Abbiamo visto questo film insieme io e Rocco, ieri sera.
Al cinema.
La vera rece l'ho lasciata a Rocco perchè conosce molto meglio di me l'argomento ed è per lui fonte di grande interesse. Io conosco pochissimo del mondo arabo, o magari tanto, ma tutto superficialmente. E così un film molto importante anche a livello storico e "politico" io l'ho visto solo nella sua componente romanzesca, letteraria, esistenziale. Un film sulla ricerca utopica, da parte di un piccolo uomo, di qualcosa perso nel tempo, 12 secoli prima, un avvenimento talmente sconosciuto che sta a metà tra l'essere storia o leggenda, un qualcosa che non ha lasciato niente nei giorni nostri, se non qualche vecchia moneta. Ma, come dimostrerà Rocco nella sua ottima rece, in realtà quella rivoluzione coi giorni nostri c'entra molto, eccome. Io, dopo un primo tempo davvero pesante, mi sono invece perso in questa atmosfera borgesiana (Borges è citato anche da Rocco, ma per differenti motivi), in questo libro leggenda e fantasma, in questa città leggenda e fantasma, in questi fantasmi tout court cui il regista cercava di dar vita.
Un viaggio alla ricerca di un qualcosa ormai perso nel tempo e ancorato nel solo mito, risalendo anche un fiume, come in una celebre Apocalisse cinematografica.
Un film sull'Attesa, attesa del regista di trovare tracce, attesa degli americani dell'arrivo del finanziatore, attesa della ragazza del ritorno in Grecia, una Grecia che sta diventando altro da sè.
E proprio in quella rivolta greca, in quei visi europei che a un tratto diventano neri, Zanj, sta forse la meraviglia e il segreto del film.
Ecco la vera recensione.
In una celebre poesia Bertold Brecht si domanda se ad edificare Tebe e Babilonia siano stati i loro re
o qualcunaltro, continua chiedendosi da chi furono costruiti gli archi di trionfo di Roma , solo dai Cesari? Si interroga ancora.
Revolution Zanj di Tariq Teguia pone l'interrogativo all'ennesima potenza. Le aspirazioni degli schiavi hanno forse diritto ad essere rappresentate nella storia? Emergerà mai un volto fra le monete coniate dagli Zanj per celebrare la loro vittoria estemporanea contro l'impero abbasside, che possa testimoniare come quella rivolta sia avvenuta realmente e non il frutto di un inganno?
O al contrario tutti i tentativi, i desideri degli ultimi fra gli ultimi sono talmente in opposizione con la Storia, quella con la S maiuscola dei grandi imperi e delle dinastie reali, che nel loro darsi come attimi, come eventi abortiti, si cancellano nello stesso istante in cui si fanno?
Laddove c'è rivoluzione non c'è storia, sembra volerci dire Teguia, perché la storia è sempre cinicamente scritta dai vincitori e le minoranze che vincono si trasformano sempre in maggioranza e gli ideali sono sempre traditi. Come accade ai contadini anabattisti tedeschi protagonisti del romanzo "Q", c'è sempre un Lutero nell'ombra che cavalca e sfrutta le tensioni rivoluzionarie, ma che poi tradisce gli ideali rivoluzionari e si allea coi principi e cannoneggia il popolo. Chi cerca rivoluzionari nella storia cerca fantasmi. Ma c'è di più. La rivoluzione inglese partorisce il terrore di Cromwell; quella francese che affermava la libertà, conduce alle catene dell'impero napoleonico; le aspirazioni all'uguaglianza dei bolscevichi si infrangono nella macchina totalitaria di Stalin. Le rivoluzioni vanno sempre a finir male, ma non per questo l'uomo smette di divenire rivoluzionario. In fondo il divenire rivoluzionario è meno un dato oggettivo che riguarda le condizioni economiche e sociali di un popolo, e più un fatto spirituale che interroga la psiche collettiva di una comunità. Quanto ancora potranno sopportare? Giungeranno a ribellarsi?
Non sono le condizioni politiche esteriori a poterlo mai determinare sembra dirci Teguia, quanto piuttosto una tensione collettiva, un sentimento comune, una ripetizione di intensità di un atto che porta con sé le rivoluzioni più antiche e le più moderne in uno stesso tempo; che porta le rivoluzioni più lontane in uno stesso spazio. Ogni rivoluzione è rivoluzione degli Zanj, l'ultima ripete le prime, la prima si ripete nelle ultime. Il cinema annulla la distanza di spazio-tempo tra di loro come in un racconto di Borges. Con lavoro certosino allora, il compito del regista è quello di annullare lo spazio tempo che divide le antiche rivoluzioni contro l'impero abbasside e la rivoluzione moderna (al-thaura) delle primavere arabe, si tratta di farle convivere insieme sotto il cielo di Beirut o di Bagdad, de Il Cairo o di Algeri. In uno degli ultimi fotogrami del film ci pare di intravedere uno Zanj tra i greci che scendono in piazza contro l'europeismo che li affama. Niente è più vicino tra loro quanto i desideri degli uomini nel ribellarsi e cambiare le proprie condizioni di vita, fossero anche separati da migliaia di secoli. Nessuna rivolta può spiegare se stessa, ma ogni rivolta si spiega nell'altra.
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