28.10.21

Recensione: "Petite Maman"


Un film meraviglioso in cui ognuno di noi ritroverà, in qualche modo, sè stesso.
Muore la nonna, la madre e la figlia devono andare alla casa d'infanzia della stessa madre (quella dove per intendersi viveva la nonna) per portare via tutto.
Nelly, la piccola bimba, si avventura nel bosco dietro casa.
Farà la conoscenza con un'altra bimba, praticamente identica a lei.
Petite Maman è un capolavoro di scrittura, è un film minuscolo che riesce solo col soggetto e con i dialoghi a farci provare emozioni fortissime.
E' un film che riesce ad usare i paradossi temporali in un modo così incredibile che potremmo definirli non tanto paradossi temporali, ma paradossi emotivi, come se tutto quello che vediamo più che riguardare il tempo riguardi qualcosa che è dentro di noi, un nostro viaggio mentale.
Tutti noi avremmo la necessità di andare a conoscere chi è veramente nostra madre (o nostro padre). Tutti noi avremmo la necessità di andare a conoscere chi è realmente nostra figlia.
C'è bisogno di incontrarsi, di capirsi, di chiamarsi per nome, di conoscere da dove deriva quello che siamo adesso.
C'è bisogno di guardare le ombre sul muro insieme.

 Potrebbe essere il mio film dell'anno.
Non sempre il mio film dell'anno è il film più bello (ma Petite Maman è comunque bello, bellissimo).
Non sempre il mio film dell'anno è quello che più mi ha emozionato (ma Petite Maman mi ha emozionato tanto, tantissimo).
Ma di solito il mio film dell'anno è quello, che oltre alle due cose qua sopra, sento che mi ricorderò a vita, quasi scena per scena.
E Petite Maman me lo ricorderò a vita.
E' il primo film che vedo della Sciamma anche se in realtà mi ero già imbattuto in lei con quel capolavoro di cartone che è La mia vita da Zucchina, perla scritta da lei.
Sommando i due film, le due scritture, è impossibile non constatare come la Sciamma sappia raccontare il mondo dei bambini come pochi altri.
Petite Maman è un film piccolissimo, minuscolo, pochi attori, una manciata di location, pochissime azioni, durata brevissima (70 minuti).
Per capire quello che è Petite Maman voglio andare ad una scena davvero poco importante, anzi, praticamente solo strumentale.
Nelly, la nostra splendida protagonista bambina, trova nella casa d'infanzia della madre un vecchio gioco, quello della pallina da colpire legata da un elastico alla tavoletta, così che torni sempre indietro.
La bimba, una bimba degli anni 2020, va fuori a giocare, e si diverte un mondo.


Petite Maman è quel gioco, Petite Maman è far tornare il cinema all'essenziale, toglierlo di ogni modernità, effetto, trucco, renderlo soltanto una pallina e una tavoletta di legno e riuscire comunque ad emozionare. Anzi, riuscire ad emozionare proprio per questo, per avere davanti una cosa apparentemente così spoglia ed essenziale e ritrovarci a provare emozioni che tantissime cose più elaborate non ci danno.
E' incredibile come questo film usi in maniera pazzesca i paradossi temporali, quell'aspetto che di solito attiene alla fantascienza o, comunque, a film molto strutturati, complessi.
Qui il paradosso temporale alla base del film è invece qualcosa che alla fine col tempo oggettivo c'entra poco o nulla, è qualcosa che ha a che fare semplicemente con la nostra esistenza, col nostro cuore.
Incontrare i nostri genitori bambini non è tanto un qualcosa alla Ritorno al futuro, quanto un viaggio psicologico ed emotivo che facciamo per andare a conoscerli, per avvicinarci a loro, per capirli, per sapere da dove vengono, per comprendere che radici abbia quello che sono adesso.
Ed è per questo che l'incredibile incontro di Nelly con la madre bambina non va visto come qualcosa di reale (anche se la Sciamma ce la mostra per tale, facendo interagire anche altri personaggi) ma come un viaggio mentale di una bimba che ha un disperato bisogno dell'amore della madre, madre che vive un periodo di profonda depressione (ci sono anche assonanze con Babadook).
Il film è da vedere quindi come il viaggio mentale di una figlia che va a trovare la madre nel passato. Ma, al tempo stesso, possiamo vederlo anche all'opposto, ovvero il viaggio di una madre nel suo passato, per incontrare la propria figlia.
E' un bisogno condiviso quello delle due protagoniste, è una assoluta necessità di "incontrarsi" per conoscersi meglio, per capire l'essenza del loro rapporto e dei loro problemi.
Per vedere nell'ombra una pantera nera insieme.


Non è un caso che nel finale (da pelle d'oca, come tutto l'ultimo quarto d'ora) le due si chiamino per nome. Perchè in quel momento non sono più madre e figlia, sono Marion e Nelly, nella loro essenza. Sono due persone che si sono conosciute, che adesso sanno come amarsi, sono due esseri umani singoli che solo adesso, chiamandosi per nome, è come se si riconoscessero e siano quindi pronte ad essere nuovamente, e molto meglio di prima, madre e figlia.
Petite Maman è un film che si spoglia da tutto il cinema che può, messinscena al minimo, regia quasi inesistente, colori pastello sul marrone a regalarci un'atmosfera malinconica, di qualcosa che sta cadendo come una foglia morta.
Questo perchè alla Sciamma interessa solo il contenuto del film, interessano i dialoghi, interessano i ruoli paradgmatici in cui ognuno di noi si potrà riconoscere.
Ecco cos'è Petite Maman, è un paradigma che ogni spettatore declinerà sulla propria esistenza, sul suo esser figlio, sul suo esser genitore, sui suoi rapporti, sulle distanze famigliari.
E anche su quei dolori nascosti, trattenuti e invisibili che molto spesso serpeggiano nelle case di tutti, quelli che rendono vestiti e mura marroncini, privi di colore, ma che nessuno ha la forza o la voglia di urlare, di esternare agli altri.
Non è un caso che la nonna di Nelly (la madre di Marion nel passato) sia una donna profondamente malinconica distrutta psicologicamente dalla sua zoppia.
E non è un caso che Marion stessa sia una donna vicina alla depressione, depressione che era già nata da bambina, proprio come osmosi con la condizione della madre.
C'è un dialogo che non fatico a considerare come uno dei più grandi che io abbia sentito in questi anni.
Nelly e la madre bambina si stanno parlando.
Quest'ultima, quando saprà che nel futuro sarà una donna triste e avendo paura che la figlia pensi che sia lei il motivo di quella tristezza, le dirà:

"Non l'hai inventata tu la mia tristezza"

Una frase devastante e bellissima che ha dentro tante cose.
Intanto quell' "inventata" che ci rimanda alla versione onirica del film, a questo suo essere probabilmente un viaggio mentale della sola Nelly.
Nelly sta conoscendo la madre nel suo passato (attenzione, lo fa avendo già comunque tutti gli elementi per capirla nel presente, questo viaggio è proprio elaborazione artistica di dati attuali) ma no, per quanto ne abbia paura, per quanto la sua mente possa costruire quel castello, la depressione della madre non l'ha inventata lei, era già laggiù nel passato, in nuce, quasi inevitabile.
In più Nelly ha la conferma (anche se, lo ripeto, per me sono tutte cose che sa e che adesso, quasi fosse cinema, sta mettendo in scena) di quello che la madre stia vivendo nel presente.
In più capisce come sin da bambini sia necessario reagire ad un contorno non felice, capisce come quello che sta vivendo lei nel presente, visto l'esempio della madre, possa essere pericoloso per il suo futuro.
E' una sola - cristo di dio - frase che ha un film dentro. E' una madre che non solo sta togliendo qualsiasi senso di colpa possa avere sua figlia, ma le sta anche insegnando quanto sia necessario che lei reagisca nel suo presente.
E tutto questo lo sta dicendo una madre bambina, in quello che è il miracolo di questo film, questa sua idea piccolissima, e magari nemmeno originalissima, ma usata con una grazia e una precisione psicologica rara.
Il padre quasi non conta niente, ma non nel senso negativo del termine, è solo che questo film racconta del bisogno di incontrarsi di una figlia e della propria madre. E che il padre sia lì, apparentemente inerme ma invece capace di dare quell'affetto, quel "contorno" ideale al viaggio di sua figlia, è bellissimo. Il padre in questo film è quell'aura di serenità che permette alla bimba di intraprendere nel migliore dei modi questo bello, esaltante ma anche tanto pericoloso e doloroso percorso insieme alla madre. Quel suo lasciargli fare le crepes questo significa, "ti ho capito figlia mia, completa questo percorso, io ne sto fuori, pronto ad abbracciarti".


La Sciamma racconta 250 dinamiche famigliari senza mai urlarne una, spiegarla, sottolinearla. E' una scrittura che ha sempre un sottotesto, sia nei dialoghi che nelle azioni.
E non è un caso che, in un paio di scene bellissime, le due bimbe recitino. E' l'essenza del cinema, quella di creare ruoli e parole e regalare emozioni solo con quelle. Tra l'altro nella "scena" del bimbo (bellissima) la Sciamma riesce a regalarci un'immagine per lei tipica del suo cinema, ovvero quella di quanto i generi non contino. Vedere due bimbe avere un bambino è già di per sè straniante (ma è cinema nel cinema no?), se poi si pensa che sono due femminucce l'immagine è ancora più forte.
E come non citare queste due piccole attrici, dal volto a dir la verità nemmeno troppo simpatico ma con dei ruoli che le ami dal primo momento che le vedi. E anche qui la Sciamma è coraggiosissima perchè le usa in un modo strano, con una recitazione fredda, quasi robotica, priva di qualsiasi emozione. E' come se anche loro stessero recitando nel film. Del resto in questa lettura di viaggio onirico ci sta che i comportamenti siano così razionali, come se Nelly stesse elaborando dei dati e affidasse le sue considerazioni a degli attori, tra cui sè stessa.
E' da vedere in questo senso anche come la madre piccola accetti da subito la rivelazione che le fa Nelly, quella appunto di essere sua figlia. Perchè questo stiamo vedendo, un'elaborazione artistica di elementi che Nelly già possiede. E' come se Petite Maman fosse quindi un pensiero super razionale, di intelligenza e profondità pazzesche per una bimba, trasformato però in rappresentazione scenica. E non è un caso che l'unica scena di vera emozione delle bimbe sia quella delle crepes, perchè il gioco, da sempre, rivela la nostra parte meno razionale. E' come se in quella scena per un momento il percorso psicologico di Nelly si fosse fermato per lasciar parte alla sua parte più bambina, regalandole un momento di gioco "impossibile" con la propria madre, prima di tornare ad affrontare le questioni più importanti.
Ma la cosa forse più bella del film è che tutto questo avvenga quando la madre è andata via.
E' come se quella madre se ne fosse andata per permettere a sua figlia di compiere questo viaggio. E' come se si fosse creato quel famoso periodo di riflessione (molte volte ipocrita nella vita, ma altre no) in cui ci si può fermare e iniziare a capire veramente le cose.
Per questo Petite Maman è forse da intendersi come volontà comune dei due personaggi di raggiungere lo stesso obbiettivo. La madre se ne va per creare questo "vuoto" temporale, vuoto che la figlia colmerà con il suo incontro con Marion bambina ma, al tempo stesso, è come se la madre avesse "creato" la sè bambina per incontrare la figlia. 
Tutto questo è stupendo.
Ma l'ultimo quarto d'ora è veramente faticoso (Giordano l'ha definito "devastante", concordo) perchè le emozioni sono troppo belle e forti.
Un film senza colonna sonora avrà in realtà un solo pezzo, pezzo che parte quando Nelly fa ascoltare alla sua madre bambina "la musica del futuro" (e il pezzo proprio così si chiama).
Parte così una sequenza forse slegata dal resto ma incredibile, una sequenza che per emozione e musica rimanda ai momenti migliori di Swiss Army Man.
Forse è una scena simbolica, quella piramide sul mare, quel loro entrarci dentro insieme, ma non ho le armi per capirla.
Mi è bastato viverla.
Ma non posso non finire con il dialogo più pazzesco del film, un dialogo che ognuno di noi vorrebbe far suo, perchè ognuno di noi vorrebbe credere di essere stato figlio dell'amore.

"Ti volevo?"
"Sì"
"Questo non mi sorprende, perchè sto già pensando a te"

Sono due bimbe che si parlano, in realtà una figlia e una madre.
E la madre bambina che dice all'altra bimba, a sua figlia, che sta già pensando a lei.
Un solo dialogo, paradossale.
Un solo dialogo, ma così gigantesco che c'è solo una cosa da fare.
Ringraziare di avere avuto il privilegio di sentirlo

9

 

10 commenti:

  1. Recensione da abbracci, un film raro, del tutto fuori dal tempo e forse anche per questo ancora più indispensabile...

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    1. Grazie Matteo!

      bella la definizione "del tutto fuori dal tempo" per un film che gioca così proprio col Tempo ;)

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  2. "Ti volevo?"
    "Sì"
    "Questo non mi sorprende, perchè sto già pensando a te"
    Ringraziare di aver avuto il privilegio di sentirlo davvero... grazie che me lo hai fatto conoscere questo film qui...una perla calda calda e luminosissima

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    1. E' uno dei più grandi dialoghi che ho sentito da tanto tempo, due frasi e dentro un mondo

      grazie a te

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  3. Mi delurko (anche se su FB ogni tanto qualche commento lo lascio) in modo opportunistico per lasciare uno spazio dove poter essere informata su film/cartoni/libri/fumetti in cui avviene un incontro, possibilmente significativo, con i propri genitori da piccoli (a parte Marty Mcfly o Trunks e Vegeta :D ). Quindi, se chi passa di qui fosse a conoscenza di qualche titolo, gli sarei grata se me lo scrivesse come risposta al mio commento.
    Alla domanda su dove andare se si potesse viaggiare nel tempo io ho sempre pensato all’incontro con me stessa da piccola (perché, alla fine, che ne so di me da 0 ai 6/7 anni?) oppure ai miei genitori da piccoli/giovani. Certo, vedere altre epoche ha il suo fascino ma la curiosità di conoscere, in un’altra età, persone a cui sono legata ha sempre prevalso...

    Per il resto, ottima recensione, as usual. :))

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    1. secondo te io so che significa delurko? ahah, giuro no

      guarda, non credo nessuno venga a leggere sto commento (o pochissimi a parte me) ma sai che potrebbe esse una bellissima idea per un post?

      per me il capolavoro di paradossi temporali figli padri è il finale di Biutiful

      o quello di Interstellar

      hai perfettamente ragione, avrei lo stesso sogno, esattamente l'epoca del film vorrei vive

      grazie!

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    2. avendo vissuto l'epoca d'oro dei blog credevo fosse un termine familiare... :D
      Il lurker era chi leggeva i blog ma non commentava mai, non si palesava mai; c'era poi il de-lurking day che era il giorno in cui si chiedeva a tutti questi lettori silenti di dare un segno della propria presenza, almeno con un saluto. Quindi se faccio un commento dopo mesi in cui leggo senza interagire mi sto delurkando.

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    3. ah! in effetti ora senza "de" davanti mi sovviene il significato ;)

      da ora me lo ricorderò ;)

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    4. Ciao Caden
      che dono che c'hai.
      Un film "less is more",espressione usata in architettura, ma qui rende bene. Il meno e' piu', il meno e' meglio.
      Quanti spunti, quanti elementi simbolici ... dalla casa della nonna da svuotare con tristezza per aiutare la madre e dall'altro si ritrova a farsi aiutare dalla madre per costruire la sua casa nel bosco. Il saluto alla nonna.
      La figura del padre e' dolcissima, non e' mai d'attrito ma l'accompagna nel suo percorso. Bellissimo lo sguardo che si scambia con la moglie-bambina.

      GRAZIE
      France Basil

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    5. davvero un gioiello Francesca...

      e visto che less is more molto belli sti commenti che con poche parole incorniciano il film ;)

      è vero, una figura di padre perfetta, laterale ma importantissima, scritta da dio

      prego!

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due cose

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