Dopo tantissimi giorni sono tornato (ah, vi devo ancora i risultati del Sondaggio Miglior Film 2020 eh!), non con un mio pezzo ma con uno del grande amico - ed eccezionale penna - Roberto.
Qui ci parla di un cartone - uscito da pochissimo al cinema - che ha fatto letteralmente innamorare tutti.
Il titolo e il tratto dei disegni magari ve lo faranno immaginare come un film "semplice", quasi per soli bimbi.
E invece sto film sta conquistando tutti.
E magari lo farà anche con voi.
E magari anche con me :)
Qui ci parla di un cartone - uscito da pochissimo al cinema - che ha fatto letteralmente innamorare tutti.
Il titolo e il tratto dei disegni magari ve lo faranno immaginare come un film "semplice", quasi per soli bimbi.
E invece sto film sta conquistando tutti.
E magari lo farà anche con voi.
E magari anche con me :)
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Un cane, un robot, i sogni, solo musica, solo colori.
Un racconto di solitudini, di rinascita e di scoperte.
Una storia di amicizia e formazione, spietata e vera.
Vite che si toccano per un attimo che non finisce più.
Imparare a lasciarsi e lasciare andare.
E ora parleremo fino al mattino?
G. Parise
Robot Dreams è una conchiglia del Paleocene. Un’impronta fossile, quel libro che amavi da bambino e che ritrovi per caso durante un trasloco, dopo che avete deciso di lasciarvi perché a volte accade che l’amore finisce. Robot Dreams è la cosa giusta, non quella desiderata. L’ultimo sguardo al panorama prima di salire sul treno e andare via. Le scatole di pastelli, lo scialle della nonna, il cambio di stagione, l’odore del cappotto di tuo padre col quale non parli più e ti manca da morire, le incisioni adolescenti in platani d’amore. Robot Dreams è un sorriso nel buio, la lunga passeggiata mortale del troglodita nostro antenato che dipingeva pareti e mangiava cuori pulsanti, è lo sguardo basso e il sorriso accennato che ti invadono il volto quando nella folla di un marciapiede incroci quella persona che un tempo chiamami amico, sorella, tesoro, amore, e che ora non sai salutare – e lo sai, e lo sa anche lei, e tutto intorno la gente va non so dove. Robot Dreams è un meraviglioso libro di poesie che ha venduto diciassette copie. Robot Dreams è una cicatrice. Robot Dreams è una lunga serie di colazioni sul terrazzo, alle 8 del mattino, mentre fuori tutto è in fiore e momentaneo. Robot Dreams è quello che succede dopo che hai realizzato il tuo sogno. È la coniugazione di un verbo di cui non sei sicuro – quindi controlli il dizionario. È il gesto gentile di uno sconosciuto in metropolitana, in un mattino di pioggia e tristezza metafisica. È lo spazio bianco tra le vignette, è la caducità di Rilke, è l’altrove di Pessoa, è Garcia Lorca quando dice che il lauro si è stancato di essere poetico. Robot Dreams è la disperazione siderale, cosmica, primigenia, intergalattica, esadecimale, di un bambino che perde la mano di sua mamma nel supermercato sotto casa – e tutti gli scenari apocalittici che sbocciano in quei 4 secondi e mezzo di terrore. Robot Dreams è la mano di tua madre – calda, sicura, universo, tutto, blu. Robot Dreams è la prima volta che impari la tabellina del 5 – ed è anche la prima volta che intuisci che ogni conoscenza si edifica intorno a un atto di fede. Robot Dreams è la notte insonne prima di un giorno importante. È la sua valigia accanto al letto – che ci fa lì? Sta andando via? Mi sta lasciando? Allora non ho domato il mondo? Robot Dreams è la federa pulita del cuscino. È una telefonata con tuo padre – non sapete come dirvi che vi amate, quindi parlate disordinatamente di cose inutili, di calcio e di ricordi venati di autunno. Robot Dreams è il sole di settembre. È trovare un vecchio amico, che non vedevi da anni, e invitarlo al bar. È la risata di qualcuno che non conosci, che tuttavia ti ricorda qualcosa – o qualcuno. Robot Dreams è il profumo del pane, la sensazione di spaesamento quando percorri a piedi per la prima volta una strada che hai percorso fino a quel momento soltanto in auto, quando qualcuno ti chiama per cognome, il calore di un bacio, l’ultimo verso dell’ultima poesia di una silloge, un documentario sullo spazio, una situazione spiacevole capitata al momento giusto, la consapevolezza di essere passeggeri, transitori, effimeri, momentanei – ovvero eterni. Robot Dreams è il tempo che passa. Una spiaggia ma d’inverno, una sciarpa ma d’estate. Robot Dreams è quel “e va bene” che annuncia con dolcezza la tua volontà di chiudere la conversazione – eppure vorrei dire tante cose, perché non ci riesco? Robot Dreams è una bomba inesplosa, una rima non rispettata – che poi sono la stessa cosa. Robot Dreams è la promessa di eternità che la vita fa a ogni neonato. È la tuta da lavoro, è il tentativo di dare un nome alla notte, l’odore della sua pelle che invade l’abbraccio, l’arcobaleno nelle pozzanghere, quando noti un estraneo che legge lo stesso fumetto che tu leggi da una vita. Robot Dreams è toccarsi con i piedi sotto le coperte per sentirsi al sicuro in questo mondo. Robot Dreams è come quando si canta senza sapere le parole – e dunaninanna è già finita, da du da di na na è già finita... Robot Dreams è un cane solo, solissimo. Robot Dreams è solo un cane, canissimo. Robot Dreams è questa frase che non dice niente se non la sua stessa esistenza. Robot Dreams è l’avventura di una lacrima. È quando si spengono le luci in sala, il film sta per cominciare e tu ti senti bambino e dinosauro insieme. È il ricordo di un bacio. Robot Dreams è l’inevitabile dolore del venire al mondo. È il tempo che impiega la luce a rendersi conto che l’universo sono io. Robot Dreams è un attimo, è adesso – e in quanto tale è inevitabile passato. Robot Dreams è una passeggiata sul lungofiume. È quel minuto di beatitudine che forse è troppo poco. È la prima frase scritta con la nuova penna che hai acquistato. È quel “do you remember?” che non lascia scampo. Robot Dreams è una canzone in loop. È la sensazione di spaesamento derivante dall’acquisizione dello stadio dello specchio – allora quello che mi guarda sono io. Robot Dreams è il mare mosso, è mangiare un gelato mentre diluvia e fa freddo, è tutti i coriandoli, è passare accanto alla tua vecchia scuola elementare, è l’odore del prato dopo la pioggia – ed è la pioggia. Robot Dreams è il libro con gli esercizi di grammatica, è l’analisi logica della frase “Roberto stanotte ha masticato tutti i suoi sogni – e anche i tuoi”, è una vecchia macchina da cucire, è soprattutto un gomitolo. Robot Dreams è l’autunno di ogni stagione, è una sala d’attesa, è quando ritorni nella città in cui sei cresciuto e scopri che quel muretto dove hai costruito futuri ipotetici con gli amici ha lasciato il posto a un negozio di articoli da bagno – c’è una ragazza che sta comprando asciugamani e tu piangi perché ti manca quel futuro. Robot Dreams non è assolutamente niente, è uno specchio di tanto tempo fa, una crepa, un desiderio inaspettato, un problema al cuore, le mani di uno scrittore tormentato, il sorriso, il blu, una notte insonne dopo una notte insonne, un pomeriggio di fine aprile, le gomme per cancellare, i sassolini, la terra negli occhi di un astronauta perduto nello spazio cosmico, il verso delle scimmie, le divisioni, la brutale dolcezza, un cigno nero, una scacchiera, i pattini, la città di notte, luci tremolanti, danzare per dimenticare, cuore di fuoco, la punteggiatura, un fiore che sboccia dentro il temporale, tutto ciò che non può che essere effimero, la nostalgia di un ricordo mai vissuto, una lunga – sconfinata – luminosa – storia d’amore con la vita. Robot Dreams è una carezza che lascia la guancia.
una recensione eccezionale, dico io.
RispondiEliminaRobot c'est moi, direbbe Flaubert :)
Grazie mille per l'apprezzamento, caro Ismaele!
EliminaSì, Flaubert direbbe proprio così, e noi con lui :)