8.1.15

Recensione: "Che ora è laggiù? (Ni nei pien chi tien)" - In Search of Visions, Sublimazioni di Realtà - 3 - di Romina Bracchi

Terza puntata per Romina, che stavolta, dopo quattro notti nella stanza dello straniero dal nome Roe, decide di affrontare il sesto film del regista malesiano non molto celebre al grande pubblico, che risponde al nome di Tsai Ming-liang.


Distanze di sicurezza, luoghi, non luoghi e ossessioni.

Di Tsai Ming Liang adoro lo stile registico molto poco mainstream,  elegante e intimista, l' utilizzo di lunghi piani fissi per cristallizzare e sublimare scene di vita quotidiana.  Sono immagini spesso di una freddezza chirurgica che sono fatte apposta per portare lo spettatore a un non coinvolgimento emotivo, come entrare in una casa ordinatissima e aver paura di portare scompiglio,  come correre incontro per abbracciare qualcuno che rimane impassibile.  Questa si chiama distanza e spesso è una strega buona. ''Che ora è laggiù'' è un film che parla, tra le altre cose, della distanza e dei mille modi per ingannarla. E' il quarto film suo che vedo e l'ho amato fin dal primo fotogramma.

Hsiao-kang, interpretato da Lee Kang-Sheng, l'  attore feticcio del regista cinese, è un ragazzo che si guadagna da vivere vendendo orologi per le strade di Taipei. Dopo molta esitazione, il giovane vende l'orologio del padre morto da pochissimo a Shiang-chyi, una ragazza che sta per partire per Parigi. 
Hsiao all'inizio non vuole venderglielo perchè sostiene che porti sventura essendo appartenuto a un morto, ma Shiang-chyi insiste e vuole proprio quello perchè segna anche il fuso orario. 
Questo fugace incontro impressiona e conforta così tanto Hsiao, che decide da subito di regolare tutti gli orologi che trova sull'orario della capitale francese.
Taipei-Parigi, quasi diecimila chilometri in mezzo e non sentirli. 

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La madre di Hsiao, nel frattempo, non si dà pace per la perdita del marito e come in preda al delirio prega e aspetta che le si manifesti spiritualmente, continua a preparargli da mangiare e si convince che il pesce nell'acquario sia la sua reincarnazione. In realtà la particolarità di quel pesce è che è solo enorme rispetto all'acquario in cui nuota! In una delle scene più irriverenti del film la donna si masturba con la cassetta delle ceneri del defunto marito, ecco un' altra distanza sconfinata e un altro modo illusorio per accorciarla.  Anche il cinema stesso è un modo per accorciare le distanze, per confondere il tempo e lo spazio. La potenza del film sta in questo, osserviamo scorrere le vite di Hsiao e Shiang, due sconosciuti che non sanno niente l'uno dell'altra, due vite con la stessa atmosfera di fondo, due anime che condividono lo stesso mal de vivre cosmico, la stessa alienazione. Tsai Ming Liang ce li fa vedere alternativamente, lui che fissa il vuoto, lei tutta sola in una città di cui non conosce la lingua, ce li mostra mentre entrambi cercano un contatto umano attraverso una meccanica sessualità: lui con una prostituta e lei con una giovane hongkonghese. 
Due ragazzi che cercano disperatamente di annullare la profonda solitudine che li attanaglia, due città così lontane che si confondono e avvicinano illusoriamente nel ripetersi di bisogni universali e voglia di comunicare. Personaggi abbandonati a loro stessi che tentano di colmare mancanze in luoghi ostili e freddi dove non c'è niente che li possa salvare. 

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Ma non lasciamoci ingannare da questi temi, è vero che il film parla di solitudine ed  è dominato da una costante malinconica tuttavia non intristisce mai lo spettatore perché sollevato da una profonda ironia e leggerezza di fondo.
Singolare è l'omaggio che il regista fa al cinema francese della nouvelle  vague (e qui c'è anche il confronto con due epoche), Hsiao che guarda i 400 colpi di Truffaut alla tv mentre Shiang dall'altra parte del mondo incontra un invecchiato Jean Pierre Leaud (ma non lo riconosce) su una panchina di un cimitero. Altro parallelismo, altro filo che lega le due vite.
A proposito di cinema francese, questo film me ne ha ricordato un altro: lo sperimentale ''la cicatrice interiore'' di Philippe Garrel, anche lì spazi e incomunicabilità erano protagonisti.
Il film termina con una scena che sembra aperta a infinite interpretazioni e possibilità, la ragazza dorme su una panchina mentre un signore, che è lo stesso attore che interpreta il padre defunto di Hsiao, recupera la sua valigia dall'acqua. Tutto scorre.

5 commenti:

  1. Grazie, ci voleva! questa tua recensione, fluida e precisa, mi ha fatto nuovamente scorrere il film davanti agli occhi. Mi sono tornati in mente parecchi dettagli che con il tempo si erano sfumati. Gran bel film, come tutto il cinema di Tsai d'altronde... "Stray Dogs" l'hai visto?

    P.S. Pensa che con "La cicatrice interiore" avevo inaugurato il blog ;)

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    1. Grazie a te per essere passato Frank! Stray dogs è uno di quelli che mi manca, recupererò presto :) uh, non lo sapevo :O vado subito a leggerti, adoro troppo quel film!

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  2. Grande recensione per un grandissimo film!!! Rimasi incantato e non me l'aspettavo... quelle lunghe sequenze apparentemente vuote che finiscono invece per "riempirti" con una potenza incredibile. Magnifico il finale. Ora sto aspettando di vedere "stray dogs"... Rimando e rimando ma prima o poi arriverà il momento giusto.

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    1. ciao Vittorio grazie! ahah pure io devo vederlo da molto, è che come hai detto tu a volte bisogna aspettare i momenti giusti anche per i film, sono loro a chiamarci :)

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  3. Una rece molto intrigante: sembraun film intelligente e raffinato. a suo modo delicato. Non so perché - forse per la provenienza orientale - mi ricorda Departures - che mi aveva affasacinato. Forse perché in entrambi c'è la morte, ci sono i lutti, ci sono le distanze. E, fose, ci sono anche l'amore, e i fatti della vita che scorre, in modo molto eracliteo.

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