ciò ad essere più ritmata.
      Le turbe del cuoco che riaffiorano con la raffica di pugni, “A casa mia” gli dice. Ecco forse tra le caratteristiche pro del poliziotto c’è l’ingenuità, l’arroganza, l’inesperienza di capire cosa si può fare e cosa no, anche essendo guardie infami (guardie sbo, infami sbo).
      Il momento “silenzio degli Innocenzo”, molto carino. Tensione appalla, girato e montato di cristo.
      I ricatti a droga e denaro alla figlia, disperati.
      Tutto il resto dai, tutto il resto è bello. La dettatura alla killer, come se tornasse allieva di un professore, la lettera sulla morte bellissima. Il modo in cui la cattura. Il portarsela sulle spalle, autocitazione a Dogman.
      Quel tipo che capita nel posto sbagliato al momento sbagliato e che viene ucciso perché è quasi-solo, come tutti. Deprimente sul serio.
      I battiti che aumentavano (come sonoro proprio), bello.
      La scena in camera con la figlia con lui di spalle. Lei che dice: “adesso sono vecchia”. Forse il vomito con le dita in gola, fratello di quello iniziale, non so se l’ho apprezzato. Disturbante, nel complesso direi riuscito.
      La storia thriller pure ben architettata, curiosa e terribile.

      In Generale

      Un lavoro coraggioso, tremendo e intrigante. Non ha aiutato, come dicevo, la divisione cinematografica che ti fa ragionare per forza di cose in maniera bipartita, quando in realtà è una serie, non sono due film o due parti. Il personaggio di Timi tenta di suicidarsi e poi trova nella serie di omicidi qualcosa per trascinarsi verso un epilogo se si vuole peggiore della morte, condanna se stesso. Ho vissuto l’intera storia come tribunale della coscienza di Vitello. E ognuno è il peggior giudice di se stesso. Non so come mai lui si sostituisca alla killer, non ci fanno neanche capire quanto tempo trascorra, a me le 5 ore pongono questa domanda, che trovo sia rappresentata con esito negativo ma intento di catarsi: “l’unica liberazione dalla prigione che siamo per noi stessi, il contenitore, è la morte?”, “la via d’uscita dal vessarci continuo della coscienza?” “tanto nessuno può succhiare il cancro di un altro, no?”.
      Esistenzialmente (parola che odio e che odiavano pure gli esistenzialisti quando gli veniva affibbiata), mi chiedo questo. E mi rispondo che per quanto vitello trovi qualcosa di più terribile della morte, come risposta, comunque non è la morte.

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    3. Ciao Francesca!

      leggo in fila e rispondo in fila

      1 Sì, credo sarà divisa in 5 episodi. In ogni caso anche divisa in 5 rispetto a 2 credo si possa tranquillamente parlare di "prima parte" e "seconda parte", giusto l'episodio di mezzo si troverà, appunto, dimezzato ;)

      2 Su questo punto ne abbiamo parlato privatamente, sono abbastanza d'accordo anche se come sai non ho provato fastidio. E comunque le recitazioni mi sono sembrate super naturali, anche se è vero che in alcuni punti - anche per via delle scena - c'era un filo di teatralità (come ad esempio il briefing o il confronto con gli altri poliziotti).
      Le (mi pare) due scene con cristo di dio mi sono piaciute tantissimo, anche come viene detto ;)

      3 come ho detto privatamente ai fratelli loro attraverso immagini e storie del tutto non poetiche e insensibili riescono sempre a far trasparire poesia e sensibilità, non so come fanno.
      Per capirsi su Haneke, regista per certi versi radicale e cattivo come loro, ste sensazioni non le vivi, senti solo freddo

      4 Perfetta la tua descrizione delle scene con la figlia, e anche le sensazioni che ti hanno dato. Sì, sono la cosa più bella di tutte, da starci male

      5 Sì, film pieno di tematiche e sensazioni, ma non di interpretazioni. Riflessioni, tantissime, infinite e importanti, ma non interpretazioni

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    4. 6 Ahah, l'albergatrice personaggio assurdo, io l'ho amato tantissimo. Sì, troppo stronza, ma se ci fai caso ogni personaggio, anche minuscolo, è super caratterizzato.
      Con tutti i pro e i contro.

      7 Ah, vedi, te avevi capito. Io invece ho trovato grandiosa la scena del pestaggio che invece capisci solo poi. Ma perchè son tonto io. O meglio, a fine primo tempo davanti ad una pizza con gli amici anche noi abbiamo pensato alla pedofilia (specie grazie a quella scena) ma NESSUNO a quella di lui. Eravamo sicuri che lui l'avesse abbandonata e fosse finita nelle mani di qualcuno che l'aveva abusata (famiglie affidatarie o parenti)

      8 No, qui dissentiamo del tutto. A me non è piaciuta la "chiusa" del personaggio di Montesi (o meglio, la scena del pestaggio è bellissima, solo che quel personaggio finisce in un letto d'ospedale e stop, non c'è un finale, come se ci debba per forza essere una seconda stagione).
      A me tutte le cose che fa sembrano coerenti, lui quando Enzo lascia il caso è convinto che lo stia seguendo da solo e sia sulla strada giusta e allora cerca di trovarne le tracce.
      E il pestaggio Francè è così, un omone di 120 chilogrammi gli dà due pugni in faccia, già basterebbero quelli, e poi continua e continua. Non c'è assolutamente modo di reagire, qualsiasi pestaggio che comincia d'improvviso con un colpo in quella maniera non ha reazioni.
      Lo porta in un luogo isolato, credo sia perfetto.
      Davanti casa avrebbe rischiato (sia d'esser visto da qualcuno sia non avrebbe avuto l'effetto sorpresa di un'aggressione camminando)

      9 Vabbeh, ma gli vomita addosso perchè lui le infila i diti in bocca per salvarla, è una scena bellissima e perfetta no?
      Quel vomito è salvezza, come fai ad eliminarlo?
      Sulla tortura finale posso darti ragione ma se ci pensi anche questa è perfetta, visto che fa vivere a Dostoevskji tutte le pene che quello ha fatto vivere alle sue vittime.
      E vuole che scriva con la morte e il dolore addosso

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    5. "Le turbe del cuoco che riaffiorano con la raffica di pugni, “A casa mia” gli dice. Ecco forse tra le caratteristiche pro del poliziotto c’è l’ingenuità, l’arroganza, l’inesperienza di capire cosa si può fare e cosa no, anche essendo guardie infami (guardie sbo, infami sbo).
      Il momento “silenzio degli Innocenzo”, molto carino. Tensione appalla, girato e montato di cristo.
      I ricatti a droga e denaro alla figlia, disperati.
      Tutto il resto dai, tutto il resto è bello. La dettatura alla killer, come se tornasse allieva di un professore, la lettera sulla morte bellissima. Il modo in cui la cattura. Il portarsela sulle spalle, autocitazione a Dogman.
      Quel tipo che capita nel posto sbagliato al momento sbagliato e che viene ucciso perché è quasi-solo, come tutti. Deprimente sul serio.
      I battiti che aumentavano (come sonoro proprio), bello.
      La scena in camera con la figlia con lui di spalle. Lei che dice: “adesso sono vecchia”. Forse il vomito con le dita in gola, fratello di quello iniziale, non so se l’ho apprezzato. Disturbante, nel complesso direi riuscito.
      La storia thriller pure ben architettata, curiosa e terribile."

      niente da dire :)

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    6. Molto belle e giuste anche le tue considerazioni finali.
      E sì, sto film sembra raccontare una catarsi paradossale, un uscire dai propri demoni diventando in prima persona un demone.
      Come avrai letto non ho amato questo finale, a meno che non sia tutta una costruzione già nella testa dei gemelli per una seconda parte

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    7. Rispondo solo alla nove giuse che forse non si capiva. Non avrei tolto le scene, e non è neanche che non mi siano piaciute. Ero solo rimasta un po’ perplessa a caldo sull’intensità. Mi chiedevo se fosse necessario che la scena di lotta con la figlia terminasse con lui che la fa vomitare in quel modo, sopra di lui. Ma appunto era una perplessità non avrei tolto le scene, anzi.
      Grazie per le risposte!

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    8. Sì sì, ma credo che avevo capito. Dicevo che secondo me c'era bisogno veramente di farla così, c'era un suicidio davanti a lui per disperazione, lui che tenta di salvarla, arrivare a far vedere che le mette le mani in bocca e lei vomita, arrivare a vedere tutto secondo me è l'unica maniera per rendere la scena al meglio, mostrare come quel padre fa veramente di tutto per salvarla. Non so, se la scena veniva tagliata a lui che infila la mano, senza vedere il vomito, secondo me funzionava a metà, molto meno pathos, meno empatia e anche meno "stima" (almeno stavolta) per quel padre. Tra l'altro è una scena esattamente uguale all'incipit e anche lì vedevamo tutto. Meglio vedere certe cose che immaginarle, per me sono 100 volte più potenti e per niente forzate

      ciao!

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  2. devo ancora mettere assieme le idee e non sarà facile fare un commento

    per ora ti do una chiave personale di lettura

    Enzo era già morto, aveva anche lasciato la lettera di "addio". Lettera già scritta in stampatello, condita di accettazione, sofferenza e fallimento personale .... (con una speranza rivolta solo a sua figlia).

    ma Enzo non muore, per merito o per colpa di un triplice delitto efferato, fatto da un serial killer che lascerà sul luogo del delitto, una lettera scritta in stampatello con lo stesso stile di quella che Enzo aveva lasciato (per il suo suicidio).

    Così Enzo fa un gesto folle, inizia un rapporto morboso epistolare con l'assassino. "sono qui, ti leggo" (o qualcosa di simile).
    Uno scambio che si porta avanti di delitto in delitto.

    ecco, credo che Dostoevskij non sia la nemesi di Enzo, ma quasi un suo simbonte. Quando Enzo è "morto" (simbolicamente) è diventato Dostoevskij e nel trapasso l'unica ancora con la vita è stata sua figlia. Dopo il video e ancor più dopo il "chiarimento", Enzo è "morto" diventando Dostoevskij. O meglio per diventarlo, ha dovuto trovare il suo alter ego e sostituirlo.

    altri 2 pensieri volanti
    un sequel? bello il pensiero che fai, ma pensa che brutta serie potrebbe essere. Che squallore. Speriamo sia una suggestione intelligente, ma priva di concretezza

    serie Tv? beh ... potremmo chiamarla "True Detective Italia". Molto meno patinata e glamour di quella USA, ma per tema andrebbe di diritto in quella serie antologica

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    1. direi che tutto quello che hai scritto è perfetto Stefano, secondo me hai colto tutto perfettamente

      eh, ma il finale di Montesi e lui che diventa un killer con loro che dicono "ha già ucciso al Nord" non ti sembrano due elementi da sequel?
      Boh, mi puzza molto.
      Anche se, paradossalmente, se nella testa hanno già una storia completa che prevee due stagioni magari la seconda mi convince che il finale della prima fosse giusto e necessario :)

      sì sì, siamo su quelle latitudini, di TD dico

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    2. ecco il mio commento ... senza SPOILER

      Film o serie TV? Non ha la struttura da serie tv (assenza di reali stacchi tra gli episodi), ma ha la durata di una miniserie. Non ha i tempi di un film ma per montaggio, qualità dell'immagine, colori e pathos è un'esperienza cinematografica (credo che in tv l'impatto sarà decisamente depotenziato).
      Io propondo a definirlo "Film estremamente lungo" e credo che in tv, su sky, potrà incontrare molte critiche, ottenendo bassi ascolti.
      Come anticipato ci sono momenti introspettivi, di miseria, funzionali a definire il contesto, i personaggi, i (non)luoghi, ma apparantemente non neccessari alla narrazione. Poi avvengono quelle scene che ti "devastano", ti scuotono, ti "succhiano" lo scorie accumulate. Arrivano, 2 sberle ben piazzate e si riprende. Ecco, come si potranno apprezzare da casa con la luce accesa, il frigo a disposizione, il cellulare invadente, ecc.. queste pause, queste lungaggini? e ancora più saremo pronti da affrontare le scene più "significative"? avranno lo stesso drammatico effetto?
      Per questo credo che la sua dimensione sia il cinema e questo sia un film (e non una serie tv).

      Come serie Tv potremmo dire che è la versione italiana di TRUE DETECTIVE, mai come questa volta i "poliziotti" sono reali, pieni di difetti, falliti, di frontiera.
      Impossibile parlarne senza farne "spoiler". Anche qui il senso di abbandono, disagio, sconfitta caratterizza la narrazione, ma i riferimenti si spostano anche al grande schermo ed in particolare a "Seven" (scene buie, assenza di speranza, vittime casuali, omicidi sempre diversi, ecc..). Ma nonostante i riferimenti e le citazioni, il prodotto è originale F.lli D'innocenzo, veri è propri padroni di casa. I registi e sceneggiatori già da me molto apprezzati con "Favolacce" (e non solo) sono capaci come nessun'altro a rendere "bellezza" la spazzatura. Piu rappresentano lo sporco, l'abbandono, la decadenza e più esce la poesia. I loro luoghi sono di frontiera, al limite della possibilità di essere abitati, i loro personaggi non vedono una doccia e le loro case puzzano (anche la surreale caserma che rimane aperta anche di notte, ma dove sembra che nessuno faccia nulla). Eppure, più questi personaggi sono "brutti" e respingenti e più vorresti aiutarli, più sembrano umani, reali, addirittura belli (sarà la fotografia, sarà il montaggio, sarà la capacità dei registi di cogliere l'attimo).
      La visione è ostica, ma in mezzo ad un ambiente respingente, inevitabilmente ci si ritrova dentro, partecipi, a disposizione ...; fatico a spiegarlo, ma è così.

      Veniamo alla trama. Disseminati lungo le oltre 4 ore, vi sono indizi che, al momento in cui appaiono, sembrano forzature, gratuità. Nel lungo svolgimento, tutto o quasi trova compimento e soddisfazione, spesso scontentando lo spettatore che, solo dopo, a freddo, può metabolizzare e apprezzare. Io dopo Atto I (visto il giorno prima di Atto II) ho avuto tempo di riflettere e farmi il mio film, darmi le mie risposte. Bene non ne ho azzeccata mezza (se non a posteriori, una traccia che effettivamente ha avuto pieno compimento, ma per altra via).
      Più ci penso e più mi è piaciuto, ma durante la visione ero abbastanza stordito. Filippo Timi monumentale, un ruolo difficilissimo che lo segnerà a lungo, ma è tutto il cast ad impressionare e questo è merito della regia, capace di dare identità, credibilità, presenza a tutti. Ci sono scene dove ottimi dialoghi aiutano, ma altre vivono anche solo degli sguardi, delle espressioni, dei silenzi; e della "stressante" colonna sonora.
      Un film/serie Tv che vedranno in pochi e potrà diventare un cult, ma che non mi sento di consigliare ... (anche se mi è piaciuta molto)

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  3. Dostoevskij mi ha fatto pensare molto. Già questo basterebbe. Amo molto la poetica dei D'Innocenzo - l'oscurità che raccontano, la polvere, l'ossessione, la provincia dei sentimenti. L'ho detto già ai tempi di Favolacce e lo ripeto con piacere: loro sono decisamente i più bravi a raccontare la crisi e la condizione del maschio, del padre, contemporaneo, che si trova in una condizione di equilibrio precario e labile, tra il carico di aspettative, richieste e costruzioni sociali che ne caratterizzano il ruolo culturale e l’insieme di desideri, bisogni e timori che devono fare i conti con una serie di unicità storico-antropologiche che ne minano l’identità. Ogni lavoro dei D'Innocenzo, a mio avviso, è una variazione su questo tema. Che si lega intimamente alla deriva ontologica della più antica delle istituzioni umane, ovvero la famiglia. Enzo, in fin dei conti, nasce da questa tempesta. I personaggi maschili dei due fratelli, in un modo o in un altro, ci ricordano che le sfumature del buio sono infinite. Questo film - che ho vissuto come tale, forse vivendolo come serie avrei avuto sensazioni diverse - come ho detto all'inizio, mi ha fatto pensare molto. E non mi riferisco, meramente, alle dinamiche intrinseche della storia (chi è l'assassino? di chi è quel cadavere? perché quella scelta? ecc.), mi ha fatto pensare soprattutto alla polvere che ho e che sono. Quanto sono lontano da Dostoevskij? Di quanta assenza sono capace? Insomma, ho vissuto tutto con grande partecipazione emotiva. A prescindere dai possibili (per me) difetti, dagli eccessi, dalle mancanze - tutto opportunamente segnalato da te. Alcune cose non mi hanno convinto pienamente - su tutti lo sviluppo del personaggio di Montesi, sul quale avevo altre aspettative. Alcune cose non le ho capite o mi hanno lasciato perplesso, in ogni caso le accetto. In ogni caso, i momenti di bellezza (emotiva, cinematografica, fotografica) sono estremamente forti e coinvolgenti. Quella colazione è di una potenza estrema. L'unico vero raggio di sole, molto più di quello della scena finale. Meraviglioso. E poi la confessione, quel dialogo urlato sulla spiaggia: veramente toccanti. Magari torno e scrivo altro, intanto ti abbraccio.

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  4. Un uomo solo, vuoto di vita, cerca la morte, e scrive.
    Una donna sola, piena di morte, toglie la vita, e scrive.
    Due persone al limite della vita, oltre il limite della morte, con un male dentro e il bisogno di comunicare, incapaci di essere ascoltati. Si cercano, si trovano e diventano la stessa idea: Dostoevskij, un serial killer che vive per togliere il male di vivere, scrivendone.
    La scrittura è il tema cardine - a partire dal maestro russo che titola l'opera -, e rappresenta innanzitutto una via di fuga dall'incapacità di comunicare e di amare. È uno scrivere funereo, intriso di morte e di fine: fine della vita, fine dell'amore, fine di un padre, fine di una figlia. Non c'è redenzione, e la rinascita è nuovamente morte. La penna diventa letteralmente un'arma.

    Il male aleggia e imputridisce persone e luoghi: unge le superfici, svuota gli sguardi, scrosta i muri, cancella i sorrisi, crepa i vetri, corrode le amicizie, infligge ferite e nel sangue fonde le due entità; si fa odio, vomito, piscio, merda, sangue, putrefazione, cancro.
    Anche la musica non può essere melodica, se non per pochi istanti in cui un bambino è innocente, prima di ereditare il male di vivere da chi l'ha messo al mondo. Il resto è sonorità graffiante, percussione pulsante, corde di chitarra distorte, disturbo sinusoidale di sottofondo.
    Tra i protagonisti non si trova alcun personaggio davvero positivo: Enzo che non ha più nulla da perdere e diventa la nuova incarnazione del male, Antonio l'ignavo incapace di essere capo/amico/marito/padre, Fabio l'arrogante scalatore sociale che nasconde il suo narcisismo nella ricerca del merito, Ambra la figlia che trasforma l'infanzia rubata in odio verso se stessa, Patrizia che soffre la vita e brama il male.
    Gli spiragli di luce sono pochi (un sogno, un bombolone inzuppato in un cappuccino, una gravidanza) e l'umorismo greve, rarefatto e amaro.

    Dostoevskij prosegue in modo naturale il percorso artistico di Damiano e Fabio D'Innocenzo, evolvendone il linguaggio da tutti i punti di osservazione e di ascolto.
    Da La Terra dell'Abbastanza a quest'ultimo lavoro si evidenzia un progressivo allontanamento da un'estetica pulita e digitale per cercare una messa in scena via via più sporca, grezza, matura, reale, autentica, che qui culmina con l'adozione della pellicola 16mm per dare ancora più organicità al materiale narrativo.
    A livello tematico continua l'indagine del rapporto tra genitori e figli, tra responsabilità, condanna ed eredità, scavando ancora più in profondità nel torbido dell'animo umano - quest'ultimo quasi una fascinazione perversa.
    La recitazione è guidata da un'astrazione sempre maggiore dal realismo, verso una teatralità più pulp/noir con dei personaggi che sembrano usciti da una graphic novel e che ricordano Sclavi e i suoi antieroi, Dylan Dog ("Cristo di Dio"/"Giuda ballerino") e la sua ricerca del Mostro in primis.

    Sequenze notevoli di menzione:
    - Il quartiere escheriano dove viveva il professore, con Enzo che lo attraversa tramite inquadrature sghembe.
    - lo struggente scambio tra padre e figlia in spiaggia (un'"okay" che pesa come un macigno).
    - La sparatoria concitata tra casa e auto, scena d'azione costruita in modo magistrale per introdurre il killer.

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    Risposte
    1. Nel merito della tua - come sempre ottima ed approfondita - analisi, Giuseppe, aggiungo alcuni commenti:

      - Ho trovato poco plausibile che la figlia Ambra avesse il numero di telefono di tutti i colleghi del padre per diffondere il video pornografico, unica piccola inconsistenza narrativa che ho rilevato.
      - Non avevo valutato l'ipotesi sequel. Spero di no ma è una lettura che funziona! Per Fabio ed Enzo io l'ho letta in modo differente:
      - Il finale di Fabio l'ho trovato aperto ma non inconcludente: abbiamo pressochè tutti gli elementi per dedurre che prima o poi Enzo verrà smascherato, Fabio otterrà quel "merito" per nutrire il suo ego (e salvarsi la faccia, letteralmente persa) e Antonio l'ennesimo fallimento della sua vita. Non c'è catarsi.
      - Il finale di Enzo può essere giustificato dal fatto che lui non è mai stato un personaggio positivo, se non per il suo sforzo nel combattere la sua pedofilia. È un uomo malato psicologicamente e fisicamente, ossessionato, impasticcato, violento, che occulta prove e minaccia i colleghi. Il voler vederci del buono temo sia una distorsione derivante dalla sensibilità dello spettatore che tende a tifare per il protagonista.
      - Infine anche Antonio non è una persona davvero "buona": come Enzo ha condiviso 20 anni di male ma, se Enzo lo esternalizza isolandosi e annullandosi, Antonio lo reprime con l'incapacità di agire: non sa aiutare un amico, non sa fare il capo, non riesce a chiedere né a scrivere una richiesta di divorzio alla moglie, non sa farsi ascoltare, non sa telefonare ad Ambra,...la sua vita è un susseguirsi di fallimenti dettati da ignavia.

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    Sig. Andrea

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due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

2 metti la spunta qui sotto su "inviami notifiche", almeno non stai a controllare ogni volta se ci sono state risposte

3 ciao