11.1.25

Sondaggio Miglior Film distribuito in Italia nel 2024 - Si Comincia!!!!

 

Ed eccoci finalmente al nostro Mega Sondaggio sul Miglior Film distribuito in Italia nel 2024.
Per l'occasione per la prima volta abbiamo pure fatto una grafica nostra, del solito grande Matteo Scapin (autore anche del logo del Buio e delle grafiche delle mitiche t-shirt del Guardaroba).
L'anno scorso abbiamo raggiunto il numero record di 142 giurati, demolendo il precedente primato di 119.
Che dite, proviamo a restare su quei numeri?
Forza ragazzi, il Sondaggione  - oltre che interessante e divertente - è un grande mezzo per far conoscere titoli, per incuriosire su altri, per capire il pubblico e per esaltare una stagione cinematografica, specie nella sua versione "legale" (per questo prendiamo in considerazione la sola distribuzione - sala o piattaforma - italiana). 

A seguire c'è tutto l'elaborato regolamento, per favore leggetelo perfettamente, è veramente inutile votare senza averlo letto!
In più a questo link trovate una lunghissima lista (520 titoli!!!!)  di film validi, già controllati da noi.
NON dovete votare per forza film di questa lista, magari ne avete altri saltati al nostro occhio.
Però è un grosso aiuto.


ECCO IL LINK CON LA LISTA (cliccate)


Ricordo i vincitori delle passate edizioni

2016 Il Figlio di Saul
2017 Arrival
2018 Il Sacrificio del Cervo Sacro
2019 Parasite
2020 The Lighthouse
2021 E' stata la mano di Dio
2022 Spencer
2023 As Bestas


POTETE VOTARE FINO A 10 FILM, DARO' COME PUNTEGGI 15, 13, 11, 9, 7, 6, 5, 4, 3, 2

NUMERO MINIMO DI FILM VOTATI: 5

POTETE VOTARE ANCHE SENZA GERARCHIA (scrivetelo chiaramente), IN QUEL CASO TUTTI I FILM PRENDONO 6 PUNTI

VALGONO SOLO I FILM USCITI IN SALA IN ITALIA NEL 2024, CONTROLLATE CON GOOGLE O, MEGLIO ANCORA, COL NOSTRO LINK

QUESTO VUOL DIRE CHE ANCHE TITOLI USCITI ALTROVE ANNI PRIMA MA DA NOI IN ITALIA SOLO NEL 2024 SONO ASSOLUTAMENTE IN GARA

SE AVETE VISTO IL FILM IN STREAMING ILLEGALE - A PARTE UNA TIRATA D'ORECCHIE - STICAZZI, SE IL FILM HA AVUTO DISTRIBUZIONE IN SALA O PIATTAFORMA NEL 2024 LO VOTATE LO STESSO.
 QUINDI CONTROLLATE CHE TUTTE LE VOSTRE MIGLIORI VISIONI 2024, ANCHE QUELLE FATTE IN RETE, SIANO POI STATE ANCHE DISTRIBUITE

VALGONO ANCHE GLI ORIGINALI DELLE VARIE PIATTAFORME (NETFLIX, PRIME ETC...) USCITI NEL 2024. ANCHE MUBI ITALIA!

NON VALGONO I FILM VISTI IN DEI FESTIVAL MA POI NON DISTRIBUITI UFFICIALMENTE E, OVVIAMENTE, NEMMENO I FILM CHE FINO AD OGGI HANNO AVUTO VITA SOLO IN RETE 

PREFERIREI CHE METTIATE I VOTI QUA NEL BLOG (dico agli amici di fb, instagram e telegram) PERCHE' SAREBBERO VISIBILI A TUTTI E, SOPRATTUTTO, NON AVREBBERO LA VOLATILITA' DEI SOCIAL, RESTEREBBERO QUI PER SEMPRE (ma vanno bene ovunque, Guardaroba, Pagina Fb del blog, Telegram, anche col piccione viaggiatore)

10 SE FARETE DEGLI ERRORI VE LO DIRO' NEI COMMENTI.
SE NON CORREGGERETE SCALERO' IO ELIMINANDO I TITOLI NON VALIDI

11 AVETE TEMPO PER VOTARE FINO ALLA 23.59 DI DOMENICA 19 GENNAIO 
FINO A QUELLA DATA POTRETE ANCHE MODIFICARE IL VOSTRO VOTO PIU' VOLTE, MAGARI RECUPERANDO QUALCHE FILM!

12 ALCUNI FILM USCITI NEL 2023 MA SOLO NELL'ULTIMA SETTIMANA, A CAVALLO DEI DUE ANNI INSOMMA, IO LI CONSIDERO IN GARA. OGNUNO DI VOI USI IN QUESTI CASI I PARAMETRI CHE VUOLE

13 TENDENZIALMENTE NON VALGONO VOTI ANONIMI MA SARA' FACILE PER ME CAPIRE QUANTO UN EVENTUALE VOTO ANONIMO SIA SOLO UNA DIMENTICANZA NEL METTERE NOME O UNA "FURBATA". 
NEL PRIMO CASO LI ACCETTERO'

14 SE NON VI RICORDATE I FILM CHE AVETE VISTO QUEST'ANNO O ANCHE SE NON SIETE SICURI CHE SIANO ELEGGIBILI ASPETTATE UN PO' DI GIORNI E TROVERETE QUA DENTRO TANTISSIMI TITOLI NEI COMMENTI DEGLI ALTRI, COSI CHE POTRETE POI PIU' FACILMENTE FARE LA VOSTRA CLASSIFICA


8.1.25

Le classifiche de Il Buio in Sala - Miglior Film uscito in Italia nel 2024 - I Migliori 15, le delusioni e qualcos'altro

 

Ed eccoci alla classifica annuale!
Ci tengo a dire due cose molto importanti.
La prima è che quest'anno non ho visto un'infinità di film che, ne sono sicuro, sarebbero stati nella mia top dell'anno.
E non parlo solo di film "importanti" come Sorrentino o altri ma anche di piccole perle che avrei amato sicuro (Vermiglio? Flow? Invelle? All we imagine is light?)
La seconda è che malgrado tutte queste mancanze fatico a ricordare un anno come questo, ovvero con più di 10 film ai quali ho dato 8.
Per capirsi The Holdovers, 11imo, sarebbe stato top 5 in altre annate.
Sinceramente non ce la faccio lassù in cima a metterli in fila, quindi è probabile che andrò con molti ex aequo.


Prima di partire con la top vorrei segnalare alcune mie delusioni.

IMPORTANTE

In questa lista di film che mi hanno deluso ci sono, paradossalmente, tutti film che mi sono piaciuti (alcuni anche da 7).

Ma vuoi per aspettative non mantenute o per film che nel secondo tempo hanno distrutto la meraviglia del primo questi sono i film dove mi sono più dispiaciuto/incazzato.
 Ma solo perchè volevo amarli o li stavo amando prima del tracollo.


THE SUBSTANCE


TERRIFIER 3


LIMONOV


WHEN EVIL LURKS


TRAP


KINDS OF KINDNESS


--------------------------------------------------------------------------------------------------------------

E passiamo così alla mia top 15 del 2024.

IMPORTANTE !!!!

Come avevo previsto qua sopra non sono riuscito a mettere in fila tutti i film.
Anzi, direi che dal terzo al decimo siamo tutti sullo stesso voto.
Con molta forzatura sono riuscito bene o male a dividerli in qualche modo ma, insomma, siamo lì.
E' per questo che ci sono 3 film tutti parimerito al terzo posto e altri 3 tutti al sesto.
Mi sono appena accorto che 3 dei miei 5 film preferiti di quest'anno raccontano tutti di amori che superano i concetti di spazio e tempo, incredibile.
Ah! Ogni titolo rimanda alla recensione nel blog (anche se tre di questi, ahimè, non li ho scritti).
In ogni caso vi incollo qua tutti i riassuntini delle recensioni.
Non li ho nemmeno ricontrollati sti riassuntini quindi se vi sembrano "strani" ricordate che non sono scritti per questa occasione ma all'epoca della visione del film.
Partiamo.



Credo che film come Civil War non siano oggettivamente belli o brutti o oggettivamente riusciti o mal riusciti ma tutto dipenda non tanto dal gusto di chi guarda (questo avviene sempre, ovviamente) ma dal punto di vista da dove lo si guarda.
Perchè quest'ultimo film di Garland (autore che amo molto, sia come sceneggiatore che come regista) se lo si giudica per quello che mostra ha tante falle, tante forzature, tante scene poco credibili, una grande prevedibilità di fondo, un senso di "reale" lontanissimo.
Eppure, secondo me, questo è un film da prendere in senso simbolico, un film che lancia un messaggio, e che lo fa nel modo più estremo che può, per farlo arrivare più potente possibile quel messaggio.
E allora tutto è un autentico parossismo, un portare tutto al limite, per raccontare un mondo già morto, ormai freddo e cinico, ormai assuefatto dalla violenza, un mondo senza più pietà ed empatia, in cui vedere e fotografare l'orrore è una semplice abitudine.
E lo fa soprattutto mettendo a specchio i due personaggi femminili, uno che, ormai "svezzato", perde sempre più umanità e l'altro che finalmente si sta svegliando, andando "indietro" rispetto alla disumanità raggiunta nei decenni.



Il prequel della saga Omen (secondo me assolutamente condivisibile come scelta, mancava sapere com'era nato - in tutti i sensi - Damien) si rivela come un buonissimo horror da sala.
Girato davvero bene, ambientato in una Roma degli anni 70 magistralmente ricostruita, recitato bene (specie dalle 3 giovani attrici principali, per un film molto al femminile) e con una storia abbastanza torbida e più d'una scena notevole da vedere.
La regista, giovane ragazza alla sua opera prima, dimostra di saperci veramente fare.
Certo ci sono sbavature, sia di scrittura che di qualche sequenza o mal costruita o di grana grossa, ma questo Omen - L'origine del Presagio è un perfetto esempio di come dovrebbero essere gli horror da sala, spettacolari il giusto, recitati bene, con una storia accattivante e non la solita catena di montaggio da jumpscares che abbiamo di solito


13 LA SALA PROFESSORI


(non recensito)

Un film kafkiano, davvero bello.
Insieme a Giurato Numero 2 un altro thriller etico e morale in un'ambientazione, quella della scuola, che resta sempre affascinante.

12 THE ANIMAL KINGDOM


(non recensito)

Se vi piacciono i film sull'adolescenza, sulla scoperta di sè, sul rivendicare chi chi siamo realmente The Animal Kingdom sarà una delle declinazioni più originali e spietate che potrete vedere.
Passato colpevolmente sotto silenzio




L'ultimo film di Payne è, come spesso accade, una coccola.
Lui è uno di quei registi, come ad esempio Dolan e P.T.Anderson, che ci dà sempre l'idea di amare i suoi personaggi e, di conseguenza, farli amare a noi, anche quando sono spigolosi e con molti lati fastidiosi.
Un burbero professore, un giovane allievo triste e ribelle e una cuoca che ha da poco perso il figlio in guerra sono costretti a passare due settimane da soli (le vacanze di Natale) nell'enorme istituto dove insegnano, studiano e cucinano (a seconda dei ruoli).
Tre diverse solitudini, tre diversi dolori che, piano piano, si avvicineranno e colmeranno a vicenda.
Un film divertente, dolce, anche amaro a volte e che restituisce un Giamatti incredibile, da pelle d'oca.




L'ultimo film di Lanthimos è qualcosa di davvero nuovo per lui.
Povere Creature è infatti il suo primo film basato sull'accumulo, sull'esagerazione, sull'aggiungere cose, sulla ridondanza, visiva e non.
Per un regista che invece aveva fatto del togliere, dell'essenzialità e della reticenza il suo marchio di fabbrica (anche nei film americani).Questo è un grande film sulla libertà, sull'indipendenza, sull'emancipazione, sulla scoperta di sè e del mondo e su quella cosa così bella e perduta nell'essere adulto che è lo stupore.
Eppure una seconda parte piena - per me - di problemi rovina un film potenzialmente magnifico che, anche se in cornice favolistica, racconta concetti grandi e importanti (ma del resto le favole, per definizione, servono a insegnar cose importanti).L'ho amato tanto ma per lunga parte della sua durata ho pensato di poterlo amare ancora di più.



Siamo a teatro.
Uno spettatore interrompe la commedia che si sta svolgendo sul palco perchè noiosissima, deprimente, e lui che si è ritagliato per una volta due ore di relax in una vita solitaria e triste questo non può accettarlo.
Yannick - questo il nome dello spettatore - fa sul serio e tira fuori anche una pistola, costringendo tutti gli spettatori e gli attori ad aspettarlo mentre lui, sul palco, con un pc, scrive una nuova sceneggiatura.
Il geniale Dupieux tira fuori un altro film assurdo (anche se, paradossalmente, il meno assurdo suo), divertentissimo, satirico, caustico.
Si ride tanto in questo film cortissimo (un'ora!) con un personaggio principale che forse inizialmente risulta odioso ma poi, piano piano, svela la sua vera anima.
Forse Yannick è il contraltare leggero di Interruption, il film greco capolavoro che aveva un soggetto iniziale praticamente identico.
Eppure questo è anche il film di Dupieux più umano, quello dove il regista francese, in modo quasi nascosto ma potente, sa regalarci anche emozioni.
Il coma è una malattia.
E quella malattia è l'amore.
O, la mancanza di esso.



Il quarto film di Perkins è la sua ennesima conferma.
Quattro film uno completamente diverso dall'altro per plot e appartenenza a sottogeneri differenti ma in realtà tutti accomunati da più di un elemento, elementi che non spoilero in questa piccola introduzione.
Longlegs sembra un thriller "classico" che somiglia a quelli anni 90 ma poi si rivela prima psicologico e poi beep, non posso dirlo.
Un villain straordinario interpretato da un Cage quasi irriconoscibile.
Una cura estetica eccezionale, un'atmosfera malata e malefica.
Forse non perfetto nella narrazione e con troppi up and down.
Ma questo è uno di quei film che firmerei per vedere ogni singolo giorno.

6 GIURATO NUMERO 2


(non recensito)

Ho visto pochissimi Eastwood, giusto 6/7, con anche un paio di delusioni.
Qui, per quanto mi riguarda, siamo tornati ai livelli dei Gran Torino, dei Million dollar baby.
Cinema come sempre rigoroso sì, ma capace di emozionare, provocare tensione e farti stare per tutta la durata del film a farti domande sull'etica e sulla morale.



L'ultimo film di Sean Baker è, se possibile, il suo migliore (anche se io che ho come sfondo del blog The Florida Project sono combattuto).
L'ennesimo suo film con protagonista femminile.
L'ennesimo suo film sul mondo del sesso o della prostituzione.
L'ennesimo suo film con una protagonista "sbagliata", immatura, piena di contraddizioni, moralmente discutibile eppure, e qui sta gran parte della magia dei personaggi di Baker, amabile, umana, vera.
I suoi film pur raccontando spesso tematiche serie e importanti sono "leggeri", dolci, ironici, eppur non meno emozionanti.
Anora, se possibile, vira proprio nel comico tout court per gran parte della sua durata.
La storia di una spogliarellista che si innamora (finge di innamorarsi) del ricchissimo (e immaturissimo e superficialissimo) figlio di un oligarca russo.
Feste, sesso, soldi, un matrimonio a Las Vegas.
Un matrimonio che non s'ha da fare però, dicono i russi.
Si ride, tanto.
Eppure negli ultimi minuti il film diventa altro.
E lo fa attraverso un personaggio sempre rimasto sullo sfondo ma, in realtà, l'unico che c'è sempre stato.
Igor è la personificazione dell'amore, dell'affetto, della presenza, della protezione, dell'esserci.
E un finale da pelle d'oca ci darà le chiavi per raccogliere tutti i pezzi.
Stupendo.



Un film straordinario che purtroppo (perchè in sala tantissimi lo avrebbero consacrato come uno dei film dell'anno) e per fortuna (perchè almeno lo si può vedere sempre) è uscito solo su Netflix.
Jakub va in missione spaziale per analizzare una misteriosa Nube Viola che da anni è visibile dalla Terra.
Un viaggio di un anno, completamente solo.
Finchè nella navicella non entra un "invasore".
Film esistenziale, di quelli che non smetterei mai di vedere.
Un'opera che racconta in un modo originale e commovente di come a volte l'unica salvezza sia guardare dentro sè stessi.
Riscoprendo quello che siamo, quello che ci fa stare bene, i sentimenti che proviamo.
E che ci fa capire che a volte per riconquistare l'Amore bisogna tornare al Principio.
Principio che non è un luogo dietro di te ma, al contrario - in un sorprendente paradosso - un luogo da raggiungere.
Davanti a noi.




L'opera quarta dei gemelli D'Innocenzo (una miniserie che uscirà su Sky ma che sta passando adesso nei cinema anche come "film lungo") è, ancora un volta, la conferma di trovarci davanti a dei grandi talenti, a dei veri autori che fanno un cinema in Italia che pochi hanno il coraggio di fare.
Un cinema che racconta violenze sempre più estreme, dolori mai superabili, vite perse mai più recuperabili, un cinema "nero" e pieno di cose orribili ma che, per eleganza e qualità di scrittura, emoziona come le cose belle.
La storia di un serial killer che lascia "lettere letterarie" sui luoghi dei suoi omicidi.
E la storia di un poliziotto, uomo devastato da un senso di colpa insuperabile, che prova a dargli la caccia, in un misto tra odio e fascinazione.
E anche la storia di una figlia anch'essa devastata dalla vita e da una mancanza d'amore e d'affetto ormai croniche e probabilmente mai più guaribili.
Dostoevskij (girato in pellicola) è grande cinema, cinema della disperazione e del dolore.



The Beast è uno dei film più complessi, "importanti" e belli di quest'anno.
Siamo nel 2044 e Gabrielle, per trovare lavoro, affronta un colloquio in cui un'intelligenza artificiale (io la chiamerò Il Sistema) le dice che deve purificare la propria anima.
E questo significa eliminare tutte le emozioni, una specie di Atarassia del futuro che è condizione necessaria per fare sempre la cosa giusta, senza farsi condizionare dal proprio stato d'animo.
Per farlo Gabrielle deve "rivivere" le sue vite precedenti ed eliminare ogni fonte d'emozione.
In qualche modo, disconoscere quindi la sua stessa capacità di amare.
Gabrielle che ha vissuto tutte le sue vite sentendo sottotraccia la presenza di una Bestia, di un qualcosa o qualcuno che l'avrebbe portata alla tragedia.
Film che analizza tantissime cose, le possibili derive della nostra società, la spersonalizzazione, la realtà vera e quelle virtuale che ci costruiscono intorno.
E la forza  - che a volte è anche necessità - di difendere il proprio amore e la propria possibilità di emozionarsi ancora contro tutto e tutti, contro il Tempo, contro il Sistema, contro il non amore.




Si abusa - io per primo - dell'aggettivo "importante" quando si parla di alcuni film.
Eppure in questo caso è impossibile discostarsene, La zona d'interesse è un film troppo importante.
Perchè attraverso una storia e una regia pulite, geometriche e perfette - come pulita, geometrica e perfetta è la vita che vive la famiglia del gerarca nazista a fianco - appena un muro li divide - dall'orrore dei campi di Auschwitz - in realtà riesce a raccontare talmente tante cose e a suscitare talmente tante metafore e suggestioni da far quasi spavento.
E a raccontare l'oggi ancora più dello ieri.
Un film sull'indifferenza all'orrore, sull'alienazione, sul far finta di non sentire il brusio.
Brusio che, invece, per chi vuol sentire, è rimbombo e frastuono.

1 ESTRANEI


Estranei è un film meraviglioso, di sicuro una delle migliori cose potrete vedere quest'anno in sala.
Io ho avuto bisogno di due visioni, cosa che, se riuscite, consiglio a tutti.
Un film di solitudini "perfette", di vuoti incolmabili, di vite non vissute, di necessità di essere capiti e perdonati, di amori mai vissuti perchè mai conosciuti, di fantasmi, di scrittura salvifica, di mondi e dimensioni che si intersecano tra di loro.
Auguro a chiunque di voi di essere guardati almeno una volta nella vita come Andrew Scott guarda i suoi genitori, ormai perduti, e il suo amore, amore probabilmente non reale ma talmente indispensabile e bello da diventare, probabilmente, l'unica ragione di vita.

ANCHE SE IL MIGLIOR FILM DELL'ANNO IN REALTA' DOVREBBE ANDARE A :

ENNIO DORIS - C'E' ANCHE DOMANI





6.1.25

Recensione: "Nosferatu" - Al Cinema 2025

 

Non ho visto nè il Nosferatu di Murnau nè quello di Herzog.
Anzi, fino a ieri a malapena conoscevo le differenze, sempre che ve ne fossero, tra la figura di Dracula e quella di Nosferatu.
Quindi questa è semplicemente la recensione di una persona che ha visto un film e ne parla a chi ha voglia di sapere cosa ne pensa.
Una recensione (o una persona) non competente sull'argomento e quindi probabilmente nemmeno interessante.


La locandina qua sopra.
Una ragazza quasi in estasi o ipnosi pronta ad accogliere qualcuno, o qualcosa.
E quel qualcosa, quell'ombra, pronto ad entrare, desideroso di lei.
In questa locandina c'è veramente tutto quello che ho amato del Nosferatu di Eggers, ovvero non tanto le superbe location, l'atmosfera o l'aura malefica che serpeggia dal primo all'ultimo minuto, ma queste due figure, Nosferatu ed Ellen, così a loro modo simboliche, complesse, due figure che raccontano stati d'animo, meccanismi psicologici, sentimenti, destini.

Ellen è una giovane e bella ragazza appena sposata.
E' follemente innamorata del suo Thomas (di quell'amore romantico, letterario e incondizionato tipico dell'800) ma c'è qualcosa dentro di lei che non funziona.
E' un mal di vivere - una coltre nerissima - che l'avvolge.
Sono anni e anni che ne soffre, specie in sogno.
Quella coltre è la depressione ed Ellen lotta con lei in maniera commovente, raccontandosi che l'amore per il suo Thomas la fa(rà) star bene, che tutto passerà.
In realtà quella depressione potrebbe aver matrici "esterne".
C'è un mostro, un essere millenario che vive in Boemia, che si nutre di sangue umano e che ha un'idea fissa in testa, ovvero possedere questa ragazza che in realtà non ha mai visto ma alla quale si sente indissolubilmente legato.
Questa ragazza, inutile dirlo, è Ellen.
La potenza di Nosferatu, ovviamente per me, è qua più che in qualsiasi altro aspetto.
Ovvero in questa dolorosa e straordinaria metafora.
Ellen che è depressa, quindi "votata" all'oscurità (la depressione la si può raccontare in mille modi e in mille libri ma niente sarà mai più indicativo del semplice accostarla al nero assoluto) e quindi, in qualche modo, tende ad "abbracciarla" quell'oscurità.
E quell'oscurità è impersonata in un mostro realmente esistente, un mostro che del buio è addirittura il Principe.
Potremmo accostare Nosferatu sotto questo aspetto a due capolavori degli anni 2000, Babadook e Melancholia.
Se ci pensate, in qualche modo, Nosferatu è il Babadook della protagonista, quel mostro che, in realtà, non è altro che reificazione del proprio stato d'animo, dei propri demoni, del proprio mal di vivere.
Nel capolavoro della Kent la protagonista imparava a riconoscerlo, a non farsi uccidere da lui e ad imparare a conviverci.
Qua no, qua c'è un unico e grande destino, ovvero quello che per uccidere quel demone bisogna morire.

E per tutto il film - specie nei sogni, in un film che per buon 1/3 è fatto di quel materiale, quello del sogno - Ellen sembra protesa verso quel buio, sembra bramarlo, sembra non aspettare altro che raggiungerlo.
Da qui l'accostamento a Melancholia, altro grandissimo film sulla depressione.
Anche qui potremmo paragonare Nosferatu (inteso come mostro) a quel pianeta che sta per schiantarsi sulla Terra.
Come nel gigantesco film di Trier anche qua un'intera calamità distruttrice (non è un caso che Nosferatu porti pure la Peste Nera) arriva da noi "semplicemente" attratta dal mal di vivere di una sola persona, di una sola ragazza.
C'è una differenza abissale però, l'incontro tra Justine e la sua depressione (il pianeta) significherà la fine dell'umanità, quello tra Ellen e la sua (Nosferatu) rappresenterà l'esatto contrario, la salvezza di tutti noi, in una specie di martirio.

tra l'altro interessantissimo notare come entrambe le ragazze, in una condizione esistenziale quasi identica, abbiano anche il potere di "sapere" le cose, con Ellen che conosce tutte le vicende che le accadranno o Justine, tra le altre cose, con la famosa scena del numero di fagioli nel vasetto. Questo loro mal di vivere, così sovrumano e definitivo, sembra avere dato loro la possibilità di vedere e sapere cose impossibili per noi

Ora, in questa mia lettura, e la cosa vale sia per Melancholia che per Nosferatu, è interessante notare come possiamo leggere queste due traiettorie destinate a scontrarsi (abbracciarsi) in due modi esattamente opposti.
Justine ha attirato Melancholia portandola da noi o Melancholia (che comunque sarebbe arrivata sulla Terra) ha attratto lei?
Ellen ha attirato Nosferatu o la sua depressione è un maleficio di quest'ultimo?
E così torniamo alla locandina.
Perchè se abbiamo analizzato la parte destra dell'immagine, quella di una ragazza pronta ad accogliere definitivamente l'Oscurità, adesso volgiamo lo sguardo a sinistra.
E a sinistra abbiamo un Mostro sanguinario, non umano, millenario, immortale.
Anzi, non immortale, perchè (a differenza ad esempio di Dracula) può morire in un solo modo, ritrovandosi sveglio all'alba.
E può arrivare sveglio all'alba solo se "perso" nel rapporto amoroso e sanguinario con la sua amata.
Come se quel desiderio incredibile di possederla (unico vero scopo della sua vita) sia così forte da fargli dimenticare la sua natura, obnubilarlo.
O, in una lettura ancora più "incredibile", essere pienamente cosciente della cosa ma accettarla, preferire morire e vivere quel desiderio rispetto al non morire mai senza averlo vissuto.
Nella superba e quasi "commovente" scena di quel sesso tra i due, in quell'alba che arriva e rende quel corpo prima immortale ora un freddo scheletro, questo è il dubbio che mi ha assalito, Nosferatu "sapeva" ?
Era cosciente che sarebbe morto per questo?
Vedete, le due diverse letture, seppur simili, hanno una profonda differenza.
Da una parte abbiamo la metafora che ci sono desideri talmente forti da farci perdere la ragione, dall'altra, invece, la "lucidità" che per vivere quei momenti valga la pena anche morire.
Ecco, se fosse vera questa ipotesi avremmo il paradosso per cui la figura di questo mostro ripugnante è, se possibile, la più romantica del film, quella disposta, "per amore", a perdere più di tutte le altre.
Ecco così che la lettura di quella locandina possiamo considerarla terminata, una ragazza pronta ad abbracciare l'oscurità e un'oscurità pronta a morire per abbracciare lei.
Magnifico.


Che poi, in quello che considero il dialogo più bello ed emozionante del film, è lo stesso Nosferatu ad indicarci questa possibilità per cui tutto parta da Ellen (nel nostro parallelo è come se quindi il pianeta Melancholia sia stato attratto da Justine).

"L'Amore è inferiore a te, tu non fai parte dell'umano genere. Tu sei il mio tormento"

Dice il mostro a lei.
Mettendosi in una sorprendente posizione di "inferiorità", lui succube di lei, lei la figura sovrumana più potente.
Come lei del resto dirà "Lui ha la mia malinconia", altra frase superba che possiamo leggere in più modi, specie grazie a quell' "ha" che sostituisce "è".

E, in questo film così pieno di doppie letture, come leggere quel finale, come un sacrificio d'amore per salvare tutti (con lei martire) o come la semplice e rovinosa deriva (la morte) di una depressione impossibile da superare?
Ellen ha voluto salvare tutti o, semplicemente, è andata incontro definitivamente a quel nero assoluto perchè incapace di guarire? 
Perchè poi questo è un film in cui quasi tutti i personaggi muoiono per amore, Friedrich e tutta la sua famiglia, Knock (in questo caso amore visto come idolatria), Ellen (se intendiamo il suo come sacrificio) e lo stesso Nosferatu, anzi, forse lui nel modo più romantico di tutti.
E, ripensateci, il primo sogno raccontato da Ellen è proprio quello di un matrimonio, ma con la Morte al posto di Thomas (amore e morte quindi convivono dal minuto 1).

Oh, cavolo, ma c'era anche un film di cui parlare!
Faccio ancora in tempo?

30.12.24

Recensione: "The Hunt" - Su Netflix


Divertentissimo, dissacrante, politicamente scorrettissimo e, a suo modo, molto intelligente, The Hunt è probabilmente una delle meglio cose che potete trovare su Netflix, almeno riguardo il genere.
Un gruppo di Elite rapisce 12 persone e li porta in una zona rurale.
Per far cosa?
Per cacciarli e ucciderli.
Il motivo? lo scoprirete.
Film geniale, pieno di ritmo, personaggi riusciti, situazioni paradossali, e che racconta quasi meglio di un documentario questo strano mondo di oggi in cui moltissimi si fingono pieni di valori, tolleranti, ecologisti, ambientalisti, inclusivi, moralmente eccezionali per poi essere, invece, persone terribili capaci anche di uccidere e avere controvalori molto peggiori dei (finti) valori positivi posseduti.
Non manca anche una mordace critica ai complottisti che quasi mai hanno ragione, a volte ce l'hanno e altre volte hanno talmente tanto torto da far venir voglia che il complotto, poi, esista davvero.
Tante morti (ma il film è divertente) colte citazioni (Orwell, Esopo), una miriade di situazioni e personaggi simbolo dell'ipocrisia di cui ormai il mondo social di oggi trabocca.
E una grande protagonista, deliziosa e insopportabile.
E una Hilary Swank memorabile e bellissima.
Oh, per me questo è una perla.

PRESENTI SPOILER !!

Ok, questo è una bomba (e che ci sia dietro Lindelof poteva essere già un segnale).
The Hunt è un film dissacrante, intelligente, divertentissimo, politicamente molto scorretto e che sa sorprenderti più di una volta.
Ecco, ho scritto "politicamente" perchè è abbastanza ovvio come il film, in quel senso, racconti gli Stati Uniti, i suoi diversi credi e i suoi partiti. Ma, come sapete, essendo pochissimo esperto dell'argomento non mi lancio in nessuna analisi in tal senso, preferendo quelle più "antropologiche" e sociali.

Un gruppo di elite (avvocati, imprenditori etc...) rapisce 12 persone (per motivi che vedremo) e li porta in una zona rurale.
Per far cosa?
Per divertirsi a dargli la caccia e ucciderli.
E sì, il film come schema (il luogo aperto, le armi, la caccia, le classi sociali) ricorda un sacco Hunger Games ma con una storia e un mood completamente diversi.
Per quanto mi riguarda lo dico da subito, The Hunt ha tante qualità e difetti praticamente zero, ovviamente sempre restando nel suo genere, quello dell'intrattenimento, anche se qua molto più caustico e "intelligente" del normale.
Funziona da morire l'incipit, sia nell'aereo (nel quale avvertiamo questa "misteriosa" presenza della leader) sia i primi minuti nella foresta.


Ed è bellissimo come in 3-4 minuti muoiono uno dopo l'altro i personaggi che, ci avremmo scommesso, sarebbero stati i protagonisti assoluti (quando poi vedi Emma Roberts morire per prima ti gasi, capisci subito che è un film fuori dagli schemi).
Con la ragazza divisa a metà che poi muore nella stessa buca da cui era uscita capisci subito che anche il mood sarà quello di "divertiamoci insieme", mood che in film come questo è perfetto, non come in altri in cui rovina tutta l'impalcatura.
Il punto più forte di The Hunt, però, è il suo "messaggio" o tematica principale, ovvero il mordace racconto dell'ipocrisia galoppante nel mondo moderno.
Il film ti spiazza perchè ti mostra come i cattivi (i "ricchi") siano in realtà quelli dai buoni sentimenti e dai grandi valori.
Ma lo fa in una maniera così esagerata e parossistica che capisci subito quanto quella che viene raccontata è solo una grandissima ipocrisia, quella del "io ho dei grandissimi valori" ma poi, in realtà, sono un pezzo di merda che uccide gente innocente.
Così i ricchi (bianchi) tremano solo all'idea di dire o sentire "negro" ("non dire quella parola che inizia per "n" "), sono contro l'aborto, cercano di non dire "ragazzi", con la "i", perchè parola non inclusiva, sono salutisti (magnifica la scena del vecchio che pensa di aver ingerito il veleno che loro stesso avevano messo nelle bibite ma in realtà la moglie gli parlava della quantità di zucchero), vegani, ambientalisti, criticano gli altri anche solo per l'indossare un kimono ("è appropriazione culturale!") e addirittura preferiscono morire piuttosto che essere risparmiati in quanto donne (per la "parità dei diritti").
Il film è in questo straordinario, ogni battuta o ogni azione di questa elite che uccide in nome dei valori è perfetto specchio del mondo di oggi, specie social (e il film ha grandissimi legami coi social network, anzi, le vittime vengono scelte in base a quello che hanno detto o fatto nei social) dove tutti tendono a mostrarsi belli, virtuosi, inclusivi, tolleranti e illuminati ma in realtà la maggior parte delle persone resta meschina, cattiva, non empatica e sfrutta la propria posizione di potere per schiacciare gli altri.
E il film si basa totalmente su questa ipocrisia, su questa maschera, su questo discernere cosa è vero e cosa non lo è, e lo fa anche attraverso due citazioni.
Una è quella de "La fattoria degli Animali" di Orwell (che i ricchi probabilmente - e anche qui il film è geniale nel mostrare l'analfabetismo funzionale di tanti - travisano completamente, chiamando Palla di Neve, in senso dispregiativo, la loro "vittima" più importante - la protagonista del film - dimenticando che quel personaggio è semmai simbolo positivo di quello che vorrebbero essere loro) mentre l'altro è un ampliamento de "La lepre e la tartaruga" di Esopo, favola che qui si conclude col massacro, da parte della Lepre, di tutta la famiglia della Tartaruga, Tartaruga compresa.
Chi è quindi Palla di Neve nel film, loro o lei?
E chi la Lepre e chi la Tartaruga?
Su questo il film pone l'accento, su questo scambio delle parti per cui chi vince è chi perde, chi perde è chi vince, chi è buono è il cattivo, chi è il cattivo il buono.
Ed è talmente tutto surreale e non intellegibile che si arriva ad altri due paradossi.
Il primo è che, si viene poi a scoprire, questa "caccia" FORSE in realtà nemmeno esisteva ma proprio perchè i "complottisti" (generalizzando così possiamo definire il gruppo delle vittime) fossero certi della sua esistenza allora il gruppo d'elite, che per colpa di quel sospetto aveva avuto grandi svantaggi (si era creato un caso mediatico) decide di inventarsela davvero, di farla davvero.
Insomma, i complottisti credono in un complotto così grande e, con la loro stupidità, fanno un danno così enorme che quel complotto lo facciamo diventare reale.

E Palla di Neve, lei, era veramente la donna che cercavano?
E quella fattoria in Croazia è stata acquistata per la caccia o la Swank l'aveva presa per sè?
Il film ti pone mille quesiti ma non per regalare mistero o divertirsi con lo spettatore ma proprio per raccontare la ridicolaggine del mondo che viene mostrato, quello dove ogni frase, ogni azione, ogni battaglia, ogni valore di chicchessia (specie se gridato al mondo) può essere clamorosamente smentito, "debunkato", smascherato.


 Non esistono personaggi "puliti" nel film, sono tutte persone a loro modo ridicole.
Tra le scene da ricordare tutta quella nella "finta" stazione di servizio coi due anziani (le maschere a gas, il massacro, le battute sui negri, quella sul resto delle sigarette), quelle dei clandestini e dei militari croati (che ridere quel complottista razzista che alla fine aveva ragione sul fatto che l'altro fosse veramente un finto clandestino - a rimarcare quello più volte detto, il politicamente scorretto del film e questa doppia faccia di tutti i protagonisti), il cameo del grande Macon Blair (attore feticcio di Saulnier e ottimo anche come regista), il massacro "militare" che fa lei di tutti i ricchi nella baita, il flash back nel quale scopriamo le assurde motivazioni alla base di tutta la caccia e poi l'incredibile contro finale con la Swank.
(che è molto più bella adesso che da ragazza) attrice che è stato un piacere per me ritrovarmi avanti dopo tantissimi anni.
Questo scontro è gustosissimo, coreografato alla grande, comico nelle armi usate (vedi il mixer) o in alcune dinamiche (il tuffo per salvare il milionario champagne) e lunghissimo, tanto che mi ha ricordato quelli, indimenticabili, tra Peter e il Pollo. 


E quell' "ops" finale quando Crystal (la nostra protagonista) rivela alla Swank di non essere la persona giusta (ma quasi sicuramente lo era, è stata solo una battuta cattiva finale per far morire l'altra facendola credere di aver scazzato tutto) è davvero tanta roba.
A proposito, la protagonista è un altro dei plus del film.
Faccia da schiaffi, stronza, cinica, al tempo stesso insopportabile e deliziosa, vero manifesto di questo film così tanto double-face in ogni aspetto.
E quel finale quando lei entra nell'aereo vestita di tutto punto (impagabile la faccia della hostess) e si sbafa insieme a lei di caviale e champagne (in questo ribaltamento di ruoli sociale riuscitissimo) è la degna conclusione di un film che, per me, nel suo genere è una piccola perla.

7.5 / 8 - -

19.12.24

"Finalmente l'alba" / "Sette minuti dopo mezzanotte" - A luci accese (divagazioni illiminate) - 6 - di Nicola C.

Dopo quasi un anno (ma, al solito, colpa mia, i pezzi li avevo da mesi..) torna Nicola con il sesto appuntamento della sua rubrica "A luci accese", rubrica nella quale Nicola analizza più film, spesso per un filo conduttore comune (lo spiegherà lui nella presentazione).
Nicola è diventato da poco padre e capisco quanto "Sette minuti dopo mezzanotte" (film splendido) possa averlo colpito (l'altro non l'ho visto invece).
Comunque vi lascio a lui, prima alla presentazione e poi ai due film!

--------------------------------------------------------------------------------


Questa volta ci tengo a scrivere qualche riga d’introduzione, il che di solito non è nelle mie corde ma i film di cui parlerò meritano un’eccezione. Finalmente l’alba e Sette minuti dopo la mezzanotte sono per me entrambi meravigliosi, senza difetti. E visto che sono papà da qualche mese, questo è proprio il momento per due film così. Sono due film sulla “separazione” come quel momento che nell’immediato viviamo come perdita e che è tanto più prezioso perché ci rimarrà scolpito nell’anima e farà di noi quello che siamo. Per sempre.
E può anche essere la liberazione da quanto abbiamo tenuto sommerso troppo a lungo per paura o per vergogna; o che semplicemente non eravamo pronti a scoprire e in cui finalmente possiamo riconoscerci.
Separazione quindi che può diventare un più utile liberare per liberarci.
Perché la vita stessa è una separazione dal suo primo momento.
Ogni scelta è lasciar andare ciò che abbiamo escluso, ogni viaggio comincia da ciò che ci lasciamo alle spalle e – appunto – venire al mondo è la separazione più difficile e dolorosa eppure la più bella perché conduce a quel primo abbraccio altrimenti impossibile.
Ma da ogni esperienza “creativa” non ci si separa davvero mai più.
E’ il modo in cui lasciamo le nostre zone di conforto o le narrazioni che ci rassicurano che decide ciò che saremo. Perché poi il doverle lasciar andare non è che dipenda sempre da noi, anzi quasi mai. E a quel punto dobbiamo pur raccontarci qualcosa per sopportarlo. A volte le nostre bugie dicono di noi molto più delle nostre verità: l’inconfessabile che non sappiamo ancora mostrare agli altri ma innanzitutto a noi stessi. Allora se è vero che la realtà va scovata in ogni affabulazione è anche vero che queste ultime ne fanno parte indissolubilmente. E questi due splendidi film ci parlano proprio della verità quando irrompe nella sua crudezza a sciogliere l’enigma della sua maschera.
Siamo anche quella maschera e solo dopo averla riconosciuta possiamo separarcene.
Fatto questo siamo nuovamente pronti a tutto.

N° 12 FINALMENTE L’ALBA – LO SCANDALO DELLA PUREZZA


 

Finalmente l’alba è un film dai diversi piani di profondità e la sua ricchezza è nell’offrirli tutti con discrezione ed eleganza senza nulla togliere alla propria “generosità”. Alla fine un tale caleidoscopio di connessioni non può che portare ad altrettante interpretazioni personali. Per quanto mi riguarda ho visto soprattutto emergere una splendida epifania del femminile. Per arrivarci il film ci parla di ciò che rappresentò il Cinema nel dopoguerra: dall’incubo di un’umanità stretta intorno alle proprie macerie (e miserie) al sogno che quelle macerie vuole illuminate solo da una stella: la propria; perché la polvere sudicia della devastazione non ci riguardi più.
E il neorealismo tratteggiato in poche ma eloquenti scene gioca di contrasto
con la macchina “holliwoodiana” nell’epoca d’oro di Cinecittà.
Simmetria perfetta.
Saverio Costanzo conferma di conoscere benissimo gli strumenti che maneggia
ed è uno di quelli che non mi ha mai deluso.
La narrazione è subito intrisa della sottaciuta necessità di sopravvivere, la cui vitalità prende forma nelle spregiudicate ambizioni come negli espedienti che lastricano la salvezza: un matrimonio a buon partito o l’eldorado di quel Mondo oltre l’Oceano ancora una volta “Nuovo”. Quindi in una domenica come tante, in un pomeriggio restituito a un quotidiano nuovamente possibile del dopoguerra, nella sala d’un cinema il “Sacrificio” di una giovane che si immola per la vita di un bambino ebreo s’illumina in chiaroscuro, nelle ultime atrocità del nazismo in fuga dalla Liberazione; in controcampo il soldato americano uccide l'ufficiale tedesco pronto a giustiziare il bimbo. Nell’epilogo il soldato in campo lungo ascende la scalinata di Trinità dei Monti, evocando simbolicamente un domani finalmente migliore. Ma ci viene mostrato anche il giovane eroe che si congeda dall’orrore dopo l’ultimo gesto di coraggio, restituito alla vita e alle infinite possibilità di cui è sempre gravida la giovinezza. Soprattutto se tinta di stelle e strisce.
E questa metamorfosi, quella del giovane attore, va tenuta a mente.
Perché le trasformazioni degli altri spesso ci aiutano a capire le nostre.
Il merito è non cambiare quando il cambiamento obbedisce a regole altrui.


Mimosa (nome più simbolico non poteva esserci per un’epifania del femminile) al cinema con madre e sorella sarà comunque l’unica a emozionarsi e vivere sottopelle le vibrazioni di quell’orrore di guerra cogliendone la realtà: per lei reale è tutto quanto sia intensamente umano; a partire da quel momento ci è già chiara la sua alterità.
Dunque ritroveremo (non a caso, in un film dove tutto è simbolo e analogia) lo stesso interprete dell’eroe soldato come protagonista nel “faraonico” set di Cinecittà, dove Mimosa si trova quasi per caso a far da giovane comparsa in quell’angolo di firmamento d’oltreoceano. Lei che – a differenza di chiunque altro – quell’incanto vive con la purezza dello stupore e mai con la spregiudicatezza dell’ambizione.
“Comparsa speciale” le dicono e speciale lo è.
La terra promessa prende la forma di un Colossal, magnificando icone da rotocalco la cui emulazione significa dimenticare la miseria di ieri ed esorcizzare quella di domani.
Poi c’è il presente di lei: sogno a occhi aperti in una veglia che fagocita destini, speranze, vite. E innocenza. Ne sarà rapita, sedotta e tradita in un viaggio surreale, attraversando con candida grazia mondi assurdi come il linguaggio dei sogni, dove però reale è ogni ferita e ogni caduta su quella polvere di stelle sotto la cui coltre il suo è l’unico cuore a battere. Il silenzio della poesia è tempo sospeso, inganno involontario eppure l’unica emozione colta, offerta in dono a chi mente persino nel sogno. Finalmente l’alba è un film in cui scandalo è la purezza, rompendo da sola la quarta parete quale ancestrale confine tra la coscienza e le pulsioni dell’anima. Protagonisti disperatamente intenti a negare le proprie debolezze me che a quelle si immolano in un incosciente sacrificio, dove la cruda realtà non può che infrangere la finzione dorata.
Ed ecco che inseguendo la vita la si può perdere su una spiaggia ai margini della dolce vita o in un matrimonio fortunato solo nello sguardo altrui.


Fin quando il volto della dea perde, con gli strati della maschera,
la sua insolente divinità
svelando il segreto di una fragilità meravigliosamente umana.

Trascorsa la notte, il viaggio di Mimosa scandisce
“in direzione ostinata e contraria”
la stessa scalinata da cui cominciò
quella domenica pomeriggio
restituendone il simbolo alla realtà.
Rivoluzione che riconduce al principio, come ogni rivoluzione.
E il principio già non è più il pudore di umile ragazza del popolo
ma l’inviolabile natura del femminile.
Senza deleghe. Al di là delle parole. Delle rivendicazioni.
Fiera al suo fianco.


N° 13 SETTE MINUTI DOPO LA MEZZANOTTE – L’AMORE CHE MOSTRO!


E’ stato un interessante scambio di battute con Giuseppe (nei commenti alla sua recensione) a farmi capire fino in fondo quanto sia davvero speciale questo film e a convincermi che valesse la pena parlarne qui più compiutamente.
Questo è un film che ci fa mettere a fuoco la differenza tra ciò che sentiamo e ciò che mostriamo, tra ciò che proviamo davvero e ciò che pensiamo di dover provare. Ed è indubitabile che siano piani profondamente diversi dell’esistenza la cui opposizione qui è dolorosa, rivelando cose di noi che normalmente (ci) teniamo nascoste.
E Sbagliamo.
Perché questa contraddizione è dovuta al fatto che spesso il preteso paradosso di insegnare le emozioni ne esige solo la manipolazione, fino magari a negarle. Ma sarebbe meglio piuttosto farle nostre, che solo scoprendole possiamo crescere.
Di ciò che sentiamo non potremmo mai sentirci in colpa, semplicemente perché colpa non è. Banalmente perché la sfera emotiva è per sua natura esente da qualunque giudizio morale e poco importa se ci ostiniamo a sottoporla alla sua lente.
Nel film di tutto questo ci parla un mondo adulto che sa di non poter punire ciò che è privo di volontà. Di questo ci parlano i racconti del “mostro”: lezioni per una catarsi laica dal senso di colpa che vogliono liberarci dalla cecità degli imperativi morali cui obbedisce la coscienza tarpata dal giudizio. Racconti che alludono al linguaggio del mito (qui edulcorato alla forma infantile della fiaba) e quindi alle “radici” dell’esperienza umana che solo in se stessa può cercare le risposte. Ma per quelle occorre sempre uno sguardo nuovo e Connor – anche se ancora deve esserne consapevole – già lo possiede grazie proprio a quella madre, nel momento a partire dal quale niente più sarà come prima.


La radice di “Monstrum” (dal latino, prodigio) è etimologicamente in monere (come ammonire) da cui “monstrare” (mostrare una volontà trascendente che è infine monito e insegnamento):indicare la via corretta prendendo l’aspetto di un essere sovrannaturale e quindi divino,
ma della divinità declinata nella cultura classica
che rappresenta l’umano anche e soprattutto nella sua oscenità.
L’albero che estrae le sue radici dal terreno, che diventano gambe per muovere verso il bambino, è profondamente simbolico. La parte ”radicata”, sepolta e perciò invisibile agli altri (ma che “alimenta” ciò che gli altri vedono e che per loro siamo) viene dissotterrata, emerge allo scoperto e diventa finalmente cammino verso di sé a “rivelare” i segreti di quella profondità
in cui è custodita l’origine di ogni salvezza.
Il mostro è un prodotto della fantasia del bambino:
è Connor che impara a guardarsi e a “venirsi incontro”.
Così con quelle storie ora potrà ritrovarsi raccontandosi la necessità degli esseri umani di mentire a se stessi (il principe che vuol credere che l’amata sia morta per mano della strega negando a se stesso il proprio gesto, così come il popolo che vuol crederlo innocente per ritrovare il suo amato sovrano); ma anche che in una sembianza orribile - alter ego della propria - non è detto si celi una colpa (la strega infatti è innocente) con chiaro riferimento al proprio desiderio vissuto come colpa ma che colpa non è.
Per poi comprendere (con la storia dell’uomo invisibile) che peggio di risultare invisibili allo sguardo altrui è esserlo a sé stessi, accecati dallo stesso odio che ci viene rivolto; e che poi, una volta proiettati nella realtà, gli altri quell’odio sapranno assolvere quando ne conoscono il dolore, che si può essere al mondo per cose diverse dal giudicare e dal punire (la nonna non lo rimprovera nonostante abbia devastato le sue cose).
E solo recuperando lo sguardo su di sé Connor potrà affrontare infine l’incubo della Creatura (in quell’ultima sembianza, la malattia) che l’obbliga ad afferrare sua madre sospesa nel vuoto in uno sforzo insostenibile, solo per capire che lasciar andare ciò che è impossibile trattenere è un gesto d’amore necessario anche se può apparire mostruoso.
Adesso lo sa.


Il cerchio quindi è chiuso: sta a noi assolvere l’innocenza quando gli altari si trasformano in patiboli. La morale applicata ai sentimenti è una rassicurante menzogna - con cui assecondiamo aspettative che ci schiacciano - prima illusoria e che poi al dunque può essere profondamente ingiusta e devastante. Il finale è straordinario e commuovente perché rivela che a volte la “salvezza” è proprio in ciò che rifiutiamo o che il mondo ci impone di rifiutare;
che qualunque edificazione morale calata dall’alto ci allontana dal nostro diritto di esserci,
che è molto più di esistere soltanto.
Così come amiamo non perché sia giusto ma solamente perché ne abbiamo bisogno,
come per ogni nutrimento (la voglia di dare e l’istinto di avere, cantava il buon De André).Amare ed essere amati fino all’ultimo istante è il massimo che può esser concesso
e infine lasciar andare sarà l’unico gesto in nostro potere.
Poi vivremo l’illusione del ricordo, ma solo così avremo imparato ad amare davvero.
E potremo farlo ancora.