5.10.23

Recensione: "Talk to me" - Cinema 2023

 

Il miglior horror di sala del 2023 è, però, anche un'occasione persa.
"Talk to me" - film dal soggetto semplicissimo, quasi infantile, ma paradossalmente geniale e "nuovo" - è davvero uno di quegli horror da consigliare senza nemmeno pensarci, a chiunque.
Eppure c'è la sensazione che la scrittura si perda, che diventi confuso ed incoerente e, soprattutto - e questa è la cosa che più mi fa male - che i mille sottotesti che ha (o poteva avere) non riescano ad essere sviluppati come meritavano e che il film, più che concentrarsi su quelli (lo avrebbero elevato), punti su aspetti molto più canonici e da semplice horror "da sala".
Eppure resta un film che ci ricorderemo, sia per lo spunto accattivante che per le piccole riflessioni che suggerisce che per resa visiva.
Ma un film che sfiora e tratta tematiche come la droga, la dipendenza, la manipolazione e l'empatia doveva arrivare più in alto.
Perchè aveva tutto per farlo.


E' molto infantile ma secondo me anche piuttosto pertinente classificare gli horror tra quelli "da sala" e quelli "superiori", quelli insomma che dalla stessa sala riescono ad elevarsi.
Questa distinzione non è dovuta a mie considerazioni ma all'analisi del mercato, di quello che esce, di quello che viene visto, di quello che funziona al cinema.
Ed è abbastanza evidente che gli horror da sala sono quelli più spettacolari, quelli dei jump scares, quelli che più che alla scrittura e ai sottotesti si affidano alle atmosfere, ai presunti spaventi e, spesso, alla magniloquenza visiva.
Sono abbastanza incazzato perchè questo bello(issimo) "Talk to me" aveva tutte le carte in regola per elevarsi dagli horror di sala e piombare in quel ristretto Olimpo di film del terrore "completi", quelli che sanno creare atmosfere, che sanno far riflettere e che ti emozionano anche fuori dalla paura.
E invece non ce la fa, magari non ce la fa ad un metro dal traguardo, ma non ce la fa.
Questo a causa di due problematiche abbastanza grandi.
La prima è il suo creare tanti presupposti per diventare un notevolissimo horror metaforico - uno di quelli da letture e letture - per poi fregarsi quasi totalmente di questo aspetto o, comunque, puntando su altro.
Il secondo problema è che Talk to me è un film confuso, confusissimo, incoerente.
Attenzione, non inverosimile, chè gli horror quasi tutti lo sono (devono esserlo) ma incoerente, ovvero un film che nella sua inverosimiglianza e trascendenza sembra perdersi, non rispettare "regole", smentirsi.
Tutta la faccenda dei 90 secondi, dei demoni che poi rimangono al di qua, di quelli che prendono sembianze di persone reali e ci confondono, di quelli che vogliono che l'essere umano muoia per restar qua, del limbo, del suicidio di lei, dell'incipit, di alcuni spiriti che sembrano preoccuparsi non tanto della propria vicenda (vedi quello della madre) ma di altri spiriti come loro, e tante tante tante altre cose che creano una confusione e incoerenza talmente grandi che, forse, è meglio fregarsene (ma se l'abbiamo visto in 6 e tutti e 6 avevamo letto il comportamento dei demoni in maniera diversa non è un merito del film e del suo essere interpretabile, ma solo un demerito della sua confusione).
E siccome sono stronzo continuo con i difetti (ma i pregi, tantissimi, arriveranno).


Il film ha un altro presupposto completamente sbagliato e, anche qui, incoerente.
L'idea, geniale, del voler "essere impossessati" è composto da due passaggi.
Prima c'è il "parla con me" (vedi titolo) e poi il "ti lascio entrare".
Eppure è pazzesco come nel film avvenga solo UNA volta e prima nessuno ne faccia menzione la parte di mezzo, ovvero quella in cui il demone risvegliato può PARLARE con il vivente.
E' incredibile, l'umanità scopre un modo di parlare ai defunti ma nessuno lo usa, anzi, tutti sembrano completamente dimenticarsene per preferire, dopo pochi secondi, il far entrare quel demone dentro di sè.
L'errore è abissale e quasi comico se si pensa che il film si chiama "Talk to me" e proprio quel momento, quello in cui si può parlare al demone, tutti lo saltano.
E non c'entra nemmeno la fretta (i 90 secondi partono infatti solo nella seconda fase, quella della possessione), per quanto ci viene mostrato alla fine, ovvero l'unica volta in cui la protagonista parla a un defunto prima del "ti lascio entrare" l'unico dato che abbiamo è che quella fase intermedia, di dialogo, potrebbe durare anche minuti, ore, essere infinita, tra l'altro con il vivente completamente in sè, lucido e, in qualche modo, "sereno".
Pazzesco che nella scrittura del film questo aspetto si sia dimenticato, ancora più pazzesco che venga inserito solo nel finale (paradossalmente se non l'avessero inserito per niente avremmo semplicemente potuto dire che la cosa, il parlare coi defunti prima del "ti lascio entrare", non era possibile, visto non avevamo alcun elemento certo per dare come sicuro l'errore).
Porca puttana.
Ma perchè quel titolo allora???
Ma se la cosa l'avevano pensata sin dall'inizio, tanto da intitolarci il film, come è possibile che NESSUN personaggio ne faccia menzione?
Ma poi, mi chiedo, come è possibile che quelle cose girassero in rete senza diventare famose?
O che la polizia avendo tutti i filmati non fosse intervenuta?
O..., no basta.
Mi ricompongo.
Perchè secondo me sto film è veramente bello e sembra uno di quegli amori meravigliosi che butti via per una cazzata, e per questo fa più male.

Dove eccelle "Talk to me"?
In parecchie cose.
Innanzitutto è un film horror che, più di una volta, crea disagio, se non paura.
E' costruito benissimo, l'idea di base è scarna, semplice, quasi infantile, ma straordinaria per resa e, in qualche modo, "novità".
Sì perchè pur essendo un horror su una della piste più battute nel genere - quello delle possessioni - "Talk to me" pare comunque una cosa diversa, originale.
E lo è soprattutto per l'assunto per il quale la possessione non solo non impaurisce chi deve riceverla ma, addirittura, sia bramata e ricercata.
E non è ricercata come la ricercherebbe una medium (quindi per "lavoro", come tramite) ma per una sorta di sballo, di "esperienza", di adrenalina.
Ecco, solo questo basta per farci ricordare a vita di questo film.
E anticipa una delle possibili tematiche del film, ovvero quella della metafora Possessione = Droga.


E' abbastanza evidente, lo so, eppure così "assurda" (lo spettatore non si capacita di come quei ragazzi possano volere fare quella cosa pur avendone visti gli effetti) che quell'evidenza durante il film a volte la perdi.
Eppure è proprio questo, il volere provare così tanto una nuova droga, voler vivere così tanto una nuova esperienza, voler avere così tanto una nuova scarica di adrenalina, che fa fregare a tutti delle conseguenze.
Non è questo, alla fine, il mondo dello sballo?
Il fine, arrivare ad uno stato alterato e, in quel momento. "bellissimo", sovrasta qualsiasi coscienza, riflessione, capacità di discernere le conseguenze.
Vedere quei giovani avere davanti coetanei che quasi muoiono ma volere, in ogni caso, provare anch'essi quell'esperienza, è davvero incisiva come metafora.
Ovviamente, e qui la scrittura è perfetta, questo avviene perchè il "posseduto", una volta tornato in sè, questa esperienza la racconta come incredibile, senza alcun pentimento di averla fatta, completamente euforico della cosa (questo aspetto era fondamentale per dare credibilità al tutto).
Stranamente, però, questa metafora dello sballo non porta del tutto a quella "logicamente" successiva, ovvero quella della dipendenza.
O meglio, se succede succede solo per la nostra protagonista, l'unica che sembra voler provare più volte la cosa (gli altri invece o la provano solo una volta o, come i due possessori della mano, sono una specie di "spacciatori" che vendono lo sballo, tra l'altro non per far soldi ma solo per divertirsi).
Ma dietro queste metafore più evidenti secondo me Talk to me ne nasconde una più importante e, se tratteggiata meglio, la metafora  che poteva elevarlo.
Mi riferisco all'empatia.
Se ci pensate "Talk to me" mostra spessissimo scene di (non) empatia.
In questo senso la sequenza del canguro investito (per una volta non è un cervo...) è importantissima, come del resto lo fu in uno dei thriller più belli degli anni 2000, The Invitation.
Il canguro sta morendo, Mia e il fratellino della sua migliore amica soffrono anch'essi a quella visione.
Eppure Mia non riesce a "finirlo", ma se ne va via.
Ecco, a pensarci poi in questo film vediamo continuamente scene di persone che vedono altri esseri viventi soffrire ma o si divertono (riprendendo anche tutto col cellulare) o se ne fregano o non capiscono le conseguenze o preferiscono "andarsene via"
La stessa Mia è un personaggio scomodissimo, "sbagliato", una che sembra addirittura sfiorare la cattiveria.
Più che altro un personaggio tremendamente egoista.
Una che usa un ragazzino e lo porta quasi alla morte per poter parlare con la madre.
Una che due ore dopo che quel ragazzino è in ospedale morente va a dormire e flirta con il ragazzo della sua migliore amica, nonchè sorella dell'adolescente in fin di vita.
Una che odia il padre senza aver avuto mai il coraggio nemmeno di parlarci per capirlo.
Insomma, una che non guarda in faccia a nessuno, che in nome del proprio dolore (per la perdita della madre) usa e tradisce chiunque ha davanti.
Ma, e in questo la sceneggiatura è ottima, tutto questo avviene senza che Mia ci sembri mai un personaggio del tutto negativo, anzi, lo si riconosce tale solo analizzandolo.
Ecco, questo film racconta di come, tra egoismi vari e anaffettività data dai nostri tempi (i cellulari che riprendono tragedie sono l'esempio perfetto) l'empatia sia un qualcosa ormai completamente perso.
E il finale, anche se molto confuso (non si capisce quello che dovrebbe succedere con il suo suicidio...) secondo me è un punto di arrivo di questo aspetto, ovvero, della sempre più crescente consapevolezza di sè stessa da parte di Mia, quella del riconoscimento del suo egoismo e dell'aver vissuto quegli ultimi anni solo dando la colpa ad altri o facendo male ad altri in nome di un egoistico "sono io che soffro, non voi".
E' una catarsi quella di Mia, è un martirio purificatore, come un dare la propria vita cercando di cancellare tutto il male che stava arrecando alle altre persone( non è un caso che in quel momento era lì per uccidere il ragazzino - o porre fine alle sue sofferenze come il canguro iniziale? siamo confusi - e che avesse appena ucciso - o almeno pensava di averlo fatto - suo padre).
E molto interessante era anche la faccenda del suo sogno ricorrente, quello di non vedersi riflessa nello specchio, sogno che poi porterà al finale (dove appunto, da morta, non si vede riflessa) ma che sembra solo una specie di easter egg del film non pienamente sviluppato (per capirsi più che una premonizione poteva significare il "non saper riconoscersi" da parte di Mia, sentire di stare vivendo una vita nella quale non era pienamente sè stessa, ma solo il suo fantasma).


Però, vedete, tutti questi bellissimi aspetti del film sono suggeriti, nascosti, ma, nella sua confusione, il film non sembra puntarci poi molto.
Come ad esempio un altro tema (l'ennesimo), quello della manipolazione, anche questo inserito velatamente ma sulla carta potentissimo (i demoni che provano a manipolare la mente dei vivi, attraverso dialoghi o prendendo la forma di esseri umani a loro cari, per convincerli ad uccidere o uccidersi).
Anche queste sequenze lo spettatore le rintraccia qua e là ma nel momento che vuole ergere tutto a tematica si accorge che invece portano a poco.
Per capirsi non c'è un percorso alla Babadook in cui la metafora più va avanti più si svela, più va avanti più tutto quello che ci faceva paura ora ci emoziona e i sottotesti esplodono.
No, Talk to me, anche e specie nel finale, non sembra avere quella cifra emotiva e di scrittura che poteva farlo diventare straordinario.
Perchè un film con così tante cose belle quello poteva diventare, straordinario.
Un grandissimo e perturbante incipit, 2/3 scene davvero potentissime (il ragazzo che si prende a testate, l'immagine infernale del limbo), l'idea iniziale, quel suo cominciate subito in media res, con la faccenda della mano e delle possessioni che non vengono "scoperte" dai nostri protagonisti (come accade in tutti i film del genere) ma che erano già famose in rete (anche se misteriosamente circoscritte), le apparizioni dei demoni, il momento dell'ingresso della possessione (con quei bulbi neri sugli occhi che riescono anche a darci un senso di dolore, bellissimo), alcune sequenze apparentemente trash ma secondo me molto belle e freudiane (come il sesso col cane o la scena del "leccaggio" dei piedi, scene che manifestano degli impulsi che il posseduto usa insieme al possessore).
Il finale alla fine è "perfetto" (circolare, con la nostra protagonista che ora si ritrova dall'altra parte della mano) ma ci sembra "più perfetto" per meccanismo che per percorso (ripeto, quel suicidio poteva essere raccontato meglio, perchè pur analizzandolo sembra tanto strumentale).
E poi è un finale alla "Talk to me 2", una di quelle cose che a volte sopporto poco.
Mi fermo qua anche se avevo altri difetti e altri pregi di cui parlare, ma ho la tremenda sensazione di essere andato troppo lungo e di aver dato l'impressione che questo film non valga poi così tanto.
No, vale tanto.
Ma proprio perchè volevo innamorarmene poi fa male averlo, in qualche modo, perso tra le mie mani.

7,5

2 commenti:

  1. Ma più che altro... due ragazzini hanno una mano che fa parlare coi morti e nessuno si fa domande 😅

    Io la scrittura l'ho proprio patita, ti dirò, e la messa in scena è così bella che la fa pesare come un macigno.

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    Risposte
    1. Sì sì, il soggetto di base va accettato

      E' vero che all'inizio nessuno ci crede e, ci si crede, solo nel momento che lo si prova in prima persona

      e quando lo si prova in prima persona subentra però la metafora dello sballo, quello in cui provi e vedi cose che "da sobrio" non provi e vedi

      quindi secondo me, pur nella cornice inverosimile, funziona alla grande da quel punto di vista

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due cose

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3 ciao