L'opera seconda del Goddard che debuttò col grandissimo "Quella casa nel bosco" è un film molto strano, per larghi tratti quasi indecifrabile.
Noir, storico-politico, thriller, giallo.
Una sceneggiatura ambiziosissima, americana fino al midollo, visto che nasconde al suo interno tutto quello che gli Stati Uniti sono, tutti i loro scheletri nell'armadio, le loro ipocrisie, le loro morti, i loro sogni, la loro musica, i loro generi cinematografici.
Troppo lungo, troppo confuso, troppo pieno di cose.
Eppure piano piano ci si riesce ad entrare dentro e alla fine questa sua anarchia diventerà il punto di forza di un film in cui, come i propri personaggi, niente è come sembra e dove può sempre accadere qualcosa che non ci si aspetta.
presenti spoiler, anche se ho evitato di fare i nomi di chi muore e chi no
Dopo lo straordinario esordio con "Quella casa nel bosco" (lo ribadisco, per me è uno dei 10 "horror" più importanti degli anni 2000) aspettavamo un pò tutti alla seconda prova Drew Goddard.
Nel frattempo ha proseguito la sua carriera di sceneggiatore (cominciata col gioiellino Cloverfield) scrivendo due film per me dimenticabili come World War Z e The Martian.
Alla regia, però, mancava da 6 anni.
E, lo dico subito, Bad Times at the El Royale (incomprensibile e completamente sbagliato il titolo italiano) è in gran parte una conferma per Goddard ma anche un evidente passo indietro.
Quello che è sicuro è che proprio nella sceneggiatura possiamo identificare i più grandi pregi e i più grandi difetti.
Una sceneggiatura enorme, non di livello, ma di complessità e ambizione.
Credo che dentro questo script possa esserci veramente tutta l'America (intesa come States) ma per uno spettatore italiano è davvero difficile cogliere tutti i riferimenti che, nascosti o no, vengono mostrati nel film.
Si tratta comunque di un film ambiziosissimo, pieno di personaggi, cose e tematiche.
Eppure l'incipit è tutto sul minimalismo.
Inquadratura fissa, una camera d'albergo.
Sembra di stare a teatro, ambiente unico e nessun movimento di macchina.
Camera spoglia.
In una specie di time-lapse vediamo un uomo che, dopo aver liberato la stanza del mobilio, "seppellisce" una borsa sotto le assi del pavimento.
Poi rimette tutto a posto.
Poi qualcuno suona alla porta.
Poi qualcuno lo uccide.
Gran bell'inizio.
E quest'omicidio improvviso e inaspettato sarà poi un must del film, avverrà almeno altre 4-5 volte.
Siamo nel grande albergo El Royale, un tempo frequentatissimo e adesso ormai abbandonato.
L'albergo è precisamente al confine tra il Nevada e la California, la linea rossa dello stesso confine passa addirittura dentro lo stesso hotel, nel piazzale, nella hall e nei sotterranei. Insomma, un albergo tra due stati (e anche qua una delle prime tematiche del film, con la differenza abissale di regole e modi di vita che possono esserci in due stati americani contigui).
A dir la verità questo giochino della linea sarà protagonista nel primo quarto d'ora, per poi sparire del tutto.
Nell'albergo arrivano un prete (vedere Lebowski che fa un prete è straniante), una cantante "negra" (attenzione, siamo nel vecchio mondo, quello in cui epiteti sprezzanti si usavano senza problemi), una specie di cow girl e un rappresentante di aspirapolveri.
Ad accoglierli un giovane concierge, praticamente l'unico lavoratore dell'intero albergo.
Arriveranno poi anche altri personaggi e le vite di loro di mischieranno nelle vicende dentro El Royale.
Sarà una mezza carneficina.
Goddard scrive e dirige un film che ha il grandissimo merito per gran parte della sua durata di essere oggetto indefinibile.
Lo spettatore non riesce a capire da che parte andrà il film, quale sarà, sempre se ci sarà, il genere di approdo.
Alla fine potremmo definirlo una specie di atipico noir ma balleremo tra il thriller, la commedia nera, il film storico-politico e il giallo.
Ma, possibili generi a parte, quello che è certo è che El Royale è un film americano fino al midollo, un'opera che esplicitamente o no racconta un paese e la sua storia.
Troverete tutto dentro, dalle diatribe sul gioco d'azzardo ai ruggenti anni 60, dal sogno americano (la nera) alla guerra in Vietnam, dalle "sette" di hippie alla musica (onnipresente, troppo), dallo spionaggio al mondo dei gangster.
Davvero, c'è tutto.
Questo porta ad un film "strano" che a volte mi ha ricordato il Vizio di Forma di P.T. Anderson. Un film americanissimo e caleidoscopico, in cui accadono tante cose e nel quale non si riesce a trovare, se c'è, il sentiero principale.
Si fa fatica ad entrare nel film, i primi 20 minuti sono troppo e lungamente parlati e anche dopo c'è la sensazione di eccessive lungaggini (due ore e 20 che potevano avere almeno mezz'ora in meno).
Di certo, seppur spiazzati, ci ritroviamo in un film completamente anarchico, che va indietro e avanti nel tempo, che va a destra e sinistra negli spazi, che ci fa vedere una stessa scena anche in 3 angolazioni diverse (e in 3 diversi momenti) e che è così pazzo e senza regole da farci morire quasi tutti quelli che ritenevamo i personaggi principali.
(Ci sono almeno due morti completamente inaspettate per me) .
Ma l'effetto sorpresa non si limita solo sul chi muore ma anche in una scrittura di personaggi molto interessante per cui nessuno, ma veramente nessuno, è davvero quello che sembra ( tutti in realtà sono peggiori ).
Se analizziamo il film ci rendiamo però conto che alla fine non siamo molto distanti da Quella casa nel bosco anche se, in un aspetto, i due film sono agli antipodi.
Se nel comedy horror si raccontava infatti un mondo dove tutto era assolutamente già pianificato, deciso in maniera scientifica, se tutti, in quel film, erano pedine da sacrificare in un gioco prestabilito, qui è l'opposto, ci ritroviamo in un film che racconta il caos completo, l'assoluta arbitrarietà di un destino che miete le sue vittime completamente a casaccio.
Dove uno raccontava di un mondo di vittime designate qua ne abbiamo uno che è tutto sull'entropia.
Ma entrambi i film sono due notevoli - e in alcuni aspetti geniali - analisi della società umana, tutti e due hanno l'aspetto voyeuristico tanto che nella scena delle stanze d'albergo viste sul corridoio a mò di Grande Fratello (bellissima la prima sequenza in cui ce le mostrano con il canto della ragazza di colore che diventa colonna sonora dell'intera scena) possiamo identificare le celeberrime celle dei mostri del primo film.
Qua i mostri siamo "noi", siamo noi che in quelle stanze commettiamo tutte le più grandi aberrazioni.
"Ho visto tutta la malvagità" dirà il ragazzo
Ma anche qua c'è qualcuno che ci spia, che ci controlla, che può decidere per noi.
Goddard si conferma molto interessante e molto...interessato alla società in cui vive.
Una società ipocrita in cui tutti interpretano un "ruolo" (e anche qui siamo vicini a Quella Casa), un ruolo che possa nascondere quello che in realtà si è.
E' un ruolo "sociale" (prete, portiere d'albergo, rappresentante etc...) che, per scelta personale o per coprire cose che non si devono sapere, sostituisce altro.
Solo la cantante di colore, alla fine, risulta essere ciò che appare.
Goddard mette poi dentro il "santone" fisicato Hemsworth, inizia a svelarci dei rapporti che non conoscevamo, ci mostra in flash back alcuni passati da dimenticare e, quasi per non saper leggere nè scrivere, in qualche modo riesce a unire alla fine tutti i personaggi in un unico luogo, per una strana e poco convincente resa dei conti.
E' come se tutti i personaggi, gli incastri e i movimenti alla fine gli siano sfuggiti di mano e allora, perso per perso, li mettiamo tutti insieme e festa finita.
Il "problema" è che c'è una grande regia, scene bellissime, personaggi (le due sorelle su tutti) complessi e interessanti e allora anche in tutta questa, voluta o no, confusione o scarsa coesione lo spettatore resta comunque dentro al film, anzi, proprio nell'ultima mezz'ora inizia a venir fuori anche qualche piccola empatia (non per la ragazza di colore però che ci viene fatta sentire cantare 4 VOLTE, non ce la facevo più).
E alla fine, dopo la carneficina, ci sarà quella confessione.
E a me è sembrato che quel ragazzo fosse la stessa America, uno stato che ha commesso in passato tremendi crimini e che ha bisogno di chiedere scusa, di salvare la propria anima.
E, grande intuizione di Goddard, per farlo usa però un falso prete tanto che quella confessione al tempo stesso risulta essere sia più sentita e sincera ma anche più ipocrita, quasi una cosa che "si deve" fare, a prescindere da chi hai davanti.
Quel ragazzo è una nazione che muore, una nazione che uccide e guarda morire.
E in quella pellicola buttata sul fuoco c'è l'ennesimo sottotesto (credo che a cercarli ce ne siano decine), ovvero la metafora di un paese che insabbia tutto, che cancella tutto quello che gli è scomodo, che butta via e va avanti, inseguendo un sogno, quello di essere la più grande nazione del pianeta o, semplicemente, poter finalmente cantare a quel piano bar.
Sempre di un sogno si tratta e le grandezze dei sogni, come avviene anche per la felicità e per il dolore, non hanno misurazioni oggettive, non devono essere comparati, non ha alcun senso farlo.
L'importante è raggiungerli
7
Noir, storico-politico, thriller, giallo.
Una sceneggiatura ambiziosissima, americana fino al midollo, visto che nasconde al suo interno tutto quello che gli Stati Uniti sono, tutti i loro scheletri nell'armadio, le loro ipocrisie, le loro morti, i loro sogni, la loro musica, i loro generi cinematografici.
Troppo lungo, troppo confuso, troppo pieno di cose.
Eppure piano piano ci si riesce ad entrare dentro e alla fine questa sua anarchia diventerà il punto di forza di un film in cui, come i propri personaggi, niente è come sembra e dove può sempre accadere qualcosa che non ci si aspetta.
presenti spoiler, anche se ho evitato di fare i nomi di chi muore e chi no
Dopo lo straordinario esordio con "Quella casa nel bosco" (lo ribadisco, per me è uno dei 10 "horror" più importanti degli anni 2000) aspettavamo un pò tutti alla seconda prova Drew Goddard.
Nel frattempo ha proseguito la sua carriera di sceneggiatore (cominciata col gioiellino Cloverfield) scrivendo due film per me dimenticabili come World War Z e The Martian.
Alla regia, però, mancava da 6 anni.
E, lo dico subito, Bad Times at the El Royale (incomprensibile e completamente sbagliato il titolo italiano) è in gran parte una conferma per Goddard ma anche un evidente passo indietro.
Quello che è sicuro è che proprio nella sceneggiatura possiamo identificare i più grandi pregi e i più grandi difetti.
Una sceneggiatura enorme, non di livello, ma di complessità e ambizione.
Credo che dentro questo script possa esserci veramente tutta l'America (intesa come States) ma per uno spettatore italiano è davvero difficile cogliere tutti i riferimenti che, nascosti o no, vengono mostrati nel film.
Si tratta comunque di un film ambiziosissimo, pieno di personaggi, cose e tematiche.
Eppure l'incipit è tutto sul minimalismo.
Inquadratura fissa, una camera d'albergo.
Sembra di stare a teatro, ambiente unico e nessun movimento di macchina.
Camera spoglia.
In una specie di time-lapse vediamo un uomo che, dopo aver liberato la stanza del mobilio, "seppellisce" una borsa sotto le assi del pavimento.
Poi rimette tutto a posto.
Poi qualcuno suona alla porta.
Poi qualcuno lo uccide.
Gran bell'inizio.
E quest'omicidio improvviso e inaspettato sarà poi un must del film, avverrà almeno altre 4-5 volte.
Siamo nel grande albergo El Royale, un tempo frequentatissimo e adesso ormai abbandonato.
L'albergo è precisamente al confine tra il Nevada e la California, la linea rossa dello stesso confine passa addirittura dentro lo stesso hotel, nel piazzale, nella hall e nei sotterranei. Insomma, un albergo tra due stati (e anche qua una delle prime tematiche del film, con la differenza abissale di regole e modi di vita che possono esserci in due stati americani contigui).
A dir la verità questo giochino della linea sarà protagonista nel primo quarto d'ora, per poi sparire del tutto.
Nell'albergo arrivano un prete (vedere Lebowski che fa un prete è straniante), una cantante "negra" (attenzione, siamo nel vecchio mondo, quello in cui epiteti sprezzanti si usavano senza problemi), una specie di cow girl e un rappresentante di aspirapolveri.
Ad accoglierli un giovane concierge, praticamente l'unico lavoratore dell'intero albergo.
Arriveranno poi anche altri personaggi e le vite di loro di mischieranno nelle vicende dentro El Royale.
Sarà una mezza carneficina.
Goddard scrive e dirige un film che ha il grandissimo merito per gran parte della sua durata di essere oggetto indefinibile.
Lo spettatore non riesce a capire da che parte andrà il film, quale sarà, sempre se ci sarà, il genere di approdo.
Alla fine potremmo definirlo una specie di atipico noir ma balleremo tra il thriller, la commedia nera, il film storico-politico e il giallo.
Ma, possibili generi a parte, quello che è certo è che El Royale è un film americano fino al midollo, un'opera che esplicitamente o no racconta un paese e la sua storia.
Troverete tutto dentro, dalle diatribe sul gioco d'azzardo ai ruggenti anni 60, dal sogno americano (la nera) alla guerra in Vietnam, dalle "sette" di hippie alla musica (onnipresente, troppo), dallo spionaggio al mondo dei gangster.
Davvero, c'è tutto.
Questo porta ad un film "strano" che a volte mi ha ricordato il Vizio di Forma di P.T. Anderson. Un film americanissimo e caleidoscopico, in cui accadono tante cose e nel quale non si riesce a trovare, se c'è, il sentiero principale.
Si fa fatica ad entrare nel film, i primi 20 minuti sono troppo e lungamente parlati e anche dopo c'è la sensazione di eccessive lungaggini (due ore e 20 che potevano avere almeno mezz'ora in meno).
Di certo, seppur spiazzati, ci ritroviamo in un film completamente anarchico, che va indietro e avanti nel tempo, che va a destra e sinistra negli spazi, che ci fa vedere una stessa scena anche in 3 angolazioni diverse (e in 3 diversi momenti) e che è così pazzo e senza regole da farci morire quasi tutti quelli che ritenevamo i personaggi principali.
(Ci sono almeno due morti completamente inaspettate per me) .
Ma l'effetto sorpresa non si limita solo sul chi muore ma anche in una scrittura di personaggi molto interessante per cui nessuno, ma veramente nessuno, è davvero quello che sembra ( tutti in realtà sono peggiori ).
Se analizziamo il film ci rendiamo però conto che alla fine non siamo molto distanti da Quella casa nel bosco anche se, in un aspetto, i due film sono agli antipodi.
Se nel comedy horror si raccontava infatti un mondo dove tutto era assolutamente già pianificato, deciso in maniera scientifica, se tutti, in quel film, erano pedine da sacrificare in un gioco prestabilito, qui è l'opposto, ci ritroviamo in un film che racconta il caos completo, l'assoluta arbitrarietà di un destino che miete le sue vittime completamente a casaccio.
Dove uno raccontava di un mondo di vittime designate qua ne abbiamo uno che è tutto sull'entropia.
Ma entrambi i film sono due notevoli - e in alcuni aspetti geniali - analisi della società umana, tutti e due hanno l'aspetto voyeuristico tanto che nella scena delle stanze d'albergo viste sul corridoio a mò di Grande Fratello (bellissima la prima sequenza in cui ce le mostrano con il canto della ragazza di colore che diventa colonna sonora dell'intera scena) possiamo identificare le celeberrime celle dei mostri del primo film.
Qua i mostri siamo "noi", siamo noi che in quelle stanze commettiamo tutte le più grandi aberrazioni.
"Ho visto tutta la malvagità" dirà il ragazzo
Ma anche qua c'è qualcuno che ci spia, che ci controlla, che può decidere per noi.
Goddard si conferma molto interessante e molto...interessato alla società in cui vive.
Una società ipocrita in cui tutti interpretano un "ruolo" (e anche qui siamo vicini a Quella Casa), un ruolo che possa nascondere quello che in realtà si è.
E' un ruolo "sociale" (prete, portiere d'albergo, rappresentante etc...) che, per scelta personale o per coprire cose che non si devono sapere, sostituisce altro.
Solo la cantante di colore, alla fine, risulta essere ciò che appare.
Goddard mette poi dentro il "santone" fisicato Hemsworth, inizia a svelarci dei rapporti che non conoscevamo, ci mostra in flash back alcuni passati da dimenticare e, quasi per non saper leggere nè scrivere, in qualche modo riesce a unire alla fine tutti i personaggi in un unico luogo, per una strana e poco convincente resa dei conti.
E' come se tutti i personaggi, gli incastri e i movimenti alla fine gli siano sfuggiti di mano e allora, perso per perso, li mettiamo tutti insieme e festa finita.
Il "problema" è che c'è una grande regia, scene bellissime, personaggi (le due sorelle su tutti) complessi e interessanti e allora anche in tutta questa, voluta o no, confusione o scarsa coesione lo spettatore resta comunque dentro al film, anzi, proprio nell'ultima mezz'ora inizia a venir fuori anche qualche piccola empatia (non per la ragazza di colore però che ci viene fatta sentire cantare 4 VOLTE, non ce la facevo più).
E alla fine, dopo la carneficina, ci sarà quella confessione.
E a me è sembrato che quel ragazzo fosse la stessa America, uno stato che ha commesso in passato tremendi crimini e che ha bisogno di chiedere scusa, di salvare la propria anima.
E, grande intuizione di Goddard, per farlo usa però un falso prete tanto che quella confessione al tempo stesso risulta essere sia più sentita e sincera ma anche più ipocrita, quasi una cosa che "si deve" fare, a prescindere da chi hai davanti.
Quel ragazzo è una nazione che muore, una nazione che uccide e guarda morire.
E in quella pellicola buttata sul fuoco c'è l'ennesimo sottotesto (credo che a cercarli ce ne siano decine), ovvero la metafora di un paese che insabbia tutto, che cancella tutto quello che gli è scomodo, che butta via e va avanti, inseguendo un sogno, quello di essere la più grande nazione del pianeta o, semplicemente, poter finalmente cantare a quel piano bar.
Sempre di un sogno si tratta e le grandezze dei sogni, come avviene anche per la felicità e per il dolore, non hanno misurazioni oggettive, non devono essere comparati, non ha alcun senso farlo.
L'importante è raggiungerli
7
Quella casa nel bosco è MOSTRUOSO
RispondiEliminasì amico :)
EliminaCredo quel film sia uno dei film piu intelligenti che io abbia mai visto, non solo prende gli stereotipi horror e li ribalta ma crea (passami il termine) genialate su genialate in continuazione.. e io non amo gli horror ma credo sia davvero uno dei miglior horror nella storia del cinema.. l'ho fatto vedere da poco a dei miei giovani cugini (che sto un po alla volta istruendo sui film originali e da guardare) e hanno detto alla fine "credo sia il film più intelligente che ho mai visto" come dargli torto
Eliminabeh, non puoi dargli torto visto che avete detto la stessa identica frase, ahah
Elimina"Credo quel film sia uno dei film piu intelligenti che io abbia mai visto"
"e hanno detto alla fine "credo sia il film più intelligente che ho mai visto"
:)
non mi torna come nella foto del blog (alabama monroe giusto?), in alto a destra, le mani si condividano. L'immagine intera, con quello che partecipa all'esplicità, renderà certo ovvio, ma così par strana la posizione di lei.
RispondiEliminaNotte.
(il minuscolo è voluto)
no vabbeh, aiuto
Eliminanon mi ero mai reso conto della cosa e ora credo non ci dormirò
ti giuro, non so come sia possibile, l'unica cosa che mi viene in mente è che ci fosse qualcun altro nel letto (la figlia?)
domani provo a capire
rivederlo no, due volte mi son bastate (una al cinema, un'altra perchè "dovevo" farlo, mi serviva)
vedilo te piuttosto
Ma no ahah, è una mano sola che è quasi chiusa a pugno :D
Eliminapropongo l'interdizione ai commenti per un mese a me ed Edo
Eliminain pi+ lui deve vedere Alabama Monroe perchè è il suo errore geniale ad avermi fuorviato
Noo, un mese di interdizione?! E poi chi dà materiale per la prossima puntata di Mistero!?
EliminaSì, d'Alabama M. sarà fatta la visione.
eh, ma se ogni volta ce viene la Persona Razionale (Claudio) a rovinacce il mistero serve a poco la cosa
Elimina