16.6.15

Recensione "Sto Lyko" - BuioDoc - 23 -


Questo film fa parte del "progetto" La Promessa (6 su 15)


Il Lupo prima o poi sbranerà tutte le pecore.
E non resterà nulla.
Sti 3,4 anni, da Dogtooth in poi, su questo blog ho parlato più di cinema greco che di qualsiasi altra cosa. Sarebbe inutile ribadire ancora una volta il mio folle amore per questo cinema ( e così, senza volerlo, l'ho fatto ancora), sarebbe inutile ripetere analisi, sensazioni e interpretazioni che di volta in volta, film per film, ho tirato fuori su sto cinema (ve le andate a cercare semmai).
E probabilmente vedere Sto Lyko per "ultimo" (almeno tra i 7 film che conoscevo e volevo vedere) è stata la miglior cosa perchè questo, pur essendo completamente diverso dai 6 precedenti, è forse il film definitivo sulla Grecia di questi anni.
Gli altri hanno provato a raccontarla in modi abbastanza indiretti, quelli surreali di Lanthimos, quelli durissimi ma comunque metaforici di Avranas e del suo Miss Violence, quelli narrativamente molto particolari di Luton (che a pensarci bene è forse il film che più somiglia a Sto Lyko per un certo verso, ossia per quell'accumulo di rabbia e sconfitta che poi porterà all'esplosione finale).
Sto Lyko no, Sto Lyko la crisi greca ce la sbatte in faccia in modo esplicito, talmente esplicito da mostrarci spezzoni dei tg sulla questione e da farne argomento principale di quasi tutti i, rari, dialoghi del film.

Cavolo, la stessa pellicola inizia con un pastore che maledice questa situazione e urla: "La Grecia è finita, è morta!"
Se gli altri sublimavano la crisi con l'arte deformando la realtà o metaforizzandola, Sto Lyko ce la documentarizza.


A tal proposito mi è successo proprio l'opposto che con Louisiana. Col film di Minervini mi aspettavo un doc e invece mi sono ritrovato sì un mostrare la realtà, è vero, ma molto sceneggiata. Con Sto Lyko mi aspettavo un film "classico" e invece mi sono ritrovato qualcosa che è quasi completamente documentario con, forse, una sola scena che rimanda del tutto alla finzione, quella della chiamata al cellulare non risposta (c'è sceneggiatura perchè vediamo e sentiamo, in montaggio alternato, anche il cellulare del destinatario suonare).
O.k, documentario, o.k, crisi esplicitata, o.k tutto. Ma il paradosso sta nel fatto che anche qui, forse come non mai, il potere metaforico è massimo.
Innanzitutto è stata straordinaria la scelta di mostrare la vita di due poverissime famiglie di pastori. Vivono già di stenti, perchè mostrare loro per parlare della crisi? Perchè è proprio in fondo alla catena economica che è più interessante mostrarla. L'unico commercio che i pastori possono avere sono gli animali che hanno. Ma se il macellaio che ne comprava le carni non ha più soldi loro rimangono completamente senza nulla, nemmeno 50 centesimi in tasca. L'aver mostrato come gli ultimi degli ultimi possano perdere i pochi spiccioli che "incassavano" è stato geniale. Ma la metafora è altrove, è in quelle pecore, in quei greggi, e in quello Stato Lupo che sta massacrando tutti.


Sto Lyko è un film sul nulla, perso in un tempo talmente fermo che quello che mostra potrebbe essere tranquillamente successo in 3 giorni, in 10, in un mese o in un anno, la percezione sarebbe identica.
E' un film di lamiere, cani che abbaiano, pecore che urlano, alberi morti e sassi.
Un film di campi lunghi e lunghissimi ma anche di primissimi piani di volti che hanno gli stessi spigoli e fratture del posto dove vivono.
Ad un certo punto ti chiedi, e questo forse è solo un effetto collaterale al film, che senso abbiano queste vite fatte di nulla, soltanto di gesti rituali persi nel tempo, di dialoghi che possono al massimo riguardare quegli stessi gesti rituali, di esistenze che non hanno una minima tensione verso nulla, di uomini e donne abbruttite sia nelle fattezze che nell'animo.
Ma la gente ama dire che la vita della campagna è quella vera, gli animali, le colline, l'aria buona, il cibo salubre, tutto vero sì, ma a tutto c'è un limite. L'ambiente in cui viviamo è di importanza capitale ma non può essere un guscio che ci comprime così, semmai qualcosa che allarga le nostre vite.
La vita pastorale, quella vita pastorale, è dannosa quanto quella del super manager fatto di cocaina.

"Il tempo di cui disponiamo ogni giorno è elastico, le passioni che proviamo lo dilatano, quelle che ispiriamo lo restringono e l'abitudine lo colma"

diceva qualcuno che sapeva scrivere come pochi. Ma qui non esiste elastico, non ci sono dilatazioni nè restringimenti, c'è solo un tempo colmato ogni giorno di ogni mese di ogni anno con la stessa abitudine.


Uscendo da questa amara riflessione e tornando al film l'unica cosa che posso dire è di esser rimasto come ipnotizzato.
Il primo gregge ripreso per 5 minuti buoni, con quei versi che, sentiteli, sembravano i lamenti della loggia di Eyes Wide Shut. Quelle colline così spoglie, quegli interni così spogli, quei dialoghi sul nulla. Lente carrellate a passo d'asino, una donna che calcia un riccio morto, un'altra che non riesce a star ferma su una sedia ripresa per altri 5 minuti.
E intanto si parla sempre più di crisi, e intanto quel'unico agnello che si doveva vendere non si vende più, e intanto rimane solo pane raffermo da mangiare, e intanto ci si avvina verso la fine.
E anche uomini che sembravano aver lasciato, durante gli anni, gli ultimi brandelli di umanità e pulsione lungo le strade polverose di una vita senza strade laterali ad un certo punto hanno occhi che sembrano bagnati.
E il film finisce così, e ti è sembrato già bellissimo.
Poi c'è un'ultima inquadratura ferma che sembra la solita natura morta dove scorreranno i pochi titoli di un povero film.
E poi senti il primo, e poi il secondo, e poi il terzo, e poi il quarto e poi il quinto e poi il sesto e poi il settimo e poi l'ottavo e poi il nono.
E urla di cani e pecore.
Il raggelante finale di un film magnifico.

14 commenti:

  1. Aspettavo da tempo che ne scrivessi...la tua recensione è magnifica e sono contentissimo che il (docu)film ti sia piaciuto. Veramente enorme questo Sto Lyko, sono passati diversi mesi da quando l'ho visto ma trattengo ancora un ricordo bellissimo e doloroso, perché Sto Lyko in fondo fa male a guardarlo e quel finale è un colpo di grazia..quei pianti animali mi fecero proprio soffrire...
    Comunque regia e fotografia sublimi!

    Grandissimo Caden!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma grazie!

      mi è piaciuto oltre ogni più rosea aspettativa, affascinato dalla prima all'ultima scena, interessato per quel suo continuo richiamare ma anche rifuggire il tema della crisi.
      E poi il finale, che dire, era già bello si suo, diventa magnifico

      E' vero, della fotografia non ho detto nulla!

      Elimina
  2. Boom! "E poi senti il primo, e poi il secondo, e poi il terzo..." E poi l'ultimo, il più profondo ed efficace, che altro non è che il riverbero di questa tua magnifica analisi. Leggerla credo mi abbia emozionato più del flm stesso, che in tutta onestà ti dirò, rivedendolo però ha perso qualcosa (finale a parte), non so ancora esattamente cosa (forse, potrei dirti il drastico passaggio dalla sala e l'atmosfera festivaliera torinese allo schermo del pc, anche se difficilmente è un fattore che mi condiziona) ma l'impatto è stato decisamente minore. O forse, è solo la speranza che lentamente andiamo perdendo, e mi sa che ci hai colto giusto, ipotizzandolo come "il film definitivo" nel contesto crisi (e proprio per questo, non esclusivamente territoriale). In fin dei conti, lo possiamo appurare ogni giorno, osservando come vanno le cose attualmente, purtroppo. Grande rece Giuseppe!

    P.S. La donna che non riesce a star ferma sulla sedia è da antologia, dopo i primi tre minuti iniziavo a sentire strani scordinamenti delle articolazioni inferiori pure io :D

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Devo scrivere?
      Perchè dopo tutta la telefonata fa quasi ridere ;)

      dico solo che ti ringrazio moltissimo e che capisco perfettamente come la seconda visione abbia potuto deluderti. Io non lo rivedrò mai, questo è un film che affascina perchè non sai dove vuole andare a parare, non ne conosci fino alla fine tutto il progetto.
      Ma la seconda volta ti restano solo le immagini, non l'emozione o la curiosità che potevano darti.
      A me basterà questa splendida prima volta ;)

      sì, è il film definitivo perchè parla della crisi in tutti i modi possibili,direttamente, indirettamente, metaforicamente e, soprattutto, con quel finale, difficilmente può essere superato come racconto delle conseguenze della crisi.

      Quella scena è assurda perchè è statica da morire, anche "comoda" (con lei a sedere) ma si carica di una strana inquietudine, un disagio, un malessere di cui è difficile conoscere le cause.

      Grazie!

      Elimina
  3. Recensione intensa come sempre. Io, ma è una condizione dell'ora, l'ho visto apocalittico, anzi uso il tuo di termine, nel commento a Frank ViSo, "definitivo". Ovviamente la tua accezione diversa. Mi ha caricato d'angoscia, non riuscendo a dividere l'espediente filmico, dal reale. Per cui tu, "magister", dirai: un gran film se riesce in questo!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cavolo, già visto?

      Ma la tua lettura, se possibile, va anche oltre (o così sembra), perchè sembra andare anche oltre la Grecia, oltre tutto, una vera e propria Apocalisse, come dici.
      E' come se la mia lettura fosse sineddoche della tua.

      Gran film...

      Magister??

      (voce de niro): ma stai dicendo a me?

      Elimina
    2. confermo... oltre tutto.
      dico a te, dico a te (voce Katharine Hepburn)

      Elimina
    3. Se me lo dice la Hepburn non trovo le forze per replicare

      Elimina
  4. A questo punto, dopo quello che ho letto, mi viene un pensiero: " va visto". Provvederò.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Oddio Manuela, va visto sì, ma dire che ci troviamo davanti a un cinema ostico è dir poco eh...

      E te in questo periodo credo hai la testa molto più leggera di questo film ;)

      Elimina
  5. Sarà perchè di film documentaristici ne ho visti fin troppi, sopratutto legati ai diritti umani, come si potrebbe definire pure questo. Ma insomma non mi ha entusiasmato così tanto. Molto bello come film appunto da Festival di Cinema di Dirirtti Umani, come ce ne sono tanti sparsi per il Globo. Ma oltre questo non lo reputo grandissimo cinema come dite qui in tanti, apparte quelle tre scene (di cui una ripetuta in vari modi fino allo sfinimento, ma non perciò meno bella) che sì sono bellissime. Ossia, quella dell'incipit con il pastore alla Gulliver, prima piccolissimo e poi gigante, quella della signora scomoda su sè stessa, e quella delle facce, solo facce, facce, facce. No, il finale no, non mi ha colpito affatto. Paolo

    RispondiElimina
    Risposte
    1. sì sì, tutto legittimo

      ora non so se sia un film sui diritti umani, è la prima volta che leggo una definzione del genere (bella) ma di sicuro è un film sulla miseria. Non sempre per forza la miseria coincide con i diritti umani, insomma, si può esser poveri senza che nessuno ti abbia calpestato alcun diritto o arrecato danni

      per quel che poco ricordo sì, di ripetizioni ce ne sono fin troppe, ma rappresentare queste vite così sempre uguali a sè stesse lo rende inevitabile

      sul finale invece c'è poco da dire, lo abbiamo vissuto in maniera del tutto opposta

      e ci sta anche questo ;)

      Elimina
  6. Di Festival di cinema dei Dirirtti Umani, è pieno il mondo, sopratutto il sud america che come sai...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sta cosa la scopro adesso ;)

      dei festival dico, non di te e il sudamerica...

      Elimina

due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

2 metti la spunta qui sotto su "inviami notifiche", almeno non stai a controllare ogni volta se ci sono state risposte

3 ciao