5.2.19

Recensione: "Sweet Thing" (1999 - Mark David) - Boarding House - 14 - di Giorgio Neri


Torna la rubrica più matta de Il Buio in Sala, quella dove il nostro "Late Answer's Man" (qui trovate la sua assurda storia) Giorgio Neri ci racconta di film del sottobosco più impenetrabile, alcuni visti solo da lui e recensiti da nessuno.
Questo poi di cui ci parla oggi sembra ancora più assurdo, malato e cult degli altri.
Ormai un punto di riferimento per gli appassionati del (de)genere vi lascio a Giorgio


Penso che la trama dell’Amleto di William Shakespeare sia nota a
tutti, anche grazie alle innumerevoli versioni cinematografiche che
sono state realizzate.
Sweet Thing di Mark David (un regista indipendente con all’attivo
pochi altri film, mai arrivati in Italia) non esclude che abbia subìto
il fascino di questa immortale tragedia. Il protagonista stesso, Sean
(interpretato da Jeremy Fox), all’uscita da un cinema parla insieme
alla sua ragazza di una di queste versioni cinematografiche,
affermando che l’idea di costruire una vendetta e di uccidere il Re
siano gli sviluppi migliori della trama.
Da questo momento il film, che fino a poco prima sembrava essere una
semplice e banale storia di un ragazzo che ama la pittura e vorrebbe
vivere creando opere d’arte e generando il disprezzo del patrigno
(politicante in corsa per il Congresso), si sviluppa in maniera molto
differente - sempre tenendo in considerazione il valore della pittura.
Infatti, è questo mezzo artistico, nonché il contenuto delle opere
medesime (ispirate probabilmente alle visioni sepolcrali e mortifere
di Francis Bacon), ad essere la causa di un effetto progressivamente
sempre più devastante e distruttivo della storia.
Per Sean l’Arte, come per Van Gogh (che lui cita), è Amore; però, al
tempo stesso, non può distaccarsi da ciò che è ed è stato, da quel
passato torbido che lo ha attanagliato fin da quando era un bambino;
dall’aspetto più problematico, se ci si mette nell’ottica del
protagonista: la sessualità mal vissuta ma espressa con vivida forza
sulle sue tele.

Utilizzando la struttura classica del teatro, è possibile dividere il
film in tre opere:

Prima opera

Su uno sfondo nero, lunare/lunatico, un uomo pelato, col viso deforme
e un pene pendulo e quasi raggrinzito, la faccia vissuta dal vizio,
infila l’intero avambraccio all’interno di un ano, tra due grossi
glutei. Sembra che danzi, una danza grottesca, un sirtaki malandato e
una fierezza nell’intento sodomitico celato dalla pratica del fisting.
È l’opera di rottura.
Il patrigno ne sarà orripilato, Sean verrà considerato un omosessuale
e le strade si divideranno per sempre tra lui e la sua famiglia.
Si assiste al primo pezzo di quella costruzione dell’identità (e della
vendetta) che Sean sta coltivando, pur se guidato da eventi che non
controlla con fermezza e decisione.
Tale costruzione è parallela a quella del patrigno che, al pari
dell’usurpatore del trono re Claudio nella tragedia di Shakespeare,
cerca di allontanarsi dalla follia del figliastro, di ripulirsi
dall’immonda putredine e dalla brutale evacuazione anale della
pittura.


In tutto questo la madre, alcolizzata e debole, dice: “Hai detto le
tue preghiere, Sean?”.

Seconda opera

Sean ha conosciuto, prima della mostra, Hannah (interpretata da Amalia
Stitfer): il personaggio è evidentemente strutturato su quello di
Ofelia. Si crea una relazione sentimentale e il patrigno può calmare i
suoi colleghi: suo figlio non è un omosessuale, sebbene abbia ancora
quella maledetta passione per la pittura.
Colpo di scena: Ofelia/Hannah è una giovane prostituta, uno
stratagemma adottato per un unico e doveroso imperativo: “Sean non
deve più dipingere”.
Invece, il successo arride al giovanotto sebbene contemporaneamente
sia ossessionato dall’assenza del passato della ragazza, che lei gli
nasconde. Questa ossessione, che è una caratteristica del personaggio
di Sean, lo corrode a tal punto che, nel momento in cui capisce
indirettamente che la ragazza è andata con diversi uomini, impazzisce.
Sean/Amleto, dipinto di un rosso-sangue, mormora che l’eliminazione
della causa genererebbe la mancanza di un effetto. Qui si svela, a
metà del film, il passato di Sean: violentato sessualmente dal
patrigno, con la complicità di una madre che sa tutto e lo invoglia a
chiedere perdono a Dio. L’esorcizzazione è necessaria, l’Arte (che è
catarsi ed esorcismo del demone interiore, qualsiasi esso sia) non
basta più; è inevitabile la sodomizzazione della ragazza, la sua
umiliazione ad oggetto da sbeffeggiare ed usare.
È il primo passo per la vendetta assoluta.
La seconda mostra vede Sean sicuro del suo spettacolo rabbioso e
accusatorio: elogia il suo patrigno, gli dedica le opere come lui si è
“dedicato” amorevolmente a lui stesso.
Il regista Mark David ci regala squarci di questa opera a due
pannelli: un busto con braccia senza mani e al posto del bacino una
testa con cavità vuote e una lingua che cade penzoloni; poi una donna,
piagata da rotoli di carne, crocifissa; volti disturbanti, gridanti e
carne che sembra sfatta e lugubremente infoiata dal malessere, da ciò
che è marcio.

Il vomito del patrigno conclude lo show.


Terza opera

Un cliente ossessionato da Hannah, Dave, ha il compito di essere
Laerte: svela a Sean chi è davvero la ragazza e lo umilia picchiandolo
e pisciandogli addosso.
Dave ucciderà Hannah, facendola morire dissanguata dentro una vasca
piena d’acqua (proprio come Ofelia), circondata da farfalle sul volto
e petali di rose a terra.
Sean cade nel puro delirio e finisce all’ospedale: immagina di essere
divorato da tutte le persone che hanno incontrato il suo cammino.
L’artista è preda della società schifosa, in primis il nucleo
familiare, che desidera vedere le proprie colpe esposte ma denigra
questa volontaria autocoscienza, condannando a morte l’artista che ha
compiuto il rito.
Solo l'uomo di colore, una sorte di servo che è nella famiglia da anni
e che impersona Orazio, va a trovare il debole Sean. Qui s’inserisce
il flashback più critico nei confronti della famiglia cosiddetta
perbene: aiutato dal patrigno, il nero divenne uno schiavo al suo
servizio e fu costretto ad eliminare un ragazzo che il suo padrone
aveva violentato. Il patrigno supera, per la morbosa volontà di
soggiogare la preda, il personaggio dello zio nell’Amleto. Non usurpa
un trono, vuole il corpo (quindi, la vita) di Sean. È un puer-senex,
come dicevano i latini: ruba la giovinezza ai giovani e si rafforza.
Ma ormai il nero, che compare ad inizio film con due occhi mentre
adesso ne ha solo uno (l’altro è una pupilla bianca di vetro: forse la
tortura subìta per aver visto troppo, il dominio del bianco sul nero),
è deciso a denunciare il padre-padrone.
Quindi Sean si confronta con il patrigno, una volta ristabilitosi.
Puntandogli una pistola lo maltratta fino ad imitare sessualmente con
lui un atto sodomita e, quando sbatte sulla scrivania l’arma, ordina
all’uomo di scegliere tra suo figlio e lui stesso.
Poi il corpo del patrigno giace a terra, morto.
Un colpo di pistola.
Suicidio? Omicidio?
Non è dato saperlo.
Tutto finisce.
Lo scagnozzo del patrigno passa nella schiera dell’altro candidato.
Dave/Laerte è ucciso dal nero.
La madre trova conforto nel simbolo della croce, su cui risalta il
corpo di Cristo e una bandierina americana. Tenta anche di dipingere
ma è irrimediabilmente malata (precedentemente era stata colpita da un
colpo apoplettico che l’ha resa spastica). Sono chiazze di colore
senza senso e senza speranza. Anche lei ormai è morta.


L’ultima opera, la più grande, è un fedele ritratto della madre,
deforme e schifoso, che viene disegnato su una parete di legno e poi
dato alle fiamme.

Gli ultimi schizzi

Ma Sean/Amleto non è morto come nella tragedia.
Per un motivo: non ha ucciso nessuno se non la parte peggiore di sé,
il suo passato.
Continua a dipingere, dipingere, dipingere. E come in diverse altre
parti del film, il corpus filmico si frammenta, viene subissato di
flash selvaggi e frame rapidissimi. Un montaggio filmico veloce,
istintivo, isterico e debordante come quelle linee, quelle curve, quel
rosso  e quel blu saturi, il sangue di Hannah/Ofelia, i corpi freddi
di due amanti che si lasciano, il nero dello sfondo dei suoi quadri e
migliaia e migliaia di ricordi che costituiranno, forse, il materiale
del suo futuro successo artistico.

Tutto questo è la cosa dolce.

1 commento:

due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

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3 ciao