13.4.18

Recensione: "Buongiorno, Notte"

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Quando scrivi una recensione sullo splendido film di Bellocchio sul caso Moro e riesci, in decine e decine di righe, a non dire una sola parola sul caso Moro, sul clima dell'epoca, sulle verità e le menzogne, su cosa tutto ha rappresentato.
Il mio Buongiorno, Notte è un film di luoghi, è un film di prospettive, è un film con un solo e unico significato, lo stesso che, credo, Bellocchio volle darci.
Ovvero che solo attraverso la donna, o solo attraverso la nostra parte femminile, potrà cambiare qualcosa.
E Aldo Moro, magari, sarebbe davvero uscito all'alba, in pigiama, respirando aria fredda e libertà.

Che buffo (e che vergogna) che io di un regista grande come Bellocchio abbia visto un solo film - questo- e "addirittura" due volte.
Che strano che non mi sia mai capitato di veder altro, in una filmografia vastissima e di altissimo livello. Io poi che adoro il cinema nostrano.
E per giunta è ancora più strano che l'unico film visto suo e, ripeto, ben due volte (ieri, la seconda, invitato ad un cineforum) sia quello che per soggetto era forse il più lontano da me, io uomo così lontano e repellente al sociale e al politico.
Eppure che bello Buongiorno, Notte, sin dal titolo.
Ricordavo poco e niente, alcune scene assolutamente minori (come l'incipit col venditore d'appartamenti) altre più importanti ed, effettivamente, abbastanza indimenticabili, come la fuga all'alba di Moro, quella fuga che, ahimè, mai successe.
 A rivederlo adesso mi è sembrato un film più vecchio del 2003 ma, del resto, Bellocchio si è probabilmente rifatto ai maestri italiani del cinema "militante" degli anni 70 e 80.
E, siccome per ovvia incompetenza non entrerò minimamente nell'ambito della vicenda Moro ma mi limiterò a parlare di Buongiono, notte come "semplice" oggetto filmico, ecco, proprio da qui voglio partire.
Ovvero dallo stile scelto da Bellocchio.
Di solito quando si affrontano film di questo argomento, legato alla storia politica, sociale e cronachistica del nostro paese, prevale l'atteggiamento "verista", naturalistico, ovvero quello di un cinema improntato sul fortissimo realismo, sia formale che narrativo. Poi, invece, ci possono essere approcci più deformanti, grotteschi, quasi parodici e, ovviamente, il primo esempio che mi viene è quello di Paolo Sorrentino e del suo "Il Divo" (ma anche "Loro" sarà della stessa pasta).

Sarebbe un errore considerare "Buongiono, Notte" perfetto esponente del primo gruppo.
Perchè in realtà Bellocchio, sia stilisticamente che narrativamente, usa una lente che più di una volta riesce a deformare la realtà.

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Lo fa, ad esempio, con la colonna sonora, quasi sempre o straniante o in apparente antitesi con le immagini che mostra. Vedere ad esempio le due straordinarie sequenze accompagnate dai Pink Floyd. Questa cosa di evitare il naturalismo anche attraverso la colonna sonora è veramente interessantissimo.
Ma Bellocchio attua il suo progetto in almeno altri due modi.
Il primo è attraverso l'uso del montaggio. Prendete ad esempio la scena dell'elicottero sopra casa, montata velocissimamente con lei che cambia canali in televisione. Ne viene fuori una sequenza ansiogena, quasi da film del terrore. Oppure la scena, formidabile, in cui lei legge la lettera di Moro scritta alla moglie. Quelle parole che si fondono con un'altra lettera, quella del partigiano. E le immagini delle esecuzioni che fanno da sfondo.
Scene da realismo sovraesposto, straniante.
Come se non bastasse, oltre a musica e montaggio, Bellocchio anche a livello narrativo si discosta dal tipico realismo di certo cinema infarcendo "Buongiono, notte" di numerose scene oniriche, quasi tutte di stessa matrice però.
E questo mi porta alla seconda parte della mia analisi, quella dei "luoghi" del film.
"Buongiorno, notte" solo apparentemente si svolge in due luoghi (appartamento e mondo fuori) perchè in realtà ce ne sono 4, uno completamente distinto all'altro e con funzioni diverse.
Il primo, ovviamente, è l'appartamento dove venne tenuto prigioniero Moro.
In questo senso l'incipit col venditore che lo presenta è davvero formidabile. Questo sarà il luogo della prigionia, quello dell'impossibile dialogo tra Moro e i brigatisti, quello dei loro piani, delle loro reazioni, quello della quotidianità.
Un luogo che, in realtà, è due luoghi, ovvero la casa e il buco dove Moro veniva tenuto. Un passaggio stretto e basso nella libreria li unisce. E così si passa da qua e là, continuamente. E' formidabile la scelta da parte di Bellocchio di non far mai vedere tra loro i due protagonisti del film, Aldo Moro e Chiara, la giovanissima brigatista. In realtà lei vedrà più volte lo statista, ma sempre attraverso il buco della serratura, quel buco della serratura simbolo dei nostri film scollacciati degli anni 70 e 80 che qui sostituisce al bavoso voyeurismo alla Alvaro Vitali un bisogno tremendamente "umano" da parte di Chiara di vedere quell'uomo che, anche per sua colpa, si stava avvicinando alla morte a casa loro.
Solo una volta Chiara andrà oltre quel buco, solo una volta si avvicinerà veramente a Moro, ma nella splendida sequenza della lettera al Papa (con lacrime di lei) comunque i due non si vedranno. Ma il loro scarno dialogo rimarrà probabilmente il più bello e il più forte dell'intero film, più di tutti quelli sui massimi sistemi politici. Quel pianto di lei, quel suo chiederle perchè piange, quel di lei rispondere che è un pianto di rabbia per una lettera fredda e formale, magnifico.

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Il secondo luogo è il mondo di fuori che vive Chiara. Nessun altro brigatista si vedrà mai per un solo secondo fuori dell'appartamento. E invece Chiara deve continuare a vivere, far finta di niente. Questo luogo diventa il luogo della minaccia, della paura, della tensione, del terrore di essere scoperta. Ogni frase, ogni sguardo sarà per Chiara una possibile minaccia. La ragazza è giovane, per niente sicura di quello che sta facendo, un fascio di nervi.
Il terzo luogo è il mondo politico e mediatico, ovvero tutto quello che non riguarda strettamente Chiara. E qui la scelta di Bellocchio è radicale. Non vedremo mai, mai, mai (temo di non sbagliare) un giornalista, un politico, un militare interpretato da un attore. Solo immagini di repertorio, dai tg alle interviste, dai raduni di folla ai funerali. Tutto il mondo fuori dall'appartamento che non riguarda strettamente Chiara non ha un solo cm di fiction ma è pura restituzione della realtà storica. E quel mondo arriva, ovviamente, anche dentro l'appartamento, attraverso la tv che i brigatisti guardano continuamente.
L'ultimo mondo, il quarto, è solo e soltanto dentro la testa di Chiara. Ed è un mondo che possiamo associare con abbastanza fermezza al senso di colpa. Chiara, specie dopo esser riuscita a vedere Moro in viso, inizierà ad avere tante visioni. Un mondo onirico assolutamente coerente e compatibile con la realtà, tanto che lo spettatore più volte si chiederà se quello che sta vedendo sia reale o no (penso alla scena del "nome del padre" a tavola, apparentemente reale, ma di sicuro immaginata solo da Chiara).
In questo luogo, in questo mondo, avverrà anche una delle scene più celebri del film, ovvero quella della 25ima ora di Moro, quell'ora che in realtà mai è esistita, quel suo andarsene con calma dall'appartamento e camminare sicuro e libero nell'alba.
E forse sarebbe da inserire qua il titolo del film, in quest'alba che non sarà mai, in questo buongiorno dato invece alla notte più cupa, al male, al dolore.
Tutto questo mondo, questo onirico, è anche simbolo della tremenda confusione nella testa della ragazza, ormai non più sicura di quello che sta facendo, dei suoi ideali, della sua umanità. Lo svenire alla benedizione del prete, in questo senso, rappresenta il collasso finale.
Herlitzka, che interpreta Moro, è straordinario. La sua pacatezza, la sua classe, la sua dignità, il suo garbo, la sua onestà intellettuale e la sua cultura, tutto è restituito dal gigantesco attore torinese in maniera sublime.
Bravissima la Sansa, sempre sul pezzo Lo Cascio.
Eppure "Buongiorno, notte" di magagne ne ha, più d'uno.
Ci sono delle forzature pazzesche come la vicina di casa che affida il neonato alla vicina appena arrivata (ma scherziamo???), come la scena del ladro, come i manifestanti che entrano nel bus della Sansa, come l'ascensore, come, soprattutto, l'assurdità che proprio il miglior amico della Sansa avesse scritto una sceneggiatura sui brigatisti e, udite udite, quella sceneggiatura era anche negli effetti personali di Moro, davvero incredibile.
E ho notato anche un gigantesco errore di continuità quando loro si tolgono i passamontagna una volta decretata la morte di Moro. Scena molto bella sì (se mi tolgo il passamontagna gli dimostro che sì, morirà) ma vederli poi un secondo dopo uscire tutti mascherati è incredibile. E l'errore di continuità (quindi di montaggio) diventa addirittura di coerenza narrativa quando i giorni successivi indosseranno di nuovo sempre i passamontagna.
Non parliamo poi della seduta spiritica (quella sì scena sorrentiniana), completamente avulsa dal resto per stile e genere, quasi ridicola e non necessaria.
Ma in questa recensione che, incredibilmente (ma lo sospettavo) è riuscita nel non dire una sola parola degli eventi, del caso Moro, del clima dell'epoca, dei sospetti, delle ricostruzioni vere o no, in questa recensione voglio chiudere con quello che secondo me è la vera anima del film.

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Ed è il contrasto tra maschile e femminile.
Basterebbe prendere le immagini finali, quelle del funerale di Moro (vere, non ricostruite). Vediamo 100 volti, 100 teste. Non c'è una donna, nemmeno una. In una sola immagine abbiamo un'intera filosofia, quella di un potere strettamente maschile, allora poi certamente più di adesso.
Ma di donne, del resto, non ne vedremo praticamente nell'intero film.
Tranne la nostra protagonista, Chiara.
Ed è evidente il messaggio che ci manda Bellocchio. L'unica possibile salvezza, l'unica possibile umanità, è da ricercare nella femminilità, che non necessariamente vuol dire essere donna, ma è l'insieme di quei comportamenti, di quelle attitudini, di quella natura che alla donna si rifà.
Lo stesso Moro ad un certo punto lo dirà "Qua c'è una donna, l'ho capito da come sono ripiegati i calzini"
E questa frase che decontestualizzata potrebbe quasi esser negativa, da donna del focolare, in realtà è una splendida frase che racchiude un intero mondo dentro.
Solo le nostre donne o solo le nostre parti femminili possono avere certe accortezze, rendersi conto di piccole cose, difendere veramente la vita perchè loro, la vita, se la sentono in grembo. Solo le nostre donne o le nostre parti femminili possono salvare il mondo.
Ma finchè nel mondo vedremo una panoramica di 100 teste d'uomo nulla mai cambierà


4 commenti:

  1. l'avevo visto al cinema, e mi aveva colpito molto.
    bellissimo il finale alternativo alla realtà, quando una porta viene lasciata aperta e Moro, stupito e quasi sognante, torna libero (e la nostra storia sarebbe stata diversa)

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    1. eh sì, l'ho chiamata in recensione la sua 25ima ora

      quella che lei, la ragazza, gli avrebbe permesso (almeno nel film, nella realtà non so quanto ci sia di vero)

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  2. gran bel film...
    la tua recensione, peraltro, mi ha fatto notare cose che non avevo considerato durante la visione, oramai risalente (ad esempio il discorso del funerale)... e il tema delle donne, che avevo colto solo marginalmente...
    io di Bellocchio ho visto questo e quello su Mussolini, Vincere, quindi sono messo appena appena meglio di te!
    ciao
    Vincenzo

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    1. ciao Vincenzo!

      insomma, allora dobbiamo vergognarsi in due, scriviamo di cinema e siamo a 3 Bellocchio totali in due, ahah

      sì, è anche vero che io c'ho una fissa per le donne, penso davvero che solo loro possono cambià il mondo ma sono sicuro, sicurissimo, che lo sguardo di Bellocchio in questo film voleva far venire fuori questo

      lei unica donna, lei unica "umana", lei che in qualche modo vorrebbe salvarlo o accudirlo. Per il resto solo uomini a rappresentare il potere o il contro-potere

      e quella frase di Moro su di lei emblematica

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