23.8.10

Recensione: "La Banda del Brasiliano"



" avete spremuto tutto senza pensare al futuro, chè tanto la fortuna v'ha fatto cadè tutto dal cielo: i polizieschi, la macchina, il lavoro in comune. C'avete lasciato i gusci, i gusci ciucciati della RAI, di Cinecittà, dello Stato (...) c'avete dato i soldi per andà al cinema e c'avete tolto i film (...) c'avete dato i mezzi e tolto gli scopi"

Polizziottesco pane e salame (anzi, pane e lampredotto), girato da un gruppo di ragazzi pratesi, "La Banda del Brasiliano" è un "filmettino" poco più che amatoriale che a mio avviso possiede una incredibile forza grezza come quella che un contadino semianalfabeta potrebbe sprigionare al microfono di un convegno politico. In un folle mix tra un "Piano 17" e un " Tutta la vita davanti", con una spruzzata d'atmosfera alla pasticciaccio brutto, il film di Snellimberg riesce a colpire e far riflettere malgrado l'assoluta (presunta) non professionalità che sembra pervaderlo. C'è entusiasmo in questi ragazzi, un entusiasmo che fa bene al cinema e che va solo plaudito. Non si può tacere una evidente mediocrità di recitazione, alcune forzature di sceneggiatura e un pessimo audio in presa diretta, ma tutto passa in secondo piano rispetto alla genuinità, alla voglia di gridare, allo straordinario omaggio a un cinema che fu e che li ha segnati:
-Poster della "Banda del gobbo" e di altri film del genere nella capannina dove portano l'uomo rapito.
- Escursione dei protagonisti al cinema per guardare "Milano Odia"
( - l'intellettuale: "Tomas Milian è sempre un pò troppo sopra le righe"
- risposta: Ma vatte a vedè un film coreano del c.azzo)- Film nel film di uno dei rapitori di chiaro stampo polizziotesco (con rapito costretto alla visione...)
- Addirittura, interrogatorio finale di uno della banda che confida alla polizia che di vergognarsi di esser così "moscio" invidiando la generazione kattiva degli anni 70, che menava e uccideva.



Se questo è il mezzo e la cornice, fortissimo è il fine e il contenuto. Questa generazione di trentenni è allo sbando. I nostri padri hanno vissuto l'età dell'oro, il boom, il lavoro sicuro, senza pensare affatto ai propri figli, ragazzi che per la prima volta nella storia appartengono a una generazione messa peggio della precedente. Tanto che i ragazzi si sentono per questo più vicini ai loro nonni che ai loro padri perchè i primi, cresciuti nella povertà e nella disperazione, hanno raggiunto con sacrificio quel benessere poi goduto dai secondi e spremuto fino all'ultima goccia. E qui cade alla perfezione la figura dell'ispettore interpretato da Monni, emblema dei "vecchi", anch'essi, forse, più vicini ai nipoti che ai propri figli. In questo senso il sorriso che fa alla fine dell'interrogatorio al Brasiliano ha un mondo di cose dietro.
E così il rapimento di un impiegato comunale da parte dei 4 precari, a imitazione del cinema che amano, non sarà nè a fini di lucro nè di violenza. Sarà soltanto una maniera per guardarlo in faccia e, con il cuore in una mano e un trattamento fine rapporto nell'altra, urlare la propria disperazione, fargli sentire il proprio fortissimo, forse vano, grido d'aiuto.

( voto 7 )

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