5.2.24

"C'è ancora domani"/"Licorice Pizza" - A luci accese (divagazioni illuminate) - 5 - di Nicola C.


Dopo tantissimo tempo (al solito per colpa mia) torna anche la rubrica dell'amico Nicola, arrivata al quinto appuntamento.
Nicola, con la sua solita acutezza e capacità di analisi dei dettagli, ci parla stavolta di due film.
Il primo è il caso dell'anno, "C'è ancora domani" (che, se non sbaglio, diventa il primo film in 15 anni di blog di cui non ho parlato io ma ben DUE persone "esterne" - l'altra è stata Angela pochi mesi fa- ).
Vi invito a leggere perchè le considerazioni di Nicola, conoscendolo, saranno sicuramente molto personali e "forti".
 Il secondo Licorice Pizza, tornato abbastanza in auge per le due prime serate che i canali Rai gli hanno dedicato questi giorni.
Vi lascio a Nicola, certissimo di quanto i pezzi siano interessanti



N°  10  C’ E’ ANCORA DOMANI –  …PER LE LOTTE DI  IERI.


 Mi sono già imbattuto nella questione femminile parlando di Men,
pur mantenendo allora toni leggeri e rimanendo piuttosto sobrio sul senso del film.
Ma qui non posso evitare di entrare nel merito di alcuni aspetti su cui è sollecitata la riflessione, perché questo è un ottimo film e avrei voluto  davvero apprezzarlo fino in fondo, fino a farne quasi un manifesto nel suo magnifico pontificare tra passato e attualità, tra origine della questione (relativamente alla storia repubblicana) ed epilogo ai nostri giorni.
Per tutto il tempo mi ha sorpreso un entusiasmo quasi gioioso 
per trovarmi di fronte a un piccolo gioiello che istintivamente ho accostato 
a Una giornata particolare di Scola; d’accordo, il film di Scola è  un capolavoro che viaggia ad altre latitudini, ma il fatto che questo me lo abbia portato alla mente per me è indicativo.
L’evocazione del presente viaggiando ad arte nel passato è un’operazione riuscita alla perfezione, con tutti gli strumenti che il Cinema mette a disposizione, maneggiati con consapevole cura e profondità. 
Vero è che poi la scrittura vacilla in qualche occasione, 
una su tutte il soldato americano che fa saltare un Bar (in stile Pizza Connection) solo perché una donna incrociata per strada
(per cui nutre una pur affettuosa compassione per intuirne il vissuto) glie lo chiede; ecco, penso che una cosa del genere vada ben oltre l’inverosimile, 
ed è "grave" perché nella narrazione 
rappresenta uno degli snodi cruciali che portano all’epilogo.
Ma vabbè, di fronte alla bellezza dell’opera nel suo complesso 
sarei disposto a passare anche sopra a questo, 
che al massimo gli conferisce un tocco un po' surreale. 
E proprio quando ero così soddisfatto per aver assistito a queste due ore 
di cinema bello, potente nei contenuti senza mai perdere la leggerezza 
con cui ci accompagna in ogni singola piega, 
ecco che mi imbatto incredulo nel finale. 
Un finale che a mio avviso disinnesca tutto o gran parte quanto di buono 
costruito fino a un momento prima. 
Non ci voglio credere fino ai titoli di coda, ma devo proprio farmene una ragione.
Si è passati dalla rabbia che brucia sotto la pelle di quei segni 
che invocano un riscatto necessario e definitivo, alla lezione di Educazione civica,così… senza che neanche la campanella ce lo annunci.
Di punto in bianco siamo semplicemente ridotti agli edificanti gesti 
con cui la società del diritto ci promuove a cittadini, 
più di ciò che percepiamo di noi stessi, di chi ci è accanto,dell’odio e amore che respiriamo ogni giorno.
Insomma, i diritti della cittadinanza ci realizzano come esseri umani 
anche quando non ce ne viene riconosciuta la dignità nel profondo della cultura dominante e delle relazioni che ci tengono al mondo. 

“Voto quindi esisto”
è il corollario rassicurante della dignità femminile celebrato nell’ atto conclusivo del film.
Ebbè, uno ci rimane male.
Ma per la banale ed evidente constatazione che quel diritto poco o niente ha cambiato nella parabola dell’emancipazione femminile in sé 
(che è il tema) 
se le cose oggi stanno come stanno e cioè male
(che è pure il messaggio del film).



Il voto femminile fu ovviamente un traguardo doveroso e tardivo già allora,
che tutti abbiamo felicemente salutato e che sarebbe inevitabilmente arrivato in un’Italia comunque democratica, ma il problema è farne una bandiera di svolta femminista
(per chi ha nostalgia di quest’espressione).
Ebbe sì un valore epocale, ma è pur evidente che non vi fu dato seguito 
(il che getta qualche ombra pure sulla genuinità di quel gesto 
da parte di molti che finirono per concederlo).
Il parlamento che riconobbe il voto alle donne è lo stesso che da allora 
ha continuato a essere composto prevalentemente da uomini, 
che ha perpetrato la stessa pigrizia sul diritto all’eguaglianza 
e ha promulgato solo alcuni anni fa la Legge 40, violando deliberatamente salute e corpo  della donna nella procreazione assistita (il tema più propriamente e profondamente femminile di tutti) sotto dettatura dei vescovi italiani  
(l’ala più oscurantista e reazionaria della Chiesa che fece il bello e cattivo tempo in combutta con il parlamento approfittando della malattia di Giovanni Paolo II); peraltro le donne (o meglio la maggioranza di esse) stettero in silenzio e a casa nell’appuntamento storico con il referendum abrogativo, pur potendosi avvalere del famigerato diritto di voto, rimanendo al tema.
Se vogliamo, anche quell’astensione fu espressione di cittadinanza,
il diritto a una democratica abdicazione civile.
Ci pensò infine la magistratura a smontare quel mostro legislativo per la sua evidente incostituzionalità.
Sì, perché il fatto che evidentemente sfugge è che i diritti negati 
si conquistano sempre con la lotta (anche civile, non violenta) 
dimostrando di essere più forti di chi quel diritto nega,
traendo forza delle proprie ragioni e dalla loro condivisione 
al punto da farle valere su tutto e tutti da una posizione di sostanziale sottomissione o emarginazione.
Si tratta di istanze che appartengono ai singoli individui 
che uno ad uno finiscono per essere moltitudine, 
rivendicando la propria esistenza quando è negata. 
E la Storia sa essere crudele nell’imporne il prezzo, 
è fatta da esseri umani e riflette sempre ciò che essi sono.
Va subito detto che il diritto di voto non fu conquistato dalle donne ma concesso (dagli uomini); e fu concesso nell’ambito più ampio della necessità di traghettare il paese con sufficiente credibilità dal passato fascista all’alveo delle democrazie in orbita atlantica, in un paese che non poteva essere governato da altri che coloro che lo governarono per i successivi quarant’anni
(fino alla caduta del muro).
 Certo, furono concessi certi margini di manovra al livello del suffragio locale o referendario, ma il voto politico in sé (degli uomini quanto delle donne) 
non era previsto ne cambiasse la storia, 
che rimaneva quella decisa nelle stanze della diplomazia post bellica 
con le buone o con le cattive
(chiedere alla Grecia dei Colonnelli, mentre qui organizzazioni 
come Gladio vigilavano sullo status quo).
La stessa democrazia non fu dunque una conquista per il Paese 
(anche se spesso la si celebra come tale), 
ma una condizione imposta agli sconfitti dai vincitori.
Prima di allora gli italiani avevano scelto il fascismo ed ebbero le idee molto chiare su questo.
E la società di cui ci parla il film è ancora quella, 
la sua anima profonda non cambiò in una notte per la firma di qualche trattato. 
C’è tutta la differenza possibile tra un diritto calato dall’alto 
e uno che incarna la memoria del doloroso prezzo di una conquista, 
sarà per questo che la democrazia italiana non si è mai davvero compiuta 
e l’uomo forte e carismatico rimane suggestione sempre appetita dalle masse, è storia persino recente.
Se dobbiamo evocare l'Educazione civica o la Storia allora usiamo i riferimenti giusti, 
almeno per aprire gli occhi su chi siamo davvero, 
se proprio si pensa di voler cambiare qualcosa.
Invece ho visto assurgere senza alcun indugio il voto politico a chiave di volta del riscatto femminile,
quel punto a partire dal quale la Storia volta pagina 
e apre tutte quelle possibilità precluse fino a un istante prima 
perché le cose vadano finalmente a posto.
E tiriamo tutti un sospiro di sollievo.
Peccato che le cose a posto poi non ci siano mai andate.
Ecco, confondere la retorica delle narrazioni con la memoria storica 
spiega ad esempio perché, da quel momento,
proprio le donne siano ancora tanto discriminate, 
quando non abbandonate a se stesse persino dinnanzi alla violenza 
pur essendo cittadine con tutti i crismi in una società – quella italiana – 
che dietro un dedalo di mantra politicamente corretti 
perpetua ostinatamente - al modo dei nostri tempi - il passato denunciato dalla Cortellesi.
Non saper leggere la Storia è cosa assolutamente perdonabile, ognuno ha le proprie attitudini, ma non farlo col “senno del poi” per ciò che ci riguarda in prima persona  è grave, denota un’infatuazione ideologica che altera proprio la percezione della realtà 
e quindi preclude al suo cambiamento.
E la realtà oggi non ci piace, segno che i presupposti su cui è costruita non sono quelli che vorremmo o comunque sono ampiamente insufficienti a renderla migliore.
Comunque, per chiarezza, non disconosco il valore della “cittadinanza”, che è anzi la cifra antropologica occidentale che custodisce il valore soggettivo della nostra esistenza
entro la consapevolezza dell’oggettività di un diritto comune.
Ma poi bisogna vedere quale ruolo è chiamata a interpretare questa cittadinanza 
se costruita su un rito politico collettivo che ci rassicura negandoci.
Per cambiare la storia (o almeno provarci) è sempre necessario uno sguardo 
che colga coraggiosamente la cruda umanità delle cose 
su cui restare “vedenti” prima che sognanti,
tanto sul piano collettivo quanto su quello della storia di ognuno.



 Nel mondo attorno a Delia l’amore e il rispetto sono in coloro 
che vivono oltre il senso comune che tutto appiattisce 
rendendo orrendamente normali piccole e grandi brutalità;
e ci sono sempre i segni con cui capire se lo sguardo e i gesti di chi abbiamo di fronte siano amorevoli o cerchino la nostra umiliazione.
E non è certo il ruolo di cittadini a venirci incontro se vogliamo ignorare questa differenza.
Delia ha imparato a sue spese a riconoscerla.
Sequenza magistrale di Cinema quella in cui al suo sguardo si svela il ragazzo già non più scanzonato, con l’onore di uomo che ne solletica l’orgoglio e le mani nei gesti divenuti ormai latenti minacce sul volto di sua figlia.
Destini già segnati, altrettante declinazioni della cittadinanza 
già scritte e approvate dalla Storia.
L’eroismo di Delia è non abdicare all’inconfessabile rassegnazione 
insegnata e pretesa dal Passato:
per la figlia di Delia c’è ancora domani
solo se ne capirà l’unica lezione possibile.

 

N°  11  LICORICE PIZZA – LA LUCE PROPRIA DEI SOGNI



 Per me è impossibile non voler bene a questo film, anche per la curiosa circostanza di essermi casualmente capitato di vederlo cominciando dalla metà, per poi (successivamente) riprenderlo dall’inizio (e non era possibile resistere!). 
Ho rivissuto quando da ragazzino - in un curioso déjà vu con i miei personali anni ’70 - 
capitava che mi portassero al cinema all’intervallo, vedendo così i due tempi in ordine inverso. Impossibile (e inconcepibile) oggi: siamo dominati dalla linearità delle cose sin da piccoli 
(al punto da farne un’aspettativa, ma il mondo delle emozioni che restano non conosce linearità). 
Questa circostanza mi ha restituito la sensazione infantile di un’epoca mirabilmente evocata 
per tutto il film, seppure a diverse latitudini, ma a quei tempi anche qui era un po’ tutto America. 
Quindi non è solo con spirito – diciamo così – analitico, ma anche con certa languida emozione dico che LP è già in se stesso ciò che vuole raccontare: un bellissimo inno alla purezza  (Ah!… Lei recita talmente bene che sembra non  farlo mai).
LP è implacabile nel ridimensionare il mondo autoreferenziale di tutto ciò che si presenta 
come un punto d’arrivo: la vanagloria confezionata per relegare all’anonimato tutto all’infuori di sé. 
Una sfilata di icone la cui infallibilità brilla soltanto negli ingenui occhi di chi le guarda.
Ma qui Anderson mostra che quella presunta grandezza, quella rassicurante spregiudicatezza di cui luccica il “mondo dei Grandi” non è mai esistita davvero e l’unico atto amabilmente spregiudicato è l’incanto di chi, di fronte a quel mondo, sogna.  
E sogna perché non sa; sogna perché i sogni di cui traboccano i propri desideri potrebbero inondare qualunque cosa: salva quindi è l’innocenza (e noi nel poterla ammirare).
Ai margini di quel "mondo giocattolo" Alana e Gary sono le uniche presenze reali che possono ammirare mondi dorati come scintillanti promesse solo grazie al fatto di non appartenervi, se non altro per “privilegio d’anagrafe”: 
quell’incanto inviolato della Storia come della vita, che si celebra quando 
“si entra in un giardino incantato, dove anche le ombre brillano di speranza e ogni svolta del sentiero ha una sua seduzione” 
(citando Conrad). 
Gary e Alana arrivano solo a sfiorare qualcosa che appare sempre fuori misura per loro 
(lui una ragazza troppo grande, lei le icone di un immaginario sempre irraggiungibile) 
e per questo non c’è mai una distanza che sia calcolabile per i propri slanci.
Sì, li vedremo sempre correre intenti a inseguire un altrove.



 Lei  è una “ragazza bloccata e piena di valori invalidanti" 
(citando il "Giuseppe pensiero") e la conseguenza non può che essere quella di erotizzare il loro opposto per antonomasia, gettandosi in esperienze di liberatoria emancipazione nella fretta di “crescere”: una stasi in apparente movimento da cui si esce solo cominciando a guardare il mondo con i propri occhi e Gary è la prima cosa gli si mostra ogni volta che lei lo fa: perché il suo sguardo di bambino già adulto  è stato definitivamente trafitto da quella smaliziata e letale purezza.
Gary per Alana è invece un’iperbole sempre a portata di mano, ma appunto per questo troppo prossima per uno sguardo perso nell’ “altrove” distante delle ambizioni. La lascerà a un mondo di promesse immancabilmente tradite perché non hanno nulla da mantenere, mentre con rocambolesca genuinità fa dei suoi sogni la materia prima della vita: 
che lezione e con quanta adorabile generosità è impartita! 
Come quando incapperà in Bradley, icona della tracotanza che alberga in ogni pretesa sontuosità, ostinandosi finalmente a sfatare il sogno americano per cavalcare i propri. 

E poi la retromarcia (azione come significante puro!)  
con cui Alana compie il suo (rav)vedersi per poi finalmente fermarsi 
seduta a uno scalino per la prima volta dopo tanto “lanciarsi in avanti”. 
Una lezione di cinema anche questa, soprattutto per il contesto: 
perché non siamo in un film d’azione eppure rimane una pennellata violenta di colore che dà senso all’opera, o comunque senza quella il film non sarebbe lo stesso. 
In LP nulla è eclatante ma ogni dettaglio costruisce un insieme 
che ha una potenza emotiva dirompente eppure sempre delicata. 
Un film grande in cui tutto è piccolo 
e la grandezza è solo il dettaglio che ogni volta sovrasta  l’insieme, 
in quell’attimo che si chiama felicità e può essere solo offerto in dono,
che altrimenti i desideri sono inutili.
E tutto è troppo ricolmo perché vi sia spazio per altre illusioni non altrettanto sublimi.
 


16 commenti:

  1. A mio parere il film della Cortellesi è un buon film fatto bene ma nulla più, è sicuramente un mio limite non aver trovato tutto quello riportato nella recensione se non in minima parte.
    P.s. la recensione per almeno il 50% divaga su argomenti che non sono nel film e d è una forzatura metterceli dentro presupponendo che siano attinenti o collegati.
    Come al solito de gustibus

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    1. Non ho visto il film e quindi non posso leggere la rece di Nicola (ma so che conoscendolo, può partire da un film per andare a finire in concetti molto più grandi)

      quindi a prescindere dai gusti "capisco" il tuo commento e sicuramente anche Nicola lo capirà

      più che altro ho commentato anche io per ringraziare del commento, sono sempre più radi nei blog e ancora di più, giocoforza, nelle recensioni "esterne" (è ovvio che chi segue un blog lo segue principalmente per chi quel blog lo tiene, anche se chi quel blog lo tiene è più scarso di altri che ci scrivono, ahah)

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    2. Ciao Luca, la tua obiezione ti dico subito che è corretta e mi dà l’occasione di mettere a fuoco ancora una volta il senso stesso di questo spazio (che ho provato a chiarire nel suo incipit nella prima pubblicazione) anche per altri che dovessero frequentarlo (senza passare per la pagina iniziale). La questione è dunque di metodo e l'equivoco e' presto sciolto: questa rubrica non contiene recensioni propriamente dette (non ne ho l’attitudine né la preparazione), quindi l'attinenza di cui parli non e' una prerogativa di questo spazio. Qui infatti la discussione verte su quello che lascia il film nel momento in cui si illumina la sala, “a luci accese” appunto; ma le luci accese alludono anche al nostro tornar vedenti su aspetti al di fuori dello spazio della proiezione su cui abbiamo tenuto l’attenzione fino a quel momento. E fuori da quello non si può che divagare, scavando in tutto quello che l’esperienza vissuta in sala muove e porta a galla; come il film ha influenzato il nostro modo di vedere le cose relativamente a quanto ha trattato e ci ha trasmesso; in una parola se e come ci ha cambiato anche in minima parte. Perché alla fine penso sia questo il senso più profondo per chiunque si rapporti a un’opera, intendendo il cinema come tale ed escludendone pertanto la sua declinazione in “prodotto”.

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  2. Ho letto le due recensioni di Nicola di questi due film e devo dire che sono più belle dei film stessi.
    Ovviamente il mio è un personalissimo giudizio.
    Il primo: mi facevano un po' ridere le smorfie della Cortellesi, attrice che mi piace e mi fa ridere, sarei anche potuta uscire dal cinema pensando fosse carino ma quando la sala ha applaudito gridando al capolavoro, sono allibita.
    Il secondo invece ha fatto breccia nel cuore di moltissime persone e invece a me non ha trasmesso tutte quelle emozioni tanto che mi son chiesta se l'abbia visto veramente!

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    1. Cia Nicoletta, intanto grazie per l’apprezzamento ma mi pare di aver capito che per quanto ti hanno lasciato i due film ho vinto facile! Il film della Cortellesi da un punto di vista “cinematografico” lo trovo ottimo: ben diretto e interpretato, anche se la scrittura vacilla in qualche passaggio che è pure fondamentale nella narrazione.
      LP ha il merito di partire da una grande idea che vuole salvare i sogni dalle proiezioni a cui le riduce il costume e trova i volti giusti per farlo: è innanzitutto lì che per me fa centro.
      Detto questo poi l'arte, e non ultimo il Cinema, per sua natura punta a quello strappo emotivo che può rivelarci quanto invece ci sarebbe stato precluso senza aver vissuto quell’esperienza. Analisi e ragionamenti ci identificano nel profondo solo quando sono innescati dall’urgenza appassionata di afferrare quel qualcosa che ci abbiamo visto e che non deve sfuggirci più. Quando quest’alchimia non accade possiamo leggere, fare ottime riflessioni, che magari pure ci lasciano qualcosa, ma non era quello lo scopo. Però è normale che capiti e ne basta una di opera che accenda la scintilla a farci capire che anche solo per quella sono state necessarie tutte le altre. Siamo benedette comunque!

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  3. Non mi trovo d'accordo con l'analisi fatta sul finale del film "C'è ancora domani" (diverso è ovviamente il discorso sul diritto al voto in sé). Che Delia riponesse una grandissima aspettativa nei confronti di questa possibilità e di quello che questa rappresentava era evidente già da metà film, dall'arrivo della "lettera", dunque lo stupore, o peggio ancora la delusione, nel vederla diretta alla cabina elettorale piuttosto che tra le braccia di un altro uomo, non li comprendo. È frustrante e doloroso oggi il fatto che quello che Delia, e le altre migliaia di donne, vedevano nell'estensione del diritto al voto è rimasto ovviamente un passo vuoto verso la parità sostanziale, ma non vedo come questo pregiudichi la riuscita o il messaggio finale del film.
    Ho, invece, apprezzato moltissimo la recensione di Licorice Pizza.
    Angela Sid

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    1. Ciao Angela, chiarisco subito che io non ho mai auspicato il finale con Delia tra le braccia di un altro uomo. Sarebbe stato un “tutti vissero felici e contenti” altrettanto deludente. Perché siamo d’accordo che la vita non si risolve tra le braccia di qualcuno, uomo o donna che sia; ma diciamo che siamo pronti alle braccia di qualcuno man mano che l'andiamo risolvendo, perché altrimenti quell’abbraccio rischia di imprigionarci. E per evitare questo dobbiamo essere “vedenti” soprattutto in noi stessi.
      Delia lo è diventata e la scena magistrale in cui capisce verso cosa stia andando sua figlia lo dimostra e ce lo racconta in maniera sublime. Delia agisce nell’impeto di quella nuova coscienza, cambia le cose a modo suo realizzando la sua rivoluzione (poi starà a Marcella trovarne il senso in un futuro valido). Ma ecco, ho visto tradito nel finale proprio questo piano della realtà, questa splendida lettura che accarezzava il riscatto di un’anima divenuta da quel momento in grado di mostrare la strada a chi si ama, punto da cui passa ogni storia che varrà la pena raccontare.
      Quindi sì, Delia tra le braccia di un altro uomo ci delude, ma non di meno tra le braccia di un'illusione civica dove non si allude mai all’aspettativa tradita di quel sacrosanto diritto, ma lo si celebra come un epilogo compiuto di “giustizia”. In questo senso la rinuncia di Ivano agli intenti su Delia è fortemente simbolico: dietro il monito di quegli sguardi egli infine indietreggia di fronte a un progresso compiuto e ormai irreversibile. Ma la Storia non racconta questo e il film sembra ignorarlo. Ho avuto l'impressione che si sia celebrata la retorica nella rassicurazione. E trattandosi del finale quest’ultima conferisce al film una cifra necessariamente consolatoria nel messaggio che portiamo infine con noi: un lieto fine di troppo che non rende giustizia a un’opera valida nella sua delicata crudezza che avrei preferito incontaminata.

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    2. Continuo a non essere d'accordo. Quello che ho sentito io uscendo dal cinema, e molte altre persone con cui mi sono confrontata, non è nulla di consolatorio ma la contrario ho percepito come un passaggio di testimone, con il dovuto peso di responsabilità. La sensazione che ne ho avuto io è stata di una scelta, compiuta per la prima volta anche dalle donne che, indubbiamente avrebbe avuto un peso sul futuro ma da sfruttare quale punto di partenza. Per cui se le cose oggi non sono come quelle donne immaginavano, è "colpa" nostra, e al massimo il finale serve ad infondere coraggio e a ricordare che ogni gesto conta. In ogni caso grazie mille per l'attenta risposta.
      Angela Sid

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    3. Ti ringrazio anch’io per accogliere analisi da cui dissenti piuttosto che passare oltre, lo apprezzo molto e fa la differenza (a maggior ragione in spazi come questo). Essere d’accordo non è poi importante, anzi non esserlo è sempre stimolante alla riflessione, quando fuori dalla banalità (e qui lo siamo ampiamente). Quello che piuttosto mi interessa relativamente ai miei interlocutori è far capire ciò che davvero intendo e riuscirci è una mia premura. In questo senso interventi come il tuo sollecitano a spiegare meglio, essere più chiari ed esatti con le parole; perché non lo si è mai abbastanza nella necessità di esprimere la complessità comunque insita nelle corde delicate e a volte anche profonde di certi discorsi. Un saluto.

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  4. Nicola ci teneva a dire che può rispondere ai commenti solo da domani

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  5. E mi unisco ai complimento per la recensione di Licorice che è bellissima, stimolante e anche illuminante in alcuni passaggi (vedi la retromarcia)

    ma del resto hai visto prima la seconda metà e poi dall'inizio, in qualche modo la retromarcia l'hai fatta anche te :)

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    1. Ahah vero! Comunque si, molto bella

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    2. Il mio ego ringrazia!
      …Sì, le retromarce sono sempre il momento migliore di una traiettoria. Ad ogni modo non è che proprio ho visto il film invertendo le due parti (seno’ sembro più stordito di quello che sono… il che però è solo questione di tempo ahah!), ma dopo aver visto la seconda parte l’ho visto per intero dall’inizio conoscendone quindi l’epilogo, il che mi ha consentito di coglierne più dettagli e innamorarmi definitivamente di quei due!

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  6. Ciao Nicola, ho apprezzato molto entrambe le riflessioni scaturite dalla visione dei due film.
    Un filo che parte dai film, che diventano spunto, porto da cui prendere il largo con riflessioni, considerazione e analisi che pur restando in tema abbracciano e includono il mondo fuori e dentro ognuno di noi.
    Non posso aggiungere niente sul film C'è ancora domani" perché non l'ho visto ma concordo invece sulla tua analisi circa la concessione del voto - atto dovuto per le particolari condizioni storiche createsi e che ha inciso irrisoriamente sulla emancipazione culturale, con particolare riguardo alla condizione femminile, di questo Paese. Basta guardarsi intorno, guardare il nostro Parlamento, le Leggi, per capirlo: sono trascorsi 79 anni, 79! manca poco al secolo, eppure...

    Bellissimi ed emozionanti i tuoi pensieri su Licorice Pizza; bello il ricordo dei film visti partendo dal secondo tempo e vero è quel che dici sulla linearità, io sono così ma, chissà, potrei anche provare.
    Grazie e un abbraccio

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    1. Ciao marang. Sì, hai colto la necessità a cui risponde questo spazio. C’è ancora domani ti consiglio di vederlo, perché la Cortellesi cavalca l’esordio con ottime prospettive. Poi mi interesserebbe davvero conoscere anche ciò che ne pensi nel merito, che sensazioni ti lascia e quel finale che comunque lo si veda non può non alimentare riflessioni e confronti, il che forse ne costituisce il merito. Sulla linearità: è sicuramente necessaria, ma andare oltre è uno stacco che fa la differenza; aver frequentato da bambino cinema di seconda visione e sale parrocchiali (tra i momenti migliori di sempre!) mi ha dato un certo imprinting che ho finito per apprezzare.

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due cose

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