19.1.22

Recensione: "America Latina"- E due parole sull'odio

 

L'ultimo film dei gemelli D'Innocenzo è ancora una volta, per me, splendido.
Inutile dire che il giudizio è fortemente soggettivo visto che le atmosfere, le tematiche, il mood e la scrittura dei due fratelli ha tutto il cinema che io amo, da sempre.
La storia di un dentista, benestante, della sua splendida casa e della sua famiglia perfetta.
Ma c'è qualcosa in cantina, qualcosa di terribile.
Thriller psicologico di grande raffinatezza formale, crudo, intenso, con un Elio Germano spaventoso.
Purtroppo ho trovato un finale martoriato da scelte sbagliate.
Ma questo post mi serve anche per dire quello che penso su un altro argomento.
Sull'odio in rete.
Non vuole essere una lezione, non vuole essere niente.
Ma se aiutasse anche solo poche persone a riflettere sarebbe importante per me.

presenti spoiler dopo immagine di Germano in doccia


Tutti questi anni nei social mi hanno insegnato una cosa che non scopro certo io (ci saranno anche saggi sull'argomento) ma della quale, almeno qui nel blog, non avevo mai parlato.
L'odio, l'odio che tantissime persone riversano in rete.
La vicenda di Fabio D'Innocenzo mi impone (leggasi = impone alla mia coscienza, è una cosa tra me e me) di dire due cose al riguardo.
Non voglio entrare tanto nel merito della questione riguardo lo sconfortante scambio tra Fabio e quell'utente (o più utenti, non so, non mi interessa).
Il comportamento del regista non è giustificabile, fa male, fa rabbia ed è, per qualche verso, insopportabile, specie quando usa la faccenda dei soldi. Molto meglio un "vieni se c'hai coraggio che te meno" che un "ti compro".
Io ho amato il suo post di scuse, ne ho già scritto.
Per qualcuno forse è stato pure peggio ma ci sta.
Quindi, riguardo questa faccenda va bene tutto, è stato qualcosa di impossibile da non vedere e impossibile da non commentare.
Quello però che si è creato dopo fa tanto male.
Intendiamoci, è una cosa ormai radicata nei social e radicata, ben prima dell'affaire Fabio, anche verso i D'Innocenzo, questi giovani (per me straordinari) autori che vuoi per il successo avuto (anche di critica) vuoi per l'immagine che hanno si sono ritrovati loro malgrado ad essere il bersagli perfetto dell'odio generale.
Quindi andiamoci all'argomento principale, e non dobbiamo aver paura di chiamare le cose con il loro nome.
Odio.
E' un sentimento che per fortuna io non ho mai provato malgrado me ne sono capitate di situazioni in vita per cui sarebbe stato facile - e forse in alcuni casi anche salvifico -provarlo.
Però, ecco, è un sentimento terribile, estremo, che di certo capisco in molti casi, non lo condanno a prescindere.
Ma quello che vedo nei social è qualcosa che mi fa male, tanto.
Vedere centinaia di persone, veri e propri branchi, che offendono, perculano, umiliano e scherniscono bersagli comuni è un gesto vile, penoso, inumano.
Girare per la home di facebook e trovare centinaia di post contro Fabio D'Innocenzo, spesso fatti da presunti addetti ai lavori, è vergognoso e tanto svilente. Ed è incredibile come per "contestare" il comportamento di uno (Fabio) si usi una violenza ancora più forte di quella che è stata alla base della reazione generale.
Si offende, umilia e percula Fabio per le sue terribili risposte (ripeto, non giustificabili) e per farlo si è ancora più violenti di lui, più cattivi di lui. E, non solo, mentre lui in tutto quello che faceva era da solo qui lo si attacca in centinaia e centinaia di persone, uomini anche adulti che offendono, si mettono cuori a vicenda, faccine che ridono. 
Uomini adulti.
Che fanno questo.
E ci sono gruppi che lo fanno "di professione", che mettono alla berlina persone, senza ironia, senza divertimento, ma proprio con cattiveria, con un senso di superiorità imbarazzante.
Queste persone, questi branchi di persone che fanno questo, che odiano in rete, che scherniscono gli altri dandosi intanto pacche sulla spalla tra loro, non sanno che il cyberbullismo non è necessariamente quello che si fa verso persone sconosciute o giovani (come adolescenti o bambini) ma è, tout court, quello che distrugge e umilia pubblicamente attraverso la rete altre persone.
Quello che accade con Fabio e tante altre persone è un vero e proprio cyberbullismo.
Ma tanto finchè non ci scappa il morto tutti continuano, pensano di stare in un mondo dove le loro offese e derisioni non sono niente, non fanno male a nessuno, sono risate tra amici.
Ogni 10 frasi che ho letto verso Fabio forse una o due erano o di giusta critica o di simpatica ironia, le altre 8 vere e proprie offese e derisioni, di una cattiveria inaudita.
Ma tanto chi leggerà queste righe penserà che io sto esagerando, ahaha, cyberbullismo, ahah, le nostre frasi son gravi, ahah, senti questo che deficiente.
Anzi, non solo non capiranno ma probabilmente io stesso verrò deriso per tutto questo discorso.
E va bene, tanto come disse la vedova Schifani "loro non cambiano", è vero.
Ma se ogni 10 persone che hanno letto sto mio discorso ce ne sarà anche soltanto una che mi contatterà per dirmi che ha riflettuto sulla cosa e che sì, si vergogna di quello che faceva e adesso cercherà di avere più rispetto per gli altri, ecco, allora questo post un pochino sarà servito.
Io ho avuto una persona colpita da cyberbullismo, molto più contenuto di quello verso Fabio D'Innocenzo.
E ha pensato comunque di farla finita.
Se tutti quelli che odiano, offendono e deridono si immaginassero che la vittima di migliaia di commenti pieni d'odio fossero il proprio fratello, il proprio figlio o il loro migliore amico, come si sentirebbero?
Se vedessero che centinaia di persone si alleano per colpire un bersaglio, ridendo tra loro, non troverebbero la cosa inumana e vergognosa?
La chiudo qui, lasciando chi tanto non cambia al proprio comportamento (anzi, ora avete anche me per divertirvi 10 minuti) e sperando che qualcuno possa riflettere.
Non li cambieremo i social, questo è certo.
Ma ogni persona che migliora è una piccola parte di mondo che migliora.


Detto questo io ho trovato America Latina splendido.

Non c'entra niente la mia "amicizia" con Damiano, anzi, se siamo amici (sempre tra virgolette) è proprio grazie ai lavori che fanno.
Nelle loro opere trovo tanto di me, trovo affinità elettive, trovo una ferocia e una poesia con cui anche io vedo il mondo, trovo un'atmosfera che riconosco, trovo suggestioni che amo e che mi emozionano, trovo tante cose su cui rifletto ogni giorno.
Non mi piacciono i loro film perchè mi piace Damiano (credo la persona più umana, dolce e capace di regalar poesia che ho incontrato questi anni) ma mi piace Damiano perchè mi piacciono i suoi film, è l'opposto.
E, tornando a sopra, trovo impossibile, terribile, disonesto, cattivo, che i loro lavori possano essere definiti merda, "ciofeche", penosi. E spesso lo dicono addetti ai lavori (non è un caso però che fuori dall'Italia, paese culla dell'odio verso i fratelli, i loro film abbiano vinto premi importantissimi).
Un addetto ai lavori non può definite merda opere così scritte, così girate, così fotografate, così coraggiose.
Può criticarle, può trovarle troppo ambiziose, può trovarle anche "sbagliate", ma solo l'odio verso i registi può portarli a deriderle.
E qui non è Giuseppe che scrive, qui siamo sull'oggettivo.
La merda, nel cinema, è un'altra.

I D'Innocenzo virano nel thriller psicologico.
Non che i due precedenti film non abbiano messo la psicologia dei loro personaggi al centro di tutto, anzi...
Ma il thriller psicologico è quello dove la psicologia del protagonista non è tanto una caratterizzazione dello stesso o una parte del soggetto ma vero e proprio personaggio del film, il modo di viverlo quel film, la vera chiave per seguirlo e disvelarlo.
I migliori thriller psicologici sono quelli in cui noi stessi entriamo in una mente, non ci limitiamo solo ad avercela davanti.
E in questo senso America Latina è perfetto, perchè noi siamo, in tutto e per tutto, quello che produce la mente del suo splendido protagonista, Massimo, interpretato da quello che ormai è da considerare uno dei migliori attori italiani di sempre, Elio Germano.
Massimo è un dentista, benestante, con una villa che pare di essere in America (magari è lì il gioco di parole del titolo con Latina - zona dove è ambientato il film -  non lo so).
Ha una bella famiglia, una giovane moglie (forse troppo giovane...., coff coff) e due figlie, una bimba e una ventenne.
Famiglia come ce ne sono tante, con momenti distesi ed altri più nervosi.
In ogni caso famiglia sulla quale Massimo fa molto affidamento, specie sulla moglie.
Un giorno l'uomo va in cantina a cercare delle lampadine.
Troverà una ragazzina legata ad una sedia, sequestrata, sporca, probabilmente lì da molto molto tempo (questo suggeriscono i rifiuti).
Contro qualsiasi legge umana Massimo le darà sì conforto, ma senza liberarla.

America Latina è un thriller "secco" (con questo termine, mi sembra, me lo annunciò Damiano quando cominciò a scriverlo, unica volta in cui ho parlato con lui del film, cosa che non amo fare prima di vederli), di quelli che lasciano poco respiro allo spettatore, non si perde in sottotrame inutili (dura 90 minuti, ottimo) e che va dritto per il suo percorso.
E' un film che si porta dentro due colpi di scena, uno molto piccolo (talmente piccolo che quasi potremmo non definirlo tale, ovvero scoprire chi in realtà aveva sequestrato quella ragazzina) e un altro più grande che si svelerà nel finale e sul quale, purtroppo, dovrò tornare alla fine con molte perplessità.
Quello che adoro dei film dei gemelli (io sono uno dei pochissimi che considera Favolacce e America Latina abbastanza sensibilmente sopra il loro bellissimo esordio de La Terra dell'abbastanza) è farmi entrare in una atmosfera che adoro, che mi mette a disagio, che è perturbante, che nasconde insidie in ogni piccolo gesto.
E' ovvio che a differenza di Favolacce qui abbiamo un personaggio e un attore che sono quasi l'intero film, non tanto per la scrittura in sè (anche per quella) ma anche per la mostruosa prova di Germano.
Tutti quei disagi di cui parlavo, tutte quelle paure latenti, tutto quel perturbante sono merito di questo attore straordinario. Un attore con un viso innocuo che solo col respiro (incredibile questo aspetto nel film, il respiro di Germano) riesce a metterti ansia, che interpreta in modo sublime dei personaggi apparentemente pacifici ma spesso nervosi, vere e proprie corde di violino.
I suoi sguardi, il suo camminare (magnifiche alcuni piani sequenza con carrello a seguire, come quello quando esce per la prima volta dalla cantina, degni di Aronofsky), il suo fare e spesso anche il suo non fare sono sempre momenti di forte disagio per lo spettatore, alle prese con un uomo che sembra celare un mostro dentro di sè pronto ad esplodere in ogni momento.
A tal proposito la scena dei tubi spaccati in cantina o quella, impressionante, dello scatto d'ira mentre la figlia suona il pianoforte sono emblematiche.
Quest'ultima scena poi è un miracolo di tensione, regia e psicologia (con il quadro che lentamente si fa sempre più rosso) degna di horror d'autore.
Tra l'altro richiama da morire quel magnifico e archetipico racconto che è Il Cuore Rivelatore di Poe, con Germano che, per senso di colpa e paura di essere scoperto, sente le grida - in realtà inesistenti - della ragazzina di sotto.
In realtà le scene tecnicamente superbe son tante. E ne approfitto per dire che se è vero che il cinema dei D'Innocenzo per tematiche, gelo e trame ricordo quello mitteleuropeo (tedesco, austriaco) e il greco è anche vero che a livello registico se ne discosta totalmente.
Il cinema dei gemelli è cinema mosso, con una sequenza diversa dall'altra, con dei movimenti di macchina continui e bellissimi, con cambi di prospettive, con primissimi piani che diventano campi lunghissimi, con un gioco di riflessi perfetto (in un film in cui lo specchio è importantissimo, anche a livello semantico e psicologico). 
C'è quella ripresa da fuori della finestra, tutta basata su noi che vediamo al contempo loro che parlano dentro e il riflesso del loro giardino, che è spettacolare.
Ecco, se i loro film, o almeno gli ultimi due, son sì glaciali, glaciale non è sicuramente il modo di muovere (o non muovere) la macchina da presa.
Già che parliamo di bellezza di immagini o scene voglio anche ricordare la doccia "orizzontale" di Germano, l'intensa e nervosissima scena notturna tra lo stesso Germano e Lastrico (un attore che si chiama Lastrico che chiede un prestito nel film...) o la scena "greca" della torta, con quella masticazione che, come lo stesso respiro di Germano, diventa un tormento per lo spettatore, dandogli sensazioni spiacevolissime.
Non parlo della magnifica fotografia (spesso la luce vira nel rosso, sempre con valenza semantica) o delle prove degli attori in cui, e questo è davvero raro, non se ne trova uno fuori parte.


Ma è indubbio che, come abbiamo detto, la forza di questo film, o almeno la base dello stesso, sia nella scrittura psicologica del suo personaggio principale.
Un uomo fortemente disturbato, schizofrenico, immaturo (come spesso gli uomini nei film dei gemelli).
Un uomo che ha un abisso nella mente gigantesco.
Non è un caso che quella ragazzina sia segregata nella cantina, vero e proprio simbolo - la cantina dico - dei nostri angoli più bui, di luoghi che teniamo in basso, nascosti, ma dove ogni tanto abbiamo bisogno di tornare (c'erano due locandine magnifiche di questo film, ne ho scelto una ma l'altra era emblematica di questo discorso).
E restando in questa metafora cantina = luogo più nascosto della mente, quello dove teniamo i nostri segreti più terribili, è abbastanza simbolico in questo senso che Massimo decida di svelarsi, di confessare, quando la cantina è completamente allagata.
Quando, insomma, capisce di ritrovarsi con l'acqua alla gola, quando è vicino ad annegare nel suo stesso segreto, quando è vicino al collasso (e buffo che ieri, dopo America Latina, abbia visto Magnolia, per me il film sul collasso per eccellenza).
Tutto è solo frutto della mente di Massimo, e non parliamo del presunto colpo di scena finale soltanto ma tutto tutto.
Anche gli stessi colori, la stessa fotografia, la stessa luce riflettono l'oscurità (il buio) e la colpa (il rosso) della sua mente.
Lo stesso bar dove va è un bar senza luci, buio, come non ne possono esistere.
La luce è data solo da un elemento, da casa sua e dalla sua famiglia.
Lì c'è quasi sempre sole, loro sono quasi sempre radiose, bionde e brune, belle, vitali.
Anche se sempre meno vitali...
Ma uno spettatore accorto non potrà non accorgersi di alcuni elementi strani, quel loro essere spesso vestite in anacronistici e lunghi abiti bianchi, un pò fantasmi e un pò Hanging Rock, il fatto che nessuno (colleghi, amici o padre)  faccia menzione alla famiglia di Massimo, quel fidanzato che non si vede mai etc...
Insomma, io e il mio compagno di visione siamo arrivati alla fine che già ben prima di metà film avevamo scoperto il segreto di Pulcinella.
Ed è qui che, negli ultimi 5 minuti, il film compie degli errori madornali secondo me.
C'erano 4 tipi di possibili svelamenti.
Il primo era quello di non dire niente di più di quello che è stato mostrato. Avremmo avuto il dubbio ma sarebbe stato tutto molto affascinante.
Il secondo è stata la scena della cantina allagata, con la famiglia che scompare.
Bellissima scelta, certo un aiuto già per me troppo grande ma che rende tutto molto molto affascinante, come piace a me.
Poi, come non bastasse, avremmo avuto l'ultimissima scena, davvero bella e anche emozionante - quella sul carcere - ma secondo me sbagliata concettualmente, ci stai dicendo in maniera esplicita qualcosa di cui eravamo già abbastanza sicuri, non ce n'era bisogno, si guadagna in cinema ma si perde in mistero.
Ma, ahimè - e mi dicono che questa cosa sia stata aggiunta dopo, maledetto chi l'ha fatto fare - quella voice off del telegiornale è una mazzata tremenda al film, al suo nascondersi, alla sua perfezione psicologica, al suo mistero, al suo fascino.
Una voce che ci dice letteralmente tutto e depotenzia sia le scene che la precedono che la scena che la segue.
Un piccolo suicidio.
Tra l'altro curioso come entrambi i film, Favolacce e questo - si concludano con un telegiornale.
Ma mentre in Favolacce quel tg non solo non svelava nulla ma, anzi, dava complessità al film e lo rendeva difficilissimo da interpretate, qui rappresenta uno spiegone per lo spettatore medio che, in un film così, stona tantissimo.


Tornando alle cose belle davvero potente questa descrizione di Massimo, un uomo-mostro che, schizofrenicamente, poi si pente sempre di tutto quello che fa e piange, piange, piange per qualsiasi cosa. 
Un uomo solo, depresso latente, insoddisfatto, senza nulla e per questo costretto a crearsi una vita perfetta in realtà inesistente.
La realtà è invece quel padre malato che lo odia (splendida quella sequenza) e un amico che è costretto ad abbandonarlo.
Nient'altro.
Pasticche, alcoolismo, è vero, ci sono anche cause diverse per quello che Massimo è.
Ma si ha l'impressione che la sua malattia lo porti a quegli abusi, non il contrario.
Probabilmente il Massimo che piange è quello che ha rarissimi momenti di lucidità (quindi nè il mostro che ha rapito e torturato una ragazzina nè l'uomo felice che vive in mezzo a quella famiglia), sono gli unici momenti in cui qualcosa di reale affiora nel suo cervello, facendogli provare un dolore e un senso di vuoto assoluto.
Film bellissimo.
E ancora una volta il racconto di rapporti famigliari terribili (sempre così nei D'Innocenzo).
Sembra quasi che l'unica famiglia felice possibile sia una e soltanto una.
Quella che non esiste

46 commenti:

  1. in attesa della Director's Cut, non disapprovo quelle sequenze finali. Sì, ecco ... la voce fuoricampo sembra applicata con il cerotto e poteva benissimo non esserci, ma stiamo parlando di 7-8 sec di audio. Mentre se proprio proprio, la metafora dell'acqua alla gola è bellissima, ma fatico a capire quanto tempo è passato dalla rottura del tubo all'allagamento. Così come, oltre ad aver brevettato una nuova tecnica di bevuta delle bottiglietta da 250, come e quando la prigioniera espletava i suoi bisogni?
    comunque sono dettagli ...

    questo di seguito il mio commento
    "Ho dovuto metabolizzarlo. Non che vi fosse qualcosa da capire, ma durante la visione non mi sentivo "finito". L'analisi a freddo mi ha permesso di scrivere "non riesco a trovare difetti".
    Non mi ha soddisfatto appieno, ma farei fatica a modificarne qualcosa, anche se nel racconto manca tutto il prima e poteva esserci un dopo. Invece, quello che doveva essere raccontato c'è tutto, con tutto il carico di disagio, ansia e angoscia che gli autori riescono a trasmettere; anche grazie all'interpretazione dell'eccellente Germano (a cui la telecamera si incolla con inquadrature a prova di brufolo).
    Impossibile scrivere della trama senza rischiare di spoilerare qualcosa, quindi mi soffermo sul resto, a partire dalla location. I f.lli innocenzo scelgono una villa "non luogo", una di quelle strutture che possono finire su una rivista come manifesto kitsch. Da architetto, confermo che nelle nostre profonde periferie, fuori da centri urbani principali, talvolta esistono episodi di così brutto gusto da apparire attraenti.
    Il resto dei paesaggi sono limitatissimi, alcuni rari spazi aperti sempre visti in campo chiuso, ristretti (mai un orizzonte, mai una visione dall'alto) e lo studio medico (dentro alla bocca del paziente).
    A contrasto a queste costrizioni di contesto e inquadrature, la regia ci offre spesso visione sospese, quasi come fantasmi, tramite immagini riflesse da vetri, specchi. Non sono dettagli, ma fondamentali messaggi a noi spettatori, per suggerirci cosa stiamo vedendo, quali sono gli stati d'animo dei protagonisti. Nella miseria dei luoghi (la cantina in cemento armato spoglia, la piscina in inverno abbandonata, ecc...) ecco la perfezione della famiglia, le 3 donne (moglie e 2 figlie) perfette, sempre tra loro coordinate, sempre belle, sempre affettuose, sempre con outfit dalle tonalità morbide, accoglienti. C'è molta cura nei dettagli, nella messa in scena, nel sonoro (i rumori sono enfatizzati) e nella cura della colonna sonora in cui riascoltiamo (finalmente) i Verdena. Ma i protagonisti sono i dialoghi, anzi le assenze nei dialoghi. Da spettatori ci si innervosisce quando i pochi personaggi, tra loro, non sono mai chiari, quasi non abbiano la forza, la voglia, la POSSIBILITA' di finire quanto iniziano a dirsi.
    Un film che dividerà, ma che conferma l'abilità di scrittura dei F.lli Innocenzo e l'amore che hanno per il cinema. Certo i loro soggetti sono respingenti e tendono troppo a mettere luce su gente che luce non la merita (e non la vuole).
    Meno folgorante, forse meno bello di "Favolacce", ma forse più misurato, più intimo e "finito"; buffo, ero partito con questa mia dicendo che dopo la visione non mi sentivo "finito"."

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    1. E' vero i registi si rifanno a certo cinema Haneke, lanthimos e similari, ma alla "staticità" visiva di questi, loro aggiungono sempre molto movimento (di camera). Sarà anche per questo che li apprezzo tantissimo.

      ps. a me il loro primo film era "piaciucchiato", questo e soprattutto "Favolacce" sono nettamente superiori

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    2. 1 sì, ma anche solo 7-8 secondi possono rovinare un finale di un film (e quasi un film intero), la durata "dell'errore" conta poco

      guarda, si vede dietro un water. Non vediamo mai lui che l'accompagna a fare i bisogni ma c'è il water. Farà parte della...parte di personalità di Germano che non vediamo mai

      2 verissimo, anche a me capitano tantissimi film che magati non mi restano nel cuore o non trovo stupendi ma, in qualche modo, non riesco a trovargli difetti. Per quello che volevamo essere, per quello che volevano e potevano raggiungere hanno fatto il massimo

      3 ahah, bella la critica analisi da architetto!

      4 riguardo gli specchi sai che vorrei rivederlo per vedere se ci sono scene in cui magari il resto della famiglia non viene riflesso? potrebbe essere

      5 vero, vediamo le 3 donne come e sempre un corpo unico. Poi scopriremo perchè, fanno parte di una medesima allucinazione di perfezione e allora ecco come mostrarle come un'unica persona

      6 sonoro spettacolare...
      E sì, io adoro i dialoghi o non dialoghi dei D'Innocenzo

      7 i film dei gemelli divideranno sempre, un pò perchè sono film che dividono di suo, un pò perchè la maggior parte delle persone, ormai è evidente, non sa scindere autore ed opera

      8 anche per me Favolacce resta una spanna sopra. Ma per me quello è uno dei più grandi film italiani recenti, conto poco come giudizio ;)

      9 sì sì, glaciali ma mossi ;)

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  2. Splendida recensione, come sempre quando ami un film ;)

    Anche questo terzo film dei D'Innocenzo fa centro. Malgrado quella voce fuori che campo sia una coltellata incredibile (ma davvero è stata fatta aggiungere dopo? Omg! Qualcuno dia un cuore a chi ha pensato questa atrocità!). Eppure, Giuse, anche secondo me questo è un bellissimo film. A proposito del quale ho scritto alcune cose e voglio condividerle con te e chiunque vorrà:

    https://www.filmamo.it/scheda/america-latina#recensione-374


    A proposito, invece, degli odiatori e della vicenda di Fabio D'Innocenzo, vorrei dire soltanto che trovo sincere sia le sue scuse (ho letto il suo post) sia le ingiustificabili parole rivolte al suo/suoi hater. Queste ultime sicuramente inaccettabili, forse comprensibili (il cyberbullismo esaspera), certamente uniche, nel senso che non si ripeteranno. Almeno credo. Riguardo agli odiatori, siano essi addetti ai lavori o meno, che certamente non sono una derivata dei social (esistono da sempre, solo che ora, come chiunque, hanno infinite possibilità di esprimersi), sono degli analfabeti dei sentimenti e delle emozioni che possono essere aiutati solo se imparano a riconoscersi quando si guardano allo specchio. Temo non lo faranno mai. Ma riflessioni come la tua possono contribuire a togliere un po' di opacità dal vetro sul quale si riflette lo loro immagine.

    Un abbraccio, Giuse :)

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    1. No vabbeh, recensione pazzesca, forse la tua più bella che ricordi
      la mando a Damiano, siete due poeti e parlate la stessa lungua

      su tutto il resto già sai come la penso, esattamente come te :)

      ancora complimenti, da brividi ;)

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  3. è vero, alla fine ci sono molte cose che vengono spiegate/affrontate tutte insieme, come per un'ansia di non lasciare il film aperto (ma lo è ancora)

    e poi il carcere finale (e se fosse un manicomio criminale?)

    https://markx7.blogspot.com/2022/01/america-latina-fratelli-dinnocenzo.html

    a proposito di quella storiaccia, l'età renderà Fabio più saggio e gli farà evitare i falli di reazione, ne sono sicuro, e poi ha Damiano affianco

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    1. no Isma, non lo è più aperto

      non so che versione hai visto ma quella in sala con quella voice off toglie anche l'ultimo 5% di dubbio
      ah, assoulutamente può essere un manicomio criminale, anzi, ha più senso. Ho messo un termine generico

      lette le tue parole, precise e puntuali come sempre

      deve crescere, se non cresce dopo sta cosa ha buttata un'occasione troppo grande

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    2. l'ho visto in sala, naturalmente, quel più aperto voleva essere una battuta, ma ho dimenticato il punto interrogativo :)

      ciao

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    3. ahah,scusa, avevo proprio letto male la frase

      sì sì, ero sicuro l'avessi visto in sala, mi riferivo alla possibilità che fosse stato a Venezia però (dove quell'audio non c'era)

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  4. Io credo che quando si è "qualcuno", a differenza di quando si è "nessuno", si abbiano maggiori responsabilità. Ho letto il post incriminato del presunto hater: seppur in maniera un po' provocatoria, "accusava" solo i D'Innocenzo di girare brutti film (cosa su cui peraltro sono d'accordo, ma questo non c'entra niente). L'aggettivo usato era proprio "brutto", semplicemente "brutto".
    Ecco, se oggi non si può più nemmeno dire che un film è brutto, allora cosa è concesso scrivere sui social? Quello che è stato davvero brutto (stavolta senza virgolette) è stato a mio giudizio proprio il fallo di reazione di Fabio, che poi ha fatto degenerare tutto l'odio di cui parli.
    E basta per favore con questa storia che i D'Innocenzo sono perseguitati! Ma da chi?? Fanno un cinema difficile, divisivo, autoriale, che a tanti piace e che ad altrettanti rimane indigesto. Come è normale che sia.
    Ci sono tante categorie di "perseguitati" nel mondo di oggi: sono quelli che subiscono in silenzio, gli "invisibili", che non hanno nè voce nè diritti, che vivono ai margini della società.
    Ma i D'Innocenzo no, dai. Non sono perseguitati, solo un po' permalosetti.

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    1. Sauro, a te rispondo subito, agli altri ho paura dopodomani

      rispondo subito perchè sto commento è pieno pieno di errori

      1 Io non ho giustificato Fabio, anzi, ho usato parole nel post anche più dure delle tue. Ho detto che ha scritto cose terribili, ingiustificabili, orrende. Quindi non capisco sto tuo commento che sembra andare contro il contenuto del post, io so stato anche più duro de te...

      2 Se rispondi male a un singolo poi allora è giusto l'odio universale? boh, se la pensi così va bene eh, io vengo da un altro mondo dove il rispetto viene sempre prima

      3 assolutamente sì, sono perseguitati. Tu per fortuna tua forse non giri molto su facebook o su alcuni gruppi. Ma sono letteralmente odiati e derisi, continuamente

      4 stai paragonando il cyberbullismo (che loro subiscono) ad altri tipi di persecuzione, non ha senso, è demagogico dai...

      5 Permalosetto semmai è un fratello, non capisco perchè parli al plurale. Damiamo è una persona meravigliosa, di una bontà rara, non ha nemmeno un social, vive nel suo mondo, nella sua poesia, prende pugni in faccia senza mai dire niente

      mi dispiace Sauro ma difficilmente in poche righe si poteva far più casino ;)

      un abbraccio amico

      (il tuo commento comunque è simbolo di quello che dico, è figlio di uan avversione così grande - non lo chiamo odio - che fa perdere la bussola e la coerenza)

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    2. p.s. riguardo il film, vorrei capire come si possa definirlo "splendido" malgrado i difetti che tu stesso gli riconosci (e che direi essere oggettivi), non ultimo quello più evidente: lo spettatore-medio (categoria alla quale ritengo di appartenere) intuisce dopo dieci minuti come stanno le cose, il "colpo di scena" finale è più telefonato del rigore di Pellè in nazionale... gli riconosco, senza ombra di dubbio, una confezione di alta classe (scenografie, fotografie, musiche) che però da sole non bastano a salvare un film pretenzioso, prevedibile, stanchissimo, lento, che si avvita su se stesso per 90 estenuanti minuti. E che comunque è perfino meglio di "Favolacce".

      p.p.s. si può dire "pretenzioso, prevedibile, stanchissimo, lento", o Fabio s'incazza?

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    3. Io non giustifico affatto l'odio! Dico solo che se si decide di stare sui social si devono mettere in conto cose di questo tipo. I commenti violenti, ignoranti, insulsi, si possono sempre cancellare. Gli utenti indesiderati si possono bloccare, gli strumenti ci sono. Quello che non accetto, e che mi fa più paura, è che con questa storia dell' "odio" si voglia mettere il bavaglio alla critica.
      Io non sono affatto prevenuto verso i D'Innocenzo. Non li conosco personalmente, come potrei esserlo? Sarò però libero di scrivere che i loro film non mi piacciono???

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    4. beh, se non commenti significa che non sono io ad essere prevenuto ma tu ad avere un grosso conflitto di interessi (che rispetto) con i due registi.
      Io però preferisco essere libero.
      Buonanotte.

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    5. assolutamente d'accorod con tutto il tuo primo paragrafo

      sul secondo invece stai mentendo a te stesso Sauro, non li sopporti ;)

      lo hai praticamente scritto in maniera esplicita in tutti e due i commenti

      siamo grandi dai, e sappiamo leggere (e qui nemmeno tra le righe, è esplicito)

      non li sopporti e ci sta, ci mancherebbe

      e figurati che puoi dire che il loro film per te è brutto, ma certo

      però, ecco, magari non dire a chi l'ha trovato splendido (e siamo in tanti eh) che non è possibile

      e, se puoi, eviterei quelle battutine su Fabio, sono proprio la cosa di cui parlo nel post

      parliamo di cinema, se conoscessimo i caratteri di tutti i registi, anche alcuni che te magari adori, allora inizieremmo a parlar male anche di tanti film che amiamo

      lasciamo perdere come sono loro, il film non ti è piaciuto, anzi, l'hai trovato quasi orrendo, e va benissimo così ;)

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    6. talmente tanto conflitto di interessi che sono stato spietato con Fabio

      scusami Sauro ma a me leggendo questo post e i commenti pare che sia molto più libero io di te parlando di loro

      ma impressioni eh

      un abbraccio

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  5. (Parte 1)
    Mi aggrego ai complimenti di Roberto. Questo spazio, come dico sempre, è la dimostrazione che su internet possa esistere anche altro rispetto all’odio, si può amare il cinema anche quando non ci piace. Ma certo, bisogna essere disposti a farlo, a ritrovarci fragili e vulnerabili nei confronti di chi e che cosa ci sta attorno (come deve fare Massimo nel suo viaggio di scoperta e accettazione del Sé). In ogni caso, almeno personalmente, non è questo il caso, con un film bellissimo che nella sottrazione lascia tutto quello che serve per emozionare, per pensare, per riflettere su cosa siamo e dove andiamo.

    La tua recensione è magnifica e, insieme a quella poetica e travolgente di Roberto, credo davvero condensi l’essenza di questo nuovo importante tassello dei D’Innocenzo, mai ripetitivi, mai oziosamente sedimentati sui successi precedenti, ma sempre con nuovi spunti, inedite forme cinematografiche in grado di mettere in crisi (nel senso positivo ed etimologico del termine) il nostro piccolo bagaglio da spettatori, noi spesso fin troppo abituati ad incasellare tutto in generi e stili (che è poi quello che fanno i loro haters: odiare indiscriminatamente, senza rivalutare quel pregiudizio neanche quando il loro cinema tecnicamente parla da sé).

    America Latina è un viaggio esperienziale (quasi espressionistico) dentro un uomo, un uomo che potrebbe essere chiunque di noi, dentro quello che potrebbe accadere (o che forse è già accaduto). Mentre tutto è amplificato, immagini e suoni, a parlare una lingua di suggestione paranoica, dove nulla è ciò che sembra, o meglio dove tutto è oltre a ciò che sembra (anche se con un finale – come dicevate anche tu e Roberto - che non sembra più soltanto, palesandosi invece in maniera fin troppo evidente).
    Con quel Massimo Sisti, tenero ometto dentista che sembra avere ricevuto tutto dalla vita: il lavoro perfetto, la famiglia perfetta, la casa perfetta. In quella villa dalle linee irregolari e discordanti che si riuniscono in ampi finestroni e in un'imponente scalinata d’ingresso che pare piuttosto uno scivolo di un parco acquatico abbandonato a se stesso. Una struttura che vuole gridare al mondo di essere grande come il coloratissimo sogno americano, ma è buttata lì in mezzo alla desolazione di una Latina salmastra immersa tra campi, palme e casolari dismessi. Una correlazione spaziale complementare, per certi versi, a quella di The Florida Project di Sean Baker, dove il colore pastello dell’apparenza nascondeva sotto di sé una profonda disperazione esistenziale (a cui avvicinarsi però con tenerezza ed empatia – come facciamo con Massimo), mentre vicino si stagliava Disneyland in tutta la sua grandiosità pacchiana.

    Tutto è perfetto insomma, finché non si va in cantina. In quei luoghi che contengono tipicamente proprio noi stessi (seppur nascosti ed impolverati): gli scatoloni con i nostri ricordi, i vecchi oggetti ormai usurati ma a cui siamo troppo legati per buttarli via. Cantine che contengono le nostre abitudini, le riserve della nostra quotidianità (lampadine e cibo). Ma soprattutto cantine che in quel freddo e in quel buio tengono in vita come camere di ibernazione i nostri segreti più profondi. Su quei seminterrati Ulrich Seidl aveva fatto un film magnifico (Im Keller - In The Basement), uno dei suoi soliti caustici documentari ad illuminare la parte più oscura delle nostre vite (e anche i D’Innocenzo rifuggono in questo senso dal classico buio della cantina per accecare invece attraverso una luce iper-satura). Lì Seidl osservava (quasi voyeuristicamente) bizzarri sotterranei austriaci che rivelavano gli aspetti più profondi (e perturbanti) di apparenti normalissime persone che li possedevano. Una donna della Caritas e il suo masochismo più sfrenato, un suonatore di tuba dai nostalgici ideali (e cimeli) nazisti, una madre di finti (ma iper-reali) bambolotti da riporre nelle corrispettive scatole-culle. Dove la brutalità si vestiva di normalità.

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    1. (Parte 2)
      Massimo in quella cantina tra tutta la spazzatura sparpagliata a terra trova invece qualcosa che non riesce a ricordare. Qualcosa che non riconosce come parte del Sé (e come invece fanno i personaggi grotteschi di Seidl). E così vuole capire, ma non ricorda. Non ricorda nulla. Cerca su internet eventuali correlazioni tra alcol e memoria. Eppure no, è impossibile (“Non sono stato io”).
      Così pensa all’amico indebitato, il compagno di bevute di sempre. Quell’amico che gli chiede ingenti prestiti in denaro. Magari si è messo in mezzo ad un brutto giro. Lavorando in un concessionario potrebbe aver duplicato le chiavi di casa sua, ipotizza. Ma sicuramente saranno gli altri, sicuramente ci dovrà essere una spiegazione oltre (e al di fuori) del Sé.
      O magari il vecchio padre (“Ma che hai combinato?”), forse non più del tutto vigile. Ma comunque abituato a quei suoi pianti incontrollati che nel momento di apparente massimo controllo si liberano in tutta la loro fragilità. Quel padre che, capiamo, l’ha sempre rilegato in un angolo, in quei piccoli spazi che ora noi vediamo opprimenti nella sua grande e appariscente casa. Un padre ingombrante che gli chiede pure lui soldi (come l’amico), che lo conosce, ma l’ha forse completamente abbandonato a se stesso forgiandolo di fatto ad essere chi è ora (ma forse non chi crede di essere). Lì a curare i “dentini”, come gli dice.
      O che sia ancora la sua famiglia, che lo vuole fregare, che lo vuole tirare (o fare) fuori. Eppure no, non è possibile, la moglie e le figlie lo amano così tanto nella loro purezza, quasi fossero creature angeliche rinascimentali, perfette e dolcissime, ammalianti, seppur inafferrabili, nel saperti sciogliere con uno solo semplicissimo sguardo.
      E allora si continua a non ricordare, si continua a non capire. E si piange, ora per commozione, ora per disperazione. Come quel pianto riempitivo (e ricorrente) di France di Bruno Dumont. Piangere per tornare umani, mentre là fuori vacilla la propria immagine appariscente e maestosa (quella spettacolarizzata ed eccessiva che tutti vedono in televisione in France, quella quotidiana, ideale, eppure tenera e solitaria in America latina – con un’apparenza che appare ma che nessuno vede).
      E così, come le lacrime scendono ininterrottamente a fiumi lungo il volto di Massimo, allo stesso modo vanno giù nel suo corpo continue gocce, giù come i farmaci, giù come gli alcolici. Ma sopra a Massimo in realtà la vita scorre parallela, orizzontale, non va mai davvero giù. Così quando è dentro alla doccia l’acqua scorre solo, passivamente, da sinistra a destra. Gli passa sopra, mai attraverso. Come i titoli di testa dell’inizio, che viaggiano, scorrono, in un movimento che non sale e non scende. Come il mondo fuori dal finestrino che è immobile eppure ci sembra in moto, impossibile da fermare o captare. Come un elicottero che nel suo moto roteatorio pare invece cadere in picchiata. Ma è percezione, distorta ed imperfetta.
      Con forme che da reali si fanno rappresentate, non sappiamo di che cosa, di qualcosa certamente che fa paura. Una torta che sembra finta, con una marmellata rossa quasi collosa, impregnante, irresistibile eppure nauseante, attraente eppure ripugnante come una mela avvelenata. In un mondo asettico come quello del dentista, abituato a toccare tutto con sterili guanti blu in lattice, senza mai sporcarsi, senza mai sentire la consistenza terrigna della sua vulnerabilità umana.
      È un vuoto su cui è stato costruito un palazzo gigantesco, un universo però inconsistente che si staglia dove giù non è mai esistito niente, di fondamenta fragili ed incurvate come il suo corpo rannicchiato. E bisogna quindi scavare e scalfire, come togliere dai denti lo strato di smalto superficiale ormai non più sano, per farli tornare a risplendere in un sorriso bellissimo forse impossibile.

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    2. (Parte 3)
      Massimo insomma riceve il mondo, con un’identità ormai in bilico ignorata e sacrificata per quell’immagine superficiale grandiosa che appare come l’appariscente casa al nostro primo incontro.
      Ma mentre si scava, giù e ancora più giù, mentre da un lato l’acqua ti scorre orizzontale sul viso, lineare ed imperturbabile, in quella cantina l’acqua sale e sale ancora, togliendo spazio e respiro, in quelle zone bonificate lì dove appunto esiste acqua anche al di sotto del livello del mare. Dove pure gli alberi crescono sopra, sopra le torrette, sopra i campi o le buche nel terreno. Mentre l’acqua torbida di una piscina trascurata e contaminata non viene più pulita, lì in stasi costante.
      Servirà fare ordine tra quei pezzi, frammenti scissi come cocci riflettenti di un’epidermide smaltata che si sta appunto desquamando.
      Che cosa è realtà e che cosa è costruzione? Che cosa è verità e cos’è sogno (nel senso di desiderio assoluto)? Se in Favolacce si metteva in dubbio l’affidabilità del narratore, qui ad essere poco affidabili non sono le parole, ma le immagini raccontate e filtrate da una voce interiore, che le riflette in un sussurro contro le pareti fragili di un corpo in via di distruzione.

      La sua famiglia lo ama incondizionatamente. Ma per amare gli altri bisognerebbe innanzitutto amare se stessi. E in quei grandi finestroni non vedere più il mondo specchiarsi, ma il proprio riflesso. Dritto davanti a sé. Poter contemplare finalmente il controcampo di quel grande capo pelato che prima ha invaso la scena, vedere il davanti non della facciata, ma della propria anima lacerata. E come in Babadook potersi occuparsi dei mostri, in un modo o nell’altro.
      Giochiamo ad essere grandi, ma in fondo siamo sempre in un immenso parco di divertimenti, di imponenti giostre ingannevoli, di dinosauri di plastica, di scalinate come scivoli d’acqua. Autentici come bambini, ma figli di quello che abbiamo vissuto in quanto adulti. Ma amare non è un gioco, amare non è un giro di giostra. Amare può essere una casa degli orrori. Se non sai vedere chi sei tu, e chi c’è allo specchio, nel tuo riflesso. “Non è pazzia”. Solo umanità, fragile e vulnerabile all’ennesima potenza. Voler amare, poter amare. Con quella forza salvifica di Another Round, che vince tutto tenendoci su, a galla.
      Ora con qualche punto di domanda in meno.
      Lì dove forse l’acqua è finalmente arrivata al livello 0 del mare.
      “Vorrei che proteggessimo tutto questo”.

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    3. no, vabbeh, incredibile, ormai ho letto decine e decine di cose di te e Roberto e, a pelle, la vostra recensione più bella è quella di America Latina

      questo a testimoniare quante cose lasciano i film dei gemelli, quante ne tirano fuori, quante suggestioni, quante letture. E' quasi un miracolo nel cinema italiano.
      Questo ovviamente per chi ama queste scritture e questo cinema eh, sicuramente non per tutti, come è giusto che sia

      pazzesca Riccardo, sarà bellissimo mandare anche la tua a Damiano

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    4. Caro Riccardo, posso permettermi di dirti una cosa qui in pubblico? Scrivi sempre meglio. Le idee, il sentire, l'emozione, ci sono sempre stati. La "forma" - che è l'unica "sostanza" possibile per una composizione che vuole essere altro da sé - non è certo immediata, "facile", accessibile per tutti. E tu, in qualche modo, a mio modo di vedere, la stai facendo sempre più tua. Certo, non sono il tuo biografo, e spero mi perdonerai se dico certe cose. Infine, ti ingrazio per le belle parole che mi dedichi ogni volta. A te e a Giuseppe, il mio più affettuoso abbraccio :)

      Hai detto tantissime cose intriganti e suggestive, una in particolare ha colpito la mia attenzione. Il tuo riferimento all'elemento orizzontale. L'acqua della doccia, i titoli di coda. Il paesaggio fuori dai finestrini. Metafore di "una vita che scorre parallela e non va mai davvero giù". Sì, esattamente, splendido. E mi hai fatto ricordare quella poesia di Sylvia Plath, "Io sono verticale", in cui esprime il desiderio di essere orizzontale, cioè parallela alla vita, attraversata soltanto, roccia che resiste alla forza del fiume - e forse pensava a questo quando infilò la testa nel forno... Al contrario di Massimo, il quale vorrebbe essere verticale ma è orizzontale, perché la vita è in frantumi da sempre, e quella danza isterica in cui si è rifugiato ha tirato fuori solo estinzione. Insomma, complimenti a te. Mi ha dato ulteriori suggestioni su cui riflettere.
      :)))

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    5. me vengono abbasta i brividi Roberto perchè ti giuro su mia figlia quando ho commentato Riccarco avevo scelto come passaggio più bello di tutta la sua lunghissima recensione lo stesso tuo.
      Anzi, l'avevo già copia incollato per intero e volevo commentarlo.
      Poi siccome ce n'erano tanti altri ho preferito non farlo.
      Sarebbe stato buffo che su 10000 parole avremmo evidenziato le stesse 50. Ma così è stato

      quando ha scritto della doccia in orizzontale così come i titoli, trovando la metafora, ho percepito quella sensazione che si ha quando qualcuno ha scovato qualcosa di bello e nascosto

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    6. Grazie mille Giuse! Sei sempre gentilissimo.
      In effetti è incredibile la magia dei gemelli, che riescono a tirare fuori da ogni spettatore energie e suggestioni anche diversissime, spesso tenute sopite fino a quel momento, come se fossero capaci di risvegliare in noi riflessioni che mai fino ad allora eravamo riusciti a concretizzare così precisamente. Sono opere che ci guidano in un universo condiviso tra noi e gli autori, dove però a chiunque viene dato lo spazio di arricchire quella storia già di per sé solidissima. E, come dici, è un approccio che deve piacere, ma soprattutto che bisogna avere la fortuna di trovare in artisti e poeti come i gemelli che riescono a farlo in maniera davvero esemplare.

      E grazie di cuore anche a Roberto! Complimenti del genere valgono il triplo detti da una persona come te che di quella strana entità chiamata forma ne ha fatto struttura unica e riconoscibile, cassa di risonanza per far vibrare ancor più intensamente il tuo travolgente spirito poetico.
      Quindi davvero grazie, non sai quanto le tue parole mi riempiano il cuore di gioia. Rappresentano uno stimolo fortissimo per scrivere ancora e sempre di più (e come ho avuto occasione di dire più volte è proprio grazie a questo spazio che ho iniziato nel lontano 2016, quando un giovanissimo me si è avventurato nella selva oscura della scrittura dal festival di Venezia proprio per il blog). E anzi: sarebbe un onore poterti avere come biografo personale (anche se la mia vita è abbastanza noiosa devo dire ahaah), credo che chiunque vorrebbe ri-organizzare i frammenti della propria vita filtrandoli con le tue parole sempre così accurate e pregne, emozionalmente grandi.
      Come diceva, Giuseppe, la tua recensione è davvero forse una delle più belle che tu abbia mai scritto (tra quelle che ho letto), piena di riferimenti, suggestioni, emozioni così uniche che servirebbe leggerla e rileggerla per coglierne ogni volta una sfumatura nuova, per ri-conoscere il film, ri-conoscere te e quindi ri-conoscere se stessi.

      I titoli e l'orizzontalità devo dire che sono stati un vero e proprio colpo di fulmine già durante la visione, una suggestione che via via però nel dopo si è impressa irrimediabilmente a livello interpretativo (sarebbe interessante capire se Damiano e Fabio abbiano scelto i titoli proprio con questa finalità). Anche perché in generale tutto il film poi acquisisce valore nel sopra/sotto, fuori/dentro, mentre in una vita come quella di Massimo i contrasti e gli opposti sembrano invece non parlarsi mai. E Massimo infatti vuole parlare, dire, trovare qualcuno a cui poter gridare il suo amore, ma invece è solo sussurro, di parole non dette, che rimangono, scorrono anche loro orizzontali sopra il suo corpo e sopra i suoi riflessi.
      E in questo senso il discorso verticale-orizzontale è completamente diverso da Parasite (che pure dialogava con una cantina nascosta). Lì gli spazi diventavano simbolo di status sociale, luoghi da conquistare in una rivoluzione classista per ribaltare ruoli e maschere. Questo tipo di mimesi qua è invece del tutto assente, perché Massimo prima ancora di cambiare deve scoprire il suo status, prima di rompere lo specchio deve lì riconoscere chi vede davanti (di nuovo proprio nel guardare uno specchio orizzontalmente si ha la possibilità di riconoscersi).
      E bellissimo anche il riferimento a Sylvia Plath.

      Grazie ancora Giuse e Roberto! Un grande abbraccio ad entrambi

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  6. rispondo a tutti venerdì, domani credo sia letteralmente impossibile

    so che annunciarlo è ridicolo ma siccome ho risposto ad un commento me sembrava corretto dillo ;)

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  7. Grande Giusè. Io sono andato a vederlo ieri sera e purtroppo devo ammettere che non mi è piaciuto. Mi spiace pure un sacco perché con tutto il casino che era venuto fuori avrei voluto tornare a casa con gli occhi a stella. Sono piuttosto in linea con quello che ha scritto Sauro poco sopra, anche se in maniera meno catastrofica. In effetti in alcuni punti del film mi sono annoiato. Speravo che un bel finale potesse risollevare la mia esperienza ma è successo l'esatto contrario, perché mi ha fatto abbastanza cascare le braccia. Non è nemmeno un problema del twist visto che, scemo come sono, l'ho capito tardissimo :-D. La scena della cella proprio non sono riuscito a farmela piacere e questa, assieme alla gestione dell'intero finale, per me ha pesato tantissimo. In generale, per quanto apprezzi l'autorialità, in un film così avrei preferito qualche soluzione più diretta, senza andare troppo per il sottile o ricercare spasmodicamente l'inquadratura e il fotogramma perfetto. Chiaramente si tratta di una mera questione di gusti personali. Niente di più, niente di meno. Quello che però mi piace del cinema è che spesso è in grado di farti vedere volentieri film che alla fine non riuscirai ad apprezzare appieno. Per dire, qua di cose belle ne ho comunque viste tantissime. Elio Germano per quanto non mi stia simpatico è mostruoso. Ci sono davvero tante belle scene esteticamente incredibilmente affascinanti. Oltre a quelle da te citate, a me è rimasta impressa la camera fissa da dietro la finestra della camera da letto, subito dopo la "scoperta" della bambina. E ancora una volta, come accadde per Favolacce, ho trovato magnifica la colonna sonora. Minimale, coinvolgente e sempre a fuoco. Per me davvero clamorosa e te lo dice uno che, molto colpevolmente, i Verdena non se li è mai cagati.
    Per quanto riguarda la prima parte del post credo non ci sia niente da dire, sai che siamo d'accordo su tutto. Trovo tra l'altro che ti faccia un grande onore parlare di certe tematiche. Ormai si da tutto un po' troppo per scontato e questo non fa altro che farci sentire in diritto di superare determinati limiti di decenza e dignità.
    Grande Giusè, a presto. Un abbraccio.
    P.S.: credo sia doveroso fare un plauso alla bambina. Ho visto che ha 13 anni e si è fatta un film intero legata e imbavagliata riuscendo ad essere sempre convincente e credibile. Poi il trick della bottiglietta parla da solo, dovrò cercare di impararlo io stesso.

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    1. ciao Marco!

      1 assolutamente, a prescindere da quanto il film sia piaciuto, tantissimo o per niente, il finale credo sia la parte più debole per entrambi gli schieramenti. E si sa, quando una cosa finisce male perde tanto, meglio semmai che inizi male, ahah
      2 a me la loro estetica piace tantissimo, è significante e significato, non la trovo mai una ricerca dell'inquadratura perfetta tanto per (come wes anderson)

      3 oddio, ma me sa che della scena che citi ne ho parlato, anche per me è una delle 3-4 più belle. Son sicuro diciamo la stessa!

      4 io i Verdana alla fine mai ascoltati bene, nemmeno ai tempi. Concordo con te

      5 grazie amico, ma era un argomento che mi star male a volte, mi viene da vomitare a girare in rete. Post di odio per cinema, politica, calcio, tutto. Odio, sempre. Mi fa paura e dovevo dire la mia

      6 ahah, vero! no, io quella cosa della bottiglia l'ho fatta più volte per divertimento
      sai che divertimento, ahah

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  8. Giuseppe, ciao, intervengo sulla nota vicenda, che ho seguito per bene. Solo per amor di precisione.
    1 - sì, si può parlare di cyberbullismo. Ma da parte del regista: non è solo del caso in questione che si parla (già squallido di suo), perché date le testimonianze in realtà quella di scovare e insultare, anche pesantemente, chi esprime una qualche critica (in termini non offensivi, s'intende) è (era?) una SUA pratica abituale.
    2 - i fratelli D'Innocenzo saranno, boh "perseguitati" ecc., allo stesso modo di altri più o meno noti, nell'ambiente del cinema e al di fuori. M'immagino, per dire, gli sfanculamenti che si prenderà Muccino, anzi, entrambi i Muccino. Peraltro il termine evoca subito fosche, tristissime strategie berlusconiane. Insomma, c'è puzza di giustificazionismo e (auto)assoluzione.
    3 - il (generico, vago, fuffoso) post di "scuse" era talmente "sincero" (mi vien da ridere, vabbè) che sono stati cancellati quasi tutti i messaggi che, banalmente, senza essere offensivi, riportavano alla luce alcuni punti fondamentali della sporca faccenda. E delle altre. Incluso uno mio: cancellato, grazie; in seguito sono stato impossibilitato a commentare (ma come, il post non si concludeva chiedendo consigli ecc.?).
    4 - lo sbeffeggiamento seguito alle prestazioni social del Nostro (multipli, variegati, verso più persone, voglio ricordare a tutti) mi pare il minimo; laddove, ovviamente, qualcuno non scadi in termini insultanti/infamanti: da "New York, 22 pm" a "ti compro, fallito" ecc. c'è di che divertirsi.
    5 - alcune delle espressioni usate da FdI, in altri casi, con altri individui coinvolti, avrebbero causato un moto d'indignazione popolare, in particolare ad opera di quelli super-attenti a certe tematiche e che, incredibilmente, o se ne sono stati zitti o addirittura sono intervenuti (evocati? Chiamati a raccolta?) in difesa, con cuoricini ed espressioni stucchevoli. Cosucce quali sessismo, bullismo, classismo, body-shaming: vabbè, "è un amico, capita di sbagliare, lascia stare i rosikoni". Ah, ok. E questo - per me - è l'aspetto peggiore. Ma mi sono segnato un po' di nomi, ecco.
    6 - posizione mia: io sono sempre - SEMPRE - per la separazione tra artista ed essere umano; altrimenti, per dire, non potrei adorare il Cinema di Polanski (che ha fatto ben altro, eh). I fratelli D'Innocenzo mi sembrano falsi, molto ammanicati con un certo mondo che conta. Ma sticazzi, eh, non devo mica uscirci a bere una birra. Continuo a ritenere La terra dell'abbastanza un buon film, Favolacce invece pessimo, America Latina lo vedrò con calma, a mente fredda. Insomma, per me il Cinema valido, italiano o meno, abita altrove. Ma di nuovo sticazzi.
    7 - Ciao Giuseppe, un abbraccio.
    Gregorio.

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    1. 1 verisismo, vergognosa quella cosa. Ma per me, sbagliando eh, il cyberbullisimo è quando un gruppo di persone perseguita un altro (e con Fabio accade ogni minuto e in mille luoghi). Invece leggo, e giustamente, che anche l'azione di un singolo può essere definita tale. E quindi sì, anche Fabio l'ha fatto. Ma dire che non lo ricevono è falsità storica ;)

      2 sì sì, non sono i primi e non saranno gli ultimi. Ho solo usato questa faccenda che mi ha toccato (sia perchè voglio bene a Damiano sia perchè il caso di Fabio è veramente uno dei più clamorosi che ricordi - specie per colpa sua - per parlare di un argomento generale

      3 questa cosa mi dispiace. L'ho trovato sincerisismo perchè non giustificatorio, ma veramente autoaccusatorio. Ma se mi dici così certo il dubbio mi viene

      4 siamo persone grandi Gregorio e vedere quando una battuta è scritta con divertimeno o con denigrazione si vede lontano un miglio. Chi odia i D'Innocenzo (o cni odia in generale qualsiasi persona) lo capisci da una mezza frase

      5 lo ripeto, sono ingiustificabili quelle cose. Poi mi conosci, sono l'opposto, mi facevano veramente star male, terribili. Ma erano cattive, sbagliate come centinaia e centinaia che ricevono loro. Io condanno sti gesti sempre, qualsiasi parte li faccia

      6 no no, perchè sticazzi, è una opinione importante come quella di tutti. Io li trovo fantastici sia in scrittura, regia e cifra, è un cinema che adoro, non ci posso fare niente

      7 ciao Greg!

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  9. ora provo a risponde a tutti, parto da Gregorio

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  10. ciao Giuseppe, sto seguendo il dibattito che si sta sviluppando qui - su più piani - ed è molto interessante. ho anche io una minirecensione che poi ti dirò dove potrai eventualmente leggerla se vorrai. (e quando ho letto la tua, assai più articolata, sorridevo per certe affinità). però volevo chiederti una cosa: hai ascoltato l'intervento dei fratelli D'Innocenzo di ieri al NuovoAmerica?

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    1. Certo Elena!

      copiala qui o dammi link

      no, ma la sai la cosa strana? è che non solo non guardo mai interviste, interventi dei registi

      non solo non leggo nulla fuori dalle recensioni (per me conta solo il film) ma in tutti gli scambi avuti sti due anni con damiano, potrà confermare, sarà incredibile ma non abbiamo mai parlato di cinema, ahah

      boh, so fatto così, riguarod il cinema mi interessano solo i film, riguardo le persone solo le persone ;)

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    2. appena esce te lo giro.
      io non leggo/guardo nulla prima, poi dopo aver visto il film, sì. è che c'era a presentarli e intervistarli Teresa Ciabatti ed era fastidiosamente insulsa mentre loro gentilissimi e a un certo punto - dato anche il loro modo (e tono) di parlare - ho pensato, " ma qui doveva esserci Giuseppe a chiacchierare con loro!"

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    3. ahah, che carina che sei Elena...

      guarda, in effetti quando parlo con Damiano mi sembra proprio di avere un fratello vicino, uno che guarda la vita come la guardo io

      magari un giorno capiterà!

      allora aspetto!

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    4. apparte che quella cosa di parlare veloci, mangiarsi le parole, perdere i fili (mica solo uno eh) dei discorsi... che uno all'inizio fa "ehhh???!!!???" ... ecco, uguale! ;)

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    5. ahahahah, è vero! le pochissime volte che li ho visti - contenuti a parte, loro sicuramente più alti - mi sono ritrovato tantissimo

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  11. Una gran opera perché sin dall'inizio regala veri brividi, incertezza, dolore. Un thriller nell'accezione primigenia del termine stesso.
    Pazzesca la messa in scena, la dissonanza delle geometrie perfette delle inquadrature e il vuoto della campagna e della vita stessa dona tutta l'angoscia esistenziale che certe vite possono avere. Unica vera nota amara il finale con quel voice over e la scena di lui seduto. Sarebbe dovuto finire fuori la casa, il film aveva già detto tutto con lui che si girava verso le scale. Non si può spiegare l'inspiegabile.

    La questione del caratteraccio dei D'Innocenzo e della reazione del pubblico è emblematica dell'epoca moderna. Vogliamo poter dire la nostra anche su cose che non ci appartengono e ostentiamo visioni parziali e irreali spacciandole per verità. Vogliamo avere a che fare con i nostri idoli, ma nella loro versione irreale e ammaestrata che ci facciamo nella nostra testa. E se non ci sta bene tutto questo possiamo sempre prendere l'artista e metterlo alla gogna. È l'America Latina...

    Mirko

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    1. madonna, non so chi sei ma ti giuro potrei avè scritto io ogni singola riga qua sopra ;)

      grazie del bellissimo commento Mirko

      unico errore non "dei" D'Innocenzo, di Fabio

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  12. https://www.babelica.it/america-latina-la-profondita-degli-abissi/

    spero funzioni il link!

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    1. perfette Elena!

      ahah, è vero, piccole suggestioni comuni come Hanging Rock o il respiro di Germano ;)

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  13. Voglio dire una cosa, che ho pensato per gli ultimi 30 minuti del film. Se una persona soffrisse di un livello tale di schizofrenia da immaginare in modo così nitido una vita che non ha, molto probabilmente non sarebbe capace di gestire uno studio dentistico tutto suo e di svolgere una mansione simile!
    C'è qualcosa di troppo inverosimile in un film che si presenta in un'estetica iperrealista. Non parlo della fotografia, ed effettivamente ci sono molti indizi durante il film che fanno presupporre quello che poi si scopre nel finale. Per estetica iperrealista mi riferisco all'ambientazione del film, a questi luoghi periferici a cui il cinema degli ultimi 15 anni, partendo da Gomorra ci ha abituati. A tratti mi ha ricordato Dogman, con la differenza che in Dogman ho apprezzato molto il colpo di scena finale in cui la realtà vissuta fino a quel momento dal protagonista sembra scomparire, ma qua la follia è compressa solamente negli ultimi 15 minuti. Aver realizzato che per tutto film ho assistito ad una menzogna non mi ha convinto molto. Detto questo è stata una goduria per quanto riguarda la recitazione, la fotografia e le musiche dei Verdena!

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    1. molto interessante come critica

      c'è anche da dire che secondo me il luogo, la casa, è centrale. E' quello il luogo dove il protagonista vive la sua malattia, nel bene (la famiglia) e nel male (la ragazza sequestrata)

      fuori da casa riesce a controllare il suo disturbo, disturbo che si presenta solo quando è solo e in quella casa (e secondo me ha senso)

      interessantissimo il parallelo con il finale di Dogman! (tra l'altro scritto dagli stessi D'Innocenzo - insieme ad altri - chissà se quel finale è loro)

      sì sì, la forza del film non è nel colpo di scena, ma in tutte le altre cose che dici ;)

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  14. scrive Nicola Lagioia:
    https://www.cinematografo.it/news/dentro-america-latina/

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  15. Visto ieri con chi-sai-tu e... Bah... Confezione impeccabile, ma tutto TROPPO didascalico, per me.

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    1. Sul troppo didascalico impossibile non concordare, troppissimo...

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due cose

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